Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! VRAINS
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Autore: M a k o    11/06/2023    15 recensioni
• Datastormshipping (Ryoken/Yusaku)
• Raccolta di dodici (meno una) One Shot AU
• January: La malinconia delle primule
• February: I will follow my heart back to you
• March: Just look into my eyes (you will cry)
• April: Shizukesa (静けさ)
• May: L'altra mia metà
• June: Io ti aspetterò
• July: Stelle sporche e impolverate
• August: I'm free (you are my saviour)
• September: You are able to save me and I am able to save you
• October: Pioggia d'autunno
• LA STORIA DEL MESE DI NOVEMBRE NON È PRESENTE IN QUANTO SI TRATTA DI UNA MINI LONG PUBBLICATA A PARTE
• December: Un bouquet di rose bianche — (Eccola, meravigliosamente indescrivibile, la risata che aveva giurato di proteggere per il resto della vita).
• L'intera Raccolta partecipa all'evento Year of the OTP indetto su Tumblr
• Ogni One Shot partecipa alle diverse Challenge indette dal forum Siate Curiosi Sempre
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Ryoken Kogami/Revolver, Yusaku Fujiki/Playmaker
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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April

La settimana di pausa forzata che ho preso da questa Raccolta mi è servita davvero tanto, anche perché non credo sarei mai riuscita a scrivere questa OS se non fosse successo tutto quello che è successo.
Per farla breve: non sarebbe dovuta essere questa la quarta OS della Raccolta, bensì un'altra tipologia di AU. Solo che, arrivata a circa metà stesura, ho realizzato che non mi convinceva proprio per niente e dopo averci riflettuto bene, ho puntato tutto su quest'altra AU.

Io non so come sarà accolta questa storia, anche perché credo sia molto particolare e potrebbe non toccare le corde di tutti quanti — ma magari è solo una mia impressione, chissà.
Vi invito a leggere attentamente lo specchietto, solo questo: il tipo di AU è nascosto (più che altro per mantenere “l'effetto sorpresa” a chi decide di leggere questa storia pronto ad aspettarsi di tutto), ma potete comunque evidenziarlo per scoprire di cosa si tratta, in modo tale da scegliere poi se proseguire o meno nella lettura.
Poi magari sono solo io che mi faccio un sacco di pare per niente, ma è sempre meglio mettere le mani avanti.
Ora vi lascio con lo specchietto e come sempre vi aspetto un po' più giù, a fine storia.
Buona lettura — spero!


April: Peace
Prompt forum: “Dopo un tempo che non so calcolare riesco a calmarmi. Mi sento al sicuro. La paura di prima è svanita del tutto. È bastato un abbraccio. Un suo abbraccio.” (Daniela Volontè) (Everybody Needs A Hug Challenge)
Rating: Arancione
Generi: Angst, Drammatico, Introspettivo
Note: A Quiet Place!AU, Crossover, POV Yusaku
Avvertimenti: Contenuti forti (accennati), Tematiche delicate



Shizukesa
(静けさ)




1

(Meno tre giorni al silenzio)

