1
House creaking
The hinges on the
door
Thoughts creeping
Sono chiuso qui dentro e non riesco a uscire.
Sento il vento frustare la mia casa ed essere parte della
mia frustrazione.
Le pareti cigolano, la porta cigola, i miei pensieri cigolano.
Mi sento in trappola e non so quando tutto questo sia
cominciato.
È trascorso un tempo che non so definire, non ho mai
prestato attenzione a certi dettagli.
Sono come un vegetale, un verme, striscio tra le lenzuola come
i pensieri mi strisciano nella mente.
Mi rigiro senza tregua, non faccio letteralmente nient’altro
da giorni.
Settimane.
Mesi?
Il tempo non mi appartiene, mi scivola soltanto via dalle
dita.
Cosa facevo prima di essere inghiottito dalle mie stesse
mura?
Cosa facevo prima che l’ansia prendesse il sopravvento e mi
riducesse al silenzio?
Provo a ricordarlo, ma sono annebbiato, completamente
annientato dal vuoto che mi circonda.
Gli oggetti sono soltanto ombre, le pareti entità sfocate,
io stesso sono soltanto il fantasma di me stesso.
E i miei pensieri strisciano indistinti, intoccabili,
deformi.
It's like when your
mind
Has a mind of its
own
Please take mine
Don't leave me alone
Capture me
Non comando io sulla mia mente.
Va da sola.
A volte è come non averla, capita sempre più spesso.
Quanto vorrei avere la forza per chiedere aiuto, per cercare
qualcuno che sia disposto a stare con me, a non lasciarmi più solo…
Quanto vorrei capire cosa succede attorno a me.
Perché la mia casa scricchiola, ostile, e vuole buttarmi
fuori.
Non capisce che io non posso uscirne? Non capisce che sono
senza energie? Non capisce che sono vestito d’ansia, paralizzato?
Mike.
Mi chiamo Mike, questo lo so. È già qualcosa, forse.
Tutto attorno a me è vuoto, mi spezza, mi divora.
Cosa facevo prima di essere una nullità senza alcuna
volontà?
Qual era il mio scopo nella vita?
Quanto tempo avevo per realizzare i miei obiettivi?
Sempre troppo poco.
E adesso tutto si dilata, non è rimasta la minima traccia di
ambizione.
Solo ansia, ansia, ansia.
Da cui non riesco a separarmi, cazzo.
La sento che mi chiama, sussurra melliflua, me lo ricorda in
ogni istante.
«Non ti lascerò andare. Sei una parte di me, non possiamo
separarci.»
Sembra la melodia di una canzone lontana, di un ricordo
sbiadito, di una vita che non mi appartiene da secoli.
Le mie labbra secche si muovono, nessun suono le abbandona.
Resta soltanto l’ansia e questa casa che scricchiola,
ostile.
Vuole cacciarmi, ma so che non me ne andrò.
Mai più.
I can't let you go
'Cause you're a part
of me
Not apart from me
[…]
I cannot separate
from this anxiety
[Separation Anxiety,
Faith No More]
§
Don't hate me, don't
hate me
Don't hate me more than I hate myself
Don't let me destroy me
Don't hurt me more than I hurt myself
«Da quanto tempo sei qui dentro?»
La voce di Bill è tagliente, i suoi occhi fiammeggiano, il
suo atteggiamento è ostile.
Non capisco perché sia venuto a casa mia.
Non capisco perché mi odi tanto.
In fondo non lo biasimo, anche io mi odio. Dannatamente.
Avevamo dei concerti e li abbiamo annullati per colpa mia.
Non me ne tiro fuori, è la verità, ma non so proprio cosa mi
stia succedendo.
Al solo pensiero di mettere piede su un palcoscenico, il mio
stomaco si rivolta e le mie corde vocali si spengono.
Non posso cantare, non ha senso fare dei concerti.
È un concetto semplice, però Bill non sembra dello stesso
parere.
«Guardati! Stai mangiando?»
«Mangiando?» Lo fisso senza neanche vederlo, cercando di
metabolizzare la sua domanda. Effettivamente non so cosa rispondergli.
Ogni giorno qualcuno spedisce a casa mia del cibo d’asporto
con un biglietto allegato. Su ogni pezzetto di carta ci sono scritte frasi
sempre diverse, estratti di vecchie interviste, dichiarazioni che ho fatto e
che ricordo soltanto vagamente.
«Sì, Mike. Sai, voce del verbo mangiare, quella cosa
che fai con la bocca: mastichi, mandi giù… capito?»
«Sei tu che mi mandi il cibo?» chiedo.
Bill mi rivolge un’occhiata stranita, poi si guarda attorno
e mette a fuoco alcuni dei sacchetti pieni per metà o che non ho mai toccato.
A volte mangio, ma non ho sempre voglia.
Ci sono giorni in cui la gola mi brucia e mi sembra davvero
difficile inghiottire perfino l’acqua.
«Non sono io a spedirti quella roba.» Il bassista scuote il
capo e si avvicina al tavolo, spazzando via con un gesto stizzito i numerosi
bigliettini che vi erano appoggiati. «Perché cazzo non reagisci?» sbraita.
