April
• La settimana di pausa
forzata che ho preso da questa Raccolta mi è servita davvero
tanto, anche perché non credo sarei mai riuscita a scrivere
questa OS se non fosse successo tutto quello che è successo.
Per farla breve: non sarebbe dovuta essere questa la quarta OS della
Raccolta, bensì un'altra tipologia di AU. Solo che, arrivata a
circa metà stesura, ho realizzato che non mi convinceva proprio
per niente e dopo averci riflettuto bene, ho puntato tutto su
quest'altra AU.
• Io non so come
sarà accolta questa storia, anche perché credo sia molto
particolare e potrebbe non toccare le corde di tutti quanti — ma
magari è solo una mia impressione, chissà.
Vi invito a leggere attentamente lo specchietto, solo questo: il tipo
di AU è nascosto (più che altro per mantenere
“l'effetto sorpresa” a chi decide di leggere questa storia
pronto ad aspettarsi di tutto), ma potete comunque evidenziarlo per
scoprire di cosa si tratta, in modo tale da scegliere poi se proseguire
o meno nella lettura.
Poi magari sono solo io che mi faccio un sacco di pare per niente, ma è sempre meglio mettere le mani avanti.
Ora vi lascio con lo specchietto e come sempre vi aspetto un po' più giù, a fine storia.
Buona lettura — spero!
April: Peace
Prompt forum: “Dopo
un tempo che non so calcolare riesco a calmarmi. Mi sento al sicuro. La
paura di prima è svanita del tutto. È bastato un
abbraccio. Un suo abbraccio.” (Daniela Volontè) (Everybody Needs A Hug Challenge)
Rating: Arancione
Generi: Angst, Drammatico, Introspettivo
Note: A Quiet Place!AU, Crossover, POV Yusaku
Avvertimenti: Contenuti forti (accennati), Tematiche delicate
Shizukesa
(静けさ)
1
(Meno tre giorni al silenzio)
Era una sera d'estate dolcemente rumorosa.
Yusaku avrebbe voluto protrarla il più a lungo possibile e
posticipare l'alba di ore intere, perché momenti del genere, in
un luogo caotico come Den City, erano estremamente rari e lui aveva
realizzato forse troppo tardi quanto fossero belli e preziosi, benevoli
come una carezza e lenitivi come una crema fresca sulla pelle scottata.
Nonostante lui e Yusei si
trovassero in spiaggia, il frastuono del traffico di Den City trovava
comunque il modo di raggiungerli, fastidioso e impertinente. Quantomeno
erano stridii ovattati, quelli che vibravano nei timpani, i quali erano
in grado di percepire altri suoni molto più piacevoli dei
clacson e del rombo dei motori — le piccole e timide onde del
mare che si infrangevano sulla riva, delicate nelle vibrazioni e salate
nella consistenza, ad esempio.
Non molto in lontananza da
loro si trovava un gruppo di ragazzini che, con ogni
probabilità, non era stato informato del nuovo divieto di
accendere falò in spiaggia, difatti erano tutti indaffarati a
preparare il necessario per cuocere i marshmallow. Yusei e Yusaku
avevano deciso di comune accordo di non interferire, a meno che la
situazione non degenerasse — più di una volta un ragazzino
dai capelli verdi e rossi aveva rischiato di alimentare un po' troppo le fiamme mentre eseguiva dei numeri di magia davvero niente male.
Le risate e gli applausi
da parte dei suoi amici parevano infondergli sempre più fiducia
nelle proprie capacità, che erano sicuramente a un buon livello,
ma che forse non prevedevano l'utilizzo del fuoco… e proprio per
questo Yusei controllava ripetutamente con la coda dell'occhio che
niente andasse storto, senza però mettere Yusaku in secondo
piano.
Dopotutto si erano dati
appuntamento per parlare un po', cosa che nell'ultimo periodo non era
capitata molto spesso a causa degli impegni universitari di Yusaku.
Erano seduti su un telo
sottile, intenti a osservare il cielo, che quella sera era impreziosito
da un'infinità di stelle splendenti che si riflettevano sulla
superficie cristallina del mare. Il rumore di una lattina stappata
ridestò Yusaku da quell'incanto, facendolo voltare verso Yusei.
Il ragazzo gliela stava offrendo, e lui la accettò di buon grado
— era quella arancione, la sua preferita.
«Grazie» disse, prima di bere il primo sorso.
Yusei gli rispose con un
sorriso e poi ne stappò una per sé. Il suono fu fugace e
frizzante, un guizzo che pareva quasi come un puntino di vernice bianca
caduto per sbaglio su una tela completamente nera. A Yusaku piacque.
(Gli infondeva un senso di pace interiore mai provato prima).
«Allora, di che cosa mi volevi parlare?» domandò poi
Yusei, e lì Yusaku dovette per forza tornare alla realtà,
vigile e attento, perché ciò che voleva raccontargli era
unico e irripetibile, qualcosa che Yusei meritava di sapere per primo.
