A Mati,
per tutto
ciò che abbiamo in comune,
al di là
delle piccole differenze.
Per i
cupcake e Taylor Swift,
per le paure,
i pensieri e le emozioni,
e tutto ciò
che riusciamo a condividere.
Buon compleanno!
♥
E tutto ciò che ho visto nelle ultime diciotto ore
sono occhi verdi e lentiggini e il tuo sorriso. [1]
Ci prova, Scorpius, a distogliere lo
sguardo da lui. Fa fatica, ma ci prova comunque, ogni giorno. E punta gli occhi
su un libro, un disegno, perfino su un cielo senza nuvole, pur di smetterla. Ce
l’ha impresso sulla retina, perciò quando abbassa le palpebre lo vede ancora,
come se fossero sempre un po’ schiuse, come se ci fosse sempre uno spiraglio –
e lui fosse sempre dall’altra parte, pronto a farsi trovare.
Spiragli
Tu sei al telefono con la tua ragazza, è infastidita,
si è arrabbiata per qualcosa che hai detto –
lei non capisce il tuo umore come faccio io.
Io sono nella mia stanza, è un tipico martedì notte,
sto ascoltando quel tipo di musica che a lei non piace –
lei non conoscerà mai la tua storia come la conosco io. [2]
Basta un colpo di bacchetta a ridurre il volume della musica e a
permettergli di sentire attraverso la porta chiusa. Non che Scorpius
ne abbia davvero bisogno: che il suo coinquilino e migliore amico urli
attraverso una diavoleria Babbana chiamata telefono cellulare è prassi, e non c’è
più niente delle discussioni tra Albus e la fidanzata
che potrebbe sorprenderlo.
Rose ha provato a convincere anche lui a comprare uno smartphone,
osannando la tecnologia e le sue potenzialità, ma Scorpius
è riuscito a pensare solo al nervosismo di Albus che
parla con lei, quindi ha rifiutato con cortesia. Tanto più che l’unica
persona che avrebbe voglia di sentire vive sotto il suo stesso tetto.
Un altro colpo di bacchetta e il volume della musica torna a
salire, ma la voce dell’amico è ormai una frequenza che ha agganciato e da cui
non riesce a liberarsi. Non servono a niente gli acuti di Celestina Warback o la risata di Albus
nella sua testa mentre gli dice che è musica arcaica – salvo poi
ascoltarla con lui – perché quel tipo di rabbia, quello che traspare da parole
intrise di frustrazione, lo cattura e lo soffoca.
Lo sente sotto la lingua, il sapore amaro di una situazione sbagliata,
lo stesso che avverte ogni volta che vede l’espressione di Albus
deformarsi in un impeto di irritazione, il suo sguardo spegnersi e caricarsi di
astio, le sue labbra serrarsi e poi vomitare rancore. Lo detesta, perché lui lo
conosce soltanto sereno – e irritazione, astio e rancore non sono mai stati per
lui, ma solo per persone da evitare e di cui ridere insieme.
Scorpius non ha mai potuto ridere di Anya
con lui. Non ha mai potuto dire niente di lei – perché se l’avesse fatto non si
sarebbe mai liberato della sensazione di aver varcato un confine a lui
precluso, e allora ha taciuto, ha taciuto sempre.
Albus l’ha scelta e l’ha tenuta per
sé, e ha accettato l’irritazione e l’astio e il rancore – e forse sono il
prezzo di una felicità che Scorpius non vede, perciò
continua a tacere.
Lo sente riattaccare, è il momento in cui Celestina Warback riesce di nuovo a raggiungere le sue orecchie. La
musica non gli va più, gli sembra soltanto fuori luogo, ma spegnerla ora
potrebbe indurre Albus a pensare che lui l’abbia
ascoltato – e Scorpius sa che lo metterebbe a
disagio.
Resta seduto sul proprio letto, lo sguardo fisso sulla porta
chiusa come se potesse guardarci attraverso, e aspetta.
Lo sente avvicinarsi – passi inconfondibili anche nascosti
sotto una canzone – e lo vede, quando i suoi piedi oscurano in due punti la
luce che attraversa lo spazio sotto la porta.
Si alza e si avvicina, può figurarselo dall’altra parte del
legno con una mano sollevata, indeciso se bussare o meno. Potrebbe aprire e
sorprenderlo lì, ma sceglie di non farlo.
Poi lui se ne va – ancora passi, ma sempre più lontani – e Scorpius sospira deluso.
La prossima volta lascerà la porta socchiusa – uno
spiraglio, solo per lui.
***
Tu hai un sorriso che potrebbe illuminare l’intera città,
non lo vedo da un po’ – da quando lei ti ha buttato giù di
morale.
Dici di stare bene, ma io ti conosco meglio di quanto pensi.
Cosa ci fai con una ragazza così? [2]
Quando il Ministro Shacklebolt chiede
ad Albus di occuparsi della sua corrispondenza, Scorpius attende che esca dall’ufficio per interrompere la
propria attività e avvicinarsi all’amico.
Finge di riporre un libro sullo scaffale dietro di lui e getta
un’occhiata alle missive da sopra la sua spalla, giusto in tempo per vederlo
scrivere gli indirizzi dei destinatari.