Era una sera d'estate dolcemente rumorosa. Yusaku avrebbe voluto protrarla il più a lungo possibile e posticipare l'alba di ore intere, perché momenti del genere, in un luogo caotico come Den City, erano estremamente rari e lui aveva realizzato forse troppo tardi quanto fossero belli e preziosi, benevoli come una carezza e lenitivi come una crema fresca sulla pelle scottata.
Nonostante lui e Yusei si trovassero in spiaggia, il frastuono del traffico di Den City trovava comunque il modo di raggiungerli, fastidioso e impertinente. Quantomeno erano stridii ovattati, quelli che vibravano nei timpani, i quali erano in grado di percepire altri suoni molto più piacevoli dei clacson e del rombo dei motori — le piccole e timide onde del mare che si infrangevano sulla riva, delicate nelle vibrazioni e salate nella consistenza, ad esempio.
Non molto in lontananza da loro si trovava un gruppo di ragazzini che, con ogni probabilità, non era stato informato del nuovo divieto di accendere falò in spiaggia, difatti erano tutti indaffarati a preparare il necessario per cuocere i marshmallow. Yusei e Yusaku avevano deciso di comune accordo di non interferire, a meno che la situazione non degenerasse — più di una volta un ragazzino dai capelli verdi e rossi aveva rischiato di alimentare un po' troppo le fiamme mentre eseguiva dei numeri di magia davvero niente male.
Le risate e gli applausi da parte dei suoi amici parevano infondergli sempre più fiducia nelle proprie capacità, che erano sicuramente a un buon livello, ma che forse non prevedevano l'utilizzo del fuoco… e proprio per questo Yusei controllava ripetutamente con la coda dell'occhio che niente andasse storto, senza però mettere Yusaku in secondo piano.
Dopotutto si erano dati appuntamento per parlare un po', cosa che nell'ultimo periodo non era capitata molto spesso a causa degli impegni universitari di Yusaku.
Erano seduti su un telo sottile, intenti a osservare il cielo, che quella sera era impreziosito da un'infinità di stelle splendenti che si riflettevano sulla superficie cristallina del mare. Il rumore di una lattina stappata ridestò Yusaku da quell'incanto, facendolo voltare verso Yusei. Il ragazzo gliela stava offrendo, e lui la accettò di buon grado — era quella arancione, la sua preferita.
    «Grazie» disse, prima di bere il primo sorso.
Yusei gli rispose con un sorriso e poi ne stappò una per sé. Il suono fu fugace e frizzante, un guizzo che pareva quasi come un puntino di vernice bianca caduto per sbaglio su una tela completamente nera. A Yusaku piacque.
    (Gli infondeva un senso di pace interiore mai provato prima).
    «Allora, di che cosa mi volevi parlare?» domandò poi Yusei, e lì Yusaku dovette per forza tornare alla realtà, vigile e attento, perché ciò che voleva raccontargli era unico e irripetibile, qualcosa che Yusei meritava di sapere per primo.
    «È ufficiale. Tra me e Ryoken, intendo… ora stiamo insieme».
Con tutti i modi che aveva pensato di dirglielo, quello era stato sicuramente il più incerto e impacciato — ma lui non era mai stato bravo a esprimere certe emozioni e Yusei era il suo angelo custode proprio perché sapeva coglierle tutte quante, anche quando Yusaku non spiccicava una sola parola.
    «Era ora!» esclamò Yusei, e la sua voce riverberò nei timpani di Yusaku come un'onda un po' più alta e inaspettata, di quelle che ti travolgono cogliendoti impreparato.
Yusei era felice e lo era talmente tanto che le sue iridi, di un bellissimo color Bleu de France, parevano brillare di luce propria. Il suo sorriso era ampio ed entusiasta, con una sfumatura di “lo sapevo” nascosta nell'incurvatura delle labbra.
Yusaku non poté che essere contento di quella reazione, anche se proprio non si capacitava di tutta la sicurezza che il ragazzo aveva manifestato nel corso dei mesi — una sicurezza che ora aveva la possibilità di esplodere e avvolgere tutto quanto poiché si era rivelata fondata.
    «Come facevi a saperlo? Io credevo di non piacergli…» borbottò un po' imbarazzato, mentre una lingua di fuoco si alzava in cielo e i ragazzi attorno al falò esclamavano frasi diverse e indistinte nello stesso istante.
Yusei lanciò un'occhiata fugace nella loro direzione e poi tornò a concentrarsi su Yusaku.
    «Dal modo in cui ti guarda» rispose, una punta di solennità nel tono di voce. «Non ci hai mai fatto caso?»

    «Ehm… no, non credo».
Yusei sorrise con dolcezza, poi spiegò: «Il modo in cui ti guardo io è quello tipico del migliore amico: ti voglio bene e desidero proteggerti, ma non sei il centro del mio universo. Questo perché il mio cuore non batte per te in quel senso e non provo alcun desiderio di quel tipo nei tuoi confronti. Ti guardo con affetto, senza però spingermi oltre. Ma Ryoken…»
Yusei sospirò. E quel sospiro fu accompagnato dal suono di un'onda del mare che proprio in quel momento giungeva a riva, benevola e carezzevole.
    «Ryoken ti guarda in un modo meraviglioso, Yusaku. Non credo di aver mai visto una persona tanto innamorata come lui da che sono al mondo. Appena ti vede sembra quasi rianimarsi di vita e i suoi occhi brillano come se stessero ammirando un capolavoro d'arte senza tempo. Rimane sempre estasiato dalla tua sola presenza… deve amarti davvero tanto».
Yusaku avvertì il cuore sprofondare nello stomaco e dei brividi incandescenti percorrergli la spina dorsale. E pensare che per mesi interi aveva vissuto col timore di non piacere a Ryoken… si sentiva un po' uno scemo, in quel momento.
Poi realizzò che uno sguardo del genere l'aveva già visto in altre circostanze e non riuscì a frenare la lingua: «Questo è anche il modo in cui tu guardi Judai…» disse, e subito si pentì di aver dato una voce a quella considerazione poiché lo sguardo di Yusei era mutato all'istante, privato di ogni traccia di morbidezza — solo tanta apprensione e una nota marcata di tristezza che ricordava per certi aspetti un cuore di vetro in procinto di spezzarsi.
    «Judai…» sussurrò, e subito dopo estrasse il telefono dalla tasca dei pantaloni, sbloccando lo schermo e rabbuiandosi nel constatare che non fosse presente alcuna notifica. «Non lo sento da ieri sera» ammise, mentre digitava il suo numero. Portò il telefono all'orecchio e proseguì: «A quest'ora dovrebbe essere già tornato a Nuova Domino e… niente, continua a essere irraggiungibile».
Nello sguardo e nel tono di voce di Yusei vi erano delle note colme di paura che facevano davvero male.
    «Pensi che mi stia preoccupando troppo?» domandò mentre riponeva il telefono nella tasca dei pantaloni.
    «Assolutamente no» rispose Yusaku. «Non è da Judai sparire in questo modo».
    «Già» confermò Yusei. «Non è proprio da lui».
Yusaku era in procinto di replicare, quando delle urla si levarono oltre le spalle di Yusei: i ragazzi del falò questa volta l'avevano combinata grossa e dal modo in cui le loro voci si mescolavano tra loro in un concerto esagitato, difficilmente sarebbero riusciti a trovare un punto d'incontro per spegnere quelle fiamme alte che scoppiettavano senza sosta.
    «Cielo, quanto sono rumorosi…» borbottò Yusaku, e Yusei non poté fare a meno di ridacchiare, pur mantenendo una lieve sfumatura addolorata nello sguardo.
    «Meglio andare a vedere cosa succede, non vorrei che qualcuno di loro si faccia del male» disse, mentre si alzava in piedi e si scrollava la sabbia dai pantaloncini neri e dalla maglietta rossiccia.
E Yusaku, mentre lo osservava allontanarsi e chiedere a gran voce ai ragazzi se avessero bisogno di aiuto, non poté fare a meno di pensare che il suo migliore amico fosse tanto, troppo buono.
Ed era grato di averlo al proprio fianco.