«È ufficiale. Tra me e Ryoken, intendo… ora stiamo insieme».
Con tutti i modi che aveva
pensato di dirglielo, quello era stato sicuramente il più
incerto e impacciato — ma lui non era mai stato bravo a esprimere
certe emozioni e Yusei era il suo angelo custode proprio perché
sapeva coglierle tutte quante, anche quando Yusaku non spiccicava una
sola parola.
«Era ora!» esclamò Yusei, e la sua voce
riverberò nei timpani di Yusaku come un'onda un po' più
alta e inaspettata, di quelle che ti travolgono cogliendoti impreparato.
Yusei era felice e lo era
talmente tanto che le sue iridi, di un bellissimo color Bleu de France,
parevano brillare di luce propria. Il suo sorriso era ampio ed
entusiasta, con una sfumatura di “lo sapevo” nascosta nell'incurvatura delle labbra.
Yusaku non poté che
essere contento di quella reazione, anche se proprio non si capacitava
di tutta la sicurezza che il ragazzo aveva manifestato nel corso dei
mesi — una sicurezza che ora aveva la possibilità di
esplodere e avvolgere tutto quanto poiché si era rivelata
fondata.
«Come facevi a saperlo? Io credevo di non
piacergli…» borbottò un po' imbarazzato, mentre una
lingua di fuoco si alzava in cielo e i ragazzi attorno al falò
esclamavano frasi diverse e indistinte nello stesso istante.
Yusei lanciò un'occhiata fugace nella loro direzione e poi tornò a concentrarsi su Yusaku.
«Dal modo in cui ti guarda» rispose, una
punta di solennità nel tono di voce. «Non ci hai mai fatto
caso?»
«Ehm… no, non credo».
Yusei sorrise con
dolcezza, poi spiegò: «Il modo in cui ti guardo io
è quello tipico del migliore amico: ti voglio bene e desidero
proteggerti, ma non sei il centro del mio universo. Questo
perché il mio cuore non batte per te in quel senso e non provo alcun desiderio di quel tipo nei tuoi confronti. Ti guardo con affetto, senza però spingermi oltre. Ma Ryoken…»
Yusei sospirò. E
quel sospiro fu accompagnato dal suono di un'onda del mare che proprio
in quel momento giungeva a riva, benevola e carezzevole.
«Ryoken ti guarda in un modo meraviglioso, Yusaku. Non credo di
aver mai visto una persona tanto innamorata come lui da che sono al
mondo. Appena ti vede sembra quasi rianimarsi di vita e i suoi occhi
brillano come se stessero ammirando un capolavoro d'arte senza tempo.
Rimane sempre estasiato dalla tua sola presenza… deve amarti
davvero tanto».
Yusaku avvertì il
cuore sprofondare nello stomaco e dei brividi incandescenti
percorrergli la spina dorsale. E pensare che per mesi interi aveva
vissuto col timore di non piacere a Ryoken… si sentiva un po'
uno scemo, in quel momento.
Poi realizzò che
uno sguardo del genere l'aveva già visto in altre circostanze e
non riuscì a frenare la lingua: «Questo è anche il
modo in cui tu guardi
Judai…» disse, e subito si pentì di aver dato una
voce a quella considerazione poiché lo sguardo di Yusei era
mutato all'istante, privato di ogni traccia di morbidezza — solo
tanta apprensione e una nota marcata di tristezza che ricordava per
certi aspetti un cuore di vetro in procinto di spezzarsi.
«Judai…» sussurrò, e subito dopo estrasse il
telefono dalla tasca dei pantaloni, sbloccando lo schermo e
rabbuiandosi nel constatare che non fosse presente alcuna notifica.
«Non lo sento da ieri sera» ammise, mentre digitava il suo
numero. Portò il telefono all'orecchio e proseguì:
«A quest'ora dovrebbe essere già tornato a Nuova Domino
e… niente, continua a essere irraggiungibile».
Nello sguardo e nel tono di voce di Yusei vi erano delle note colme di paura che facevano davvero male.
«Pensi che mi stia preoccupando troppo?» domandò
mentre riponeva il telefono nella tasca dei pantaloni.
«Assolutamente no» rispose Yusaku. «Non è da Judai sparire in questo modo».
«Già» confermò Yusei. «Non è proprio da lui».
Yusaku era in procinto di
replicare, quando delle urla si levarono oltre le spalle di Yusei: i
ragazzi del falò questa volta l'avevano combinata grossa e dal
modo in cui le loro voci si mescolavano tra loro in un concerto
esagitato, difficilmente sarebbero riusciti a trovare un punto
d'incontro per spegnere quelle fiamme alte che scoppiettavano senza
sosta.
«Cielo, quanto sono rumorosi…» borbottò
Yusaku, e Yusei non poté fare a meno di ridacchiare, pur
mantenendo una lieve sfumatura addolorata nello sguardo.