Albus apre la finestra per permettere
al gufo bianco del Ministro di entrare e lui lo segue con lo sguardo, quindi si
avvicina alla scrivania e scambia le buste, attribuendo a ciascuna lettera
quella con l’indirizzo corretto. Albus lo vede e pare
confuso, poi la fiducia ha la meglio sulla necessità di comprendere le sue
intenzioni e lo lascia fare.
«Sei distratto», dice Scorpius in
tono neutro, senza rimproverarlo.
L’amico lo guarda, e lui per un attimo pensa che gli urlerà
contro, invece Albus gli rivolge solo un sorriso
triste, che sa di scuse. «Per fortuna è solo un tirocinio.»
È quello che si sono detti a vicenda per i primi mesi, quando
una disattenzione o un errore dovuto all’inesperienza bruciava nell’orgoglio e
accendeva un senso di inadeguatezza che sarebbe sparito soltanto con il tempo –
frattanto, avrebbero fatto in modo di ricordarsi che sbagliare era concesso, in
quella fase iniziale della loro carriera.
Non è mai stata una scusante per la superficialità, solo una
consolazione per attenuare la delusione verso loro stessi. Tuttavia adesso Albus si appiglia a quelle parole per chiedere indulgenza –
e non serve a nulla, perché Scorpius gliel’avrebbe
concessa comunque, mentre gli altri gliel’avrebbero negata in ogni caso.
«Dovresti dormire di più, hai delle occhiaie spaventose.»
Sorride di nuovo, Albus, perché ciò
che proviene da lui non è mai biasimo, solo pura constatazione – velata di una
presa in giro che è sempre dolce protezione.
«Sarebbe stato divertente, però», prosegue Scorpius,
quando decide di volere un sorriso vero, che non sappia di stanchezza e
dispiacere. «Te lo immagini il Primo Ministro Babbano che riceve la lettera
destinata a Rolf Scamander?»
Si schiarisce la voce e torna ad aprire una delle buste pronte
per essere spedite. «“Carissimo”», inizia con enfasi, «“la tua idea di
insediare in Gran Bretagna una colonia di Occamy per
combatterne il rischio di estinzione è lodevole.” Ce lo vedi il Primo Ministro
Babbano a chiedersi che diavolo sia un Occamy?»
Albus scoppia a ridere e lui prosegue:
«“Apprezzo molto il tuo impegno in tal senso, bla bla bla, passerò il
caso all’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche per le
valutazioni necessarie. Grazie per la proposta, salutami tua moglie.” Il
Primo Ministro Babbano ha una moglie?»
«Sì», conferma Albus, divertito.
«Suppongo sia il sogno di chiunque ricevere una lettera da un
altro uomo, che tua moglie non dovrebbe neanche conoscerla, e leggere che si
chiude con i saluti per lei.»
Albus sta ancora ridendo quando Scorpius ripiega il foglio di pergamena e lo inserisce
nella busta. «E non voglio neanche pensare a cosa ci sia scritto nell’altra
lettera. Riesci a figurarti Rolf Scamander che vuole
salvare i cuccioli di Occamy e si ritrova tra le mani
una serie di velate minacce finalizzate a una revisione dello Statuto di
Segretezza? Gli verrebbe un colpo.»
«D’accordo, basta», implora l’amico, tenendosi le mani premute
sullo stomaco scosso dalle risa. «Lo riconosco, stavo per farla grossa.»
Scorpius si limita a un sorriso
concorde.
«Per fortuna ci sei tu», dice Albus,
ma distoglie lo sguardo dal suo viso e torna a trafficare con la
corrispondenza, mentre il gufo attende impaziente sul davanzale dell’Ufficio.
«Stai bene?»
Lui annuisce, ma non dice di sì – finge di non sapere che a Scorpius non serve sentire la sua voce per cogliere una
bugia.
«A me non sembra.»
«Non posso farci niente.» La replica è brusca, ma Scorpius lo vede mordersi subito il labbro, pentito.
Non se lo chiede nemmeno, riguardo a che cosa non possa fare
niente – se al fatto che lui lo smascheri così facilmente o a quel qualcosa che
lo turba a cui non riesce a porre rimedio.
«Scusa.»
Scorpius gli sorride e pensa solo che
a lei non lo dice mai: lo ha sentito urlarle contro o riservarle un silenzio
ostinato, ma mai chiedere perdono, e allora quanto può valere per lui quella
relazione? Non di più, si dice, di quanto valga il rapporto con lui – ancora
troppo poco.
«Tranquillo», replica piano, un po’ ferito, un po’ rassegnato,
ma abbastanza stabile da non lasciar trasparire nessuna delle due cose dal tono
di voce. Gli si avvicina e gli posa una mano sulla spalla – se lo concede, quel
contatto, ne ha bisogno per curare una ferita in suppurazione – poi lo lascia
andare – e fa male, ma meno che non averlo affatto.
Non glielo può dire, che la deve lasciare; non può giurare a se
stesso di suggerirlo per il suo bene e non per dare voce a una gelosia a cui
non ha diritto. Perciò fa la cosa più codarda e più giusta, la stessa di sempre
– tace – e gli dice l’unica cosa che suoni come una consolazione
accettabile – una speranza.
