No matter how life_3
Titolo: No matter how life
turns around (I'll see you again)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot (divisa in tre atti) [ 10274 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Jonathan Samuel
Kent, Damian Wayne, Vari ed eventuali
Rating:
Giallo
Genere: Generale,
Sentimentale, Malinconico, Azione
Avvertimenti: What if?, Slash, AU,
Hurt/Comfort
Vorrei incontrarti tra 100 anni
challenge: 50.
Battito cardiaco || 177. Esame || 63. Contadino (Tipologia 4:
Incontrarsi in un altro contesto storico/sociale (AU) + Reincarnation
AU)
Take your business elsewhere
Challenge: 9.
Di mezzo c'è un segreto || 17. Personaggio X non è umano || 28. Uno
specchio || 34. Y non è mai stato così vicino a X || 39. Stupire
200 summer prompts: Balliamo
|| Segreto || Personaggio X vuole esserci
SUPER
SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
ATTO TRE. ELISIO
L’influenza aveva
deciso di lasciarlo in pace solo la settimana successiva.
Non era mai stato uno che si ammalava facilmente, ma
durante quei giorni aveva davvero pensato di essersi beccato chissà
quale virus sconosciuto che aveva prosciugato gran parte delle sue
forze vitali. Tutti i suoi buoni propositi erano stati gettati
letteralmente alle ortiche e i suoi sogni erano diventati i deliri
insensati di un povero disperato in preda alla febbre, ma l’odore dei
fiori e le carezze sul suo corpo durante quelle notti non lo avevano
abbandonato mai. Non aveva più sognato la distruzione di quella dimora
dorata, né aveva sentito il dolore delle carni strappate e delle ossa
fatte a pezzi, ma i sussurri di Thanatos e bagliore dei suoi
occhi erano divenuti più intensi attimo dopo attimo, sparendo ad ogni
battito di ciglia e ripresentandosi ad ogni zaffata di asfodeli.
Jon aveva persino pensato di essere impazzito, ad un
certo punto. Kathy era andato a trovarlo un paio di volte, ma le aveva
detto che non voleva che si ammalasse e l’aveva fatta desistere,
discorso che aveva fatto al resto dei suoi amici e a Damian stesso.
Ogni volta che Jon riusciva a tenere gli occhi aperti, si messaggiavano
e finivano col fare battute sempre più provocanti l’un l’altro, cosa
che faceva sorridere Jon e fargli desiderare di passare più tempo con
Damian. Non aveva mai provato quel tipo di attaccamento per nessuno,
aveva avuto delle storie e non sempre erano finite tutte bene – il suo
ultimo ragazzo gli aveva hackerato il profilo Facebook ed era stata una
fortuna che non avesse inserito dati troppo sensibili come il numero di
telefono o quello di previdenza sociale –, ma con Damian era… diverso.
E quella stupida influenza aveva scelto proprio il momento peggiore per
colpire.
Da una parte non se n’era meravigliato più di tanto,
a dire il vero. Stanco, stressato e perennemente assonnato, era stata
una normale risposta fisica del suo organismo sotto sforzo che alla
fine era collassato su se stesso, e Jon aveva purtroppo dovuto farci i
conti e starsene chiuso in casa; aveva provato a studiare per quel
maledetto esame, ma il suo cervello gli aveva sbottato contro e si era
rifiutato categoricamente di farlo, quindi aveva passato quei giorni a
morire a letto e a chiacchierare di tanto in tanto al cellulare con
amici e famiglia per tranquillizzarli e dir loro che, febbre a parte,
non stava mica morendo. Suo fratello Conner l’aveva preso un po’ in
giro e accennato al fatto che adesso non avrebbe più potuto farsi
chiamare “ragazzo d’acciaio”, e a lui aveva riservato una bella
fotografia del suo dito medio scattata proprio in mezzo alle cosce.
