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Autore: Kim WinterNight    10/04/2022    2 recensioni
Storia incentrata su Mike Patton.
DAL TESTO:
C’è qualcosa che mi distrae.
Una voce tra le voci, uno speaker alla radio, un mormorio in mezzo a una folla impossibile.
È sempre così alla stazione della metro, ma stavolta un fattore diverso mi attrae. Non me lo so spiegare, ma succede.
Quella voce parla di sette casi. Sette casi di qualcosa, in Cina. Mi concentro, ma è difficile sentire in mezzo a questo caos.
La gente mi viene addosso, mi parla in faccia, ride e corre di qua e di là. [...]
Da quanto tempo sono chiuso qui dentro?
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Mike Patton
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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I'm not sad, I feel nothing
I'm silent I'm done talking
Don't come here please don't touch me


 
Oggi non sono triste, non mi sento ansioso, non avverto la solta calma che solo la pioggia sa darmi.
Non piove, ma io sono soltanto vuoto.
Nessuna emozione.
Fa strano aggirarsi tra queste mura e non sentirsi opprimere.
Fa strano non avvertire lo scricchiolio sinistro delle pareti e delle imposte.
Fa strano non essere un intruso in casa mia, ma allo stesso tempo non essere neanche accolto.
Il petto non sussulta, la gola non è stretta in una morsa, le braccia non sono percorse da brividi.
Eppure non ho voglia di parlare, di uscire, di vivere.
È tutto totalmente piatto.
Mi guardo attorno e tutto appare grigio, anche gli oggetti illuminati dal sole.
I raggi accecanti si abbattono sulla mia collezione di DVD, si soffermano sui libri impolverati, baciano quei dischi che nessuno ascolta più da chissà quanto tempo.
Mi ricordano che forse prima di questo vuoto c’era qualcos’altro.
Mi ricordano emozioni che non riconosco e non provo.
Fanno luce su un passato che non mi appartiene.
Forse tra quella musica c’è anche la mia.
La mia musica.
Un pensiero fugace che si sgretola subito. Non mi trasmette niente, soltanto vuoto e desolazione al centro del petto.
 

This loving heart no longer beats
These caring lungs no longer breathe
And it's amazing how good it feel
I feel nothing at all, I feel nothing at all
 
 
Mi siedo sulla poltrona di fronte alla finestra e ho come l’impressione che il mio corpo sia immobile, incapace di qualsiasi reazione.
Porto la mano sinistra all’altezza del cuore e non sento assolutamente niente.
Consciamente so che sta battendo, altrimenti non sarei vivo, ma è come se non lo stesse facendo.
È stupido e insensato, ma è così.
Piattezza assoluta.
Non è male questo limbo.
I ricordi scorrono liberi nella mia mente e non fanno male.
Riesco a pensare al mio passato, improvvisamente non ho più paura di vedermelo scorrere sotto gli occhi.
Non è né bello né spregevole.
È soltanto un dato di fatto.
Le cose sono andate così, fine.
Ho dedicato tutta la mia vita alla musica, ho sperimentato sulla mia voce e ho sfruttato ogni stilla di anima e di fiato per dar voce a ciò che avevo dentro.
Ho sempre avuto bisogno di far fruttare le idee più martellanti, mentre altre sono rimaste nel limbo e non prenderanno mai forma.
Ho lavorato duramente su me stesso, con chiunque, ho condiviso studi di registrazione con un sacco di persone e calcato palchi importanti con un sacco di altre persone.
Ho girato il mondo e ho fatto una marea di cose – molte sbagliate, anche se adesso non mi sembrano tali, non mi sembrano niente.
Nei miei ricordi, provavo un sacco di emozioni.
Mi rivedo felice, eccitato, intrigato, curioso. Ora queste sono solo parole.
Il mio cuore sembra non battere e i polmoni paiono non permettermi di respirare.
E ancora una volta, il mio passato sembra appartenere a qualcun altro.
Molte persone sono venute a trovarmi e a invadere i miei spazi.
Volevano aiutarmi, non volevano vedermi affondare – a me non importa, io ora non sento niente.
Assolutamente niente.
È come se improvvisamente non fosse soltanto la mia mano destra a essere insensibile.
Curioso.
Mi guardo le mani e le trovo uguali, forse per la prima volta da quando ho avuto l’incidente.
Ripensare a quell’evento mi dovrebbe disturbare, invece anche questo ricordo mi sfila di fronte senza sfiorarmi minimamente.
Appoggio i palmi sulle guance e non provo niente.
Un lieve calore, ma è talmente lontano che forse è soltanto frutto della mia immaginazione.
O forse è soltanto la conferma di quello che sono diventato: un insensibile corpo vuoto.
Mi alzo e mi dirigo lentamente in camera da letto.
Proverò a dormire anche se non ho sonno, forse quando mi risveglierò tutto questo sarà passato.
O forse no.
 