«Andrà meglio.»
***
Lei indossa gonne corte e io magliette,
lei è capitano delle cheerleader, io sto in tribuna,
sognando il giorno in cui ti sveglierai e capirai
che ciò che stai cercando è stato qui per tutto il tempo. [2]
È piccola, la casa che ha scelto di dividere con Albus. Ci sono due camere da letto, un bagno solo e una
cucina che Scorpius ha dovuto imparare a usare quando
ha accettato di andare a vivere in un appartamento nel cuore di Londra senza
Elfi Domestici.
Adesso, però, sebbene la fame sia prepotente, la pigrizia lo è
di più. Vuole mangiare per mettere a tacere lo stomaco e prevenire la nausea indotta
dai pensieri incontrollati della solitudine, ma non ha alcuna voglia di
cucinare. Pane e formaggio sembrano un accettabile compromesso, perciò siede a
tavola con quella cena affrettata e si decide a fare i conti con il proprio
turbamento.
Lo ha sentito uscire, poi lo ha guardato dalla finestra mentre
saliva in auto. Avrebbe potuto Smaterializzarsi da lei, ma Scorpius
conosce bene le ragioni che portano l’amico a preferire il mezzo Babbano che il
padre gli ha regalato dopo avergli insegnato a utilizzarlo.
«Guidare mi rilassa», dice sempre Albus,
e lui sa che lo intende davvero.
Comprende i suoi pensieri meglio di chiunque altro: sa
che il tempo che impiegherà ad arrivare gli servirà a ritrovare il giusto stato
d’animo e sa che l’azione meccanica di condurre l’automobile nel
traffico londinese lo impegnerà abbastanza da scaricare la tensione, ma non
così tanto da occupargli la mente. Scorpius sa
quanto sia fiero di quell’abitudine che in famiglia soltanto lui condivide con
il padre, perciò ogni volta che lo vede avanzare con le chiavi in una mano, non
pensa al fatto che la Smaterializzazione sarebbe più comoda e più sicura –
perché sa che per lui non è altrettanto soddisfacente.
Ad Anya quel suo vezzo non piace, perciò Albus
parcheggerà a un paio di isolati di distanza e la raggiungerà a piedi, fingendo
di essere arrivato grazie alla sola magia.
Scorpius si sente ipocrita quando tra
sé e sé la critica – proprio lui, che dei Babbani non ha voluto adottare
nemmeno il cellulare, che invece lei ha accettato di buon grado – ma poi si
giustifica perché a lui l’automobile non piace, ma sa che piace ad Albus e perciò se la farebbe andare bene, mentre Anya, con
la sua disapprovazione, lo spinge a nascondersi.
È uno strano istinto quello che gli ricorda tutte le cose che è
disposto a farsi andare bene per lui – un istinto che ha il solo scopo di
impedirgli di autoflagellarsi per non essere abbastanza. Ricorda il giorno in
cui ha detto di sì a un appartamento minuscolo che avrebbe condiviso con lui –
e non se n’è mai pentito. Ricorda il giorno in cui ha detto sì ad assistere a
una partita di James – e di quella non si pente solo perché non andare non avrebbe
impedito ad Albus di conoscere lei.
Mezza Veela e con una passione per il
Quidditch che Scorpius non avrebbe
avuto mai, Anya faceva parte delle mascotte dei Falmouth Falcons
ed era troppo bella perché Albus non ne restasse
affascinato. Scorpius ha visto la loro relazione
nascere ed evolversi rapidamente – e al contempo ha iniziato a paragonarsi a
lei senza mai uscirne vincitore, una penosa abitudine che non ha più perso.
Perciò, solo in un appartamento che non odia soltanto perché
riesce a immaginare lui ad ogni angolo – semisdraiato sul divano troppo
piccolo, appoggiato di spalle al piano della cucina – lo cerca con l’immaginazione
e trova pace in un pensiero fantasma.
Quando andrà a dormire, sforzandosi di non attendere il suo
ritorno, lascerà comunque la porta socchiusa – uno spiraglio, solo per lui.
***
Se solo potessi vedere che io sono il solo che ti capisce,
sono stato qui tutto il tempo – perché non lo vedi?
Tu mi appartieni.
Mi tengo pronto e aspetto dietro la tua porta,
come hai potuto non saperlo per tutto questo tempo? [2]
Si ripete che non lo sta aspettando, gli è soltanto venuta
voglia di disegnare. Perciò Scorpius se ne sta seduto
sul proprio letto, con il blocco da disegno sulle ginocchia, un carboncino nero
a macchiargli le dita e la porta della camera spalancata.
Albus rientra quando ha quasi
ultimato l’opera – gli manca soltanto il riflesso del castello di Hogwarts nelle acque scure del Lago Nero – ma la lascia
incompiuta senza remore quando lo sente arrivare.
Disegna solo paesaggi, ormai, e sempre deserti – mai una
persona, perché la tentazione di ritrarre il profilo che conosce meglio di
tutti sarebbe troppo forte.
