Quando
Santiago Lopez apre gli occhi, alquanto stordito dal colpo alla testa
subìto,si trova in una stanza, mai vista prima, di piccole
dimensioni, disteso su di un letto singolo, con un plaid sulle gambe,
la finestra aperta e la persiana totalmente abbassata.
“Cosa
cazzo…?!” - esclama, spiazzato, mentre massaggia
la parte lesa
del suo capo.
Cerca
di mettersi in piedi, inciampando nelle sue stesse scarpe.
“Fanculo”
– sbotta, ipotizzando di aver causato il rumore che
eliminerà la
sola possibilità di fuga da quel posto che, a suo dire, ha
l’aria
di un ambiente organizzato per un sequestro di persona.
E
proprio mentre riporta alla mente le ultime ore prima della perdita
di conoscenza, qualcuno varca l’uscio.
“Finalmente
si è ripreso” – esclama, briosa, la voce
di una giovane donna.
Quel
suono è familiare e spiazza Bogotà che, confuso,
pronuncia il nome
di lei - “Stoccolma?!”
“Si,
sono io! Si segga, signor Lopez. Le portiamo qualcosa da mangiare o
da bere” – dice la Gaztambide, mai così
entusiasta come in tale
momento.
“Cosa?
Che dici? Piuttosto...perché non sembri affatto
spaventata?”
La
riccia sorridendogli risponde – “Siamo con i buoni.
Adesso venga
con me” – le fa cenno di seguirla.
E
mentre, sospettoso, percorre un breve corridoio, rallegrato di
quadri, dipinti, e reso piacevole dal profumo di ciambella appena
sfornata, l’ispettore si trova in un cucinino delle medesime
dimensioni della sua piccola stanza.
I
due omoni che lo hanno colpito sono seduti al tavolo conversando
nella loro lingua mentre una terza figura sembra tagliare a fette il
dolce, pronto per essere consumato.
“Ecco
il signorotto finalmente ha ripreso i sensi” –
commenta uno dei
due.
“Cosa
cazzo ci facciamo qui? Chi siete voi?” - sulla difensiva
Bogotà
ricorda di avere la solita pistola, e la cerca istintivamente nel suo
taschino.
“Ci
abbiamo pensato noi” – risponde l’altro
straniero, avendo
intuito l’imminente gesto del quarantaduenne.
“Maledizione!
E se fosse una trappola? Stoccolma, ce ne dobbiamo andare”
– le
sussurra, stringendo, senza volerlo, con forza, il suo esile braccio.
È
tutto troppo calmo e tranquillo da apparire spaventoso.
Perché
mai un colpo in testa per chiuderlo in un’abitazione,
collocata
chissà dove? E perché mai degli sconosciuti
avrebbero dovuto
salvarlo?
“La
storia è lunga. Ed è meglio se a raccontarla
siano i diretti
interessati” – spiega la donna intenta a offrire la
ciambella ai
presenti.
Queste
parole vengono pronunciate proprio in vista dell’imminente
arrivo
di due figure alle spalle di Lopez.
L’ispettore,
confuso, si volta ,lento ,e resta ammutolito.
“Murillo?!”
- esclama, riconoscendo la prima – “Sei...davvero
tu?”
“Ciao
Santiago. Direi che da qualche tempo mi conosci come Lisbona,
preferirei usassi tale appellativo”
“Ehm...ok.
se...se...sei sana e salva?”
Spiazzato,
comincia addirittura a balbettare.
“Sì,
mai stata meglio” – conferma, raggiante, Raquel
– “E’
necessario che tu sappia la verità, finalmente”
Il
quarantaduenne annuisce e torna a sedersi su una delle sedie attorno
al tavolo.
Ha
sorvolato sulla seconda persona, posta di fianco alla ex Farfalla.
Ed
è lui a presentarsi, di sua spontaneità.
“Io
mi chiamo Sergio Marquina, di me non avrà sentito mai
parlare. Mi
chiamano anche “Il Professore”, piacere di
conoscerla”
La
pacatezza del tipo colpisce Bogotà che mai avrebbe
sospettato di
essere, in qualche modo, catturato da due che sono dipendenti da una
personalità tale.