«Meglio andare a vedere cosa succede, non vorrei che qualcuno di
loro si faccia del male» disse, mentre si alzava in piedi e si
scrollava la sabbia dai pantaloncini neri e dalla maglietta rossiccia.
E Yusaku, mentre lo
osservava allontanarsi e chiedere a gran voce ai ragazzi se avessero
bisogno di aiuto, non poté fare a meno di pensare che il suo
migliore amico fosse tanto, troppo buono.
Ed era grato di averlo al proprio fianco.
2
(Meno dodici ore al silenzio)
Il rumore del videogioco
che chiedeva senza sosta di iniziare una nuova partita era quasi peggio
del traffico incessante di Den City.
Yusaku sbuffò
infastidito, cercando a tentoni il telecomando poggiato sul tavolino,
mentre Ryoken si staccava da lui per precederlo e spegnere la
televisione. Avevano giocato per più di un'ora, Yusaku come al
solito lo aveva stracciato e notando il suo broncio gli aveva detto con
fare alquanto languido che aveva diritto al premio di consolazione,
cosa che Ryoken non si era fatto ripetere due volte.
L'aria condizionata era
accesa, le poche luci non spente in salotto creavano un'atmosfera
romantica e soffusa e nessuno dei due aveva mai fatto l'amore sul
divano, quindi perché non provare in quell'occasione?
E stava andando tutto bene
se non fosse stato per il rumore incessante sia all'interno che al di
fuori dell'appartamento di Yusaku — dopo anni, ancora non ci
aveva fatto l'abitudine.
«Odio questa città» sbottò, sbuffando poi esasperato.
Ryoken poggiò
nuovamente il telecomando sul tavolino e ridacchiò. «Non a
caso rientra nella top ten delle città più rumorose e
trafficate del Giappone».
«Del mondo intero» rincarò la dose Yusaku, con una considerazione tutta sua ma che, secondo il suo punto di vista, era di sicuro fondata.
Il corpo di Ryoken premeva
sul suo, le loro pelli accaldate sfregavano tra loro e Yusaku fece
scorrere un dito sul suo collo, beandosi del suo sospiro di piacere
(un suono incantevole che, per pochi attimi, riuscì a sovrastare le urla della città).
«La mia famiglia possiede una casa in campagna» disse
Ryoken, sfiorandogli le labbra con le proprie. «Possiamo
trasferirci lì per il mese di agosto…»
«Solo noi due?»
Ryoken lo fissò
negli occhi e Yusaku poté scorgere nel suo sguardo un amore puro
e incondizionato, talmente bello da farlo tremare interiormente.
«Solo noi due» confermò Ryoken, sfiorandogli le
labbra un'altra volta ancora. «Si trova in un luogo un po'
isolato,» raccontò tra un bacio e l'altro, «ma
comunque abbastanza vicino ad alcune cittadine per ogni evenienza. E
poi…»
Fece scivolare una mano
lungo il braccio di Yusaku, le lunghe dita che sfioravano la pelle
sensibile e un migliaio di costellazioni che esplodevano nel cervello.
«Potremo finalmente concederci qualche attimo di pace. Come si deve».
Yusaku già non
vedeva l'ora. Avrebbe dovuto resistere un altro po' — il mese di
luglio era appena cominciato —, ma ne sarebbe valsa la pena,
l'attesa, tutto quanto. L'idea di trascorrere del tempo con Ryoken, solo loro due
avvolti nella quiete e nel silenzio, era subito diventata un'immagine
viva nella sua mente, un sogno che attendeva con trepidazione di
realizzare.
Lo baciò e si
lasciò baciare per un tempo indefinito, fino a quando dovettero
staccarsi ancora una volta: qualcuno stava suonando al citofono e
Yusaku, mentre si domandava chi accidenti potesse essere, si
alzò dal divano e recuperò i primi indumenti che
trovò a terra — i suoi pantaloncini e la camicia bianca di
Ryoken — per poi dirigersi verso l'entrata e aprire la porta.
Era Yusei. Era Yusei, con tutta l'apprensione del mondo che gravava sulle sue spalle, sullo sguardo e sul tono di voce.
«Ehi» lo salutò, sforzando un sorriso. Pareva sul
punto di spezzarsi da un momento all'altro. «Scusa se sono
arrivato all'improvviso, so che sei con Ryoken, ma…»
Si passò una mano
tra i capelli, sospirando affranto. «Sto per partire» disse
infine, e per un attimo Yusaku si sentì completamente
inghiottito dal traffico incessante di Den City. Gli entrò con
forza nelle orecchie, frastornandolo, appesantendogli la testa di
decine e decine di chili
(migliaia e migliaia di pensieri che si accavallavano gli uni sugli altri).
«Come…? Dove andrai?» domandò a mezza voce,
nonostante in cuor suo sapesse già la risposta.