Abbandona il blocco sulle coperte e non si cura di sporcarle
con il carboncino perché Albus passa davanti alla sua
stanza senza neanche salutare.
Lo sente percorrere il piccolo corridoio in direzione del bagno
e sbattersi la porta alle spalle. Lui si ferma sulla soglia della propria
camera e lo aspetta, poggiato contro lo stipite. Dopo qualche minuto Albus esce e finalmente si accorge di lui.
Sussulta. «Ti ho svegliato?»
Scorpius scuote il capo. «Tutto
bene?»
Un lampo d’ira gli attraversa lo sguardo – ma negli occhi verdi
c’è anche un dispiacere che a lui non può nascondere.
«Dice che non mi curo di lei, che non le dimostro il mio
interesse», risponde in tono sarcastico. «Ma se ormai passo tutto il tempo a
pensare a cosa dire o fare per farla contenta!»
Scorpius tace. Una parte di lui
vorrebbe fuggire da quella conversazione, ma un’altra, quella che tiene troppo
ad Albus, lo costringe a restare esattamente dov’è.
«L’avrei capita se mi avesse accusato di non essere spontaneo,
visto che ormai non faccio più nulla che non sia frutto di un calcolo», ammette
con una smorfia. «E invece mi ha dato del superficiale!»
Allarga le braccia, esasperato. Sembra sul punto di inveire
ancora, ma poi richiude la bocca. Lascia ricadere le mani lungo i fianchi e le
serra a pugno.
«Lo sono?», domanda in un sussurro, guardandolo dritto negli
occhi. «Superficiale, intendo.»
Scorpius si è chiesto tante volte
come sia possibile che Albus non veda ciò che ha
sotto gli occhi. Nei giorni peggiori gliene fa una colpa, si dice che è assurdo
che non lo capisca, che dev’essere cieco o insensibile o entrambe le cose. Nei
giorni migliori, invece, si complimenta con se stesso per il modo in cui si
tiene tutto dentro.
Solo occasionalmente pensa che Albus
in realtà abbia capito tutto e finga il contrario per non ferirlo.
«No, non lo sei.»
Lui sospira, esausto, e si avvicina di un passo. «Che devo fare
con lei?»
Non ci pensa neanche a dirgli di lasciarla, non adesso che il
suo unico pensiero è per se stesso – scegli me, scegli me, scegli me –
ma per la prima volta si compiace di aver vinto un confronto con lei – io
non ti ferirei mai in questo modo.
«Mi sembri stanco», replica soltanto.
Ma Albus non accetta commenti
evasivi. «Devo chiuderla?»
Scorpius sussulta, e di nuovo
vorrebbe scappare e non lo fa. È turbato dal dolore nei suoi occhi, spaventato
dal proprio battito accelerato.
Non sa cosa rispondere, quindi fa la solita scelta – tace
– e gli riserva un sorriso dolce. «Che ne diresti di un giro a Hyde Park,
domani? Puoi dimenticare il cellulare a casa e prenderti un giorno di pausa da
tutto.»
Albus sospira: con lui non ha mai
dovuto nascondere l’insoddisfazione per una risposta a metà – e prima di lei
ci sono state solo risposte intere.
Gli concede un sorriso debole – uno spiraglio. «Va bene.»
***
Camminiamo per la strada – tu indossi i tuoi jeans consumati –
e non posso fare a meno di credere che è così che dovrebbe
essere.
Rido, su una panchina del parco, pensando tra me e me:
“Non è semplice, stare così?” [2]
Albus ha le braccia distese sullo
schienale di una panchina e la testa sollevata contro il sole. È così rilassato
che la ragione dei loro programmi di quel sabato mattina sembra irrilevante.
Scorpius ha consapevolmente deciso di
farsi del male e ha tirato fuori il blocco da disegno con l’intenzione di
ritrarre il paesaggio che vede dietro di lui – si è girato verso Albus e il suo sguardo corre tra lui e la fontana, per
imprimere uno nella memoria e l’altra su carta.
Ha sempre trovato affascinante il modo in cui il carboncino si
consuma lasciandosi dietro tracce di sé, come se svanire tra le sue dita
significasse soltanto trasformarsi – da arido corpo geometrico destinato alla
distruzione, a linee immortali intrise di significato.
È appena riuscito a distogliere lo sguardo da Albus per trenta secondi di fila quando torna ad alzare gli
occhi e incontra i suoi.
«Dovresti disegnare me.»
Scorpius rimane interdetto per un
istante, poi scoppia a ridere.
L’espressione di Albus si imbroncia
in una finta offesa. «Sono un ottimo soggetto!»
«Non disegno le persone», si difende lui, sforzandosi di non
mostrare quanto lo turbi l’idea.
«A Hogwarts lo facevi.»
«Vuoi dire prima di scoprire di non esserne capace?»
«Secondo me devi solo trovare la giusta ispirazione.» Con un
gesto della mano indica la propria figura.
Scorpius alza gli occhi al cielo, ma
non riesce a impedirsi di curvare le labbra.
