IV
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Un Torneo da lunedì
«La sua non è una storia d’amore, ma
il primo atto di una tragedia, signor Barnes.»
Bucky scatta seduto nel letto a
baldacchino del dormitorio; tra le coperte la mano vaga d’istinto,
alla ricerca di una bacchetta che sa non esserci. Si volta nervoso a
cercarla sul comodino, ma qualcosa al suo fianco lo ferma prima: una
mano grande e calda che gli sfiora l’addome sotto il pigiama,
pizzicandogli i muscoli, solleticandogli la pelle.
Steve lo ha cercato nel sonno e ora lo
abbraccia, rendendogli difficile anche solo pensare di abbandonare
quel caldo giaciglio che condivide con lui.
«È già ora?» gli biascica il
grifondoro.
Bucky sorride, cerca oltre l’orizzonte
della finestra un’alba che per fortuna è ancora lontana e si lascia
ricadere sdraiato nel letto.
«No, fuori è ancora buio» risponde in
un bisbiglio. E poi che se ne fa dell’alba di fuori, quando il sole
ce l’ha nel letto, che sbadiglia e strofina la guancia sull’unico
cuscino in comune.
Steve ha un occhio aperto e uno chiuso
e lunghe ciglia bionde ad adombrarli, mentre ogni traccia di sonno
sparisce tra le lenzuola. È sempre stato un tipo mattiniero –
jogging, doccia, colazione e studio degli incanti è la sua routine
preferita prima dell’inizio delle lezioni, ma non oggi.
«Allora perché sei già sveglio? Sei
preoccupato per la Prova?»
Oggi è il giorno della Seconda Prova.
Oggi è il giorno di Bucky.
O così doveva essere.
Il tassorosso scuote il capo con
un’occhiata ironica. «Vuoi dire se sono preoccupato perché Odinson
ha deciso di prendere il mio posto all’ultimo minuto, senza alcuna
spiegazione, in una prova che prevede di andare nelle fogne? No,
cosa te lo fa pensare?»
Allunga le gambe sotto alle lenzuola,
le incrocia intorno ad una di Steve e la tiene per sé.
L’altro ride, insinua il braccio sotto
il collo, gli raccoglie la nuca tra le dita e lo tira a sé, per
averlo contro il petto, incollato al proprio corpo, con un’intimità
nuova che hanno ritrovato dal giorno del Ballo del Ceppo.
«Forse ha scoperto che la Terza Prova
sarà perfino peggio e preferisce affrontare il minore dei mali.»
«Già…»
«Ma non era quello il motivo per cui
sei sveglio.» A Steve basta uno sguardo per capirlo, per leggere tra
le interlinee del suo sospiro e nel morso con cui tortura il labbro
inferiore. «Qual è il problema, Buck?»
Bucky si stringe nelle spalle.
«Ho solo fatto un brutto sogno, uno di
quelli che non facevo da quando avevo undici anni.»
«Non sarà di nuovo quello in cui mia
madre ci rincorre per tutta Hogsmade con un mattarello engorgiato
perché abbiamo lasciato la mia stanza in disordine?»
La risata di Bucky è un suono soffuso,
che copre con la mano per evitare di svegliare i suoi compagni di
stanza. «Me ne ero dimenticato, è vero. Anche se a ben pensarci era
un mortaio, non un mattarello, ma posso capire la confusione visto
le tue scarse doti culinarie e pozionistiche.»
«Ne parli come se anche tu non facessi
pena in Pozioni.»
«Touché. Comunque no, era un altro
sogno stupido, non vale nemmeno la pena di raccontartelo.»
«Sicuro?»
Bucky annuisce e sorride.
Ha sognato di Diagon Alley, della
prima volta che l’ha visitata insieme a Steve, entrambi eccitati
dall’idea di frequentare Hogwarts, di poter stare ancora insieme,
nonostante la condizione di Rogers. Ha sognato il negozio di
Olivander e le parole che il vecchio mago gli ha detto il giorno in
cui lui e Steve hanno acquistato la loro prima bacchetta – un futuro
confezionato, una profezia che sembrava appena uscita da un biscotto
della fortuna andato a male. Una storiella per spaventare i bambini.
«Sicurissimo» afferma accoccolandosi
meglio contro il grifondoro.
«D’accordo.»
La mano di Steve si chiude più forte
alla sua vita e a quella stretta, bussa alla sua porta il ricordo
delle dita del professore di Durmstrang, la loro stretta, la loro
carezza.
Ruota il capo a inquadrare con lo
sguardo il comodino, là dove il piccolo Alpine dorme tranquillo su
un cuscino colorato, stringendo tra le zampette una bacchetta in
legno di quercia rossa, come un piccolo guardiano peloso.
«Non c’è davvero nulla di cui
preoccuparsi.»
⍣
A Tony non piace, non piace per niente
tutta quella situazione.
Chi è il genio che ha pensato che un
lunedì mattina fosse adatto per una prova del Torneo Tremaghi? Se è
vero che il settimo giorno perfino Dio si riposò, è anche vero che
il lunedì era riuscito a malapena ad accendere una luce – e loro
dovrebbero uscire sani, salvi e vincitori da una prova del torneo
più importante della storia delle Scuole di magie e stregoneria?!
«E siamo pure bloccati qui dentro»
borbotta, senza avere la più pallida idea di dove precisamente sia
“qui dentro”.
È un’aula dismessa del Castello e qui
finiscono le informazioni in suo possesso.
Le finestre sono chiuse da un
Colloportus, coperte da un incantesimo oscurante che rende
l’ambiente ancora più cupo di quanto sia necessario. Una parte di sé
si aspetta che, dall’armadietto traballante pieno di tarli
nell’angolo, faccia il suo ingresso un Molliccio, o che le travi di
legno del pavimento si aprano in una voragine, che li farà finire
tra le spire di un Basilisco – perché è sicuro che ce ne sia uno
nascosto da qualche parte lì dentro, alla faccia del “non c’è luogo
più sicuro al mondo di Hogwarts”.