«A Nuova Domino» rispose Yusei. «Judai non mi
risponde da più di tre giorni e sono preoccupato. Non so cosa
gli sia successo e magari sto solo ingigantendo la cosa, forse non
vuole più avere a che fare con me e basta, ma…
così all'improvviso, capisci? Quando poco prima di salire sul
treno mi ha baciato e ha detto che già sentiva la mia
mancanza…»
Si stava pian piano
accartocciando su se stesso, distrutto e annichilito da un dolore che
non riusciva a comprendere — e che non meritava.
«Voglio solo accertarmi che stia bene. Se non vuole più
avere a che fare con me, lo accetterò… voglio
solo… che me lo dica guardandomi negli occhi».
Calò il silenzio
tra loro. Un silenzio spezzato da rumori invadenti e inopportuni, privi
di sensibilità. Yusaku avrebbe voluto dire qualcosa, ma non
sapeva cosa. Non aveva mai visto Yusei in quello stato e mai, neanche
per un istante, aveva creduto Judai capace di un atteggiamento simile
nei suoi confronti — cielo, nei confronti di Yusei, che meritava
tutto l'amore del mondo.
«Mi sembrava giusto avvisarti,» proseguì Yusei,
umettandosi le labbra, «anche perché stavo lavorando alla
tua macchina. Domani potrai comunque andare in officina e chiedere a
Bruno, ci penserà lui d'ora in poi. Diciamo che mi sono preso
qualche giorno di ferie, ecco» tentò di sdrammatizzare,
anche se con scarsi risultati.
Yusaku gli sfiorò
l'avambraccio, senza però andare oltre. Avrebbe voluto
abbracciarlo, sorreggerlo, sussurrargli che se voleva piangere aveva
tutto il diritto di farlo, che poteva sfogarsi. Ma non lo fece,
pensando ingenuamente che ci sarebbe stato tempo per questo, che Yusei nel giro di due o tre giorni sarebbe tornato e avrebbero potuto discuterne in tutta calma.
«Stai attento, Yusei» si limitò a dirgli, e per
l'ultima volta il suo migliore amico gli sorrise.
«Certo. Tornerò il prima possibile».
(Non si sarebbero più rivisti. Ma ancora non lo sapevano).
3
Quando rientrò in
casa, si sentì sopraffatto da un'orribile sensazione. Non sapeva
spiegarsi come o perché, ma tutto quello che stava capitando lo
trovava così sbagliato che per un attimo si sentì solo e perso, piccolo e insignificante, maledettamente spaventato.
Tornò in salotto e
si sedette sul divano, accanto a Ryoken. Lo guardò negli occhi,
specchiandosi in un cielo azzurro privo di increspature, e per poco non
scoppiò in lacrime.
«Promettimi» parlò con voce quasi spezzata,
«che se un giorno non vorrai più avere a che fare con me, non sparirai nel silenzio più assoluto e me lo dirai in faccia».
«Yusaku…»
«Promettimelo».
Ryoken poggiò una mano sulla sua gota, carezzandola con amore. «Te lo prometto».
E senza sapere che quella
sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe potuto dare una voce
concreta alle sue emozioni, Yusaku cominciò a piangere.
4
(Quattrocentoventesimo giorno di silenzio)
Quando Ryoken tornò
a casa quella sera, Yusaku lo accolse con un bacio e un lungo
abbraccio. Si era dato tanto da fare quel giorno a cospargere parte del
sentiero con la sabbia che Yusaku non poté che commuoversi
quando vide il grazioso mazzolino di fiori colorati che teneva in mano.
Ryoken glielo porse e
Yusaku lo guardò con amore, sperando con tutto se stesso di
riuscire a trasmettere anche solo un minimo del sentimento che provava
per lui attraverso quel gesto.
Grazie,
gli disse senza parlare, muovendo semplicemente le labbra. Prese il
mazzolino e con un cenno del capo indicò a Ryoken una bacinella
colma d'acqua riposta nel lavello. Lui si avvicinò e, con
movimenti lenti e misurati, si lavò le mani e il volto, mentre
Yusaku sistemava i fiori in un vaso e, con cautela, lo poggiava sul
tavolo della cucina.
Potevano permettersi certi azzardi,
in fondo erano sempre stati attenti: mai un libro era caduto sul
pavimento, mai un vaso si era infranto in un'esplosione di mille cocci
taglienti, mai una sedia aveva emesso uno stridio acuto e fastidioso.
Sapevano cavarsela. Anche perché, se Ryoken avesse smesso di
regalargli un mazzolino di fiori da riporre con cura in un vaso ogni
volta che ne aveva l'occasione, Yusaku ci sarebbe rimasto davvero male,
non poteva negarlo.
Dopo essersi asciugato le
mani e il volto, Ryoken lo raggiunse, cingendogli i fianchi con garbo.
Yusaku avvertì il suo respiro caldo sul collo, protettivo e
rassicurante, e socchiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quel tocco
che era diventato parte integrante della sua esistenza, qualcosa di cui
non poteva più fare a meno.