Everybody can watch me fall
But I'm afraid I don't care at all
It's kinda scary how good it feel
To feel nothing at all, no nothing, nothing
 
 
[Feel Nothing, Blind Channel]
 
 
 
 
§
 
 
 
 
Time is running
Another day is coming
At night I stay in bed without sleeping
The shadow's ghost
Infect my worst nightmares
And now I see them in my daydreams too
 
 
Seduto sulla poltrona, guardo l’alba di un nuovo giorno – l’ennesimo.
Ho dormito poco, poi un incubo mi ha risvegliato e non ha più smesso di tormentarmi.
Mi sono visto in prigione, ammanettato come un criminale, mentre le lacrime mi sgorgavano copiose dagli occhi e si abbattevano sulle guance scavate.
Mi sono sentito umiliato e impotente, proprio come mi sento ora.
E quando Puffy viene a trovarmi, è così che mi vede: un carcerato impotente, uno di quelli che finiscono in galera pur essendo innocenti.
Non mi sento del tutto innocente, non faccio che uccidermi giorno dopo giorno.
Il mio amico mi sorride, si comporta nella maniera più normale possibile. Lui è fatto così: schietto ma discreto, è forse una delle persone meno invadenti che conosca.
Non ricordavo che i suoi dread fossero così tanto lunghi e striati di grigio. È invecchiato, chissà se lo sono anche io.
«Amico, allora?» mi chiede, sedendosi al tavolo della cucina ingombro di bigliettini. «Questi cosa sono?» aggiunge poi, sollevando uno dei foglietti che ormai da tempo accompagnano le consegne a domicilio dei miei pasti quotidiani.
«Qualcuno me li manda con il pranzo. Uno ogni giorno, con su scritta una frase: estratti da mie interviste, dichiarazioni che ho fatto, stronzate che devo aver detto sul palco…»
Oggi ho insolitamente voglia di parlare, anche se mi sento invaso dalla presenza del mio amico e la gola non smette di bruciare.
«Cazzo.» Puffy lascia ricadere il biglietto e si volta a guardarmi. Sembra imbarazzato, come se non volesse infastidirmi o dire qualcosa di inappropriato. «Sai, Violet sta diventando brava a disegnare. Sarà un’artista, me lo sento.»
Lo fisso, in attesa. Non so cosa si aspetti da me, non sono in vena di chiacchierare della quotidianità, anche perché non saprei proprio cosa raccontargli.
Io non faccio niente.
«Mi ha dato questo per te.» Puffy estrae un foglio arrotolato dalla tasca interna della giacca e, scostando di lato alcuni bigliettini, lo appiattisce sul tavolo. «Dice che colorarlo potrebbe rilassarti.»
Rimango immobile.
Colorare non mi è mai piaciuto, non credo di avere dei pastelli in casa, gli ultimi che ricordo risalgono ai tempi della scuola e penso di averli distrutti o persi.
Poi annuisco e distolgo lo sguardo, portandolo oltre il vetro opaco della finestra. il sole è forte, mi ferisce gli occhi e fa riemergere le ombre della terribile nottata che ho trascorso.
Improvvisamente posso quasi sentire il freddo del metallo che imprigiona i miei polsi, le lacrime roventi sulle guance scavate, il pavimento duro sotto di me.
Non sono più seduto sulla poltrona, ma rinchiuso in una cella a fissare uno scorcio di mondo attraverso sbarre spesse e lucenti.
Invalicabili.
Puffy non è più Puffy, ma una guardia che mi tiene d’occhio e mi giudica con occhi fiammeggianti e pieni d’odio.
Mi volto di scatto e sibilo: «Lasciami in pace».
Ho paura e mi sento impotente.
Non voglio che qualcuno mi veda così.
Fa troppo male.
È troppo doloroso.
La guardia carceraria dice qualcosa, ma io non ascolto quelle parole per paura di rimanerne ferito.
Continuo soltanto a sovrastarle con le mie preghiere: «Vattene, lasciami in pace, voglio restare solo, non guardarmi…»
Lui alla fine si arrende, si alza e fa come gli dico.
Il mio respiro è sempre più pesante, affannoso, irregolare.
Riesco a calmarlo soltanto quando mi accorgo di essere finalmente solo.
Allora torno in me.
Le sbarre sono sparite, le manette non ci sono più, anche Puffy si è volatilizzato.
Mi restano soltanto le lacrime, roventi e più vive che mai, a tracciare sentieri accidentati sui miei tratti spigolosi.
Cosa ho fatto?
Quel sogno continua a tormentarmi.
Mi alzo a fatica e mi avvicino al tavolo della cucina: forse il mio amico non è neanche stato qui e me lo sono immaginato.
Poi l’occhio mi cade su un foglio: rappresenta un intricato mandala, è il viso di un uomo che un po’ mi assomiglia, circondato da una scritta.
Tornerò più forte di prima.
Un doloroso sorriso, raro e prezioso, mi increspa le labbra: Violet.
Ricordo improvvisamente le parole di Puffy, la sua presenza, quello che ci siamo detti.
Mi sento in colpa, ma non posso farci niente.
Non so più come comportarmi, non ho neanche le forze per correre fuori di qui e scoprire se il mio amico è ancora nei paraggi.
Gli occhi mi si appannano di nuovo e, con un gesto automatico, raccolgo il foglio e lo stringo al petto.
La mia vita è fatta soltanto di notti e giorni tutti uguali.
Ma oggi qualcosa è successo.
Qualcosa di diverso.
 