La porta è chiusa a chiave, sul legno
è incisa una delle rune di Strange: Manaz, la runa della
prudenza e dell’umiltà – a Stark viene già da ridere –, in
combinazione con un simbolo che non ricorda di aver mai studiato, ma
che non promette niente di buono.
Quando hanno decifrato l’indizio che
ha recuperato nella Prima Prova, non si aspettava un’arena tutta per
loro, ma almeno un palchetto. Una pedana. Un pubblico!
Invece, dopo il fischio d’inizio,
tutti i nove Campioni sono stati invitati a toccare una Passaporta e
lui e Barnes si sono ritrovati bloccati in una stanza che puzza
d’ascella, senza nessuno a fare il tifo e nessuno a cui chiedere
spiegazioni.
L’unica cosa presente, che non faccia
parte del menù dei tarli, è una lavagna con uno scarabocchio di
linee a gesso colorato e una scheggia di vetro abbandonata su una
cattedra.
Se già questo basterebbe ad
accendergli una spia d’allarme, c’è anche la questione della
bacchetta.
Si tasta le tasche, assicurandosi di
avere ancora la propria, per quanto dubita potrà essergli d’aiuto.
Sotto le dita, percepisce la rotondità del legnetto di noce. C’è, è
ancora in mano sua, lo stesso però non può dire di Odinson – prima
che il suo corpo venisse risucchiato dalla Passaporta, è certo di
aver visto un bagliore illuminarsi intorno alla tasca del serpeverde
e la sua bacchetta rimanere a terra.
Che se lo sia immaginato?
«Qualcosa non torna, questa prova non
ha senso, come dovremmo superarla secondo loro?» continua a
lamentarsi, e visto che non è stato dato loro nemmeno il numero del
servizio reclami, è a Barnes che rivolge ogni lagnanza, come se il
ragazzo non si trovasse nella sua stessa situazione.
Bucky non lo guarda nemmeno, stanco di
sentirlo, afferra il frammento di vetro che ruota e osserva, alla
ricerca di un indizio sulla sua utilità. «Questo dev’essere per me.
Sanno che sono bloccato qui con te e mi hanno concesso un modo per
farla finita.»
Tony schiocca la lingua contro il
palato.
«In questo caso non lasciare che ti
distragga, Barnes, procedi pure.» Ma sulla lavagna, tra gli
scarabocchi di linee colorate, si aggiunge un nuovo colore. «Ehi,
quel puntino giallo c’era anche prima?»
Bucky alza la testa a controllare e
no, è sicuro che non ci fosse alcun puntino tra quelle linee.
«Cosa credi che sia?»
Tony tende la mano al tassorosso e si
fa consegnare il frammento di vetro; non appena è tra le sue dita,
un puntino rosso brillante si aggiunge a quello giallo.
«Siamo noi» afferma.
Lo scarabocchio ora prende senso, le
linee che si intersecano, gli spazi vuoti, l’area del disegno.
«Silente, vecchio pazzo…» mormora tra
sé. «È la mappatura dell’impianto fognario di Hogwarts. Guarda, se
ne tracci il perimetro, questo diventa l’ingresso del castello,
quelle zone in cui le linee aumentano sono le Serre e il Lago Nero e
i due puntini siamo noi. Mentre Odinson… a-ah, eccolo qui!» Batte
l’indice sulla lavagna, nel punto preciso in cui un puntino verde
smeraldo ha iniziato a brillare, proprio al centro della mappa, tra
linee che si intersecano in labirinti di gallerie che conducono
chissà dove.
Sceglie un gessetto rosso, tra quelli
colorati sparpagliati sul ripiano della lavagna, e fuori dai bordi
dell’impianto, e con una scrittura elegante che non ti aspetti da
chi preferisce battere a computer o delegare il piacere a una piuma
auto-inchiostrante, mette per iscritto i quattro punti cardinali.
«Se diamo retta a questa mappa, noi ci
troviamo a sud rispetto a Odinson, mentre l’uscita più vicina
dovrebbe essere questa, quella che sbocca a nord-ovest, sul Ponte
del Viadotto.»
Bucky lo osserva pensieroso, si poggia
con il sedere contro il bordo della cattedra e incrocia le braccia
al petto.
«Ti ricordi ancora le parole
dell’indizio che hai trovato nel cilindro?» chiede.
Stark la prende come un’offesa – sul
suo curriculum c’è scritto genio, playboy e filantropo, nessun
accenno alla sua ottima memoria, ma non ha preso dodici
Eccezionali ai G.U.F.O. per mera grazia divina.
«Iniziamo con le domande stupide,
davvero Barnes? È il tuo modo di gestire le emozioni nelle
situazioni stressanti?»
«Sì o no, Stark.»
«Ovvio che sì, per chi mi hai preso,
per uno dei tuoi amichetti tassorosso? O per Rogers?»
«Non mettere in mezzo Steve, ha una
memoria di ferro. Ok?»
«Quindi ammetti che per i tassorosso
invece non c’è speranza?»
Bucky non risponde, inala pesantemente
dal naso e rimane a guardarlo, in attesa che smetta con i vanti e le
perculate e gli conceda la grazia di un commento utile.
Il sorrisetto di Tony sembra suggerire
che ne abbia ancora da dire, ma lo sguardo di Barnes è una fiocina
puntata alla tempia che inizia a pesare e renderlo nervoso, non c’è
da stupirsi che Rogers sia pronto a scattare sull’attenti ogni volta
che Begli Occhi gli si rivolge.
«“Tic-tac – inizia a recitare – tre
ore batte il tempo; tac-tic, scopri l’uscita nel frattempo. Il
labirinto è infradiciato; nessun incanto avrai come alleato. I tuoi
compagni ascoltare dovrai, o da solo lontano non andrai. Loro
saranno il tuo unico aiuto.”»
«E non ti sembra sia strana?»