2

(Meno dodici ore al silenzio)

Il rumore del videogioco che chiedeva senza sosta di iniziare una nuova partita era quasi peggio del traffico incessante di Den City.
Yusaku sbuffò infastidito, cercando a tentoni il telecomando poggiato sul tavolino, mentre Ryoken si staccava da lui per precederlo e spegnere la televisione. Avevano giocato per più di un'ora, Yusaku come al solito lo aveva stracciato e notando il suo broncio gli aveva detto con fare alquanto languido che aveva diritto al premio di consolazione, cosa che Ryoken non si era fatto ripetere due volte.
L'aria condizionata era accesa, le poche luci non spente in salotto creavano un'atmosfera romantica e soffusa e nessuno dei due aveva mai fatto l'amore sul divano, quindi perché non provare in quell'occasione?
E stava andando tutto bene se non fosse stato per il rumore incessante sia all'interno che al di fuori dell'appartamento di Yusaku — dopo anni, ancora non ci aveva fatto l'abitudine.
    «Odio questa città» sbottò, sbuffando poi esasperato.
Ryoken poggiò nuovamente il telecomando sul tavolino e ridacchiò. «Non a caso rientra nella top ten delle città più rumorose e trafficate del Giappone».
    «Del mondo intero» rincarò la dose Yusaku, con una considerazione tutta sua ma che, secondo il suo punto di vista, era di sicuro fondata.
Il corpo di Ryoken premeva sul suo, le loro pelli accaldate sfregavano tra loro e Yusaku fece scorrere un dito sul suo collo, beandosi del suo sospiro di piacere
    (un suono incantevole che, per pochi attimi, riuscì a sovrastare le urla della città).
    «La mia famiglia possiede una casa in campagna» disse Ryoken, sfiorandogli le labbra con le proprie. «Possiamo trasferirci lì per il mese di agosto…»
    «Solo noi due?»
Ryoken lo fissò negli occhi e Yusaku poté scorgere nel suo sguardo un amore puro e incondizionato, talmente bello da farlo tremare interiormente.
    «Solo noi due» confermò Ryoken, sfiorandogli le labbra un'altra volta ancora. «Si trova in un luogo un po' isolato,» raccontò tra un bacio e l'altro, «ma comunque abbastanza vicino ad alcune cittadine per ogni evenienza. E poi…»
Fece scivolare una mano lungo il braccio di Yusaku, le lunghe dita che sfioravano la pelle sensibile e un migliaio di costellazioni che esplodevano nel cervello.
    «Potremo finalmente concederci qualche attimo di pace. Come si deve».
Yusaku già non vedeva l'ora. Avrebbe dovuto resistere un altro po' — il mese di luglio era appena cominciato —, ma ne sarebbe valsa la pena, l'attesa, tutto quanto. L'idea di trascorrere del tempo con Ryoken, solo loro due avvolti nella quiete e nel silenzio, era subito diventata un'immagine viva nella sua mente, un sogno che attendeva con trepidazione di realizzare.
Lo baciò e si lasciò baciare per un tempo indefinito, fino a quando dovettero staccarsi ancora una volta: qualcuno stava suonando al citofono e Yusaku, mentre si domandava chi accidenti potesse essere, si alzò dal divano e recuperò i primi indumenti che trovò a terra — i suoi pantaloncini e la camicia bianca di Ryoken — per poi dirigersi verso l'entrata e aprire la porta.
Era Yusei. Era Yusei, con tutta l'apprensione del mondo che gravava sulle sue spalle, sullo sguardo e sul tono di voce.
    «Ehi» lo salutò, sforzando un sorriso. Pareva sul punto di spezzarsi da un momento all'altro. «Scusa se sono arrivato all'improvviso, so che sei con Ryoken, ma…»
Si passò una mano tra i capelli, sospirando affranto. «Sto per partire» disse infine, e per un attimo Yusaku si sentì completamente inghiottito dal traffico incessante di Den City. Gli entrò con forza nelle orecchie, frastornandolo, appesantendogli la testa di decine e decine di chili
    (migliaia e migliaia di pensieri che si accavallavano gli uni sugli altri).
    «Come…? Dove andrai?» domandò a mezza voce, nonostante in cuor suo sapesse già la risposta.
    «A Nuova Domino» rispose Yusei. «Judai non mi risponde da più di tre giorni e sono preoccupato. Non so cosa gli sia successo e magari sto solo ingigantendo la cosa, forse non vuole più avere a che fare con me e basta, ma… così all'improvviso, capisci? Quando poco prima di salire sul treno mi ha baciato e ha detto che già sentiva la mia mancanza…»
Si stava pian piano accartocciando su se stesso, distrutto e annichilito da un dolore che non riusciva a comprendere — e che non meritava.
    «Voglio solo accertarmi che stia bene. Se non vuole più avere a che fare con me, lo accetterò… voglio solo… che me lo dica guardandomi negli occhi».
Calò il silenzio tra loro. Un silenzio spezzato da rumori invadenti e inopportuni, privi di sensibilità. Yusaku avrebbe voluto dire qualcosa, ma non sapeva cosa. Non aveva mai visto Yusei in quello stato e mai, neanche per un istante, aveva creduto Judai capace di un atteggiamento simile nei suoi confronti — cielo, nei confronti di Yusei, che meritava tutto l'amore del mondo.
    «Mi sembrava giusto avvisarti,» proseguì Yusei, umettandosi le labbra, «anche perché stavo lavorando alla tua macchina. Domani potrai comunque andare in officina e chiedere a Bruno, ci penserà lui d'ora in poi. Diciamo che mi sono preso qualche giorno di ferie, ecco» tentò di sdrammatizzare, anche se con scarsi risultati.
Yusaku gli sfiorò l'avambraccio, senza però andare oltre. Avrebbe voluto abbracciarlo, sorreggerlo, sussurrargli che se voleva piangere aveva tutto il diritto di farlo, che poteva sfogarsi. Ma non lo fece, pensando ingenuamente che ci sarebbe stato tempo per questo, che Yusei nel giro di due o tre giorni sarebbe tornato e avrebbero potuto discuterne in tutta calma.
    «Stai attento, Yusei» si limitò a dirgli, e per l'ultima volta il suo migliore amico gli sorrise.
    «Certo. Tornerò il prima possibile».
    (Non si sarebbero più rivisti. Ma ancora non lo sapevano).


