Merlyn rise inseguendo Mordred nella piccola radura nel
bosco dietro Ealdor, erano passate due settimane da quando il bambino era
entrato nelle loro vite e la coppia si era già tremendamente affezionata.
Arthur seduto sul telo steso a terra, circondato dal pranzo
che la moglie aveva preparato, guardava felice i due correre facendo qualche
trucco con la magia, ridendo spensierati.
I primi giorni erano stati strani, Mordred non aveva parlato
molto, attaccandosi alla gonna di Merlyn o alla mano di Arthur e guardando
preoccupato verso qualsiasi abitante di Ealdor, temendo che potessero portarlo
via, la signora Imogen gli lanciava ancora occhiatacce. Poi una mattina si era
svegliato e si era intrufolato nel loro letto, mettendosi tra la coppia, e aveva
iniziato a giocare con i capelli di Merlyn, incominciando la giornata con una
serie di domande quasi infinita, la tipica parlantina e curiosità che ci si
aspettava da un bambino.
«Arthur!» Morderd urlò il nome dell’uomo prima di saltargli
addosso, dichiarando a Merlyn che aveva perso perché aveva raggiunto Arthur
prima di lei.
Il principe sollevò il bambino in aria, facendolo ridere,
per poi farlo sedere tra le sue gambe «Tieni, bevi.» disse passandogli un
calice con dell’acqua all’interno mentre alla moglie passò del vino.
Merlyn si sedé al suo fianco, posando la testa contro la sua
spalla, rilassandosi e godendosi la piacevole brezza della giornata, il Sole
che le baciava la pelle del viso e del petto.
La questione Camelot e Arthur Pendragon era stata affrontata
tre giorni dopo la rivelazione del suo Destino. Balinor le aveva consigliato di
andare per evitare di modificare ancora di più il futuro, ma il drago non lo
aveva ancora contattato per annunciargli l’imminente catastrofe. Arthur aveva
contrariamente suggerito di rimanere ad Ealdor, continuare con la loro semplice
vita, dicendole che se non avesse voluto non avrebbe dovuto portare il peso di
Albion sulle spalle, soprattutto ora che avevano un bambino di cui prendersi
cura. Era stata una cosa egoista da fare, ma Arthur non poteva lasciarla andare
da sola, ma non poteva nemmeno andare con lei senza rivelare la sua vera
identità.
Non poteva andare a Camelot a proteggere Arthur Pendragon se
lo stesso era proprio lì al suo fianco.
«Emrys, puoi sbucciarmi la mela?» domandò il bambino
prendendo il frutto dalla cesta in vimini.
Merlyn aveva più volte provato a ricordargli di chiamarla
con il suo vero nome, ma il bambino sembrava essersi fissato con il suo nome
profetico. Prese la mela dalle piccole mani di Mordred ed afferrò il coltello.
Quando anche l’ultimo pezzo di buccia cadde sul fazzoletto che la donna aveva
posato sopra le ginocchia tagliò la mela a metà e poi a piccoli spicchi per
facilitare il bambino.
«Come si dice?» chiese Arthur quando Mordred prese una fetta
dalle mani della maga.
«Grazie, Emrys.» sorrise il bambino guardando Arthur in
cerca d’approvazione. Gli piaceva l’uomo, lo trattava bene ed era simpatico. La
sera prima di andare a letto gli raccontava pure delle storie sui cavalieri e
le loro imprese.
La donna portò uno spicchio di mela alla bocca del marito,
facendogli l’occhiolino quando lasciò le punte delle dita stuzzicargli le
labbra. Dopo la loro prima notte d’amore non erano più riusciti ad avere un
momento d’intimità, più che altro spaventati di essere troppo rumorosi e poter
svegliare Mordred. Non per questo non avevano passato le ultime settimane a
provocarsi, rubandosi baci appassionati quando Mordred veniva letteralmente
rapito da Gwaine per giocare, ma mai per abbastanza tempo.
Arthur le afferrò il polso senza rompere il contatto visivo,
riportò le dita verso le sue labbra e ci soffiò sopra, ridendo dell’espressione
scandalizzata della moglie. La vide arrossire e ritirare la mano contro il
petto, lanciando uno sguardo preoccupato verso Mordred, chiedendosi se avesse
visto quella scena non adatta ai minori.
Il bambino stava mangiando a piccoli morsi la fetta di mela
mentre guardava concentrato il suo piede battere ritmicamente contro la gamba
di Arthur.