«Mi prendi in giro? Da dove partire:
dal sadismo di Silente? Dalla costruzione mediocre delle frasi?
Dall’uso di suoni onomatopeici che compaiono a caso senza che venga
creata una struttura coesa? Dalla superficialità con cui non si sono
nemmeno degnati di finire l’ultimo verso con la rima baciata? Dal
divieto di usare la magia in un torneo di Magia? È la fiera delle
assurdità assurdità, Barnes!»
«Eppure Silente non è uno
sprovveduto.»
«Meh, questo è tutto da dimostrare.»
«Sono serio, Stark.»
«Ok, ok, cos’hai in mente? E voglio
sperare non c’entri con pacchi, salsicce o piselli, perché porto
ancora i segni dell’ultima volta.»
«La tua faccia sta benissimo.»
«Non tutti i traumi sono visibili,
Barnes. Non tutti i traumi.»
Bucky si chiede se sia troppo tardi
cambiare squadra e chiedere asilo a quelli di Beauxbatons. Conosce
poco e male il francese, ma impara in fretta ed è sempre stato
portato per le lingue.
«Quello che voglio dire è che non
sembra un indovinello ideato da Silente.»
Tony deve dargli ragione, il loro
preside è una volpe travestita d’agnello, ma tutto ciò che fa è per
il bene dei suoi studenti – o perché ciò che non ti uccide ti
fortifica, se però ti uccide non c’è alcun insegnamento.
«Credi che qualcuno abbia modificato
la filastrocca, per cancellare un indizio utile al superamento della
Prova?»
Bucky annuisce. «È possibile, no? Lo
hai detto tu stesso, un Torneo di Magia senza la magia è quanto di
più improbabile esista. Ci dev’essere una rosa di incanti che non
rientra nel divieto di utilizzo, qualcosa a cui di solito non
penseresti mai.»
«Giusto, qualcosa che testi
l’intelligenza dei Campioni.» concorda Tony. Lascia cadere sulla
scrivania il gesso che ha torturato finora tra le dita, e che gli ha
lasciato una macchia rossa sui polpastrelli, e prendendo slancio
balza seduto sulla cattedra, sfidando la sorte e le quattro gambe
sgangherate che non si rompono per puro miracolo. «L’unico problema
è che non solo non sappiamo di cosa si tratta, ma Odinson non
avrebbe comunque modo di eseguirli perché non ha la sua bacchetta.
Di bene in meglio.»
E non c’è bisogno di tirare a
indovinare chi possa essere il colpevole di quello scherzetto per
nulla divertente.
«Hai avuto problemi con Durmstrang?»
chiede a Barnes.
«Sì, Brock Rumlow, uno dei loro
Campioni, mi ha preso in antipatia senza motivo. Perché?»
«CVD.» Come volevasi dimostrare.
«Perché anche Loki ha fatto colpo. O è più giusto dire che il colpo
l’ha messo a segno lui sul Monte Everest ambulante della Prima
Prova, ma qualcosa mi dice che nemmeno prima le cose tra loro non
fossero tutte rose e fiori.»
Tipico di Odinson, riuscire a seminare
nemici e odio ovunque punti lo sguardo.
«Ora che ci penso, prima che Nat ci
interrompesse, Rumlow ha fatto un commento strano. A lei ha detto
che voleva mi ritirassi dal torneo, ma in realtà la sua era stata
una battuta sulla Seconda Prova, come se fosse sicuro che l’avrei
affrontata io. In quel momento non ci ho pensato, perché abbiamo
sempre dato tutti per scontato che sarei stato io ad affrontarla, ma
non ha senso che lui lo sapesse.»
«A quanto pare ci tenevano d’occhio.
Devono averlo scoperto quando ne abbiamo parlato. Anche se non vedo
il motivo di darsi la pena di scoprirlo, un mago senza bacchetta è
fregato comunque, a prescindere da chi sia.»
Per Bucky invece il motivo inizia a
prendere forma: il Torneo, Durmstrang, Rumlow, la Prova e Baron Zemo.
Scivola con la mano sinistra alla
vita, ricalcando le impronte che erano state del professore di
Durmstrang, scivolando verso la cintura così come è successo durante
la lezione, in una carezza che intima non è mai stata, ma che ha
sempre e solo puntato a—
«Maledizione!» Tony scatta in piedi di
colpo.
Bucky allontana la mano da sé, come se
si fosse scottato.
«Non dovremo avvertire il preside?»
domanda, ma la sua mente corre altrove, a Steve – avrebbe dovuto
raccontargli il suo sogno quella mattina e metterlo in guardia.
Tony però solleva le spalle in una
scrollata nervosa. «Siamo bloccati qui e dall’aspetto di quelle
Rune, scommetto che se dovessimo uscire da quella porta prima del
tempo, perderemmo la prova. Che lo vogliamo o no, la nostra unica
speranza risiede nelle mani squamose di un serpente traditore con
daddy issues e un odio per l’umanità.»
Ah, non c’è più dubbio, è proprio un
maledetto lunedì!
⍣
Loki apre gli occhi e affonda in
un’oscurità umida, che puzza di scarico e gocciola sulla sua testa.
Lo sguardo si abitua lentamente al buio, distingue il poco che lo
circonda: pareti melmose che curvano verso il soffitto e quattro
sbocchi che danno accesso a quattro direzioni diverse.
Si trova seduto in una pozza d’acqua
sporca dell’impianto fognario di Hogwarts, una delle possibilità che
aveva valutato insieme agli altri due cosiddetti compagni di squadra
– e se respirare, ora, non gli creasse tanti problemi, riderebbe
all’assurdità di essere costretto a fare gioco di squadra con gente
di cui a malapena riconosce l’esistenza.
È immerso in un lezzo da cui non può
sfuggire, che gli accartoccia lo stomaco con la voglia di vomitare.