Quel giorno si era
dedicato all'orto ed era felice perché tutti i loro sforzi erano
stati ripagati: le verdure di fine estate erano mature e invitanti e
nel boschetto vicino la loro casa di campagna si potevano raccogliere
tanti piccoli frutti e funghi selvatici.
Potevano farcela, sì. Potevano continuare
a farcela, ne era assolutamente certo. Ora che l'autunno si stava
avvicinando sempre più con passo felpato nelle loro silenziose
giornate, dovevano prestare molta più attenzione al terreno: le
foglie secche avrebbero presto iniziato a cadere ed era necessario
evitarle per non produrre inutili rumori; Ryoken si stava proprio
occupando di ampliare il loro sentiero in modo tale da poter avanzare
verso le cittadine limitrofe senza riscontrare problemi.
Ma a parte questo cruccio
che speravano di risolvere il prima possibile — e che già
avevano affrontato e superato l'anno addietro —, andava tutto
bene. La vita in campagna era una realtà alla quale Yusaku si
era abituato in fretta e che avrebbe voluto abbracciare molto tempo
prima: gli piaceva e lo faceva sentire bene, anche se l'aveva scoperta
in circostanze decisamente particolari.
Si voltò verso
Ryoken e si alzò sulle punte, cingendogli il collo con le
braccia e avvicinando le labbra alle sue. Il sabato sera era dedicato
anche a quello: a loro due che ballavano lentamente in cucina senza
alcuna canzone in sottofondo, stando attenti a dove mettere i piedi e
stringendosi forte l'un l'altro; a loro due che si godevano una serata
romantica dopo un'intensa settimana di lavoro; a loro due che ancora
una volta si guardavano negli occhi e senza pronunciare una parola si
ripetevano “ti amo” altre mille volte ancora.
Sciolsero il loro
abbraccio pochi minuti dopo. Ryoken apparecchiò la tavola e
Yusaku preparò la cena, come tutte le sere. E come sempre si
sedettero l'uno di fronte all'altro e consumarono il pasto nel mutismo
più assoluto.
5
Il sole era ormai
tramontato quando si accomodarono in salotto per sfidarsi in un gioco
da tavolo. Ne avevano recuperati alcuni mentre perlustravano una delle
cittadine limitrofe e si erano rivelati dei degni sostituti ai giochi
della PlayStation, anche se un po' ne sentivano la mancanza.
Ma si erano adattati,
così come si erano adattati a tantissimi altri cambiamenti che
erano entrati nelle loro vite con silenziosa prepotenza e potevano
farcela, potevano continuare a farcela.
Nonostante tutto, Ryoken
lo guardava sempre con quel desiderio di sfida e di mettersi alla prova
che tanto lo rendeva lui e che tanto rendeva la loro relazione unica e
speciale.
Così si sedettero
sull'ampio e morbido tappeto ai piedi del divano e Yusaku lanciò
il dado per primo. E quando cadde sul tappeto, quest'ultimo
attutì l'impatto e il dado non provocò alcun rumore.
6
Quella notte fecero
l'amore e fu bellissimo. Ryoken gli baciò le mani, le dita, i
polsi e le braccia, sfiorò con le labbra ogni sua cicatrice e
Yusaku promise a se stesso che non si sarebbe mai più fatto del
male, che sarebbe stato più forte, che non avrebbe più
permesso agli incubi e ai deliri di prendere il sopravvento, che la
cupola nella quale si era rintanato era abbastanza resistente da
proteggerlo ancora un po'.
Quella notte fecero
l'amore con le labbra cucite e miliardi di parole che premevano nelle
costole per uscire, soffocarono ogni gemito coi denti e con baci
disperati, divennero una cosa sola e il mondo parve un posto più
accogliente.
Quante volte avevano fatto
l'amore su quel letto, senza dirsi una parola. Quante volte si erano
addormentati esausti l'uno tra le braccia dell'altro, coltivando nel
cuore la speranza di svegliarsi e scoprire che l'universo era stato
aggiustato, che erano finalmente liberi di poter tornare alle vite di
sempre, che potevano lasciarsi alle spalle ogni giorno di silenzio
forzato per ricominciare a parlare, urlare, dirsi “ti amo” senza paura alcuna.
(Quante
volte Yusaku chiudeva gli occhi e si lasciava cullare dal dolce suono
del battito cardiaco di Ryoken, l'unico rumore che gli era rimasto,
tutto ciò che poteva ancora rimbombare nelle sue orecchie senza
rischiare di svegliare il male assoluto).
7
(Primo giorno di silenzio)
Era
l'inferno. Non poteva essere definito altrimenti: quello era l'inferno
e lui doveva aver commesso un peccato atroce che lo aveva fatto
sprofondare nelle viscere della Terra.
Le
grida della città erano strazianti, completamente diverse rispetto a
quelle che accompagnavano il suo risveglio ogni mattina: Den City
urlava sempre, ma non in questo modo.