Sceglie di ignorarlo e torna alla fontana, tratteggia linee
sicure sul foglio bianco e di tanto in tanto le sfuma con l’indice. Quando
solleva la testa per scrutare il paesaggio, i capelli gli ostruiscono la
visuale. Poiché ha le dita sporche, d’istinto prova a liberarsene con un
soffio.
Come se fosse il gesto più naturale del mondo, Albus allunga una mano e gli scosta una ciocca dalla
fronte, sfiorandogli la pelle in un tocco leggerissimo.
Scorpius riporta l’attenzione sul
disegno – ma è troppo tardi per negare a se stesso i pensieri innescati da quel
contatto. Continua a muovere il carboncino mimando una linea sul foglio che non
riesce a tracciare – perché è una linea che non ha senso, perché il disegno non
lo vede più. Si chiede se Albus sia tanto delicato
anche con Anya – certo che lo è – e come sia possibile che a lei non
basti anche solo il modo che ha di toccarla, per essere felice.
Scorpius tiene gli occhi bassi sul
foglio mentre realizza che a lui basta – se lo fa bastare – ma comunque
quello che ha lei lo vorrebbe per sé al punto che la mancanza gli brucia nel
petto.
Alza la testa e lo trova a fissarlo – forse Albus
è un Legilimens e lui non lo sa, forse non lo è ma può
leggerlo ugualmente. Scorpius ha paura e poi non ne
ha più – in fondo che può farci se si sente in quel modo? – e poi ancora prova
un imbarazzo che non riesce a scacciare. Ma Albus
sorride – forse sa tutto, forse non ha capito niente – e lui non sa impedirsi
di imitarlo.
«Sicuro di non voler ritrarre me? Quella fontana è
inflazionata.»
«Secondo me ti piace l’idea di essere guardato.»
«Vero», ammette. «Ma se fosse per questo dovrei chiedere a
qualcun altro. Tu potresti disegnarmi a occhi chiusi.»
Il cuore di Scorpius accelera –
quella è una verità che è per metà un complimento e per metà il disvelarsi di
un segreto custodito a stento.
Non replica, ma neanche riesce a smettere di fissarlo. Albus allunga un braccio sulla sua spalla, la mano gli
sfiora i capelli sulla nuca. Lo attira a sé e Scorpius
impiega un istante di troppo a capire che l’amico lo sta semplicemente
abbracciando.
Cede – non può fare altrimenti – e Albus
lo stringe. Scorpius nasconde il viso contro il suo
collo, ne inspira il profumo e dal modo in cui sente il proprio battito
accelerare capisce che quel segreto custodito a stento non può davvero essere
tale – l’altro può sentirlo reagire fisicamente a quella vicinanza, non può
ignorare, non può fraintendere.
Lo sente sospirare. «Vorrei che lei fosse come te.»
Qualcosa si spezza nell’autocontrollo di Scorpius,
come una molla logorata dall’usura che scatta con violenza e rivela un lungo
passato di sollecitazioni a fatica, un mutamento nell’equilibrio che fa
crollare l’intera struttura. Si ritrae, come ferito dalla frustata di una metà
dell’elastico che ha ceduto a una trazione troppo forte – il colpo di grazia
che sconfigge una resistenza già provata.
Non vuole toccarlo, non vuole neanche guardarlo, ma si sente
addosso i suoi occhi e la sua confusione.
«Scorpius?»
«No», riesce soltanto a dire. Lascia il blocco da disegno sulla
panchina, poi si fissa le dita, quasi sorpreso di trovarle macchiate di nero.
«È stupido», sbotta alla fine, incapace di trattenersi. «Non puoi cambiare le
persone. È lei, che hai scelto! E adesso vorresti che fosse diversa, che fosse come
me? Se quello che cerchi è altrove, abbi il coraggio di andarlo a prendere
direttamente alla fonte!»
Albus è sbigottito, lo fissa a bocca
aperta e la richiude solo per deglutire. «È questo che vuoi?»
«Sì», ammette Scorpius, che di forza
per tenersi dentro ciò che prova non ne ha più. «E tu?»
Non si aspetta che Albus risponda
davvero – e infatti non lo fa – quindi sorride amaro. «Ho bisogno di stare da
solo», dichiara con tutta la dignità di cui è capace. Poi si allontana in
direzione di un albero.
Albus si riscuote abbastanza da provare
a trattenerlo, poi si alza e lo segue.
Ma Scorpius è stanco e ferito e, per
la prima volta, è sordo al suo richiamo. Raggiunge un tronco abbastanza grosso
da celarlo alla vista dei Babbani presenti, tira fuori la bacchetta e si
Smaterializza senza voltarsi indietro.
***
Tutti i miei muri si ergono, dipinti di malinconia,
ma io li abbatterò e aprirò la porta per te.
E tutto ciò che sento nello stomaco sono le farfalle – quelle
belle.
(Recuperiamo il tempo perduto, prendiamo il volo.) [1]
Si rannicchia sul proprio letto in posizione fetale e sente
quasi il bisogno di abbracciare se stesso – non lo fa perché gli sembra
ridicolo, anche se è solo nella stanza e la porta è chiusa.