3

Quando rientrò in casa, si sentì sopraffatto da un'orribile sensazione. Non sapeva spiegarsi come o perché, ma tutto quello che stava capitando lo trovava così sbagliato che per un attimo si sentì solo e perso, piccolo e insignificante, maledettamente spaventato.
Tornò in salotto e si sedette sul divano, accanto a Ryoken. Lo guardò negli occhi, specchiandosi in un cielo azzurro privo di increspature, e per poco non scoppiò in lacrime.
    «Promettimi» parlò con voce quasi spezzata, «che se un giorno non vorrai più avere a che fare con me, non sparirai nel silenzio più assoluto e me lo dirai in faccia».
    «Yusaku…»
    «Promettimelo».
Ryoken poggiò una mano sulla sua gota, carezzandola con amore. «Te lo prometto».
E senza sapere che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe potuto dare una voce concreta alle sue emozioni, Yusaku cominciò a piangere.


4

(Quattrocentoventesimo giorno di silenzio)

Quando Ryoken tornò a casa quella sera, Yusaku lo accolse con un bacio e un lungo abbraccio. Si era dato tanto da fare quel giorno a cospargere parte del sentiero con la sabbia che Yusaku non poté che commuoversi quando vide il grazioso mazzolino di fiori colorati che teneva in mano.
Ryoken glielo porse e Yusaku lo guardò con amore, sperando con tutto se stesso di riuscire a trasmettere anche solo un minimo del sentimento che provava per lui attraverso quel gesto.
Grazie, gli disse senza parlare, muovendo semplicemente le labbra. Prese il mazzolino e con un cenno del capo indicò a Ryoken una bacinella colma d'acqua riposta nel lavello. Lui si avvicinò e, con movimenti lenti e misurati, si lavò le mani e il volto, mentre Yusaku sistemava i fiori in un vaso e, con cautela, lo poggiava sul tavolo della cucina.
Potevano permettersi certi azzardi, in fondo erano sempre stati attenti: mai un libro era caduto sul pavimento, mai un vaso si era infranto in un'esplosione di mille cocci taglienti, mai una sedia aveva emesso uno stridio acuto e fastidioso. Sapevano cavarsela. Anche perché, se Ryoken avesse smesso di regalargli un mazzolino di fiori da riporre con cura in un vaso ogni volta che ne aveva l'occasione, Yusaku ci sarebbe rimasto davvero male, non poteva negarlo.
Dopo essersi asciugato le mani e il volto, Ryoken lo raggiunse, cingendogli i fianchi con garbo. Yusaku avvertì il suo respiro caldo sul collo, protettivo e rassicurante, e socchiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quel tocco che era diventato parte integrante della sua esistenza, qualcosa di cui non poteva più fare a meno.
Quel giorno si era dedicato all'orto ed era felice perché tutti i loro sforzi erano stati ripagati: le verdure di fine estate erano mature e invitanti e nel boschetto vicino la loro casa di campagna si potevano raccogliere tanti piccoli frutti e funghi selvatici.
Potevano farcela, sì. Potevano continuare a farcela, ne era assolutamente certo. Ora che l'autunno si stava avvicinando sempre più con passo felpato nelle loro silenziose giornate, dovevano prestare molta più attenzione al terreno: le foglie secche avrebbero presto iniziato a cadere ed era necessario evitarle per non produrre inutili rumori; Ryoken si stava proprio occupando di ampliare il loro sentiero in modo tale da poter avanzare verso le cittadine limitrofe senza riscontrare problemi.
Ma a parte questo cruccio che speravano di risolvere il prima possibile — e che già avevano affrontato e superato l'anno addietro —, andava tutto bene. La vita in campagna era una realtà alla quale Yusaku si era abituato in fretta e che avrebbe voluto abbracciare molto tempo prima: gli piaceva e lo faceva sentire bene, anche se l'aveva scoperta in circostanze decisamente particolari.
Si voltò verso Ryoken e si alzò sulle punte, cingendogli il collo con le braccia e avvicinando le labbra alle sue. Il sabato sera era dedicato anche a quello: a loro due che ballavano lentamente in cucina senza alcuna canzone in sottofondo, stando attenti a dove mettere i piedi e stringendosi forte l'un l'altro; a loro due che si godevano una serata romantica dopo un'intensa settimana di lavoro; a loro due che ancora una volta si guardavano negli occhi e senza pronunciare una parola si ripetevano “ti amo” altre mille volte ancora.
Sciolsero il loro abbraccio pochi minuti dopo. Ryoken apparecchiò la tavola e Yusaku preparò la cena, come tutte le sere. E come sempre si sedettero l'uno di fronte all'altro e consumarono il pasto nel mutismo più assoluto.


5

Il sole era ormai tramontato quando si accomodarono in salotto per sfidarsi in un gioco da tavolo. Ne avevano recuperati alcuni mentre perlustravano una delle cittadine limitrofe e si erano rivelati dei degni sostituti ai giochi della PlayStation, anche se un po' ne sentivano la mancanza.
Ma si erano adattati, così come si erano adattati a tantissimi altri cambiamenti che erano entrati nelle loro vite con silenziosa prepotenza e potevano farcela, potevano continuare a farcela.
Nonostante tutto, Ryoken lo guardava sempre con quel desiderio di sfida e di mettersi alla prova che tanto lo rendeva lui e che tanto rendeva la loro relazione unica e speciale.
Così si sedettero sull'ampio e morbido tappeto ai piedi del divano e Yusaku lanciò il dado per primo. E quando cadde sul tappeto, quest'ultimo attutì l'impatto e il dado non provocò alcun rumore.


6

Quella notte fecero l'amore e fu bellissimo. Ryoken gli baciò le mani, le dita, i polsi e le braccia, sfiorò con le labbra ogni sua cicatrice e Yusaku promise a se stesso che non si sarebbe mai più fatto del male, che sarebbe stato più forte, che non avrebbe più permesso agli incubi e ai deliri di prendere il sopravvento, che la cupola nella quale si era rintanato era abbastanza resistente da proteggerlo ancora un po'.
Quella notte fecero l'amore con le labbra cucite e miliardi di parole che premevano nelle costole per uscire, soffocarono ogni gemito coi denti e con baci disperati, divennero una cosa sola e il mondo parve un posto più accogliente.
Quante volte avevano fatto l'amore su quel letto, senza dirsi una parola. Quante volte si erano addormentati esausti l'uno tra le braccia dell'altro, coltivando nel cuore la speranza di svegliarsi e scoprire che l'universo era stato aggiustato, che erano finalmente liberi di poter tornare alle vite di sempre, che potevano lasciarsi alle spalle ogni giorno di silenzio forzato per ricominciare a parlare, urlare, dirsi “ti amo” senza paura alcuna.
    (Quante volte Yusaku chiudeva gli occhi e si lasciava cullare dal dolce suono del battito cardiaco di Ryoken, l'unico rumore che gli era rimasto, tutto ciò che poteva ancora rimbombare nelle sue orecchie senza rischiare di svegliare il male assoluto).