Arthur si sporse per baciarla, facendo attenzione a non
muovere Mordred, sorrise nel bacio, amava la vita che si stava costruendo.
⸸⸸⸸
Arthur tornò a casa quella sera portando della legna da
ardere. Dopo l’allenamento con gli altri era andato nel bosco a tagliare
qualche ceppo. L’inverno si stava avvicinando e voleva avere una buona scorta.
Era ufficialmente un mese che Mordred faceva parte della
loro famiglia e Arthur era pronto a morire per difendere quel bambino.
Aprendo la porta trovò le due persone più importanti della
sua vita seduti sul pavimento, tra loro delle fiamme danzavano prendendo forme di
vari animali. Balinor aveva iniziato ad insegnare anche a Mordred come
controllare la sua magia e Arthur aveva notato come l’uomo guardasse quasi con
paura suo nipote adottivo.
Chiudendosi la porta alle spalle ricevette immediatamente un
urlo estasiato da parte del bambino «Arthur, sei a casa!» e in meno di un
secondo se lo ritrovò tra le gambe, il mento posato contro le sue ginocchia
mentre guardava in alto.
Merlyn si alzò a sua volta «Oh, è così? Arriva Arthur e
Merlyn non esiste più?» scherzò ben sapendo quanto il bambino amasse entrambi.
Diede un veloce bacio al marito, togliendogli dalle mani la legna, così che
potesse prendere imbraccio il bambino.
Ora, non fraintendetela, Merlyn aveva sempre trovato Arthur
in qualche modo attraente. Non si era innamorata per il suo aspetto, ma di
certo aiutava. Comunque, vederlo giocare con Mordred, scoprire quel suo lato
paterno, aveva messo in profonda crisi la donna. Si era ritrovata più volte a
toccarsi il ventre piatto, chiedendosi come sarebbe stato avere un figlio loro,
per poi subito dopo arrossire furiosamente all’idea.
Con un Destino come il suo – e per quanto stesse cercando di
ignorarlo – non poteva fare a meno di pensare che non era il momento giusto per
rimanere incinta. Non che facessero l’amore, Mordred aveva praticamente fermato
qualsiasi attività in camera da letto in quanto aveva preso il vizio di dormire
con loro di tanto in tanto.
Prima o poi Camelot l’avrebbe accolta e sarebbe stato meglio
senza un figlio di cui preoccuparsi dato che sembrava un lavoro molto
pericoloso.
«Oh oh, qualcuno è gelosa.» disse Arthur posando Mordred sul
suo braccio, sostenendolo con facilità al contrario della donna.
«Nooo» esclamò Mordred girandosi verso la maga «non essere
gelosa, madre.» concluse tendendo le braccia verso Emrys.
I due adulti si bloccarono e il druido corrugò la fronte,
perché lo stavano guardando in quel modo?
«Mordred, come mi hai chiamata?» domandò la donna lasciando
perdere la legna vicino al camino. Sentiva il cuore nelle orecchie, non poteva
credere a quello che aveva appena sentito.
Il druido ripensò alle sue parole ed arrossì, nascondendo il
viso nell’incavo del collo di Arthur. Dei, come si stava vergognando, aveva appena
chiamato “madre” Emrys! Sentì le lacrime pizzicargli gli occhi, sicuro che
adesso lo avrebbero odiato. Sapeva perfettamente che Emrys non era sua madre,
la sua vera mamma era morta durante un attacco al loro campo poco dopo la sua
nascita, suo padre glielo aveva raccontato quando gli aveva chiesto dove fosse,
notando come gli altri bambini avevano sia una mamma che un papà. Suo padre, il
quale era morto solamente un mese fa e lo stava già sostituendo con il marito
di Emrys, era veramente cattivo come il filidh aveva predetto.
Non voleva essere cacciato via, non aveva nessuno al mondo e
aveva paura del suo Destino, voleva rimanere con Emrys ed aiutarla a creare
Albion, non uccidere il re.
Merlyn lo prese dalle braccia di Arthur, rischiando quasi di
farlo cadere, ma il marito l’aiutò «Hey, non piangere.» disse in tono dolce
asciugandogli le lacrime con il polpastrello del pollice «Va bene se vuoi
chiamarmi madre.» lo rassicurò guardando Arthur in cerca d’approvazione. Il
biondo annuì fermamente, non gli sarebbe dispiaciuto nemmeno a lui essere
chiamato “padre”.