Se c’è mai stato un momento adatto per rivalutare le proprie scelte
di vita, questo è quel momento; al diavolo il Torneo, al diavolo
Silente, Fury, il resto degli organizzatori e, soprattutto, al
diavolo Durmstrang – se non fosse per loro non si troverebbe
sommerso dagli scarichi di un intero Castello.
È anche vero, che se non fosse per
quegli inetti grossi come un Thor e stupidi altrettanto, non avrebbe
mai nemmeno scoperto che uno degli oggetti più potenti mai creati al
mondo si trova proprio ad Hogwarts.
La divinazione runica è un’arte
complessa, che non accetta compromessi; è un rituale sacro in cui
ogni dettaglio influisce e ogni minuzia può modificarne l’esito, c’è
un tempo e un luogo per ogni lettura. La notte di luna piena di
pochi giorni addietro è stato il momento perfetto per Loki per
interrogare le sue Rune.
Le sua fidate Rune gli hanno
raccontato della vittoria di Hogwarts nel Torneo Tremaghi, ma del
dominio di Durmstrang sul mondo; gli hanno detto che una reliquia
potente sarebbe caduta nelle mani sbagliate e che sarebbe stata la
causa di una guerra oscura.
Tutto perché Durmstrang ha scoperto il
segreto di Rogers e Barnes e vuole sfruttarlo per i suoi scopi.
Ma ora, quel segreto, lo conosce anche
lui.
Loki si solleva in piedi ed è
finalmente pronto ad affrontare la prova. Non è uno sprovveduto, non
è venuto impreparato: spalanca la bocca, infila due dita sino alla
gola e afferra sotto le unghie la sottile membrana umida che gli
ricopre la lingua di un blu traslucido.
Sono ali di Billywig intinte di
polvere di pietra del sole. È un artificio per bambini quello, un
trucco che ogni pozionista con un minimo di conoscenza ha provato
almeno una volta; e se Thor da piccolo si divertiva a guardare i
suoi pupazzi esplodere sotto il bombarda di suo padre, Loki
preferiva passatempi più stimolanti, come leggere i tomi di alchimia
e pozioni nella biblioteca di loro madre e scoprire le proprietà
magiche delle ali di Billywig. Se essicate e messe a contatto con la
polvere di pietra del sole, le ali riacquistano il loro moto
originario – è una semplice reazioni magica, le ali volano perché
cercano la luce del sole, ovunque si trovino, e, nel caso di Loki,
la luce del sole corrisponde anche all’uscita di quel labirinto
fognario.
Sul palmo della mano, però, le ali
rimangono immobili, morte come la creatura magica a cui sono state
strappate.
Loki sospira e sa che non sarebbe
stato così semplice.
Osserva le pareti che lo circondano,
notando i segni asciutti sulla pietra, intoccati dall’umidità e
dall’ambiente – simboli runici che formano un potente incanto che
blocca ogni utilizzo della magia.
Con la mano libera sfiora una delle
rune. Una scintilla rossa si accende nel punto in cui l’ha toccata e
una stilla di dolore lo costringe a ritirare la mano.
Sono opera del professor Strange,
nemmeno uno studente dotato come Loki può pensare di romperle, ed è
in fondo ciò di cui Silente gli ha avvertiti, quando ha annunciato
l’inizio della seconda prova:
«Finché il blocco degli incanti è
attivo, la magia sarà vietata. Avete tempo tre ore, per trovare
l’uscita, buona fortuna!»
«Questo lo vedremo…» mormora Loki, e
anche se per ora le ali di Billywig sono inutili, non ha fretta, la
Prova è appena cominciata e ciò che gli serve è solo l’occasione
giusta.
«Torre di controllo a Maggiore Tom!»
Qualcuno parla, la voce viene dal
basso, ovattata, sommersa.
Loki guarda in basso e si accorge che
c’è qualcosa immerso nella poltiglia liquida in cui era seduto: un
pezzo di vetro che si è appena attivato e in cui compare la
metà superiore del volto di un ragazzo.
«Torre di controllo a Maggiore Tom, mi
ricevi[1]?»
ripetono dal frammento.
Loki è quasi tentato di far finta di
niente e lasciarlo lì dov’è.
«Guarda che ti vedo che mi stai
ignorando, Odinson!»
«E puoi biasimarmi, Stark?»
Di malavoglia, si china ad afferrare
quello che più avanti scoprirà essere un Frammento di Specchio
Gemello, su cui si riflette il volto di Tony che si tira indietro,
quel che basta per inquadrare lo sfondo di quella che sembra un’aula
abbandonata.
«Perché ti trovi in una cassa da
morto?» domanda.
Tony storce il naso. «Parla quello che
si trova nella valle incantata degli scarichi.»
E Loki torna a considerare l’idea di
gettare il frammento di specchio a terra e romperlo sotto al tacco
della scarpa, se non fosse che ha bisogno di quel grifondoro del suo
aiuto per poter uscire di lì il prima possibile.
Barnes, però, strappa di mano il
frammento a Tony ed è suo, questa volta, il riflesso che Loki vede
nello specchio.
«Qualcuno sta sabotando le nostre
prove. Pensiamo che tu sia l’unico dei campioni a cui non è stata
lasciata la bacchetta.»
«“Qualcuno”. Tanto vale fare nomi e
cognomi: “idioti” di nome e “di Durmstrang” di cognome!» si
inserisce di nuovo Tony.
Il serpeverde inarca un sopracciglio.
«E ci siete arrivati soltanto adesso?»
«Tu lo sapevi e non hai detto niente?»
«Perché dovrei dire qualcosa su una
prova che tanto incerò?»
Tony torna ad avvicinarsi allo
specchio, premendo la guancia contro quella del compagno tassorosso
finché a fissare Loki non rimangono che occhi nocciola incorniciati
da lunghe ciglia: «Che cos’hai fatto, Odinson?»
«Voi preoccupatevi di darmi le
indicazioni corrette, il resto è cosa mia.»
«Wo, wo, wo, non ti sarai portato
dietro qualcuna delle tue pozioni, vero? Come? Sei stato controllato
all’inizio della prova!»