 
I am sick, my mind is full of darkness
And I can't heal until I defeat my fears
Oh, this life
Just a circle of nights and days
 
 
[Black Hole, Melancholia]
 
 
 
 
§
 
 
 
 
Such a lonely day and it's mine
The most loneliest day of my life
Such a lonely day, should be banned
It's a day that I can't stand
 
 
Oggi è davvero dura.
Fa troppo caldo tra queste mura, ma ho paura perfino di aprire le finestre.
Non voglio che qualcuno mi veda, non voglio che qualcuno si accorga di quanto sto affogando in questo nulla che mi avvolge.
E quando le lacrime mi sorprendono, bollenti anch’esse, non mi resta che andare in bagno.
Senza togliermi i vestiti, mi siedo dentro la vasca e apro il rubinetto.
Semplicemente aspetto.
L’acqua gelida mi investe, piove dall’alto e mi inzuppa, confonde le mie lacrime con le sue.
Quando mi sento così tanto solo, mi illudo che sia uno di quei giorni in cui il sole è sepolto dietro nubi plumbee; immagino che le gocce che fuoriescono dal soffione siano le stesse che tengo d’occhio durante i temporali che tanto mi tranquillizzano e che possano spazzare via il dolore.
Ma non funziona.
In un primo istante pare andare meglio, poi però mi guardo attorno e comprendo qual è la cruda realtà: sono solo e patetico, seduto dentro la vasca con l’acqua fredda aperta e scrosciante.
Allora mi sento ancora peggio, abbandonato, completamente impotente.
Nessuno è disposto a salvare chi non vuole esserlo.
Nessuno spenderà ancora inutilmente le sue energie per me.
Il getto gelido continua a frustarmi il viso e il corpo, ma non mi importa.
Se potessi, annegherei qui e ora.
Ho retto per un po’, ho cercato di non cedere allo sconforto più totale, ma alla fine ho capito che questa è una delle giornate peggiori di sempre.
Mi sento solo per davvero, in una maniera talmente carica di consapevolezza da farmi quasi spavento.
Dovrei esserci abituato, ma stavolta credo di aver toccato il fondo.
Se sopravvivrò a quest’ennesima scarica di dolore, dovrò essere grato.
Non so a chi e perché, ma dovrò ringraziare qualche entità per avermi trascinato fuori da questa spirale.
Mi guardo intorno e mi sento veramente come se non appartenessi a questo ambiente – a questo mondo.
Devo fare qualcosa.
È un pensiero fulmineo ed evanescente, eppure è capace di attirare la mia completa attenzione e di trasformarsi ben presto nel fulcro della mia intera esistenza.
Devo reagire.
Riprendermi.
Smettere di sentirmi solo.
Questa solitudine è soltanto mia, fuori da queste mura non esiste.
Mi basterebbe affacciarmi alla finestra per scorgere il mondo e i suoi colori, le persone e le loro interazioni, la vita e i suoi profumi.
Lo farò.
Prima o poi ci riuscirò.
Non ancora.
Ho bisogno di un altro po’ di pioggia.
Sollevo il viso e chiudo gli occhi, mentre un sorriso increspa le mie labbra secche.
Posso quasi sentire il rombo dei tuoni in lontananza, il profumo di terra bagnata capace di penetrare perfino attraverso le finestre chiuse, la carezza di quelle gocce che disegnano percorsi naturali ovunque si posino.
Solo un altro po’ di pioggia, ecco di cosa ho bisogno per sopravvivere a questo giorno.
Il giorno in cui la solitudine mi sta uccidendo.
 
 
Such a lonely day and it's mine
It's a day that I'm glad I survived
 
 
[Lonely Day, System Of A Down]
 
 
 
 
§
 
 
 
 
Il fattorino arriva puntuale, come ogni giorno.
Consegna il pranzo al solito indirizzo.
In allegato un biglietto, scritto al computer e anonimo.
 
 
The studio is my main compositional tool. And I used to be horrible in the studio. I didn't know any kind of technical stuff. But when you have something in your head, you've gotta figure out a way of executing it.
[Mike Patton]
 
 
 
 
 
 
NOTE:
In questo capitolo compare Mike “Puffy” Bordin, storico batterista dei Faith No More. Una delle sue figlie si chiama davvero Violet, ma il fatto che ami disegnare è una mia personale licenza poetica.
  
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