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Autore: Kim WinterNight    19/03/2022    1 recensioni
Storia incentrata su Mike Patton.
DAL TESTO:
C’è qualcosa che mi distrae.
Una voce tra le voci, uno speaker alla radio, un mormorio in mezzo a una folla impossibile.
È sempre così alla stazione della metro, ma stavolta un fattore diverso mi attrae. Non me lo so spiegare, ma succede.
Quella voce parla di sette casi. Sette casi di qualcosa, in Cina. Mi concentro, ma è difficile sentire in mezzo a questo caos.
La gente mi viene addosso, mi parla in faccia, ride e corre di qua e di là. [...]
Da quanto tempo sono chiuso qui dentro?
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Mike Patton
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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1
 
 
 
 
 
 
House creaking
The hinges on the door
Thoughts creeping
 
 
Sono chiuso qui dentro e non riesco a uscire.
Sento il vento frustare la mia casa ed essere parte della mia frustrazione.
Le pareti cigolano, la porta cigola, i miei pensieri cigolano.
Mi sento in trappola e non so quando tutto questo sia cominciato.
È trascorso un tempo che non so definire, non ho mai prestato attenzione a certi dettagli.
Sono come un vegetale, un verme, striscio tra le lenzuola come i pensieri mi strisciano nella mente.
Mi rigiro senza tregua, non faccio letteralmente nient’altro da giorni.
Settimane.
Mesi?
Il tempo non mi appartiene, mi scivola soltanto via dalle dita.
Cosa facevo prima di essere inghiottito dalle mie stesse mura?
Cosa facevo prima che l’ansia prendesse il sopravvento e mi riducesse al silenzio?
Provo a ricordarlo, ma sono annebbiato, completamente annientato dal vuoto che mi circonda.
Gli oggetti sono soltanto ombre, le pareti entità sfocate, io stesso sono soltanto il fantasma di me stesso.
E i miei pensieri strisciano indistinti, intoccabili, deformi.
 
 
It's like when your mind
Has a mind of its own
Please take mine
Don't leave me alone
Capture me
 
 
Non comando io sulla mia mente.
Va da sola.
A volte è come non averla, capita sempre più spesso.
Quanto vorrei avere la forza per chiedere aiuto, per cercare qualcuno che sia disposto a stare con me, a non lasciarmi più solo…
Quanto vorrei capire cosa succede attorno a me.
Perché la mia casa scricchiola, ostile, e vuole buttarmi fuori.
Non capisce che io non posso uscirne? Non capisce che sono senza energie? Non capisce che sono vestito d’ansia, paralizzato?
Mike.
Mi chiamo Mike, questo lo so. È già qualcosa, forse.
Tutto attorno a me è vuoto, mi spezza, mi divora.
Cosa facevo prima di essere una nullità senza alcuna volontà?
Qual era il mio scopo nella vita?
Quanto tempo avevo per realizzare i miei obiettivi?
Sempre troppo poco.
E adesso tutto si dilata, non è rimasta la minima traccia di ambizione.
Solo ansia, ansia, ansia.
Da cui non riesco a separarmi, cazzo.
La sento che mi chiama, sussurra melliflua, me lo ricorda in ogni istante.
«Non ti lascerò andare. Sei una parte di me, non possiamo separarci.»
Sembra la melodia di una canzone lontana, di un ricordo sbiadito, di una vita che non mi appartiene da secoli.
Le mie labbra secche si muovono, nessun suono le abbandona.
Resta soltanto l’ansia e questa casa che scricchiola, ostile.
Vuole cacciarmi, ma so che non me ne andrò.
Mai più.
 
 
I can't let you go
'Cause you're a part of me
Not apart from me
[…]
I cannot separate from this anxiety
 
 
[Separation Anxiety, Faith No More]
 
 
 
 
§
 
 
 
 
Don't hate me, don't hate me
Don't hate me more than I hate myself
Don't let me destroy me
Don't hurt me more than I hurt myself
 