Loki sorride, finalmente qualcuno che
riconosca la sua astuzia.
«Eww, non dirmi che l’hai nascosta
come si fa in prigione!»
Loki non sorride più.
E ora di che diavolo sta parlando?
«Insomma, su per il…» non contento
Stark gesticola con l’indice in un’esposizione visiva di cui non
c’era assolutamente bisogno.
«Appena riavrò la mia bacchetta, sarà
il primo posto in cui ti lancerò i miei incanti.»
«Non se ti lascio lì ad affogare nella
merda. Letteralmente.»
E questo è uno dei motivi per cui Loki
non ama il gioco di squadra; preferisce la sudditanza all’amicizia,
i servi ai compagni di squadra, sono più utili, meno rumorosi e a
differenza di Stark non riconoscono il vantaggio quando ce l’hanno.
«L’uscita, Stark. Non è a questo che
servite?» sibila in un tono che arriva forte e chiaro anche
dall’altra parte del vetro.
Bucky spintona via Tony, riprendendo
pieno possesso del frammento di Specchio gemello e della propria
guancia, su cui passa il dorso della mano, infastidito dalla troppa
vicinanza col ragazzo – quasi fosse un tradimento a Steve.
«C’è una mappa qui nell’aula, ti
abbiamo localizzato e dovresti essere da qualche parte al centro
dell’impianto fognario. Se è tutto corretto dovrebbe esserci uno
sbocco a nord, lo vedi?»
Loki osserva la grata aperta di fronte
a lui. Dal fondo arriva un gorgogliare poco invitante e suoni che lo
tormenteranno a lungo nei suoi peggiori incubi, ma all’idea di
vincere la prova si è aggiunta la delizia di poter strappare la
lingua a Tony Stark e quella è una motivazione più che sufficiente
per convincerlo.
«Lo vedo.»
«Perfetto. Il condotto, si dirama in
due direzioni, ma tu prosegui finché non—»
Bucky tace all’improvviso e quando
Loki riabbassa lo sguardo sul vetro che ha tra le mani, il riflesso
allo specchio è il suo e il serpeverde scopre che la loro
connessione ha un tempo massimo.
Il tempo scorre in maniera diversa
quando a circondarti è un tanfo così pesante che senti fino in
bocca, un gusto oleoso che impasta la lingua di Loki e gli arrossa
gli occhi.
Sta camminando da parecchio ormai,
abbastanza da trovarsi davanti alla diramazione di cui i due
compagni gli hanno parlato.
Continua dritto, prosegue, con le
scarpe che non vede l’ora di bruciare e che lasciano dietro di lui
rumori di passi umidi, una colonna sonora di “plotch – plotch”
che fa schifo al solo pensarci.
A quel rumore se ne aggiunge un altro
e Loki ferma il passo.
Guarda il frammento di Specchio
Gemello; occhi di smeraldo lo fissano di rimando con aria seccata e,
nascosto nell’angolo, dove lo sguardo non arriva, riconosce la
paura.
Qualcosa si muove tra le fogne e lui è
disarmato.
Se vestisse i panni di Thor non
avrebbe il minimo timore – un pugno basterebbe a schiacciare ogni
minaccia, ma le mani di suo fratello sono grosse e dure, quelle di
Loki invece sono dita sottili ed eleganti che a fare a pugni hanno
sempre perso.
Si guarda intorno, cercando qualcosa
che possa usare come l’arma, finché non scorge l’ombra di una
creatura e poi i suoi tentacoli. È un Avvincino, dalla statura
leggermente più grossa della media, la pelle color melma, rotondi
occhi gialli tranciati a metà dall’ovale orizzontale della pupilla e
piccoli denti aguzzi che mette in mostra non appena adocchia il
serpeverde.
È un verso graffiante e acuto quello
della creatura, come unghie che grattano sulla lavagna. Striscia
lungo la pavimentazione di pietra e cemento, prendendo velocità dove
lo strato di acqua putrida è più alto.
Dita puntute, unite da una membrana di
pelle si tendono con cattiveria verso gli occhi di Loki e l’Avvincino
attacca – si aggrappa a un polso, lo stritola in una presa di ferro
che non ci si aspetta da una creatura così piccola, e con l’altra
mano spazza verso il suo volto, graffiandolo a una guancia, appena
sotto l’occhio.
«Piccolo miserabile…»
Gocce cremisi rotolano lungo gli
zigomi di Loki, sente la consistenza densa del sangue macchiargli la
pelle. È stato fortunato, ha tirato indietro la testa appena in
tempo e con uno scatto della mano ha afferrato le tre lunghe dita
della creatura. Sono viscide, dalle ossa così sottili che a Loki
basta stringere un po’ di più la presa, per spezzarle in un colpo
solo.
L’Avvincino urla e si dimena e quando
la sua presa viene meno, striscia via, immergendosi nella melma ai
loro piedi e scomparendo sul fondo del condotto da cui il serpeverde
è arrivato.
«E se tu e i tuoi compagni volete
vendicarvi, venitemi pure a cercare nella Torre Grifondoro, il letto
è quello di Thor Odinson!»
Ridacchia sottovoce, maligno e
vittorioso.
«Dimmi che non erano ratti, Odinson.
No, dimmi che non hai mandato un branco di ratti alla Torre
Grifondoro!»
Lo specchio gemello ha ripreso vita e
Tony ha sentito le sue ultime parole rivolte all’Avvincino.
«Non erano ratti.» Dovrebbe suonare
come una rassicurazione, ma la bocca di Loki non conosce conforto e
quel che ne esce ha l’intonazione fredda di una minaccia.
Tony rabbrividisce e vorrebbe non
averlo mai chiesto.
«E allora cos’erano?»
«Dammi quello specchio!» Bucky
interviene a gamba tesa, col tono seccato di un fratello maggiore
alle prese con le due pesti più piccole. «Possiamo collegarci con
Odinson per un tempo limitato, smettete di farvi la guerra e perdere
minuti preziosi.»
