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I'm not sad, I feel
nothing
I'm silent I'm done talking
Don't come here please don't touch me
Oggi non sono triste, non mi sento ansioso, non avverto la
solta calma che solo la pioggia sa darmi.
Non piove, ma io sono soltanto vuoto.
Nessuna emozione.
Fa strano aggirarsi tra queste mura e non sentirsi
opprimere.
Fa strano non avvertire lo scricchiolio sinistro delle
pareti e delle imposte.
Fa strano non essere un intruso in casa mia, ma allo stesso
tempo non essere neanche accolto.
Il petto non sussulta, la gola non è stretta in una morsa,
le braccia non sono percorse da brividi.
Eppure non ho voglia di parlare, di uscire, di vivere.
È tutto totalmente piatto.
Mi guardo attorno e tutto appare grigio, anche gli oggetti
illuminati dal sole.
I raggi accecanti si abbattono sulla mia collezione di DVD,
si soffermano sui libri impolverati, baciano quei dischi che nessuno ascolta
più da chissà quanto tempo.
Mi ricordano che forse prima di questo vuoto c’era
qualcos’altro.
Mi ricordano emozioni che non riconosco e non provo.
Fanno luce su un passato che non mi appartiene.
Forse tra quella musica c’è anche la mia.
La mia musica.
Un pensiero fugace che si sgretola subito. Non mi trasmette
niente, soltanto vuoto e desolazione al centro del petto.
This loving heart no longer beats
These caring lungs no longer breathe
And it's amazing how good it feel
I feel nothing at all, I feel nothing at all
Mi siedo sulla poltrona di fronte alla finestra e ho come
l’impressione che il mio corpo sia immobile, incapace di qualsiasi reazione.
Porto la mano sinistra all’altezza del cuore e non sento
assolutamente niente.
Consciamente so che sta battendo, altrimenti non sarei vivo,
ma è come se non lo stesse facendo.
È stupido e insensato, ma è così.
Piattezza assoluta.
Non è male questo limbo.
I ricordi scorrono liberi nella mia mente e non fanno male.
Riesco a pensare al mio passato, improvvisamente non ho più
paura di vedermelo scorrere sotto gli occhi.
Non è né bello né spregevole.
È soltanto un dato di fatto.
Le cose sono andate così, fine.
Ho dedicato tutta la mia vita alla musica, ho sperimentato
sulla mia voce e ho sfruttato ogni stilla di anima e di fiato per dar voce a
ciò che avevo dentro.
Ho sempre avuto bisogno di far fruttare le idee più
martellanti, mentre altre sono rimaste nel limbo e non prenderanno mai forma.
Ho lavorato duramente su me stesso, con chiunque, ho
condiviso studi di registrazione con un sacco di persone e calcato palchi
importanti con un sacco di altre persone.
Ho girato il mondo e ho fatto una marea di cose – molte
sbagliate, anche se adesso non mi sembrano tali, non mi sembrano niente.
Nei miei ricordi, provavo un sacco di emozioni.
Mi rivedo felice, eccitato, intrigato, curioso. Ora queste
sono solo parole.
Il mio cuore sembra non battere e i polmoni paiono non
permettermi di respirare.
E ancora una volta, il mio passato sembra appartenere a
qualcun altro.
Molte persone sono venute a trovarmi e a invadere i miei
spazi.
Volevano aiutarmi, non volevano vedermi affondare – a me non
importa, io ora non sento niente.
Assolutamente niente.
È come se improvvisamente non fosse soltanto la mia mano
destra a essere insensibile.
Curioso.
Mi guardo le mani e le trovo uguali, forse per la prima
volta da quando ho avuto l’incidente.
Ripensare a quell’evento mi dovrebbe disturbare, invece
anche questo ricordo mi sfila di fronte senza sfiorarmi minimamente.
Appoggio i palmi sulle guance e non provo niente.
Un lieve calore, ma è talmente lontano che forse è soltanto
frutto della mia immaginazione.
O forse è soltanto la conferma di quello che sono diventato:
un insensibile corpo vuoto.
Mi alzo e mi dirigo lentamente in camera da letto.
Proverò a dormire anche se non ho sonno, forse quando mi risveglierò
tutto questo sarà passato.
O forse no.
Everybody can watch me fall
But I'm afraid I don't care at all
It's kinda scary how good it feel
To feel nothing at all, no nothing, nothing
[Feel Nothing,
Blind Channel]
§
Time is running
Another day is coming
At night I stay in bed without sleeping
The shadow's ghost
Infect my worst nightmares
And now I see them in my daydreams too
Seduto sulla poltrona, guardo l’alba di un nuovo giorno –
l’ennesimo.