 
«Da quanto tempo sei qui dentro?»
La voce di Bill è tagliente, i suoi occhi fiammeggiano, il suo atteggiamento è ostile.
Non capisco perché sia venuto a casa mia.
Non capisco perché mi odi tanto.
In fondo non lo biasimo, anche io mi odio. Dannatamente.
Avevamo dei concerti e li abbiamo annullati per colpa mia.
Non me ne tiro fuori, è la verità, ma non so proprio cosa mi stia succedendo.
Al solo pensiero di mettere piede su un palcoscenico, il mio stomaco si rivolta e le mie corde vocali si spengono.
Non posso cantare, non ha senso fare dei concerti.
È un concetto semplice, però Bill non sembra dello stesso parere.
«Guardati! Stai mangiando?»
«Mangiando?» Lo fisso senza neanche vederlo, cercando di metabolizzare la sua domanda. Effettivamente non so cosa rispondergli.
Ogni giorno qualcuno spedisce a casa mia del cibo d’asporto con un biglietto allegato. Su ogni pezzetto di carta ci sono scritte frasi sempre diverse, estratti di vecchie interviste, dichiarazioni che ho fatto e che ricordo soltanto vagamente.
«Sì, Mike. Sai, voce del verbo mangiare, quella cosa che fai con la bocca: mastichi, mandi giù… capito?»
«Sei tu che mi mandi il cibo?» chiedo.
Bill mi rivolge un’occhiata stranita, poi si guarda attorno e mette a fuoco alcuni dei sacchetti pieni per metà o che non ho mai toccato.
A volte mangio, ma non ho sempre voglia.
Ci sono giorni in cui la gola mi brucia e mi sembra davvero difficile inghiottire perfino l’acqua.
«Non sono io a spedirti quella roba.» Il bassista scuote il capo e si avvicina al tavolo, spazzando via con un gesto stizzito i numerosi bigliettini che vi erano appoggiati. «Perché cazzo non reagisci?» sbraita.
Io mi sento attaccato e abbasso il capo. Non ho neanche voglia di rispondere, non ho la forza per litigare e alzare la voce; non riesco neanche a portare fuori un po’ d’ironia o sarcasmo, rimango semplicemente in silenzio e mi lascio investire dalla sua rabbia.
Vorrei pregarlo di non odiarmi, perché già da solo mi odio abbastanza.
Vorrei pregarlo di non lasciarmi qui da solo a distruggermi, a marcire tra queste quattro mura, ad autocommiserarmi.
Vorrei dirgli che ho bisogno di un abbraccio e di qualcuno che mi consoli e si prenda cura di me, ma questo non sono io e sono terrorizzato all’idea che Bill possa disprezzarmi ancora di più.
Non è un ragazzo senza cuore, il problema sono sempre e solo io.
Bill continua a gridare e io continuo a ignorarlo, incasso la testa tra le spalle e mi raggomitolo sulla poltrona.
Mi abbraccio da solo, sento le rotule conficcarmisi al centro del petto – dio, quanto sono magro e fragile, me ne accorgo solo ora.
Quanto mi piacerebbe che Bill si sedesse accanto a me e mi consolasse.
Non so neanche io per quale motivo, però vorrei essere compreso e ascoltato.
Eppure rimango muto, come spesso accade ormai.
Lui grida e mi scuote per le spalle, io vorrei soltanto che mi abbracciasse.
Mi sento patetico e mando giù l’ennesimo boccone amaro.
Semplicemente, aspetto che se ne vada e mi lasci solo.
 
 
Just scold me, console me, control me
Oh, I could use some help
But don't hate me, I'm sad enough
 
 
[Don’t Hate Me, Badflower]
 
 
 
 
§
 
 
 
 
Knock my chest, emptiness
Sound of death and loneliness
All these walls, crush my head
Sound of broken bones and death
 
 
La notte è scura, la luna lascia carezze sinistre su ogni cosa.
Non riesco a dormire, non trovo la pace neanche se chiudo gli occhi.
Tutto qui dentro sa di morte: il mio petto vuoto, la mia anima sbiadita, i mobili impolverati.
Sono solo e abbandonato a me stesso, nel pieno della notte non posso neanche gridare.
Vorrei farlo, ma ormai neanche la mia voce mi appartiene.
Pensare a quanto la usavo, in quella che sembra un’era geologica fa, mi ferisce.
Era la mia valvola di sfogo, lo strumento che mi permetteva di esprimermi, la strada che seguivo quando mi sentivo spaesato e smarrito.
Se solo riuscissi a sfruttarla, ora, potrei salvarmi da questa morte che mi scorre nelle vene e mi sgretola le ossa.
Invece è lì, ferma in gola, in attesa. In agguato.
Pronta a sgorgare in un grido liberatorio.
Eppure è immobile, dolorosa, graffiante.
Non avrei mai pensato che ci si potesse sentire tanto vuoti e abbandonati.
La mia vita è sempre stata frenetica e impetuosa, fin troppo piena – adesso sono io a essere pieno di dolore e vuoto allo stesso tempo.
Fisso il soffitto e lo trovo sempre uguale, come i giorni che si susseguono l’uno dopo l’altro da settimane.
Mesi?
Il tempo è relativo, non so più contarlo e non mi importa farlo.
Vorrei soltanto trovare qualcosa che mi motivi e mi spinga a considerare nuovamente i secondi, i minuti, le ore come fattori importanti.
Ma qui non c’è più niente.
Posso quasi vedere la mia immagine dall’esterno: una larva, un vegetale, un fantasma.
Sto scomparendo.
Sono sempre più sbiadito.
 

I'm disappearing now
My body’s falling down
And I'm alone, alone, alone
And I'm alone, alone, alone


 
Solo, piccolo, confuso.
Rannicchiato in posizione fetale, vorrei chiudere gli occhi e trovare la pace.
Scappare via da quest’agonia, ritrovarmi e parlare con me stesso.
Vorrei dirmi cose in cui non credo.
Vorrei darmi la forza che non sento di avere.
Vorrei prendermi a schiaffi per ridestarmi da quest’incubo.
E vorrei che qualcuno mi tendesse una mano e mi portasse via da queste mura ostili.
Tutto sembra scricchiolarmi intorno: le pareti, la porta, le finestre.
La luna disegna immagini sempre più inquietanti sulla mia pelle.
Potrei vivere, risvegliarmi, trovare qualcosa di buono in mezzo a tutto questo grigiore.
Eppure mi rifiuto, mi arrendo, mi spengo sempre più.
È così difficile respirare.
È così faticoso pensare.
È così arduo riposare.
Perché in fondo non sono stanco, non ho fatto niente nemmeno oggi – sono sfinito da me stesso.
Con gli occhi sbarrati e il respiro irregolare, aspetto soltanto che la notte passi.


 
I feel small and I'm confused
I could live but I refuse
 
 
[Alone, Melancholia]
 
 
 
 
§
 
 
 
 
Il fattorino arriva puntuale, come ogni giorno.
Consegna il pranzo al solito indirizzo.
In allegato un biglietto, scritto al computer e anonimo.
 
 
I think you create your own boundaries, and you work within them.
[Mike Patton]
 
 
 
 
 
 
NOTA:
In questo capitolo è comparso Billy Gould, storico bassista dei Faith No More.
  
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