«Ha cominciato lui.»
«Vuoi vedere come ti finisco io,
Stark?»
«Scusa tanto mamma~»
Lo ignora, si concentra su Loki e ne
scorge la ferita alla guancia.
«Tutto bene, Odinson?»
«Starò bene quando tornerò a respirare
aria pulita.»
«In questo caso, al prossimo bivio
prendi il canale alla tua sinistra, dovrebbe portarti a nord-est,
appena sotto l’aula di pozioni. Lì però le cose si fanno complicate,
c’è un simbolo sulla mappa che non riusciamo a decifrare; pochi
minuti fa ne è comparso uno simile proprio prima che riuscissimo a
contattarti.»
«Fammi vedere.»
Bucky ruota il frammento verso la
lavagna, riflette la mappa, le linee colorate, il punto verde di
Loki così vicino ai puntini luminosi che simboleggiano i due
compagni di squadra, eppure così lontano. E poi troppo piccolo
perché possa riuscire a decifrarlo, un simbolo scuro si muove avanti
e indietro lungo il condotto che dovrebbe trovarsi sotto l’aula di
pozioni.
«Potrebbe essere un altro Avvincino, è
la creatura che mi ha attaccato prima» commenta pensieroso,
iniziando ad avviarsi verso la direzione che gli è stata suggerita.
A quel punto non c’è molto altro da
dirsi, il loro non è un gruppo di amici con cui confidarsi e quella
non è una scampagnata tra i boschi. A tenergli compagnia, oltre lo
sguardo di Barnes che vaga dallo specchio alla mappa, ci sono gli
sbuffi annoiati e rumorosi di Stark che provengono da qualche parte
dell’aula dismessa.
«Quindi, se dovessimo vincere la
coppa, posso tenere il trofeo?» lo sente domandare.
Sullo specchio si riflette la nuca del
tassorosso, quando si gira a puntare lo sguardo sul fondo dell’aula.
«No che non puoi.»
«Quel trofeo ha già il mio
nome» annuncia Loki, non ha alcuna intenzione di dividere la gloria
con quei due inetti.
«Vi ricordo che esiste un’intera
stanza dei trofei nel Castello, cosa vi fa credere che lo lasceranno
proprio a voi?»
Tony torna a sbuffare. «Era tanto per
chiedere, in cambio ero disposto a rinunciare al premio in denaro.»
«Com’è generoso da parte tua. E
ricordami, a quanto ammonta il patrimonio degli Stark?»
«Non per vantarmi ma…» c’è una lunga
pausa prima che pronunci «…due.» e la vanità di Tony si chiude su
uno sguardo confuso in direzione della lavagna.
C’è un altro momento di silenzio.
Loki guarda lo specchio, dove il
riflesso di Barnes sobbalza, come se il tassorosso stesse
camminando.
«Che diavolo… Si sono sdoppiati» gli
sente dire e non capisce cosa stia succedendo, sa solo che se ha
fatto bene i calcoli, dovrebbe essere arrivato in prossimità del
condotto che passa sotto l’aula di pozioni.
«I simboli si sovrappongono…» riprende
il tassorosso.
E poi.
«Merda! Odinson, torna indietro!»
l’urlo di Tony è improvviso, il tono spaventato mentre realizza
finalmente l’orrore della situazione.
«Come sarebbe a dire indietro?»
«Togliti immediatamente da lì!»
Ma è troppo tardi e prima che il
ragazzo possa spiegargli che non è un solo simbolo quello che hanno
visto, che non sono due, ma almeno un centinaio, tutti ammassati
nello stesso punto che si muovono come uno sciame nero, il
collegamento con lo Specchio Gemello si perde.
Loki è di nuovo solo, solo con
centinaia di zampette e cheliceri e occhi a palla che gli stanno
puntando addosso: un centinaio di Chizpurfle che per qualche oscuro
motivo sono grossi quanto granchi e formano un’orrenda macchia nera
e semovente lungo tutte le pareti.
Dietro di sé corre una linea ritta e
nessun posto in cui nascondersi, il bivio che ha intrapreso troppo
lontano, non lo raggiungerebbe mai in tempo, ma le gambe si
rifiutano di muoversi e nelle orecchie rimbomba l’orrido suono di
cento bocche che masticano e centinaia di zampe che battono sulla
pietra umida.
La prima reazione istintiva è un
calcio contro le creature, li lancia lontani, a fracassare il
carapace contro le pareti umide di un condotto che puzza di merda e
di trappola.
«Non osate avvicinarvi!»
Ma Loki possiede solo due gambe e i
Chizpurfle continuano ad avanzare, si aggrappano ai suoi calzoni, si
arrampicano pinzandogli le cosce tra le chele. Ad un Chizpurfle se
ne somma un secondo e poi un terzo e un quarto e quando infine
decine di quegli affari gli pesano addosso, viene trascinato in
ginocchio.
Avete una qualche idea di chi
sono io? Vorrebbe gridare loro, perché
nessuno ha il diritto il metterlo in ginocchio! Eppure ricade su se
stesso, con le braccia incrociate a proteggere la testa, mentre la
macchia nera lo inghiotte e centinaia di quelle creature gli
camminano addosso, ruminandogli tra i capelli, sui vestiti, affamati
di magia. Lontano, in un altro condotto, sente l’eco di un grido
disperato – qualcuno che ha probabilmente subito la sua stessa
sorte, ma che a differenza di Loki possiede qualcosa che i
Chizpurfle vogliono: una bacchetta.
Loki strizza gli occhi, agita un
braccio intorno a sé per liberarsi di quelle creature, ma non
finiscono mai, come riesce a scacciarne uno altri dieci prendono il
suo posto, finché non ne è completamente sommerso.