Non ha lasciato nessuno spiraglio, non adesso che
significherebbe solo alimentare una venefica speranza che non ha ragione di
esistere. La porta è chiusa, ma non a chiave, e se Albus
volesse entrare potrebbe farlo – per scelta, senza alcun invito.
Lo sente arrivare e bussare, il nome Scorpius
sulle sue labbra ha un suono strozzato che è certo di non aver mai udito prima.
Non risponde, e Albus attende e
insiste e poi attende ancora. Ma resta fuori, gli lascia spazio e non posa mai
la mano sulla maniglia – non trova nessuno spiraglio, anche se c’è – e Scorpius comprende che il silenzio è necessario, che
soffocare la speranza lo è ancora di più, perciò fa quello che gli riesce
meglio, ricomincia e giura di non smettere più. Tace.
***
Ricordo che guidavi verso casa mia, nel bel mezzo della notte,
sono l’unico che ti ha fatto ridere quando eri sul punto di
piangere.
E conosco le tue canzoni preferite, e tu mi parli dei tuoi
sogni,
penso di sapere a chi appartieni – penso di sapere che
appartieni a me. [1]
Si sveglia infreddolito e dolorante. Fuori dalla finestra è
buio e Scorpius pensa che avrebbe fatto meglio a
mettere il pigiama e infilarsi sotto le coperte, per uscirne solo il giorno
dopo – forse.
Ha gli occhi gonfi e dà la colpa all’umidità della notte – non
accetta l’idea di aver pianto, nemmeno nel sonno – quindi si arrischia a uscire
per dirigersi verso il bagno.
La lentezza con cui apre la porta per non fare rumore è
superflua: le luci sono spente, la casa è silenziosa. Albus
non c’è.
Guarda l’orologio e scopre che è sera, non notte, e deduce che
l’amico deve essere uscito con la fidanzata. Decide di andare in bagno,
mangiare qualcosa e tornare a dormire prima del suo rientro.
Il piano va a segno e Scorpius è di
nuovo a letto nel giro di un’ora, intenzionato a riaddormentarsi prima di
sentire i passi di Albus dentro casa. Ma la sua
volontà è debole e incapace di restare sorda a un richiamo, perciò, quando il
suono di un clacson rompe il silenzio, Scorpius si alza
e va ad affacciarsi alla finestra.
Albus si è sporto dal finestrino per
guardare in su, perciò lo vede subito e gli sorride. «Scendi», dice soltanto.
Lui esita e il suo sorriso si spegne.
«Per favore.»
Scorpius torna dentro e si riveste,
mentre realizza di non aver detto una parola – e forse Albus
neanche sa che ha deciso di raggiungerlo, potrebbe aver pensato che lui sia
ritornato alla propria solitudine.
Ma quando scende l’auto è lì, e le labbra dell’amico si curvano
in un altro sorriso. «Sali?»
La prima volta che è entrato in macchina ha avuto la sensazione
di trovarsi in una grossa scatola di latta instabile e rumorosa, pronta a
schiantarsi contro il primo ostacolo. Con il tempo, Scorpius
si è abituato alla bizzarra passione di Albus e ha
iniziato a fargli compagnia quando lui lo chiedeva, in sere in cui guidava
senza meta e ascoltava musica Babbana finché Scorpius
non incantava la radio per farle riprodurre Celestina Warback,
strappandogli una risata.
Prende posto sul sedile accanto a lui e non appena chiude la
porta Albus parte.
«L’ho lasciata», dice all’improvviso, mentre si allontanano dal
centro della città. Scorpius si sforza di non
sussultare e si limita a guardarlo. «Anya. Stasera. Come hai detto tu.»
«Io non ho detto niente.»
Albus sorride, soddisfatto di averlo
strappato al suo mutismo. «Già.»
Scorpius guarda fuori dal finestrino,
cercando di intuire la loro meta – ma in cuor proprio sa che non c’è alcun
posto da raggiungere, che il viaggio è tutto e la destinazione solo un punto su
una mappa che serve a dare una direzione.
«Mi dispiace per quello che ho detto. Non ho pensato prima di
parlare.»
Scorpius chiude gli occhi e tenta di
cancellare dalla mente il pensiero della conversazione di quella mattina. «Non
ti preoccupare.»
«Dico sul serio.»
«Lo so. Va tutto bene.» Si volta a guardarlo: Albus ha le mani serrate sul volante, le nocche bianche.
Allenta la presa solo per cambiare marcia e attivare i tergicristalli, quando
una pioggia leggera inizia a colpire il parabrezza. Una volta ha provato a
spiegargli lo scopo di ogni leva e pulsante dell’automobile e Scorpius lo ha lasciato parlare assorbendo ogni
informazione – stroncando il suo entusiasmo solo quando ha dovuto dirgli che
no, non avrebbe mai voluto imparare a guidare.
Si fermano sul ciglio della strada in un quartiere
residenziale, Scorpius si guarda intorno per cercare
di capire dove sono – salvo poi rendersi conto che non lo sa nemmeno Albus, che ha spento il motore e si è voltato verso di lui
per averlo di fronte.
«Io ho capito quello che mi hai detto oggi.»
«Non dobbiamo parlarne per forza.»
«Sì, invece.»