7

(Primo giorno di silenzio)

Era l'inferno. Non poteva essere definito altrimenti: quello era l'inferno e lui doveva aver commesso un peccato atroce che lo aveva fatto sprofondare nelle viscere della Terra.
Le grida della città erano strazianti, completamente diverse rispetto a quelle che accompagnavano il suo risveglio ogni mattina: Den City urlava sempre, ma non in questo modo. Questo era a dir poco inconcepibile e innaturale… e i suoi occhi avevano appena visto qualcosa che solo un luogo dimenticato da Dio poteva aver rigurgitato sul mondo.
Mancavano ormai poche decine di metri all'officina di Bruno e Yusei quando si fermò di colpo, completamente gelato sul posto nonostante fosse una torrida mattinata estiva: la sua mente stava ancora faticando a realizzare di aver appena corso a perdifiato in una strada colma di cadaveri — corpi umani squartati, lacerati, mutilati e divorati, teste staccate dal collo, arti ripiegati in modi innaturali, viscere che fuoriuscivano dagli intestini —, come poteva processare l'essere immondo che era appena uscito dall'officina distruggendo l'intera facciata, con quegli arti lunghissimi, quei denti aguzzi e quel miscuglio di bava e sangue vermiglio che colava dalla bocca ripugnante?
Delle urla di terrore si levarono alle sue spalle e lui sobbalzò, il cuore che pulsava in gola e una stretta al petto tremenda e micidiale che gli mozzò il respiro. La ragazza che aveva gridato non riusciva a trattenere l'orrore e il panico che avevano preso il sopravvento del suo corpo.
    «Taci, taci!» le intimò il ragazzo che si trovava al suo fianco, ma era ormai troppo tardi: la creatura emise un suono bestiale e agghiacciante e si preparò all'attacco.
Yusaku non fece in tempo a dire o fare niente. Non riuscì a urlare né a muoversi che già tutto era finito: con un balzo la creatura lo aveva superato e si era avventata sui due giovani, sbranandoli con una voracità mostruosa e lasciando nella sua scia una zaffata di putridume e morte che Yusaku non avrebbe mai dimenticato.
Nel panico più totale, il ragazzo si voltò lentamente e si lasciò sfuggire un gemito sommesso alla vista del sangue e degli arti strappati dai corpi delle due vittime. La creatura interruppe il suo raccapricciante banchetto e Yusaku, alla vista di quell'essere senza occhi che apriva a metà la testa come un'orrida pianta carnivora per mettere in luce un apparato uditivo fuori dal comune, ebbe quasi l'impulso di vomitare la cena della sera prima.
Ma fu proprio quella visione a salvargli la vita poiché, in una frazione di secondo, riuscì a ricollegare i pezzi: niente occhi, timpani ipersensibili, capacità di captare qualsiasi suono. Il mostro lo stava guardando senza però vederlo realmente. E lui portò istintivamente le mani alla bocca e si impose di rimanere in silenzio.
Chiuse gli occhi e, quando li riaprì, l'essere immondo era ormai lontano, forse attratto da altri suoni che lui non riusciva a percepire
    (chissà quante vittime innocenti nascoste sotto i tavoli, negli scantinati o nei bagni delle loro abitazioni o nei negozi che non riuscivano a trattenere il pianto o facevano accidentalmente cadere qualcosa).
E fu proprio in quel momento che si rese conto del silenzio innaturale che era calato su Den City come un sudario pesante e mortifero.
Con l'anima ridotta a brandelli, sperò che Ryoken fosse sopravvissuto a quell'inferno. Non lo vedeva dalla sera addietro e maledì se stesso per non avergli chiesto di dormire insieme quella notte.
Se avesse perso anche lui, allora avrebbe anche potuto urlare e farsi prendere, perché sopravvivere senza Ryoken equivaleva comunque a morire.
E così mosse il primo, silenzioso e terrorizzato passo verso la casa del suo amato.


8

(Quattrocentoventunesimo giorno di silenzio)