Risultato? Conner aveva riso come un idiota e sbottato che era proprio
uno sporcaccione – e di mettersi quel dito da tutt’altra parte,
provocando l’indignazione di Jon –, accennando che quando sarebbe
guarito se ne sarebbero andati a bere una birra e a festeggiare.
Pessima idea, ma gli aveva comunque detto sì.
Quando era guarito, la prima cosa che aveva fatto
era stato mandare un messaggio a Damian per chiedergli se era libero.
Aveva osservato la casella di messaggi privati per ore – no, d’accordo,
erano stati solo sette minuti e quattordici secondi, non avrebbe dovuto
esagerare – prima di ricevere una risposta, esultando come un completo
idiota quando Damian gli aveva detto che era libero e che avrebbero
potuto vedersi nel pomeriggio di quel giorno stesso. E Jon aveva
passato la mattinata a decidere cosa mettere, in videochiamata con i
suoi amici anche per discutere della presentazione che avrebbero dovuto
portare e per mettersi d’accordo per il giorno successivo, così da
poter riprendere i loro studi. Aveva tutte le intenzioni di mettersi in
pari, ma aveva dovuto subirsi le battute e le frecciatine dei suoi
amici quando avevano saputo che sarebbe uscito solo per un
appuntamento.
Il destino, però, sembrò avercela con lui, poiché
quando nel pomeriggio prese le chiavi della jeep e provò a metterla in
moto una volta seduto sul sedile del guidatore, quello stupido rottame
non partì. Jon imprecò tra sé e sé a denti stretti e tentò di dare gas
più e più volte, battendo una mano sul volante quando capì che non ci
sarebbe stato niente da fare. Beh,
perfetto. Mi tocca andare a piedi, si disse, fissando il
tettuccio per attimi interminabili prima di decidersi a scendere tra
uno sbuffo e l’altro, già accaldato. Quel giorno le temperature erano
alte e l’idea di farsi un bel po’ di isolati a piedi non era il
massimo, ma la voglia di vedere Damian prevalse e si incamminò fra le
strade di Metropolis col sorriso ugualmente sulle labbra.
Stava attraversando insieme ad altre persone quando
lo stridio dei freni e il suono dei clacson li colse tutti impreparati,
vedendo un’auto sfrecciare come un missile verso di loro; senza avere
il tempo di spostarsi, Jon sgranò gli occhi e si portò automaticamente
le braccia a coprirsi il viso come se ciò avesse potuto trattenere
l’impatto, sentendo lo schianto rimbombare nelle sue orecchie e la
sensazione che il suo corpo si fosse accartocciato su se stesso per un
istante. Non c’erano suoni, non c’erano odori, voci, tutto era avvolto
in uno strano silenzio che risultava ironicamente assordante, seppur
Jon fosse conscio che ciò che sentiva era il battere frenetico del suo
cuore nel petto; il buio lo aveva avvolto e non vedeva nulla ad un
palmo dal naso, ma quando provò a tirarsi su e a mettersi almeno
seduto, una fitta di dolore al costato lo costrinse a sdraiarsi di
nuovo, storcendo il naso. Cosa diavolo era successo? In lontananza
aveva cominciato a sentire dei rumori lontani, echi di voci
terrorizzate che solo vagamente riusciva a capire, e rabbrividì quando
un soffio gelido gli sfiorò il collo, cercando invano il punto da cui
proveniva lo spiffero quando provò di nuovo a mettersi a sedere.
«Sta’ fermo. Non muoverti».