«Veramente?» chiese in un singhiozzo il bambino, le piccole
mani chiuse a pugno a sfregarsi gli occhi piangenti.
Merlyn annuì «Certo, Mordred! Infondo siamo i tuoi
genitori.» rispose la ragazza dandogli un bacio sulla guancia.
«Vi voglio bene.» sospirò Arthur sentendo il cuore pieno
d’amore, desiderando essere un padre migliore del suo, sapendo che insieme a
Merlyn sarebbe riuscito anche nell’impossibile, anche essere un padre.
⸸⸸⸸
Hunith stava andando verso il fornaio per comprare del pane
fresco, vicino a lei il piccolo Mordred si stava stringendo alla sua gonna con
una presa ferrea, causandole qualche problema nel camminare, ma capiva la paura
del bambino: i cittadini di Ealdor ancora non lo avevano accettato.
Sei mesi e il povero bambino non era riuscito a integrarsi
nella comunità, ma non lo aveva fatto nemmeno Merlyn che era nata e cresciuta
lì.
La figlia, insieme al marito, il padre ed i suoi amici,
erano andati in missione: un grifone aveva iniziato a terrorizzare i villaggi
vicini e in base alle conoscenze di Balinor la creatura poteva essere uccisa
solamente grazie alla magia. Questo lasciava Hunith e Mordred da soli, ma non
era certo la prima volta!
La donna adorava Mordred, soprattutto da quando aveva
iniziato a chiamarla “nonna”. Più volte il bambino aveva dormito a casa sua,
Hunith era andata in soccorso della figlia quando le aveva raccontato
distrattamente di come la vita matrimoniale con Arthur fosse tornata in una
situazione di stallo dopo l’arrivo del druido. Almeno una volta a settimana il
bambino era ospite di Hunith e Balinor, ben sapendo che per qualsiasi cosa i
genitori erano giusto a poche iarde di distanza. Mordred aveva conquistato
anche il cuore di Balinor, alla fine l’uomo aveva raccontato della profezia
all’amata e Hunith lo aveva rassicurato che non doveva preoccuparsi: Kilgharrah
gli aveva detto che il futuro era cambiato e quindi forse anche il Destino del
loro nipote.
«Hunith, come stai?» Matthew le sorrise cordialmente,
l’unico ad essere riuscito a scambiare due parole in favore di sua figlia e
Mordred.
«Bene, tu come stai?» chiese a sua volta posando una mano
sulla testa del bambino, il quale quasi si stava nascondendo dietro le sue
gambe, la presa sulla gonna più ferrea.
Matthew si chinò e prese dalla sua cesta un dolce «Bene.»
rispose alla donna «Tieni, Mordred, ma non dirlo a tua madre.» sussurrò
facendogli l’occhiolino, cercando una complicità con il bambino.
Il druido allungò la mano ed accettò il dolce «Grazie,
Matthew.» disse ricordandosi come il padre gli avesse insegnato l’educazione.
Si doveva sempre ringraziare, come quando la madre pettinava il padre al
mattino e lui la ringraziava con un bacio.
L’uomo sorrise e si sentì abbastanza confidente dal potergli
scompigliare giocosamente i capelli.
Il piccolo momento di pace venne interrotto dall’arrivo di
Imogen, la quale a grandi passi si diresse verso di loro, il viso gonfio e
rosso come sempre. Mordred deglutì spaventato, la donna lo terrorizzava e Emrys
non era lì per proteggerlo!
«Ora diamo i dolci ai randagi?» chiese a Matthew facendogli
alzare gli occhi al cielo, innervosito.
Hunith perse il sorriso «Mordred non è un randagio, è il
figlio di Merlyn e Arthur.» disse cercando di mantenere un tono di voce
adeguato.
Imogen sbuffò dal naso «Non mi sembra che tua figlia lo
abbia partorito.» commentò con veleno, ogni giorno sembrava voler cercare una
scusa per attaccare Merlyn.
«Non devi per forza partorire per avere un figlio.» rispose
Hunith prendendo un profondo respiro «Fortunatamente viviamo in una società
dove anche i meno fortunati possono trovare una nuova famiglia.» aggiunse
difendendo il caso.