Si svegliò di soprassalto, il cuore in gola che martellava talmente forte da far male incastrato insieme a un numero indefinito di urla spezzate a metà. Non riusciva a respirare e aveva un disperato bisogno di piangere e dimenarsi, ma un atavico istinto di sopravvivenza gli impose di non lasciarsi andare e di sfogarsi sulle sue braccia e le sue mani, come aveva sempre fatto da quando l'inferno era piombato sulla Terra più di un anno addietro.
Stava per affondare i denti nel braccio sinistro quando si sentì afferrare e stringere forte, il capo premuto contro il petto di Ryoken, l'abbraccio indissolubile attorno al suo corpo tremebondo e distrutto. Urlò contro la sua gabbia toracica, direttamente al cuore, e Ryoken lo strinse sempre più forte per attutirne il suono.
    «Va tutto bene…» sussurrò Ryoken, e Yusaku riuscì a percepire appena quelle parole, come se il nulla assoluto fosse talmente avido e ingordo da volerle tutte per sé senza prima condividerle un po' con il resto del mondo.
Da quanto tempo non udiva la sua voce? Quand'era stata l'ultima volta che si erano recati alla cascata per sfogarsi un po'? Ora che le foglie cominciavano a scricchiolare
    (urlare)
a ogni loro passo, diventava difficile raggiungere quel luogo che in più di un'occasione si era rivelato un angolo di paradiso e un refrigerio per ogni loro patimento.
Il suono della cascata era forte, pregno di una determinazione che si ostentava ad affrontare il male con fragorosa eleganza; e lì, oltre che alla pesca, avevano anche l'opportunità di articolare le parole senza il rischio di essere attaccati da un momento all'altro da quei rigurgiti dell'inferno.
Ma non era così facile e immediato raggiungere quel luogo e il più delle volte davano la priorità alle disabitate cittadine limitrofe perché le riserve di cibo a lunga conservazione, le medicine, le lenzuola e gli abiti nuovi, gli utensili per dedicarsi all'orto e i gonfi sacchi di sabbia erano molto più importanti delle loro voci che scalpitavano per vibrare nell'aria. Era triste da ammettere, ma la sopravvivenza richiedeva dei sacrifici importanti e loro avevano ormai deciso di sacrificare la parola per vivere in pace.
Yusaku quella pace l'aveva agognata una vita intera: nessun rumore, un'esistenza tranquilla in una casetta di campagna, vivere di ciò che ti offre la terra… ma non così.
Così era stato costretto ad adeguarsi a quella vita per poter vedere il sole sorgere un altro giorno ancora. Così era stato costretto a preservare la sua sanità mentale rifugiandosi all'interno di una cupola che aveva cancellato Yusei dal suo passato, fingendo che non fosse mai esistito
    (ma il pensiero di Yusei tornava, tornava quasi tutte le notti per fargli visita e lo distruggeva interiormente con una potenza micidiale).
Yusei… che senza saperlo si era recato nella tana del lupo con la sua moto rumorosa. Che forse aveva lasciato questo mondo senza sapere che Judai — e ora Yusaku lo capiva — non aveva iniziato a ignorarlo per volere, perché aveva avuto una sbandata improvvisa e aveva capito di non amarlo più, bensì perché forse era stato tra le prime vittime di quelle creature mostruose insieme a tutta la città di Nuova Domino.
Spesso Yusaku sognava, senza volerlo, di andare oltre il trauma che aveva vissuto e di accentuarne i dettagli vermigli: giungeva dinanzi l'entrata distrutta dell'officina ed entrava, ritrovandosi davanti i corpi smembrati e divorati di Yusei, Judai, Bruno, perfino quelli di Yuma e Yuya, due dei ragazzini del falò che gli erano rimasti particolarmente impressi — Yuya era quello che aveva alimentato un po' troppo le fiamme coi suoi numeri di magia e Yuma non l'aveva dimenticato perché pareva un adorabile (e anche un po' imbranato) raggio di sole, un concentrato di energie puro e genuino che metteva di buonumore chiunque avesse la fortuna di interagire con lui.
Forse loro erano riusciti a sfuggire alla morte. Forse erano stati fortunati. E forse Yuya aveva imparato dei trucchi di magia senza dover necessariamente parlare, così da poter intrattenere Yuma nelle lunghe giornate estive…