Io mi sento attaccato e abbasso il capo. Non ho neanche
voglia di rispondere, non ho la forza per litigare e alzare la voce; non riesco
neanche a portare fuori un po’ d’ironia o sarcasmo, rimango semplicemente in
silenzio e mi lascio investire dalla sua rabbia.
Vorrei pregarlo di non odiarmi, perché già da solo mi odio abbastanza.
Vorrei pregarlo di non lasciarmi qui da solo a distruggermi,
a marcire tra queste quattro mura, ad autocommiserarmi.
Vorrei dirgli che ho bisogno di un abbraccio e di qualcuno
che mi consoli e si prenda cura di me, ma questo non sono io e sono
terrorizzato all’idea che Bill possa disprezzarmi ancora di più.
Non è un ragazzo senza cuore, il problema sono sempre e solo
io.
Bill continua a gridare e io continuo a ignorarlo, incasso
la testa tra le spalle e mi raggomitolo sulla poltrona.
Mi abbraccio da solo, sento le rotule conficcarmisi al
centro del petto – dio, quanto sono magro e fragile, me ne accorgo solo ora.
Quanto mi piacerebbe che Bill si sedesse accanto a me e mi
consolasse.
Non so neanche io per quale motivo, però vorrei essere
compreso e ascoltato.
Eppure rimango muto, come spesso accade ormai.
Lui grida e mi scuote per le spalle, io vorrei soltanto che
mi abbracciasse.
Mi sento patetico e mando giù l’ennesimo boccone amaro.
Semplicemente, aspetto che se ne vada e mi lasci solo.
Just scold me,
console me, control me
Oh, I could use some help
But don't hate me, I'm sad enough
[Don’t Hate Me,
Badflower]
§
Knock my chest,
emptiness
Sound of death and loneliness
All these walls, crush my head
Sound of broken bones and death
La notte è scura, la luna lascia carezze sinistre su ogni
cosa.
Non riesco a dormire, non trovo la pace neanche se chiudo
gli occhi.
Tutto qui dentro sa di morte: il mio petto vuoto, la mia
anima sbiadita, i mobili impolverati.
Sono solo e abbandonato a me stesso, nel pieno della notte
non posso neanche gridare.
Vorrei farlo, ma ormai neanche la mia voce mi appartiene.
Pensare a quanto la usavo, in quella che sembra un’era
geologica fa, mi ferisce.
Era la mia valvola di sfogo, lo strumento che mi permetteva
di esprimermi, la strada che seguivo quando mi sentivo spaesato e smarrito.
Se solo riuscissi a sfruttarla, ora, potrei salvarmi da
questa morte che mi scorre nelle vene e mi sgretola le ossa.
Invece è lì, ferma in gola, in attesa. In agguato.
Pronta a sgorgare in un grido liberatorio.
Eppure è immobile, dolorosa, graffiante.
Non avrei mai pensato che ci si potesse sentire tanto vuoti
e abbandonati.
La mia vita è sempre stata frenetica e impetuosa, fin troppo
piena – adesso sono io a essere pieno di dolore e vuoto allo stesso tempo.
Fisso il soffitto e lo trovo sempre uguale, come i giorni
che si susseguono l’uno dopo l’altro da settimane.
Mesi?
Il tempo è relativo, non so più contarlo e non mi importa
farlo.
Vorrei soltanto trovare qualcosa che mi motivi e mi spinga a
considerare nuovamente i secondi, i minuti, le ore come fattori importanti.
Ma qui non c’è più niente.
Posso quasi vedere la mia immagine dall’esterno: una larva,
un vegetale, un fantasma.
Sto scomparendo.
Sono sempre più sbiadito.
I'm disappearing now
My body’s falling down
And I'm alone, alone, alone
And I'm alone, alone, alone
Solo, piccolo, confuso.
Rannicchiato in posizione fetale, vorrei chiudere gli occhi
e trovare la pace.
Scappare via da quest’agonia, ritrovarmi e parlare con me
stesso.
Vorrei dirmi cose in cui non credo.
Vorrei darmi la forza che non sento di avere.
Vorrei prendermi a schiaffi per ridestarmi da quest’incubo.
E vorrei che qualcuno mi tendesse una mano e mi portasse via
da queste mura ostili.
Tutto sembra scricchiolarmi intorno: le pareti, la porta, le
finestre.
La luna disegna immagini sempre più inquietanti sulla mia
pelle.
Potrei vivere, risvegliarmi, trovare qualcosa di buono in
mezzo a tutto questo grigiore.
Eppure mi rifiuto, mi arrendo, mi spengo sempre più.
È così difficile respirare.
È così faticoso pensare.
È così arduo riposare.
Perché in fondo non sono stanco, non ho fatto niente nemmeno
oggi – sono sfinito da me stesso.
Con gli occhi sbarrati e il respiro irregolare, aspetto
soltanto che la notte passi.
I feel small and I'm
confused
I could live but I refuse
[Alone, Melancholia]
§
Il fattorino arriva
puntuale, come ogni giorno.
Consegna il pranzo al
solito indirizzo.
In allegato un
biglietto, scritto al computer e anonimo.
I think you create
your own boundaries, and you work within them.
[Mike Patton]
NOTA:
In questo capitolo è comparso Billy Gould, storico bassista
dei Faith No More.
|