Ho dormito poco, poi un incubo mi ha risvegliato e non ha
più smesso di tormentarmi.
Mi sono visto in prigione, ammanettato come un criminale,
mentre le lacrime mi sgorgavano copiose dagli occhi e si abbattevano sulle
guance scavate.
Mi sono sentito umiliato e impotente, proprio come mi sento
ora.
E quando Puffy viene a trovarmi, è così che mi vede: un
carcerato impotente, uno di quelli che finiscono in galera pur essendo
innocenti.
Non mi sento del tutto innocente, non faccio che uccidermi
giorno dopo giorno.
Il mio amico mi sorride, si comporta nella maniera più
normale possibile. Lui è fatto così: schietto ma discreto, è forse una delle
persone meno invadenti che conosca.
Non ricordavo che i suoi dread fossero così tanto lunghi e striati
di grigio. È invecchiato, chissà se lo sono anche io.
«Amico, allora?» mi chiede, sedendosi al tavolo della cucina
ingombro di bigliettini. «Questi cosa sono?» aggiunge poi, sollevando uno dei
foglietti che ormai da tempo accompagnano le consegne a domicilio dei miei
pasti quotidiani.
«Qualcuno me li manda con il pranzo. Uno ogni giorno, con su
scritta una frase: estratti da mie interviste, dichiarazioni che ho fatto,
stronzate che devo aver detto sul palco…»
Oggi ho insolitamente voglia di parlare, anche se mi sento
invaso dalla presenza del mio amico e la gola non smette di bruciare.
«Cazzo.» Puffy lascia ricadere il biglietto e si volta a
guardarmi. Sembra imbarazzato, come se non volesse infastidirmi o dire qualcosa
di inappropriato. «Sai, Violet sta diventando brava a disegnare. Sarà
un’artista, me lo sento.»
Lo fisso, in attesa. Non so cosa si aspetti da me, non sono
in vena di chiacchierare della quotidianità, anche perché non saprei proprio
cosa raccontargli.
Io non faccio niente.
«Mi ha dato questo per te.» Puffy estrae un foglio
arrotolato dalla tasca interna della giacca e, scostando di lato alcuni
bigliettini, lo appiattisce sul tavolo. «Dice che colorarlo potrebbe
rilassarti.»
Rimango immobile.
Colorare non mi è mai piaciuto, non credo di avere dei
pastelli in casa, gli ultimi che ricordo risalgono ai tempi della scuola e penso
di averli distrutti o persi.
Poi annuisco e distolgo lo sguardo, portandolo oltre il
vetro opaco della finestra. il sole è forte, mi ferisce gli occhi e fa
riemergere le ombre della terribile nottata che ho trascorso.
Improvvisamente posso quasi sentire il freddo del metallo
che imprigiona i miei polsi, le lacrime roventi sulle guance scavate, il
pavimento duro sotto di me.
Non sono più seduto sulla poltrona, ma rinchiuso in una
cella a fissare uno scorcio di mondo attraverso sbarre spesse e lucenti.
Invalicabili.
Puffy non è più Puffy, ma una guardia che mi tiene d’occhio
e mi giudica con occhi fiammeggianti e pieni d’odio.
Mi volto di scatto e sibilo: «Lasciami in pace».
Ho paura e mi sento impotente.
Non voglio che qualcuno mi veda così.
Fa troppo male.
È troppo doloroso.
La guardia carceraria dice qualcosa, ma io non ascolto
quelle parole per paura di rimanerne ferito.
Continuo soltanto a sovrastarle con le mie preghiere:
«Vattene, lasciami in pace, voglio restare solo, non guardarmi…»
Lui alla fine si arrende, si alza e fa come gli dico.
Il mio respiro è sempre più pesante, affannoso, irregolare.
Riesco a calmarlo soltanto quando mi accorgo di essere
finalmente solo.
Allora torno in me.
Le sbarre sono sparite, le manette non ci sono più, anche Puffy
si è volatilizzato.
Mi restano soltanto le lacrime, roventi e più vive che mai,
a tracciare sentieri accidentati sui miei tratti spigolosi.
Cosa ho fatto?
Quel sogno continua a tormentarmi.
Mi alzo a fatica e mi avvicino al tavolo della cucina: forse
il mio amico non è neanche stato qui e me lo sono immaginato.
Poi l’occhio mi cade su un foglio: rappresenta un intricato
mandala, è il viso di un uomo che un po’ mi assomiglia, circondato da una
scritta.
Tornerò più forte di prima.
Un doloroso sorriso, raro e prezioso, mi increspa le labbra:
Violet.
Ricordo improvvisamente le parole di Puffy, la sua presenza,
quello che ci siamo detti.
Mi sento in colpa, ma non posso farci niente.