“Ehm...il
professore? Come mai questo soprannome? Insegna, per caso?”
“Beh…”
“E’
un genio, di quei rarissimi casi…il suo cervello supera di
gran
lunga tutti quelli di noi qui presenti, compresi gli inquilini di
ogni appartamento del condominio” – commenta uno
dei serbi,
masticando la sua porzione di dolce.
Imbarazzato,
Sergio si accomoda accanto al suo ospite, invitando Lisbona a fare lo
stesso.
Ora
tutti e tre sono al tavolo e due di loro stanno per rivelare a
Santiago quella verità che cerca da tempo.
Questo
non prima di aver appurato che la donna che incontrò la
notte che fu
aggredito e che gli costò la perdita di memoria fu proprio
la
Murillo.
“Cosa
accadde quella famosa sera? Quando ci incontrammo?” - domanda
l’uomo, desideroso di conoscere parti di un passato che
sottrattogli.
“Beh...se
non le dispiace…
“Dammi del tu...anzi, datemi… tutti
quanti! Ho intuito che siamo dalla stessa parte, no?!”
“Esatto”
– conferma Stoccolma, entusiasta,accarezzandosi il
leggerissimo
rigonfiamento del suo ventre.
La
storia viene raccontata da Raquel, vittima del Mariposas e di un
marito che non l’ha mai seriamente amata.
“Quando
sposai Alberto Vicuña ero un’ingenua giovane
innamorata dell’idea
dell’amore. Ben presto capii di che pasta era fatto il mio
consorte. E i segni che mi lasciò sul corpo sono la prova
tangibile
della sua folle personalità”
“Già,
di questo sono al corrente. Soggetti come lui non sono degni
dell’appellativo di UOMO” – commenta
Lopez, disgustato dal tipo
in questione.
Poi
la Murillo riprende, mostrandosi forte della presenza di Sergio che
le tiene la mano.
E
tale gesto così amorevole ricorda per un secondo a
Bogotà della sua
Nairobi.
Cosa
le staranno facendo adesso? Perché lui ne è
più che certo...si
trova al Night Club… alla mercè di un bastardo.
Lisbona
ricomincia e l’ispettore torna a concentrarsi su di lei.
“Mi
sono trovata coinvolta nelle vicende del Mariposas perché,
ecco…io…
deve sapere che quando sono andata in Portogallo e ho trascorso
qualche giorno a casa di mia madre avevo duramente litigato con mio
marito. Fu un incubo. Durante la discussione lo colpì con un
oggetto
contundente alla testa. Credevo fosse morto. Sono corsa via. Ero nel
panico totale, terrorizzata al pensiero di essere diventata
un’assassina. Vivere a Lisbona, fingendo
tranquillità, non mi
aiutò affatto. Forte del sostegno del mio psicoterapeuta,
scelsi di
affrontare di petto la situazione. Tornai a Madrid, e fu allora che
ricevetti delle minacce. Qualcuno mi ricattò. Alberto
Vicuña era
morto e la responsabile ero io. Avrebbero denunciato la mia
colpevolezza e sarei finita in prigione. Avrei perduto mia figlia,
capisci? Fu per tale ragione che optai per una drastica scelta:
fingermi morta mi avrebbe aiutata a venir fuori sia dai ricatti che
dalla vita sofferente che mi ero costruita. Potevo cominciare da
capo. La notte che mi diedero per morta fu grazie al coinvolgimento
del Professore… e di suo fratello”
“Non
capisco. Se il Professore, qui presente, ti aiutò, come sei
finita,
poi, in quel postaccio?”
“Ecco…vedi…
nonostante i primi giorni fossero l’inizio della mia
libertà…
infatti, avevo in progetto di riprendere Paula e portarla via con
me…
beh… non feci in tempo”
“Che
intendi dire?”
“Intende
dire che le minacce proseguirono. La richiesta proveniva da un tale
Signor Dalì, intenzionato a sistemare vecchi debiti con
l’assunzione
immediata di Raquel al Mariposas”
“Cazzo, ma questo
maledetto che intenzioni aveva?! Sembra stesse assumendo personale in
quel periodo” – sbotta Bogotà.