No, non andava bene, non andava affatto bene: doveva smetterla di pensare a loro, a Bruno, a Judai, a Yusei…
    (Cielo, avrei dovuto abbracciarlo forte quella sera. Non avrei dovuto lasciarlo andare. Se solo avessi saputo che cosa sarebbe successo poi. Se solo avessi seguito il mio istinto. Se solo…)
Soffocò altre lacrime amare e salate, altri singulti e altre grida contro il petto di Ryoken — sempre lì, direttamente sul cuore.
Si erano ritrovati per puro miracolo e sempre per puro miracolo erano riusciti a fuggire da quell'incubo iniziato all'improvviso e senza alcuna motivazione; avevano viaggiato per giorni interi, giungendo alla casa in campagna di Ryoken provati, stremati e maledettamente traumatizzati; si erano coricati nello stesso letto in cui si trovavano ora e si erano abbracciati forte, nel silenzio più assoluto, sopprimendo lacrime e tremori, paure e orrori di ogni tipo.
Poi si erano guardati negli occhi, si erano fatti forza e si erano tacitamente promessi che sarebbero sopravvissuti insieme e che si sarebbero sempre sostenuti a vicenda.
E ora, mentre Yusaku esternava un dolore che non riusciva più a controllare, Ryoken adempì a quella promessa sorreggendolo con tutte le forze in suo possesso.
    «Sono qui, Yusaku. Piangi quanto vuoi. Respira profondamente» sussurrò piano, carezzandogli i capelli e baciandogli il capo.
Yusaku non avrebbe voluto lasciarsi tanto andare. Ogni singulto, ogni gemito soffocato e ogni tremore erano dei possibili segnali per le creature che si trovavano là fuori e lui e Ryoken avevano scoperto che ce n'erano almeno due intente ad aggirarsi nel bosco. Se li avessero sentiti, sarebbe stata la fine.
E in quel momento avrebbe voluto tanto essere più forte e non addossare tutti i suoi tormenti a Ryoken, bensì aiutarlo a sostenerli e impedire che schiacciassero entrambi, ma era difficile, a tratti impossibile, e tutte le emozioni nere come la pece che ribollivano dentro di lui erano in procinto di scoppiare in un frastuono immenso, come un fulmine che colpisce con cattiveria l'albero al centro di una foresta lontana e selvaggia.
    «Concediti di essere debole, Yusaku. Non puoi essere forte sempre».
    (Ma nemmeno tu, Ryoken).
Avrebbe voluto dirglielo, ma temeva di aprire bocca, perché sapeva che la sua voce alterata dal pianto poteva rivelarsi fatale per entrambi. Così alzò lo sguardo e incontrò gli occhi azzurri di Ryoken, il suo cielo sconfinato, il suo posto tranquillo, ritrovando per un attimo tutta la pace interiore che aveva perso.
Si fissarono l'un l'altro per secondi interi, secondi che divennero poi minuti, e Yusaku ritrovò nello sguardo di Ryoken illuminato dalla luce riflessa della luna piena tutto ciò che Yusei gli aveva detto quella sera d'estate ormai lontana.
    (Appena ti vede sembra quasi rianimarsi di vita e i suoi occhi brillano come se stessero ammirando un capolavoro d'arte senza tempo).
E Yusaku sperò con tutto se stesso che Ryoken percepisse lo stesso ogniqualvolta era lui a guardarlo negli occhi.
Si calmò pian piano, ristabilendo il respiro e avvicinando le labbra a quelle di Ryoken. Le sfiorò quasi con timidezza e, al contempo, il disperato bisogno di sentirle poggiate sulle proprie.
Si baciarono e si strinsero forte l'uno all'altro, le pelli accaldate che sfregavano tra loro, l'intimità che li univa come unico appiglio in quel mondo sommerso dalle tenebre.
Poco dopo, un tuono in lontananza li fece sussultare. E questa volta si fissarono con un'espressione completamente sorpresa stampata sui loro volti, dovuta a un elemento che non avevano preso in considerazione: la possibilità di un temporale estivo, inaspettato ma di certo gradito.
    (Tanto, tanto, tanto gradito).
Sorrisero entrambi, rilassandosi un poco, lasciandosi cullare dalla speranza che il temporale durasse ore intere e fosse rumoroso quanto bastava per poter parlare senza il timore di essere attaccati da un momento all'altro.
E allora forse, almeno per quella notte, non avrebbero più avuto paura.