Riconoscendo la voce di Damian, Jon boccheggiò per
un istante, tentando di far funzionare la bocca come avrebbe voluto e
chiedergli cosa ci facesse lì e cosa fosse successo. Era come se il suo
cervello non avesse intenzione di mandare segnali ai nervi e
permettergli di aprirla, come se ogni parola avrebbe potuto persino
suonare superflua, ma lo sforzo di far uscire almeno qualche gemito gli
morì letteralmente in gola quando la figura di Damian si stagliò
nell’oscurità, fendendo quel buio con la sua strana quanto luminosa
presenza. Aveva già visto quelle vesti, conosceva quelle sembianze: con
il cappuccio calato sul viso, i gioielli luminosi al collo e ai polsi e
la lunga falce sorretta con la mano sinistra, quella figura si avvicinò
passo dopo passo, fermandosi letteralmente ad una spanna da lui. Le sue
vesti grige frusciavano nel vuoto ma non soffiava alcun vento, era come
se possedessero vita propria e si attorcigliavano intorno alle lunghe
gambe scure, almeno finché quella presenza non si inginocchiò davanti a
lui e ripose la falce ai lati del suo corpo.
«Thanatos», affermò Jon, e la figura sorrise.
Afferrò il cappuccio con entrambe le mani e lo abbassò all’indietro,
rivelando il bel volto ambrato di Damian e quegli incredibili occhi
verdi che Jon aveva sognato per mesi.
«Finalmente sai chi sono». La sua voce era possente,
completamente diversa da quella che Jon aveva imparato a conoscere, ma
non per questo meno piacevole da ascoltare. Era come il rombo di un
tuono prima di un temporale, come le onde che si infrangevano contro
gli scogli e la forza della risacca, ma aveva la stessa bellezza
mozzafiato che catturava gli animi dinnanzi alla vastità della potenza
devastante della natura. «Lo attendevo da secoli».
Jon si tenne la testa con una mano, cercando di
ricordare le parole che aveva sentito nei suoi sogni confusi. «Eri tu…
sei sempre stato tu. La tua voce… cent’anni…» sussurrò, ma qualcosa non
quadrava e gli si attorcigliò lo stomaco. «Sono passati più di
cent’anni», constatò, sentendo la bocca completamente arida e le voci
nella sua testa farsi sempre più alte e terribili. Perché non stavano
zitti? Perché non lo lasciavano in pace?
La risata di Damian – Thanatos? – suonò alle sue orecchie
come vetro spezzato. «Ne sono passati dieci, cento e mille altri da
allora… ma ti ho sempre aspettato e ti avrei aspettato ancora». Una
gelida mano gli sfiorò il viso, e fu strano come Jon ebbe come la
sensazione che fosse per lui una dolce carezza. «Ad ogni tua
reincarnazione, ho atteso che ricordassi; ad ogni mio passaggio nel
regno degli uomini per adempiere ai miei doveri, ho cercato di esserti
vicino con mille sembianze».
La testa gli scoppiava, il dolore alle costole
aumentò e parole su parole avevano cominciato a macinare terribilmente
nella sua mente, quasi stesse cercando di dare un senso a ciò che aveva
appena sentito; frammenti di immagini di un tempo passato si
accavallarono a momenti vissuti appena un mese prima, attimi rubati fra
campi dorati si persero in una tazza di caffè e in una risata, ma
quegli occhi verdi erano sempre lì, sempre presenti, e lo fissavano con
la bellezza ammaliante di chi sfidava il fato; baci, carezze, ansiti e
sussurri a mezza bocca, imprecazioni masticate sottovoce e vesti che
scivolavano via dalle spalle, e quella danza continua intorno a colui
che rappresentava la morte.
Jon strizzò le palpebre a quella consapevolezza,
sentendo la nausea attanagliargli le viscere. «Se tu sei qui… se
incarni la morte… significa che sto morendo?» soffiò, ma una nuova
risata aleggiò nell’oscurità, creando crepe nel buio da cui filtrarono
infiniti raggi di luce prima che Damian chinasse il viso verso di lui.
«Non questa volta, mio amato… non questa volta»,
mormorò in un soffio contro la sua bocca, catturando le sue labbra
secche in un bacio che, per un lungo istante, lo lasciò senza fiato e
gli diede realmente la sensazione che stesse morendo.