Questo era a dir poco inconcepibile e innaturale… e i suoi occhi
avevano appena visto qualcosa che solo un luogo dimenticato da Dio
poteva aver rigurgitato sul mondo.
Mancavano
ormai poche decine di metri all'officina di Bruno e Yusei quando si
fermò di colpo, completamente gelato sul posto nonostante fosse
una torrida mattinata estiva: la sua mente stava ancora faticando a
realizzare di aver appena corso a perdifiato in una strada colma di
cadaveri — corpi umani squartati, lacerati, mutilati e divorati,
teste staccate dal collo, arti ripiegati in modi innaturali, viscere
che fuoriuscivano dagli intestini —, come poteva processare
l'essere immondo che era appena uscito dall'officina distruggendo
l'intera facciata, con quegli arti lunghissimi, quei denti aguzzi e
quel miscuglio di bava e sangue vermiglio che colava dalla bocca
ripugnante?
Delle
urla di terrore si levarono alle sue spalle e lui sobbalzò, il
cuore che pulsava in gola e una stretta al petto tremenda e micidiale
che gli mozzò il respiro. La ragazza che aveva gridato non
riusciva a trattenere l'orrore e il panico che avevano preso il
sopravvento del suo corpo.
«Taci, taci!» le intimò il ragazzo che si trovava al
suo fianco, ma era ormai troppo tardi: la creatura emise un suono
bestiale e agghiacciante e si preparò all'attacco.
Yusaku
non fece in tempo a dire o fare niente. Non riuscì a urlare
né a muoversi che già tutto era finito: con un balzo la
creatura lo aveva superato e si era avventata sui due giovani,
sbranandoli con una voracità mostruosa e lasciando nella sua
scia una zaffata di putridume e morte che Yusaku non avrebbe mai
dimenticato.
Nel
panico più totale, il ragazzo si voltò lentamente e si
lasciò sfuggire un gemito sommesso alla vista del sangue e degli
arti strappati dai corpi delle due vittime. La creatura interruppe il
suo raccapricciante banchetto e Yusaku, alla vista di quell'essere
senza occhi che apriva a metà la testa come un'orrida pianta
carnivora per mettere in luce un apparato uditivo fuori dal comune,
ebbe quasi l'impulso di vomitare la cena della sera prima.
Ma fu
proprio quella visione a salvargli la vita poiché, in una
frazione di secondo, riuscì a ricollegare i pezzi: niente occhi, timpani ipersensibili, capacità di captare qualsiasi suono.
Il mostro lo stava guardando senza però vederlo realmente. E lui
portò istintivamente le mani alla bocca e si impose di rimanere
in silenzio.
Chiuse
gli occhi e, quando li riaprì, l'essere immondo era ormai
lontano, forse attratto da altri suoni che lui non riusciva a percepire
(chissà
quante vittime innocenti nascoste sotto i tavoli, negli scantinati o
nei bagni delle loro abitazioni o nei negozi che non riuscivano a
trattenere il pianto o facevano accidentalmente cadere qualcosa).
E fu
proprio in quel momento che si rese conto del silenzio innaturale che
era calato su Den City come un sudario pesante e mortifero.
Con
l'anima ridotta a brandelli, sperò che Ryoken fosse
sopravvissuto a quell'inferno. Non lo vedeva dalla sera addietro e
maledì se stesso per non avergli chiesto di dormire insieme
quella notte.
Se
avesse perso anche lui, allora avrebbe anche potuto urlare e farsi
prendere, perché sopravvivere senza Ryoken equivaleva comunque a
morire.
E così mosse il primo, silenzioso e terrorizzato passo verso la casa del suo amato.
8
(Quattrocentoventunesimo giorno di silenzio)
Si svegliò di
soprassalto, il cuore in gola che martellava talmente forte da far male
incastrato insieme a un numero indefinito di urla spezzate a
metà. Non riusciva a respirare e aveva un disperato bisogno di
piangere e dimenarsi, ma un atavico istinto di sopravvivenza gli impose
di non lasciarsi andare e di sfogarsi sulle sue braccia e le sue mani,
come aveva sempre fatto da quando l'inferno era piombato sulla Terra
più di un anno addietro.
Stava per affondare i
denti nel braccio sinistro quando si sentì afferrare e stringere
forte, il capo premuto contro il petto di Ryoken, l'abbraccio
indissolubile attorno al suo corpo tremebondo e distrutto. Urlò
contro la sua gabbia toracica, direttamente al cuore, e Ryoken lo
strinse sempre più forte per attutirne il suono.
«Va tutto bene…» sussurrò Ryoken, e Yusaku
riuscì a percepire appena quelle parole, come se il nulla
assoluto fosse talmente avido e ingordo da volerle tutte per sé
senza prima condividerle un po' con il resto del mondo.