“Esattamente”
– la risposta, stavolta, viene dal Professore. È
lui a proseguire
la storia – “Il vile che seppe tenerci sulle spine
aveva appena
sottratto il locale al proprietario e lo tramutò in poco
tempo in
ciò che è oggi. Lisbona gli serviva,
così come servirono anche
Tokyo, Manila, Stoccolma e… Nairobi”
“Maledizione”
– esclama, furioso, Lopez – “Quindi hai
dovuto rinunciare ai
tuoi sogni, vero? Scommetto che ti ha dato un out out: o andavi
lì,
o avrebbe recato male a Paula. Dico bene?”
“Già,
come lo sai?”
“Ha
fatto lo stesso con Nairobi, ora ne sono super convinto. Voglio
fargliela pagare. Cosa avete orchestrato per mandare quel mostro in
galera?”
“Calma,
ispettore. Non vuoi conoscere tutta la verità?”
“sì,
certo,scusami. Prego, Lisbona...sono tutto orecchi”
La
donna continua – “Quando cedetti, fui condotta al
Night Club.
Però il Signor Dalì notò la mia poca
voglia di fare, come se
resistessi al suo volere, e la considerò un problema. A suo
dire
potevo distogliere le mie colleghe dalle loro mansioni o mettere loro
in testa strambe idee. Perciò diede a Palermo
l’ordine di
mantenermi a debita distanza dalle altre . Nessuna amicizia con
loro.”
“Santo cielo! Ecco perché eri tanto distante.
Povera, Lisbona! Parlo a nome di tutte, mi dispiace”- si
commuove
Monica, instabile emotivamente anche per via degli ormoni della
gravidanza.
Le
si avvicina e le due si scambiano un tenero sorriso e una stretta di
mano.
Almeno
adesso si spiega il perché di tanta freddezza verso le
Farfalle.
“Ecco…
ma una sera Sergio riuscì a presentarsi sotto copertura. Si
finse un
cliente. Mi spiazzò che il Boss, al quale non sfuggiva mai
nulla,
non notò la presenza di un nemico”
“Questo spiega come mai
Tokyo e Nairobi raccontano della presenza di un uomo che parlava con
te. E la descrizione ora che ci penso coincide. Al primo
interrogatorio rivelarono tale dettaglio”
“Si,
è le verità. E ricordo anche che la gitana mi ha
proposto
di...ehm.. forse preferisci non sapere, Lopez, giusto?”
“Beh...no,
grazie”- replica Bogotà, intuendo a cosa si
riferisse, sorvolando
sulla vecchia Nairobi, nonostante morisse dentro di gelosia.
“Sta
di fatto che fu quella notte che io ipotizzai la mia fuga. Orchestrai
un primo tentativo, andato in fumo purtroppo”
“Fu
la notte che ci incontrammo?”
“Precisamente.
Palermo mi scoprì e mandò Oslo e Helsinki a
riprendermi. Mi misero
in castigo. Fui chiusa in un’ala buia di cui ignoravo
l’esistenza.
Forse mi drogarono, non so dirlo. Sta di fatto che mi risvegliai sul
letto, nella mia stanza, ancora stordita e con dei lividi sul
corpo”
“Come
Agata”- aggiunge, sospettoso, il quarantaduenne –
“e’ la
stessa situazione della tua collega. Questo spiega che adottano per
tutte il medesimo modus operandi. Chi trasgredisce alle regole,
paga”
“Ma
forse continuarono a farlo, perché anche nei giorni seguenti
non ero
me stessa. Potevano controllarmi. Fino a quando i ricordi non
riaffiorarono lentamente e riuscii a mettere a fuoco la presenza di
qualcuno che in quell’occasione,durante la punizione,
esercitò il
suo potere su di me. E non era il Signor Dalì”
“chi?”
“Alberto!”
- confessa, nervosa. Il solo ricordo riesce a causarle un attacco di
panico tale da costringerla ad interrompere la narrazione.