Riaprire gli occhi e tornare a respirare fu più
doloroso dell’asfalto rovente su cui era riverso. Jon boccheggiò senza
fiato, lo sguardo rivolto verso il cielo azzurro sopra di lui che venne
ben presto coperto da volti di persone sconosciute, mentre le sue
orecchie ricominciavano a sentire e i suoni ovattati tornavano ad
essere grida e clacson bloccati. Qualcuno urlava di chiamare
un’ambulanza, qualche curioso cercava di farsi largo e chiedeva se ci
fosse scappato il morto, ma tutti sobbalzarono quando Jon aprì gli
occhi e si mise a sedere come se nulla fosse, guardandosi intorno
stralunato.
«Ragazzo, stai
bene?!»
«Non dovresti
muoverti, hai avuto un incidente!»
«Riesci a
respirare?»
«Potresti avere
un’emorragia interna!»
«È un miracolo!»
Voci di uomini e donne si accavallarono le une alle
altre e c’era chi cercava di farlo sdraiare ancora una volta per
impedirgli di muoversi, ma Jon si sentiva… bene. Bene come non lo era
mai stato negli ultimi tempi, così bene che avrebbe potuto toccare il
cielo con un dito con un semplice salto, e cercò di allontanare tutti
da sé mentre si rimetteva in piedi, così pieno di energie da essere
assurdo. E ancor più assurdo era il fatto che fosse vivo, visto che,
quando scrutò oltre la folla di curiosi, vide l’auto che lo aveva
investito con il parafango divelto e il cofano schiacciato, come se
qualcuno – qualcosa? – avesse poggiato un peso su di esso e bloccato in
parte la vettura in corsa. Qualcuno continuava ad insistere che fosse
stato un miracolo e opera di Dio, qualcun altro diceva di aver visto
un’ombra calare sull’auto e altri ancora che era stato lui stesso a
ridurla in quel modo, ma Jon sentiva vagamente le loro parole, troppo
sconvolto dalla vista dell’auto e del conducente che era stato appena
arrestato per guida in stato di ebrezza.
Qualunque cosa fosse successa davvero, sapeva solo
che era vivo. Non sapeva se ciò che aveva visto in quel luogo oscuro
fosse stato solo un delirio provocato dallo shock o fosse successo
davvero, ma si portò due dita alle labbra e le sfiorò, sentendole calde
e umide. Aveva ancora la sensazione di quel bacio su di esse, e non
sparì nemmeno quando fu costretto a restare sul luogo dell’incidente a
parlare con i paramedici che avrebbero dovuto soccorrerlo e con i
poliziotti per capire la dinamica, ma non avrebbe saputo rispondere a
nessuna delle domande che gli stavano ponendo poiché neanche lui sapeva
bene che cosa fosse accaduto.
Fu solo quando fu finalmente libero che, ore dopo,
raggiunse Damian proprio come aveva programmato di fare. Lo vide seduto
al tavolino, una gamba accavallata sull’altra e il cellulare in mano, a
scorrere distratto con un dito sullo schermo mentre leggeva chissà
cosa, un caffè abbandonato sul tavolino e qualche biscotto ancora
intatto nel piattino di ceramica. Gli aveva mandato un messaggio per
dirgli che avrebbe fatto tardi, ma non aveva spiegato ciò che era
successo, ancora incerto se fosse stato un sogno o meno e troppo
scombussolato per riuscire davvero a farlo con la lucidità che avrebbe
dovuto avere.
«Resterai lì a fissarmi tutto il giorno, oppure ti
deciderai a venire qui?»
Preso in contro piede, Jon deglutì e fece qualche
passo verso il tavolino, scostando la sedia per accomodarsi davanti a
lui sotto il suo sguardo vagamente divertito. Quei profondi occhi sono
stati verdi lo scrutavano curiosi come la prima volta, ma Damian aveva
uno strano sorriso dipinto sulle labbra. «Scusa il ritardo», tastò il
terreno, ma Damian agitò una mano in risposta prima di ficcarsi il
cellulare in tasca.