Da quanto tempo non udiva
la sua voce? Quand'era stata l'ultima volta che si erano recati alla
cascata per sfogarsi un po'? Ora che le foglie cominciavano a
scricchiolare
(urlare)
a ogni loro passo,
diventava difficile raggiungere quel luogo che in più di
un'occasione si era rivelato un angolo di paradiso e un refrigerio per
ogni loro patimento.
Il suono della cascata era
forte, pregno di una determinazione che si ostentava ad affrontare il
male con fragorosa eleganza; e lì, oltre che alla pesca, avevano
anche l'opportunità di articolare le parole senza il rischio di
essere attaccati da un momento all'altro da quei rigurgiti dell'inferno.
Ma non era così
facile e immediato raggiungere quel luogo e il più delle volte
davano la priorità alle disabitate cittadine limitrofe
perché le riserve di cibo a lunga conservazione, le medicine, le
lenzuola e gli abiti nuovi, gli utensili per dedicarsi all'orto e i
gonfi sacchi di sabbia erano molto più importanti delle loro
voci che scalpitavano per vibrare nell'aria. Era triste da ammettere,
ma la sopravvivenza richiedeva dei sacrifici importanti e loro avevano
ormai deciso di sacrificare la parola per vivere in pace.
Yusaku quella pace l'aveva
agognata una vita intera: nessun rumore, un'esistenza tranquilla in una
casetta di campagna, vivere di ciò che ti offre la terra…
ma non così.
Così era stato costretto ad adeguarsi a quella vita per poter vedere il sole sorgere un altro giorno ancora. Così
era stato costretto a preservare la sua sanità mentale
rifugiandosi all'interno di una cupola che aveva cancellato Yusei dal
suo passato, fingendo che non fosse mai esistito
(ma
il pensiero di Yusei tornava, tornava quasi tutte le notti per fargli
visita e lo distruggeva interiormente con una potenza micidiale).
Yusei… che senza
saperlo si era recato nella tana del lupo con la sua moto rumorosa. Che
forse aveva lasciato questo mondo senza sapere che Judai — e ora
Yusaku lo capiva — non aveva iniziato a ignorarlo per volere,
perché aveva avuto una sbandata improvvisa e aveva capito di non
amarlo più, bensì perché forse era stato tra le
prime vittime di quelle creature mostruose insieme a tutta la
città di Nuova Domino.
Spesso Yusaku sognava,
senza volerlo, di andare oltre il trauma che aveva vissuto e di
accentuarne i dettagli vermigli: giungeva dinanzi l'entrata distrutta
dell'officina ed entrava, ritrovandosi davanti i corpi smembrati e
divorati di Yusei, Judai, Bruno, perfino quelli di Yuma e Yuya, due dei
ragazzini del falò che gli erano rimasti particolarmente
impressi — Yuya era quello che aveva alimentato un po' troppo le
fiamme coi suoi numeri di magia e Yuma non l'aveva dimenticato
perché pareva un adorabile (e anche un po' imbranato) raggio di
sole, un concentrato di energie puro e genuino che metteva di buonumore
chiunque avesse la fortuna di interagire con lui.
Forse loro erano riusciti
a sfuggire alla morte. Forse erano stati fortunati. E forse Yuya aveva
imparato dei trucchi di magia senza dover necessariamente parlare,
così da poter intrattenere Yuma nelle lunghe giornate
estive…
No, non andava bene, non andava affatto bene: doveva smetterla di pensare a loro, a Bruno, a Judai, a Yusei…
(Cielo, avrei dovuto abbracciarlo forte quella sera. Non avrei dovuto
lasciarlo andare. Se solo avessi saputo che cosa sarebbe successo poi.
Se solo avessi seguito il mio istinto. Se solo…)
Soffocò altre
lacrime amare e salate, altri singulti e altre grida contro il petto di
Ryoken — sempre lì, direttamente sul cuore.
Si erano ritrovati per
puro miracolo e sempre per puro miracolo erano riusciti a fuggire da
quell'incubo iniziato all'improvviso e senza alcuna motivazione;
avevano viaggiato per giorni interi, giungendo alla casa in campagna di
Ryoken provati, stremati e maledettamente traumatizzati; si erano
coricati nello stesso letto in cui si trovavano ora e si erano
abbracciati forte, nel silenzio più assoluto, sopprimendo
lacrime e tremori, paure e orrori di ogni tipo.
Poi si erano guardati negli occhi, si erano fatti forza e si erano tacitamente promessi che sarebbero sopravvissuti insieme e che si sarebbero sempre sostenuti a vicenda.
E ora, mentre Yusaku
esternava un dolore che non riusciva più a controllare, Ryoken
adempì a quella promessa sorreggendolo con tutte le forze in suo
possesso.
«Sono qui, Yusaku. Piangi quanto vuoi. Respira
profondamente» sussurrò piano, carezzandogli i capelli e
baciandogli il capo.