«O forse quella buona a nulla di tua figlia è sterile e ha
rapito questo bambino. Non è brava nemmeno a farsi ingravidare, ma non avevo
dubbi, con quei fianchi stretti e poca carne sulle ossa.» Imogen sorrise
maligna e proprio quando Hunith stava per rifilarle un manrovescio la donna si
piegò in due emettendo versi di dolore prima di vomitare sulle sue stesse
scarpe.
Hunith guardò Mordred e vide appena il tipico bagliore
giallo delle iridi scomparire, prova inconfutabile che aveva appena usato la
magia per far sentire male Imogen.
Matthew imprecò e si avvicinò per posare una mano sulla
spalla della donna, ma il vomito sembrava non volersi fermare «Dio ti sta
punendo per tutte le cattiverie che dici.» commentò cercando con lo sguardo uno
dei figli della donna per farla portare a casa.
«Forse noi dovremmo andare, non vorrei che Mordred si prendi
questa influenza.» si scusò Hunith lasciando a Matthew il compito di occuparsi
di Imogen. L’uomo annuì distrattamente, ora seriamente preoccupato per la donna
che ancora non smetteva di vomitare.
Comprarono in fretta il pane e tornarono a casa.
«Quello che hai fatto è sbagliato, Mordred.» lo ammonì la
donna facendolo sedere sul tavolo per poterlo guardare negli occhi. Solo Dio
sapeva quante volte aveva avuto la stessa conversazione con Merlyn.
«Ma stava dicendo cattiverie su madre.» borbottò il bambino
guardandosi le mani. Non gli piaceva essere sgridato, soprattutto quando non
aveva fatto nulla di male!
Hunith sospirò pesantemente, chiedendosi se fosse tornata
indietro nel tempo, quel bambino stava usando le stesse parole di Merlyn alla
sua stessa età.
Spezzò un pezzo di pane e l’offrì al nipote «Ci sarà sempre
gente che dirà cattiverie su chiunque di noi, Mordred, ma l’unica cosa che puoi
fare è imparare ad ignorarle.» disse proprio come fece con sua figlia.
Erano anni che lei stessa subiva le malelingue di Ealdor,
fin da quando si era scoperta la sua gravidanza extramatrimoniale, ma aveva
imparato a conviverci e certamente non per questo si era mai fatta mettere i
piedi in testa.
Il bambino annuì, l’espressione concentrata sul pane, capiva
cosa Hunith gli stava dicendo, ma non credeva fosse giusto. Emrys non si
meritava di essere trattata in quel modo! Lei era colei che avrebbe riportato
la magia e avrebbe liberato la sua specie.
«Su, tesoro, finisci il pezzo di pane e iniziamo con la
lezione.» lo esortò la donna andando a prendere della pergamena, un pennino e
dell’inchiostro. Non c’erano possibilità che avrebbe lasciato il bambino
crescere senza imparare le basi della scrittura e lettura. Potevano essere dei
semplici contadini, ma fortunatamente la donna aveva avuto accesso ad un tutore
durante la sua infanzia a Camelot e intendeva tramandare le sue conoscenze a
tutti, poi adesso aveva anche l’aiuto di Balinor, l’uomo decisamente più
acculturato di lei essendo cresciuto nobile.
Mordred mandò giù in un solo boccone il pane e scese dal
tavolo, adorava imparare a scrivere e leggere!
⸸⸸⸸
«Non fare mai più una cosa del genere!» urlò Arthur
prendendo il braccio della moglie, strattonandola leggermente. Non voleva
considerarsi un uomo violento, non aveva mai alzato un dito su una donna che
non fosse una strega intenzionato a fargli del male, ma sua moglie riusciva a
mandarlo in tilt.
Immediatamente lasciò andare la presa, come se si fosse
scottato, timoroso che la donna potesse odiarlo per quella sfuriata. Erano mesi
che non litigavano, dal loro matrimonio a quel giorno non avevano discusso
nemmeno una volta, vivendo una specie di sogno.
Merlyn si spolverò i pantaloni ricoperti di terra, era stata
scaraventata a qualche metro di distanza dal grifone mentre cercava di allontanarlo
dai suoi amici mentre Balinor lanciava l’incantesimo sulla spada di Lancelot.
«Non dirmi cosa fare.» rispose la donna guardandosi la
tunica rovinata all’altezza del gomito, il quale stava sanguinando.