Che cosa ci sia da dire Scorpius non
lo sa, perciò si limita ad aspettare che sia lui a proseguire.
«Non ero felice con Anya, quindi ho chiuso la nostra
relazione», dichiara in uno sfoggio improvviso di lucidità. «E credo che potrei
essere felice con te, ma non ci avevo mai pensato prima, e adesso mi sembra che
non solo lo credi anche tu, ma che hai anche le idee molto più chiare di me.
Capisci?»
Scorpius lo guarda perplesso e poi,
incapace di trattenersi, scoppia in una risata isterica. «È un discorso così
contorto che dubito che qualcuno possa capirlo.»
Albus gli dà un pugno sulla spalla,
fingendosi offeso. «Dico sul serio.»
«Be’, io davvero non ho afferrato quello che hai detto.»
Lui sospira. «Se ho capito bene quello che vuoi tu,
penso che potrei volere la stessa cosa. Solo che mi serve un po’ di tempo per
abituarmi all’idea.»
Scorpius sgrana gli occhi. Il tono
serio con cui l’amico ha parlato non lascia spazio a dubbi – è uno spiraglio
impossibile da ignorare.
«A te sta bene?»
Non sa cosa replicare, non ha mai pensato di avere una scelta.
Di certo non ha scelto di innamorarsi del suo migliore amico, né di stare a
guardarlo frequentare un’altra. Non ha mai preso in considerazione l’idea di
andarsene o di scacciare quel sentimento molesto dandosi la possibilità di
provarlo per qualcun altro o rimpiazzandolo con incontri occasionali. Albus gli chiede di aspettare e lui si rende conto di non
aver mai fatto altro, nemmeno quando era convinto di non avere alcuna
possibilità – e adesso che gli ha aperto uno spiraglio e gli domanda ancora un
po’ di pazienza, come può negargliela?
«Suppongo di sì.»
Albus sorride con dolcezza, il dubbio
lascia spazio al sollievo e alza una mano per ricercare un contatto, ma senza
essere il primo a sfiorarlo.
Scorpius gli va incontro e lo
abbraccia nello spazio ristretto dell’auto.
«Mi perdoni?», mormora Albus contro
la sua spalla.
Vorrebbe dirgli che non c’è niente da perdonare, ma non è vero,
non se gli rimprovera il mancato amore che avrebbe voluto, allora sospira e
sceglie di non tacere: «Sì, ti perdono. Lo faccio sempre.»
***
Torna indietro
e dimmi perché mi sento come se mi fossi mancato
per tutto questo tempo.
Raggiungimi qui, stasera, e dimmi che non è tutto nella mia
testa. [2]
Casa è un posto diverso da quando Albus
lo vive con più spensieratezza. E Scorpius se lo
gode, dimentica il silenzio che ha scelto e torna a lasciare la porta aperta – spiragli.
Albus ride di nuovo tanto e lui
realizza quanto gli sia mancato solo in quei momenti – se pure non lo avrà mai,
saperlo felice sarà sufficiente.
Scorpius dimentica perfino il
rifiuto, perché a volte pensa che non ci sia, e altre, quando si convince che
non avrà mai di più di così, gli sembra che gli possa bastare comunque.
Torna a lasciare la porta aperta e qualche volta Albus fa capolino all’interno e prende in giro la sua
musica arcaica – poi in corridoio canta a squarciagola le canzoni di Celestina Warback, facendolo ridere.
Una notte, quando si sveglia per andare in bagno, Scorpius scopre che ha preso a lasciare la porta socchiusa
a sua volta – e fa capolino all’interno per guardarlo dormire per qualche
secondo.
Ricominciano a cenare insieme e Albus
lo rimprovera perché non si cucina mai un pasto decente. A ogni “Spostati,
faccio io”, Scorpius sorride e si appoggia al
ripiano per guardarlo armeggiare con le pentole.
Ritrovano il piacere delle serate sul divano – giocano a
scacchi, a Sparaschiocco, ma alla fine mollano sempre
a metà perché cominciano a divagare e a ridere e a chiamarsi scemi a vicenda.
Ed è Albus che una sera dice, proprio mentre Scorpius lo sta pensando, che gli era mancato. Lui non gli
recrimina niente – è troppo sereno per portargli rancore – e si limita a
sorridere.
Mi sei mancato anche tu.
***
Perché tutto ciò che so è che ci siamo detti “Ciao”
e i tuoi occhi sembravano un ritorno a casa.
Tutto ciò che so è un semplice nome – e tutto è cambiato.
Che il tempo che Albus ha chiesto sia
finito, Scorpius lo capisce una sera in cui infila la
testa nello spiraglio lasciato dalla porta aperta dell’amico.
È steso sul proprio letto con le braccia allargate e lo sguardo
al soffitto. Volta la testa e gli rivolge un’espressione pensierosa. «Ciao.»
C’è una dolcezza insolita in quel saluto, quindi Scorpius non può fare a meno di sorridere. Qualcosa si
agita dentro di lui. «Ciao.»
Albus non dice niente e continua a
fissarlo in quel modo incomprensibile – sta riflettendo, può leggerglielo negli
occhi – perciò pensa di lasciarlo solo e fa per andarsene.