Si chiude a bozzo, la fronte quasi
immersa nella melma ai suoi piedi e una verità che pesa ora più che
mai. È solo, di quella solitudine che da bambino gli riempiva gli
occhi d’invidia mentre guardava alla schiena di Thor e non osava
tendere la mano, di quella solitudine in cui suo padre lo ha
costretto, quando ha scoperto di non essere suo figlio, ma solo la
mossa arguta di un politico. E se prima aveva almeno la magia, le
sue conoscenze, il suo potere, in quelle fogne rimane solo
l’umiliazione di un pantano di melma.
Loki serra i denti e come quando era
piccolo, chiama l’unica persona che lo abbia mai amato senza
chiedere nulla in cambio.
«Ma… madre…»
Al di là dei cheliceri che masticano
l’aria, il gocciolio dell’acqua muta, dapprima è un suono lieve, una
nota che sale e rimbalza tra le pareti, che scivola sotto il pelo
dell’acqua sporca e si allarga, si moltiplica e la nota diventa
musica e allora tutto si ferma.
I Chizpurfle, come ratti sotto il
giogo in un pifferaio, si allontanano in una scia ondeggiante, che
si muove da un lato all’altro del condotto e ne lascia libero il
mezzo.
Il corpo di Loki torna alla luce – o
al semibuio di una fogna, ma quel che conta è che le creature che
prima lo attaccavano ora non ci sono più. E lui si tira sulle
ginocchia, i capelli gocciolanti e una nenia di tanti anni addietro
che gli entra nelle orecchie e si deposita nel cuore, insieme alla
voce di sua madre e al sue gentili braccia quando lo cullavano
contro il petto.
Sulla guancia cola una lacrime sporca,
che forse è acqua o forse è sua, ma che di certo sa di una calda
nostalgia, che lo riporta alle giornate di sole con sua madre in
giardino o a quelle di pioggia in biblioteca. Con lei. Che c'era
sempre. Con lei. Che non può più chiamare madre.
Quando il canto smette, Loki si
risveglia dalla trance in cui è caduto e si guarda intorno.
«C’è… c’è qualcuno?» domanda al nulla.
«Finalmente!» E il nulla gli risponde
con la voce di Tony Stark.
Con una smorfia cerca il frammento di
Specchio Gemello caduto lì vicino. Si aspettava qualcosa di diverso,
un Maride probabilmente o forse è stata solo la sua immaginazione,
ma quando fa per alzarsi le gambe formicolano addormentate.
Quanto è rimasto fermo in quel
condotto?
«Sei ancora intero, Odinson?» gli
chiede il grifondoro.
Loki massaggia le cosce con una
smorfia. «Non certo per merito vostro. Quanto manca allo scadere del
tempo?»
«Circa quarantacinque minuti, ma se
corri dovresti farcela, rimangono soltanto tre condotti da
percorrere. Il primo dovresti incontrarlo a breve, è a pochi metri
davanti a te. Assicurati di prendere quello che va in direzione nord
ovest.»
Guarda davanti a sé ed è vero, a una
decina di metri di sé si dirama un nuovo bivio.
Si rialza a fatica, con la voglia di
porre fine a quella maledetta prova che lo sta testando molto più di
quanto è disposto ad ammettere. Sta per imboccare il condotto alla
sua sinistra, quello che si dirige a nord ovest, ma si ferma, guarda
alle proprie spalle e rimane in ascolto.
Il canto del Maride ormai tace, ma non
molto distante l’acqua gorgoglia e sotto ai suoi piedi il livello si
è alzato, fin quasi ad arrivargli alle ginocchia.
«Dove conduce l’altro condotto?»
Dopo un paio di secondi di silenzio in
cui Stark sta ricontrollando la mappa, il ragazzo gli risponde: «Da
nessuna parte.»
«Siete sicuri?»
«È una mappa fatta di stanghette
colorate, quanto credi sia difficile da leggere? Sì, siamo sicuri! E
ora imbocca la maledetta strada di sinis… Odinson?» Tony lo chiama,
ma Loki non risponde e riprende la sua strada.
È ora di farla finita.
«Perché la mappa mi indica che stai
andando a destra? Odinson? Odinson!»
Lo specchio cade a terra.
Sbarre di ferro grosse come un braccio
gli bloccano il passaggio.
Loki le stringe tra le mani, respira a
bocca aperta, gonfiando i polmoni, col fiato ancora pesante per aver
corso.
Si guarda intorno, circondato da rune
che riesce a notare a malapena sulla nuda pietra, tra le crepe da
cui l’acqua spilla senza fine. Ha gambe lunghe Loki, è un corpo alto
e slanciato, ma l’acqua sale fino a raggiungergli le ginocchia. Non
è un condotto, ma una trappola mortale e quando le crepe si aprono
sotto la pressione di un lago che si trova dall’altra parte del
muro, l’acqua si riversa nel condotto a secchiate.
Il primo getto lo travolge in una
doccia gelata, che gli lava via la stanchezza e gli pompa adrenalina
in tutto il corpo. Cade, stare in piedi è impossibile, ma invece di
finire a terra, finisce sbattuto da un’ondata contro la parete
opposta del condotto, tra rune che si accendono di barbagli rossi e
gli pizzicano la pelle.
Pochi istanti, un condotto
allagato e Loki si ritrova sommerso, con la mano premuta alla bocca
e al naso per combattere contro l’istinto di sopravvivenza che gli
urla di respirare – una boccata, solo
quella, non deve fare altro...
Il corpo si dimena alla disperata
ricerca d’aria, di bolle d’ossigeno da rincorrere o di una via di
fuga. Intorno a lui, le rune si accendono di un colore rosato,
illuminano l’intero condotto come luci al neon in un acquario, con
l’unica differenza che lui non è un pesce e che non possiede
branchie.
Poi, le rune si spengono.
Le rune svaniscono.
E Loki stringe le dita intorno ad ali
che frullano nella tasca.
⍣
Il Ponte del Viadotto dove i Campioni
hanno ancora una lunga mezz’ora prima di riuscire a trovare l’uscita
«Fatemi passare!»