N.d.A.

Ebbene… sì. Ho finalmente scritto la A Quiet Place!AU che mi portavo dietro da almeno tre anni.
A dirla tutta, desideravo scrivere una long, non lo nego. Ma anche questa OS, nonostante sia già conclusa, ha realizzato comunque il mio desiderio.
Sono stra stra stra in love con questa serie di film e sono in trepidante attesa del terzo capitolo della saga, quindi spero che questo omaggio al franchise sia stato di vostro gradimento.

Shizukesa è una parola giapponese dai molteplici significati: oltre a silenzio, significa anche quiete, tranquillità, serenità, placidità e tanti altri sinonimi.
Rappresenta proprio la pace interiore, quella che Yusaku ha sempre cercato di trovare in una città tanto caotica come Den City, una pace che poi, paradossalmente, si ritrova a vivere in maniera fasulla a causa di un silenzio forzato, perché al minimo rumore degno di nota ecco che la sua vita e quella di Ryoken rischiano di essere portate via da creature di cui non si sa nulla, semplicemente un giorno sono arrivate e hanno iniziato a decimare la popolazione mondiale attaccando ogni minimo rumore — ora capite perché amo tanto questo franchise? Cioè, il paradosso di vivere forzatamente una vita tranquilla in un posto tranquillo, quando noi esseri umani tendiamo a fare rumore, che sia con la nostra voce o con qualsiasi altro arnese che utilizziamo nel corso delle nostre giornate.

Ho sofferto come una dannata a scrivere di Yusei? Certo che sì. Senza contare che era da una vita che non scrivevo sulla mia BROTP prediletta e tornare con questa vagonata di Angst non credo sia stata una scelta saggia, visto come mi sono ridotta…

Giuro che ho finito. Anche perché la OS è risultata più lunga di quanto mi aspettassi, quindi direi di avervi tediati abbastanza.
Spero, quantomeno, che sia stata di vostro gradimento.
Grazie per aver letto!

M a k o
   
 
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