“COSA?”-
esclama, scioccato, Santiago – “Sei sicura?
È ancora vivo? Ma…
come è possibile?”
“E’
su questo che abbiamo lavorato nelle settimane scorse, signor
ispettore. Siamo dell’idea che in quel posto si nascondano
più
“cattivi”, mi capisci? Il Signor Dalì
è al comando, ma ha dei
dipendenti a cui tiene e che eseguono ordini” –
spiega Sergio.
“Quindi
anche Alberto dite che è uno dei suoi soci?”
“Credo
davvero che sia così. E confesso che temo possa esserci lui
dietro
la forzata assunzione di Raquel al Night club” –
spiega il
Marquina, irrequieto.
“Tutto
tornerebbe stando ai fatti” – constata
Bogotà, trovando logica
nel ragionamento del professore.
“Precisamente!”
“Adesso
che vi abbiamo reperito e che siete dei nostri, è giunto il
momento
di far crollare quell’impero. Siamo stati zitti e cauti fin
troppo
a lungo. Ora basta”
“Come
pensate di farlo?”
“Raquel
è riuscita a scappare grazie al coinvolgimento di mio
fratello. Lui,
la notte della sua sparizione, ha orchestrato la tattica per tirarla
fuori da lì. Ma il Signor Dalì potrebbe prevedere
mosse simili,
quindi sarà molto più cauto adesso. Per tale
motivo abbiamo un asso
nella manica di cui non sospetta”
“Mi sto perdendo nei
ragionamenti” – sostiene, confusa, la Gaztambide.
“Inizieremo
lavorando contro Palermo. E abbiamo qui Monica, sua sorella. Useremo
le loro medesime tattiche. Occhio per occhio…
“Volete
ricattare mio fratello usando me?” - interviene la bionda,
spiazzata da tale idea.
“E’
la mossa che potrà servirci in caso di urgenza. Ma al
momento no,
non è questo che faremo. C’è una talpa
in quel posto. Una talpa
su cui il caro Boss mai e poi mai avrebbe scommesso”
– sorride
Marquina, certo dell’ottima riuscita.
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“Che
cosa vuole? Mi sta seguendo? Sono una prigioniera fino a questo
punto?” - sbotta Nairobi notando una figura alle sue spalle,
che la
pedina.
La
persona, con indosso la maschera, mandato di proposito dal Capo, non
ha ancora tolto la mantella nera e il cappuccio. È alquanto
inquietante ma ad Agata ciò importa poco.
“Ho
visto cose peggiori di cui spaventarmi di un tizio sconosciuto
coperto fino alla punta dei capelli e con una maschera di
Dalì” –
commenta, aprendo la porta della sua stanza, sbruffando.
Non
avrebbe mai ipotizzato che quel tale l’avrebbe seguita fin
lì.
“Cosa
fa? Se ne vada immediatamente. Che significa tutto ciò?
E’? Adesso
mi picchierà su volere di Carlos?” - gli tuona
contro,
indietreggiando il più possibile – “Non
ho paura di lei! So come
proteggermi e sono pronta a uccidere, chiaro?”
Ma
tale straniero non molla. Si fa sempre più vicino,
accorciando le
distanze, costringendola ad adagiarsi, di schiena, contro una parete.
Le tappa la bocca con una mano, mentre l’altra tiene fermi,
immobili, gli arti superiori.
“Quanto
mi sei mancata, Agata!” - le sussurra all’orecchio,
e tali parole
pietrificano la Jimenez.
Lei
conosce quella voce.
Cazzo,
certo che la conosce.
“Se
mi prometti che non griderai, ti lascio”
La
gitana, con il cuore a mille, annuisce, mentre una lacrima le riga la
guancia, involontariamente.
Gli
occhi mettono a fuoco in un battibaleno chi da di fronte.
Liberatosi
della copertura, il socio del Cliente 13 mostra finalmente la sua
identità, certo che il luogo nel quale si è
chiuso con la zingara è
stato sabotato da possibili videocamere o microfoni.
“Co...co...cosa...ci
fai tu qui…. BERLINO!?”
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