Yusaku non avrebbe voluto
lasciarsi tanto andare. Ogni singulto, ogni gemito soffocato e ogni
tremore erano dei possibili segnali per le creature che si trovavano
là fuori e lui e Ryoken avevano scoperto che ce n'erano almeno
due intente ad aggirarsi nel bosco. Se li avessero sentiti, sarebbe
stata la fine.
E in quel momento avrebbe
voluto tanto essere più forte e non addossare tutti i suoi
tormenti a Ryoken, bensì aiutarlo a sostenerli e impedire che
schiacciassero entrambi, ma era difficile, a tratti impossibile, e
tutte le emozioni nere come la pece che ribollivano dentro di lui erano
in procinto di scoppiare in un frastuono immenso, come un fulmine che
colpisce con cattiveria l'albero al centro di una foresta lontana e
selvaggia.
«Concediti di essere debole, Yusaku. Non puoi essere forte sempre».
(Ma nemmeno tu, Ryoken).
Avrebbe voluto dirglielo,
ma temeva di aprire bocca, perché sapeva che la sua voce
alterata dal pianto poteva rivelarsi fatale per entrambi. Così
alzò lo sguardo e incontrò gli occhi azzurri di Ryoken,
il suo cielo sconfinato, il suo posto tranquillo, ritrovando per un attimo tutta la pace interiore che aveva perso.
Si fissarono l'un l'altro
per secondi interi, secondi che divennero poi minuti, e Yusaku
ritrovò nello sguardo di Ryoken illuminato dalla luce riflessa
della luna piena tutto ciò che Yusei gli aveva detto quella sera
d'estate ormai lontana.
(Appena
ti vede sembra quasi rianimarsi di vita e i suoi occhi brillano come se
stessero ammirando un capolavoro d'arte senza tempo).
E Yusaku sperò con tutto se stesso che Ryoken percepisse lo stesso ogniqualvolta era lui a guardarlo negli occhi.
Si calmò pian
piano, ristabilendo il respiro e avvicinando le labbra a quelle di
Ryoken. Le sfiorò quasi con timidezza e, al contempo, il
disperato bisogno di sentirle poggiate sulle proprie.
Si baciarono e si
strinsero forte l'uno all'altro, le pelli accaldate che sfregavano tra
loro, l'intimità che li univa come unico appiglio in quel mondo
sommerso dalle tenebre.
Poco dopo, un tuono in
lontananza li fece sussultare. E questa volta si fissarono con
un'espressione completamente sorpresa stampata sui loro volti, dovuta a
un elemento che non avevano preso in considerazione: la
possibilità di un temporale estivo, inaspettato ma di certo
gradito.
(Tanto, tanto, tanto gradito).
Sorrisero entrambi,
rilassandosi un poco, lasciandosi cullare dalla speranza che il
temporale durasse ore intere e fosse rumoroso quanto bastava per poter
parlare senza il timore di essere attaccati da un momento all'altro.
E allora forse, almeno per quella notte, non avrebbero più avuto paura.
N.d.A.
• Ebbene… sì. Ho finalmente scritto la A Quiet Place!AU che mi portavo dietro da almeno tre anni.
A dirla tutta, desideravo scrivere una long, non lo nego. Ma anche
questa OS, nonostante sia già conclusa, ha realizzato comunque
il mio desiderio.
Sono stra stra stra in love con questa serie di film e sono in
trepidante attesa del terzo capitolo della saga, quindi spero che
questo omaggio al franchise sia stato di vostro gradimento.
• Shizukesa è una parola giapponese dai molteplici significati: oltre a silenzio, significa anche quiete, tranquillità, serenità, placidità e tanti altri sinonimi.
Rappresenta proprio la pace interiore,
quella che Yusaku ha sempre cercato di trovare in una città
tanto caotica come Den City, una pace che poi, paradossalmente, si
ritrova a vivere in maniera fasulla a causa di un silenzio forzato,
perché al minimo rumore degno di nota ecco che la sua vita e
quella di Ryoken rischiano di essere portate via da creature di cui non
si sa nulla, semplicemente un giorno sono arrivate e hanno iniziato a
decimare la popolazione mondiale attaccando ogni minimo rumore —
ora capite perché amo tanto questo franchise? Cioè, il
paradosso di vivere forzatamente una vita tranquilla in un posto tranquillo,
quando noi esseri umani tendiamo a fare rumore, che sia con la nostra
voce o con qualsiasi altro arnese che utilizziamo nel corso delle
nostre giornate.
• Ho sofferto come una
dannata a scrivere di Yusei? Certo che sì. Senza contare che era
da una vita che non scrivevo sulla mia BROTP prediletta e tornare con
questa vagonata di Angst non credo sia stata una scelta saggia, visto
come mi sono ridotta…
• Giuro che ho finito.
Anche perché la OS è risultata più lunga di quanto
mi aspettassi, quindi direi di avervi tediati abbastanza.
Spero, quantomeno, che sia stata di vostro gradimento.
Grazie per aver letto!
M a k o
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