Thor Odinson è voce tonante e un corpo
gettato in avanti a testa bassa, un toro che carica, pronto a buttar
la schiera di presidi e professori come birilli in carne e ossa.
«Non pensarci nemmeno!» A Fury
mancherà un occhio, ma con quello che gli rimane ci vede lungo e
bene ed è il primo ad afferrare il braccio del grifondoro, per
trascinarlo lontano dal professor Strange occupato nel controllo
delle sue rune. «Fatti da parte e lascia fare agli adulti! I
professori stanno già intervenendo e disattivando le rune di quel
condotto.»
Il ragazzo è un bestione, ha capelli
d’oro e sorriso d’estate, ma muscoli forti quanto un maledetto
orango e ci vuole tutta la forza dell’Auror e quella di due compagni
per riuscire a tenerlo lontano all’imboccatura del condotto.
«È troppo lento e mio fratello è
ancora lì dentro! Non lascerò che anneghi!» bercia Thor e con uno
spintone ben assestato al petto di Fury si libera, costringendolo a
mettere mano alla bacchetta.
L’Auror sta prendendo la mira quando,
poco prima che pronunci l’incanto, il rumore di un cielo che si
spezza interrompe i pensieri di tutti.
Nell’aria si apre una crepa e dalla
crepa viene rigurgitato il corpo di un ragazzo.
«Lo… Loki?»
Piegato in due e con le mani sulle
ginocchia, Loki tossisce e sputa acqua. Intorno a lui professori,
ragazzi e auror lo guardano come se avessero assistito all’arrivo di
un gigante di ghiaccio e quando finalmente i polmoni tornano
riempiti d’aria, si solleva e curva le labbra in un sorriso sottile,
bello e vittorioso. Giusto un po’ zuppo, ma per quello conosce
l’incantesimo adatto.
«Ora sarebbe il momento adatto di
ridarmi la mia bacchetta e riconoscere il mio primo posto» afferma
nel tono arrogante di un principe che dà ordini alla servitù. E
benché il palmo della mano sia rivolto a Silente, lo sguardo
s’affila sul preside di Durmstrang e Baron Zemo che nascondono
dietro una maschera di silenzio ogni loro pensiero.
Avevano un piano ed è fallito.
Al contrario di quello di Loki, che
s’affretta a nascondere l’altra mano in tasca e spezzare nel pugno
le ali di Billywig e l’incanto che lo hanno condotto alla luce del
giorno, permettendogli di smaterializzarsi fino al Ponte del
Viadotto senza quasi doversi nemmeno concentrare. È bastato cercare
la luce.
«Tu!» Thor gli piomba addosso con
grazia elefantiaca e la stessa pesantezza nei grossi palmi che gli
batte sulle spalle «Credevo saresti morto!»
Loki si lecca le labbra, ma quando
sulla lingua rimane il sapore di lago – e di qualcos’altro a cui non
vuole pensare – smorfieggia disgustato.
«E io credevo avessi un cervello sotto
a quella chioma dorata, ma non facciamone un dramma.»
«Maledetta serpe bugiarda!» Thor lo
afferra per le spalle, in scossoni che basterebbero a finire il
lavoro lasciato a metà con Nick Senzatesta, staccandogliela di
netto, e che per miracolo non la staccano anche a Loki.
«Ora basta!» urla il Campione.
Puzza di fogna, ha passato due ore e
mezzo nella melma e si è quasi lasciato affogare; quel maledetto
fratello acquisito e imbecille potrebbe avere più riguardo!
Ma tanto è bravo a leggere la gente,
quanto poco lo è a vederne l’affetto, è così abituato a ingannare
che cerca sempre un significato dietro ogni gesto, quando invece
quelli di Thor sono sinceri, limpidi come il suo animo. E il
grifondoro lo stringe in un abbraccio, lasciando che la sua risata
coli nell’orecchio del serpeverde.
«Perfino la morte riesci ad ingannare,
fratello!» esclama, con una fierezza rara che ha il potere di
mettere a tacere perfino Loki.
Non passerà molto perché anche il
resto dei campioni raggiunga l’uscita del viadotto, contenti di
poter respirare finalmente aria pulita.
Un incanto disinfestante, uno
rinfrescante e un “Gratta&netta” dopo, a raggiungere il serpeverde è
anche Stark, che si avvicina con l’aria di chi è invecchiato dieci
anni in un solo colpo.
Lo trova ancora accanto a Thor, il
grifondoro a intrappolargli le spalle con un braccio, con nessuna
intenzione di volerlo lasciare andare tanto presto – ha avuto paura
di perderlo, ma non basterà una Cruciatus a farglielo ammettere.
«Il tuo piano era barare, Odinson?»
chiede Tony a bassa voce, anche se i professori sono troppo occupati
a discutere tra loro sul calcolo dei punteggi per dar bado alle
chiacchiere dei ragazzi.
Loki solleva il mento.
La menzogna è il suo credo, barare è
quello che fa, perché una vita onesta è noiosa e banale e perché la
sua è troppo preziosa per essere sprecata dietro a regole decise
dagli altri.
«Le regole prevedevano che non avrei
potuto utilizzare la magia finché le rune anti-mago fossero attive,
non è mia la colpa se le hanno disattivate prima che il tempo della
prova terminasse» afferma mellifluo, passando una mano su lunghi
capelli corvini finalmente liberi dal pantano melmoso delle fogne.
Tony non può negare una certa
ammirazione, a quanto pare tentare il suicidio durante la Prova è la
via per la vittoria.
Poco distante da loro, invece, il
Terzo Campione si trova accanto a Rogers.
Alla cintura del tassorosso, penzola
la fondina di pelle che ospita la sua bacchetta, un legnetto di
quercia rossa, dalle venature rosso sangue che ora acquistano tutto
un nuovo significato.
Loki lo ha visto nelle Rune,
una notte di luna piena: la magia di quei due è nata dal sangue e
nel sangue, un giorno a l’altro, cesserà d’esistere.
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