«Scorpius.»
Non ha mai sentito il proprio nome pronunciato in quel modo –
né da lui, né da nessun altro. Si blocca sulla soglia, poi risponde a un
comando muto e va a stendersi sul letto accanto all’amico.
Lo sente muoversi e quando volta la testa scopre che si è
girato su un fianco e continua a scrutarlo. Sembra sul punto di parlare, ma
esita.
Anche Scorpius ha perso le parole –
vorrebbe pensare che gliele abbia rubate la sorpresa, invece la colpa è solo
dell’aspettativa. Lo studia e impiega tutta la propria forza di volontà per non
rispondere a ciò che gli legge nello sguardo.
Albus schiude le labbra, poi le
morde. Non dice, non fa, ma Scorpius non ha bisogno
di altro per comprendere ciò che vuole. D’altronde, ricorda a se stesso,
nessuno lo capisce quanto lui.
Cede, perché alla fine è ciò che si è reso conto di saper fare
meglio – è più naturale cedere che tacere. Cede e accosta la bocca alla
sua, e quando attende un istante per dargli modo di ritrarsi non è perché
considera di potersi sbagliare, ma solo perché vuole concedergli la possibilità
di cambiare idea.
Quando Albus non lo fa, Scorpius lo bacia.
Il modo in cui le labbra dell’amico si schiudono sotto le sue –
uno spiraglio – gli provoca una fitta allo stomaco. Scorpius
si agita mentre realizza di sentire sulla lingua il suo respiro – ed è tutto
nuovo, e strano, e bellissimo, e giusto.
La frenesia li porta a scontrare i denti e Albus
sorride della tenera goffaggine di entrambi. Scorpius
si separa da lui e allo stesso tempo lo cinge con un braccio per non lasciarlo
andare. «Sicuro?», domanda, guardandolo dritto negli occhi.
Lo conosce, saprebbe cogliere la minima esitazione nel suo
sguardo – e la teme, ma non può nascondersi, non più.
Albus annuisce e si assicura di mantenere
il contatto visivo.
Lo conosce, sa che ha bisogno di leggergli in faccia quella
conferma più che di sentirla dalla sua voce – e gliela dona, perché non può
nascondersi, non più.
«Sicuro.»
Tutto ciò che so è che hai tenuto la porta aperta (tu sarai mio
e io sarò tuo).
Tutto ciò che so da ieri è che tutto è cambiato. [1]
Si separano dopo pochi minuti – o forse dopo ore – e invero non
lo fanno mai più.
Scorpius ha fame, Albus
vuole preparare la cena. In cucina, mentre Scorpius lo
guarda armeggiare ai fornelli, Albus si volta e gli
rivolge una battuta maliziosa. Lui non resiste e raccoglie la provocazione.
Può figurarsela con chiarezza, la notte che li attende –
nessuna porta aperta, entrambi già nella stessa stanza. Se chiude gli occhi, riesce
a scorgere tutto ciò che fino a quel momento gli ha tolto il fiato e il sonno.
Sono immagini nitide – a un soffio dall’essere vere.
Albus lo vede pensieroso e inarca le
sopracciglia in una muta domanda. Poi, in realtà, la risposta gliela legge sul
viso e curva le labbra all’insù.
In quel gesto, Scorpius ritrova tutto
ciò che desidera. Sorride a sua volta.
Uno spiraglio – nuovo – tutto per loro.
Note: I paragrafi allineati al centro sono libere
traduzioni dei versi di due canzoni di Taylor Swift, rispettivamente Everything has changed [1] e You
belong with me [2].
Questa song-fic nasce dalla challenge “Everything has CHALLENGED (Taylor’s Version)” indetta da PinguinaMati,
alias VigilanzaCostante, alias Mati, e a lei è
dedicata, in occasione del suo compleanno e come regalo anticipato di Natale. I pacchetti
scelti sono, appunto:
You belong with me
Prompt: “If you could see that I’m the one | Who
understands you | Been here all along | So, why can’t you see? | You belong with me”
Trope: Best friends to lovers
Situazione:
i personaggi sono coinquilini o vicini di casa.
di cui ho adottato tutti gli elementi, e anche:
Everything Has Changed
Prompt: “Your eyes look like coming home”
Trope: Childhood
friends to lovers
Indicazione:
Personaggio A ha i capelli rossi.
per il quale non ho inserito l’indicazione e ho rispettato il trope solo in parte (perché Albus
e Scorpius sono amici dal primo anno a Hogwarts, ma non c’è una vera e propria infanzia condivisa).
A livello stilistico questa storia è stata
un vero e proprio esperimento. Non sono abituata a scrivere al presente, ma il
richiamo delle canzoni di Taylor era troppo potente per essere ignorato, quindi
ci ho voluto provare. Spero di essere riuscita a trasmettere almeno in parte il
senso di quotidianità e di affetto che ho associato a questi due personaggi per
tutto il tempo in cui ho pensato a questa one-shot.
In ogni caso, grazie a chiunque sia
arrivato a leggere fin qui.
Un abbraccio virtuale!
Futeki
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