Non so più come comportarmi, non ho neanche le forze per
correre fuori di qui e scoprire se il mio amico è ancora nei paraggi.
Gli occhi mi si appannano di nuovo e, con un gesto
automatico, raccolgo il foglio e lo stringo al petto.
La mia vita è fatta soltanto di notti e giorni tutti uguali.
Ma oggi qualcosa è successo.
Qualcosa di diverso.
I am sick, my mind
is full of darkness
And I can't heal until I defeat my fears
Oh, this life
Just a circle of nights and days
[Black Hole,
Melancholia]
§
Such a lonely day
and it's mine
The most loneliest
day of my life
Such a lonely day,
should be banned
It's a day that I
can't stand
Oggi è davvero dura.
Fa troppo caldo tra queste mura, ma ho paura perfino di
aprire le finestre.
Non voglio che qualcuno mi veda, non voglio che qualcuno si
accorga di quanto sto affogando in questo nulla che mi avvolge.
E quando le lacrime mi sorprendono, bollenti anch’esse, non
mi resta che andare in bagno.
Senza togliermi i vestiti, mi siedo dentro la vasca e apro
il rubinetto.
Semplicemente aspetto.
L’acqua gelida mi investe, piove dall’alto e mi inzuppa,
confonde le mie lacrime con le sue.
Quando mi sento così tanto solo, mi illudo che sia uno di
quei giorni in cui il sole è sepolto dietro nubi plumbee; immagino che le gocce
che fuoriescono dal soffione siano le stesse che tengo d’occhio durante i
temporali che tanto mi tranquillizzano e che possano spazzare via il dolore.
Ma non funziona.
In un primo istante pare andare meglio, poi però mi guardo
attorno e comprendo qual è la cruda realtà: sono solo e patetico, seduto dentro
la vasca con l’acqua fredda aperta e scrosciante.
Allora mi sento ancora peggio, abbandonato, completamente
impotente.
Nessuno è disposto a salvare chi non vuole esserlo.
Nessuno spenderà ancora inutilmente le sue energie per me.
Il getto gelido continua a frustarmi il viso e il corpo, ma
non mi importa.
Se potessi, annegherei qui e ora.
Ho retto per un po’, ho cercato di non cedere allo sconforto
più totale, ma alla fine ho capito che questa è una delle giornate peggiori di
sempre.
Mi sento solo per davvero, in una maniera talmente carica di
consapevolezza da farmi quasi spavento.
Dovrei esserci abituato, ma stavolta credo di aver toccato
il fondo.
Se sopravvivrò a quest’ennesima scarica di dolore, dovrò
essere grato.
Non so a chi e perché, ma dovrò ringraziare qualche entità
per avermi trascinato fuori da questa spirale.
Mi guardo intorno e mi sento veramente come se non
appartenessi a questo ambiente – a questo mondo.
Devo fare qualcosa.
È un pensiero fulmineo ed evanescente, eppure è capace di
attirare la mia completa attenzione e di trasformarsi ben presto nel fulcro
della mia intera esistenza.
Devo reagire.
Riprendermi.
Smettere di sentirmi solo.
Questa solitudine è soltanto mia, fuori da queste mura non
esiste.
Mi basterebbe affacciarmi alla finestra per scorgere il
mondo e i suoi colori, le persone e le loro interazioni, la vita e i suoi
profumi.
Lo farò.
Prima o poi ci riuscirò.
Non ancora.
Ho bisogno di un altro po’ di pioggia.
Sollevo il viso e chiudo gli occhi, mentre un sorriso
increspa le mie labbra secche.
Posso quasi sentire il rombo dei tuoni in lontananza, il
profumo di terra bagnata capace di penetrare perfino attraverso le finestre
chiuse, la carezza di quelle gocce che disegnano percorsi naturali ovunque si
posino.
Solo un altro po’ di pioggia, ecco di cosa ho bisogno per
sopravvivere a questo giorno.
Il giorno in cui la solitudine mi sta uccidendo.
Such a lonely day
and it's mine
It's a day that I'm
glad I survived
[Lonely Day,
System Of A Down]
§
Il fattorino arriva
puntuale, come ogni giorno.
Consegna il pranzo al
solito indirizzo.
In allegato un
biglietto, scritto al computer e anonimo.
The studio is my
main compositional tool. And I used to be horrible in the studio. I didn't know
any kind of technical stuff. But when you have something in your head, you've
gotta figure out a way of executing it.
[Mike Patton]
NOTE:
In questo capitolo compare Mike
“Puffy” Bordin, storico batterista
dei Faith No More. Una delle sue figlie si chiama davvero Violet, ma il
fatto che ami disegnare è una mia personale licenza poetica.
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