«Immagino che succeda, quando si ha un incidente e
si ritorna improvvisamente in vita».
Jon sgranò gli occhi, boccheggiando per un istante
come un idiota. Aveva davvero sentito ciò che aveva sentito? «Aspetta,
cosa?» sbatté le palpebre ma, contro ogni sua aspettativa, il dio volto
si rilassò e si concesse persino il lusso di un sorriso. «Quindi non
eri solo un sogno… Thanatos».
«Sono più vero che mai e finalmente ricordi il mio
nome anche sul piano terrestre… Zagreus». Damian chinò il viso verso di
lui, sollevando un angolo della bocca in un ghignetto. «O preferisci
che ti chiami Dioniso», rimbeccò nel fargli un occhiolino, e Jon si
massaggiò il collo, accennando un piccolo sorriso tra il divertito e
l’imbarazzato.
«Jon. Solo Jon».
«Allora io sono Damian, Jon… felice di averti
rivisto ancora».
Si guardarono dritto negli occhi, forse stranamente
impacciati, parlando dinanzi a quei caffè che erano ormai stati
dimenticati mentre le parole si affollavano e le esperienze si
comparavano, facendo finalmente sentire Jon esattamente dove avrebbe
dovuto essere. Era strano come ogni cosa si fosse incastrata nel giusto
tassello mentre i ricordi di una vita passata tornavano vividi nella
sua mente, aiutati anche dalle parole di Damian e dal modo in cui gli
andava in contro per far sì che ricordasse; c’erano ancora lacune,
sprazzi di momenti dimenticati che cercavano di farsi largo dentro di
lui, ma non era più solo una moltitudine di pensieri e parole che non
avevano senso, erano attimi condivisi, enormi porte che si aprivano al
suo passaggio e parole saccenti che nascondevano amore, un vortice di
sensazioni ed emozioni che esplodeva nel petto di Jon e lo faceva
sentire come se avesse passato l’eternità in un’ora.
Quando pagarono e si spostarono nel parco, fu strano
come la sua mano cercò automaticamente quella di Damian e la strinse
sotto il suo sguardo confuso, ricambiano lo sguardo che gli lanciò e in
cui parve perdersi per un lungo istante. Quante cose aveva dimenticato,
quanti secoli erano passati e quanti ancora ne avrebbero probabilmente
vissuto ancora, ma avrebbe avuto la consapevolezza che quegli occhi
sarebbero rimasti per sempre con lui. E quando si fermarono in riva al
lago, e Damian si alzò sulle punte dei piedi per sfiorargli le labbra
con le proprie, Jon si perse ancora una volta in quello sguardo
profondo nell’istante in cui lo fissò con attenzione.
«Che sciocco fosti ad innamorarti della morte»,
sussurrò Damian con velata ironia, e Jon sorrise nell’intrecciare
quelle dita fra le sue, chinandosi ancora un po’ verso il suo viso.
«Forse lo sono ancora… ma la morte non è mai stata
così bella», replicò, sugellando in un bacio l’amore che aveva covato
nel cuore in quei secoli di solitudine.
_Note inconcludenti dell'autrice
E siamo infine giunti alla fine della storia!(wow,
finalmente ho finito qualcosa, ma quanto mi sento brava in questo
momento? Devo decidermi a riprendere tutte le altre)
Questa è quella meno "avventurosa", se così vogliamo chiamarla, ma mi
sto già preparando per postare la successiva (stavolta mi sa che la
dividerò in cinque parti, essendo più lunga) intitolata "Dust to Dust,
Ashes to Ashes", sembra una AU su Super Sons impostata però in un
universo omegaverse (quindi, sì, ci saranno quelle dinamiche ma sarà un
po' più... cruda di queste) e ho anche intenzione di postare una
raccolta di tutte le AU che ho scritto, chissà. Comunque sia, spero che
questo capitolo sia piaciuto e che sia stato apprezzato anche il finale
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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Farai felici milioni di
scrittori.
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