Arthur era rosso in viso, sia per la rabbia che per la paura
nel vedere la donna amata venire lanciata in aria. Le aveva detto di non
avvicinarsi, di rimanere a fianco a Balinor e lasciare a loro il compito di
distrarre il grifone, ma come al solito non gli dava retta!
«Scusami, non volevo strattonarti.» sospirò l’uomo veramente
dispiaciuto, Morgana lo avrebbe linciato se sarebbe venuta a sapere che aveva
osato alzare le mani su sua moglie.
Merlyn gli sorrise, comprensiva «Non preoccuparti, non è
come se non mi avessi puntato un’arma alla gola.» scherzò ricordando il loro
primo incontro. Non si sentiva minacciata dal gesto di Arthur, sapeva benissimo
riconoscere una relazione abusiva e certamente suo marito non era il tipo. Il
suo era stato un gesto dettato dalla preoccupazione e non lo stava giustificando,
ma poteva capirlo. Ricordò perfettamente il pugno che gli aveva dato quando aveva
rischiato di morire combattendo contro un bandito, salvato per miracolo da
Parsifal.
Arthur la baciò, prendendola per i fianchi e spingendola
contro il suo corpo. La maga sorrise andando a stringere con le mani i capelli
alla base della nuca del marito, tirandolo ancora più in basso per approfondire
il bacio.
«Ragazzi, risparmiatevi per la notte!» urlò Gwaine ridendo,
non erano molte le volte che la coppia si lasciava andare ad effusioni in
pubblico, per questo doveva approfittare di ogni occasione per prenderli un po’
in giro.
Merlyn con un movimento della mano fece cadere a terra
l’amico, animando una radice dell’albero al suo fianco.
«Andiamo, bambini, torniamo a casa.» comandò Balinor
a gran voce, quasi rimpiangendo la sua caverna. Da quando era stato riportato
nel mondo civile ne aveva vissute di avventure, sua figlia e suo marito
sembravano attirare guai da tutte le parti. I loro amici poi non erano meglio,
Gwaine era riuscito ad innervosire un fantasma, una povera donna che si
aggirava sulle rive del lago dove era affogata, l’aveva talmente tanto
infastidita che aveva deciso di maledirlo e Parsifal era dovuto andare in
missione a recuperare un fiore magico per salvarlo.
«Come lei comanda, signore!» urlò Gwaine mettendosi in
piedi, imitando un cavaliere.
Merlyn rise, ancora stretta nell’abbraccio del marito, amava
la sua famiglia.
⸸⸸⸸
Osbert entrò a Camelot guardandosi intorno meravigliato. Non
era stata una mossa intelligente scappare di casa, ma quando Hunith aveva
rivelato il suo segreto ad Imogen avrebbe fatto di tutto per non essere
incastrato in un matrimonio con Bertrada. Era solo un passatempo, la ragazza
non era assolutamente materiale da matrimonio, ma sapeva che rimanendo ad
Ealdor sarebbe stato costretto a prendersi le responsabilità delle sue azioni.
Fuggendo con nulla in mano si era ritrovato a vagare per le
foreste, cercando asilo in vari villaggi, ma senza rimanere per troppo tempo in
uno di essi per evitare di essere rintracciato. Alla fine si era unito a dei
mercanti erranti, così da poter vivere in movimento ed avere un lavoro.
Non gli dispiaceva quella nuova vita, ormai era quasi un
anno che era lontano da casa, ma non per questo si era dimenticato del viso di
uno degli amici di Merlyn. La stessa faccia che lo stava guardando dal dipinto
appeso all’ingresso del palazzo.
Davanti a lui c’era Arthur, quello che già doveva essere
diventato il marito di Merlyn. Si girò verso una guardia mentre il suo capo
parlava con il responsabile delle cucine di palazzo.
«Chi è quello?» domandò piuttosto bruscamente, un tremore
nella voce al pensare che forse sarebbe riuscito a vendicarsi di quella bastarda.
La guardia seguì il suo sguardo e sospirò «Il principe
Arthur, è scomparso da quasi tre anni.» rispose sentendo sulle spalle tutta la
tensione di quegli anni sulle spalle, Re Uther aveva reso la vita di tutti un
Inferno, oltre alla lotta contro la magia si era aggiunta la disperata ricerca
del principe.
Osbert sorrise mostrando i denti gialli «Io so dov’è.»
ammise facendo impallidire la guarda.
Il ragazzo nel giro di pochi minuti si ritrovò davanti a
Uther in persona.