August
•
Sono stata indecisa fino
alla fine se pubblicare questa OS oggi oppure rimandare a settimana
prossima, ma alla fine eccomi qui, con mille paranoie e ancora molto
titubante riguardo questo scritto.
Non voglio tediarvi coi motivi che mi hanno spinta a mettere in
discussione la storia, vi dico solo che sarebbe potuto capitare con
qualsiasi scritto riguardo questa coppia, perché devo ancora
riprendermi da una cosa in particolare che ho letto e che mi ha fatta
dubitare riguardo tante cose — spiegata così
è
praticamente incomprensibile ma davvero, meglio così.
•
Dunque, prima che i
dubbi mi devastassero la mente, non posso negare che puntassi molto su
questa storia, quasi quanto la OS precedente.
Qui non ci sarà nessun colpo di scena finale,
sarà tutto
abbastanza palese fin dall'inizio, ma spero comunque di aver sviluppato
bene l'idea, visto e considerato che è una vera e propria
rivisitazione del canon in chiave soprannaturale — ci
sarà
uno spiegone lunghissimo a fine storia con tutti i riferimenti al
canon? ASSOLUTAMENTE SÌ.
•
Prima di lasciarvi allo specchietto, ci tengo a dire che il titolo
della storia è ripreso dal ritornello di My
Saviour, canzone dei Dead by April, nonché una tra
le mie preferite in assoluto.
Troverete inoltre le strofe della suddetta all'interno dello scritto.
Detto ciò, vi auguro buona lettura!
August:
Vampire!AU
Prompt forum:
Non puoi tornare indietro, devi avanzare. (Vuoi un biscottino della
fortuna?)
Rating:
Arancione
Generi:
Angst, Introspettivo, Soprannaturale
Note:
Modern(&Vampire)!AU, Vampire!Ryoken x Human!Yusaku, POV Ryoken
Avvertimenti:
Tematiche delicate
I'm
free
(you are my saviour)
1
So there you are
Alone with those
ablazing eyes
Like an angel brought to
life
You have my destiny
L'aria
era satura di dolore, rabbia e disperazione e i suoi polmoni ne erano
pregni. Il sangue che gli infestava la bocca aveva un sapore tremendo e
l'avrebbe rigurgitato all'istante, ma era assetato
(infuriato)
e si sarebbe
accontentato, almeno per quella volta.
Il bambino che teneva
tra le braccia era talmente debilitato che forse aveva perso
conoscenza. Meglio così, meglio non fargli
assistere all'orrore dei grandi,
anche se chissà da quanto tempo era rinchiuso in quella
stanza sudicia, affamato e impaurito.
I capelli gli ricadevano
disordinati
sulla fronte e coprivano gli occhi socchiusi, specchi di anima che a
Ryoken erano preclusi. Strinse un po' più forte quel
corpicino
contro il petto, conscio che tutto il suo gelo
era l'esatto opposto del calore umano di cui in quel momento il bambino
necessitava, ma sentirlo tremare tra le proprie braccia gli fece
comprendere che fosse ancora vivo e allora tanto valeva tenerlo
lì, in quella stretta di ghiaccio, lontano da quegli umani
che
si erano rivelati delle belve senza cuore e pietà.
In mezzo a quel coacervo
di terrore e
putridume, riuscì a percepire la presenza di altri bambini.
Non
seppe constatare con precisione quanti fossero, ma di una cosa era
certo: non poteva restare lì ancora per molto, nonostante
avesse
voluto stringere a sé ancora per un po'
(forse per tutta la vita)
il corpicino che giaceva
tra le sue braccia.
Doveva innanzitutto
assicurarsi che
fosse al sicuro e poi chiamare la polizia. Una volta arrivati sulla
scena del crimine, gli agenti avrebbero visto tre corpi quasi
completamente dissanguati stesi a terra e con ogni
probabilità
li avrebbero identificati come alcuni dei criminali che stavano
cercando. Non una gran perdita, comunque.
Erano tre bastardi di
oltre
quarant'anni che traevano un perverso piacere nel tenere rinchiusi dei
bambini facendoli morire di fame, senza contare che il loro sangue era
contaminato da un'infinità di sostanze tossiche.
Erano scarti, rifiuti di
cui nessuno
avrebbe sentito la mancanza e molto probabilmente neanche un'anima viva
si sarebbe recata dinanzi le loro tombe per porgere un fiore.
Il bambino tra le sue
braccia
tremò ancora una volta e Ryoken sospirò. Doveva
assolutamente fare quella telefonata anonima, non poteva perdere altro
tempo.
Adagiò il
corpicino a terra e
lo coprì con una stoffa sudicia trovata lì
vicino. Non
era molto, ma presto sarebbe arrivato qualcuno in grado di prendersi
cura di lui.
Avrebbe voluto
carezzarlo, ma quel
pensiero si dissolse nel nulla alla stessa velocità con cui
si
era materializzato nella sua testa. Non era da lui compiere certi gesti
nei confronti del prossimo e già solo per aver salvato la
vita a
quel bambino pelle e ossa sarebbe stato etichettato come strambo
da parte dei suoi simili. Alcuni di loro si divertivano a tormentare i
più deboli, a portarli lentamente alla pazzia, ma non lui.
Lui non avrebbe tratto
alcun
giovamento nel torturate quel piccolino e anzi, ci aveva perfino
rimesso nutrendosi del sangue scadente dei suoi aguzzini. Era capitato
qualcosa, mentre si avvicinava sempre più a quel covo di
depravati: aveva avvertito una furia cieca crescere inesorabile dentro
di sé, fino a non capire più nulla.
Aveva avuto giusto il
tempo di
intuire che in quel luogo si trovassero anime afflitte e demoni che
infierivano con cattiveria per farlo intervenire. Odiava con tutto se
stesso chi faceva del male ai bambini, perché erano
innocenti e
non avevano la facoltà di opporsi alla perfidia; i suoi
simili
dicevano che il sangue dei bambini era il più buono e
prelibato
tra tutti, proprio perché ancora puri e inviolati, ma che
razza
di mostro attaccava creature così piccole e indifese?
Per la prima volta in
tutta la vita,
Ryoken ebbe modo di scoprire che i mostri non erano solo quelli della
sua stessa specie: anche l'essere umano, con poche gocce di cattiveria
instillate nelle vene, poteva tramutarsi nel peggiore dei demoni.
Chiamò la
polizia, denunciando
in forma anonima quanto accaduto in quel luogo maledetto. Con un po' di
fortuna, gli investigatori avrebbero attribuito la morte dei tre
bastardi all'attacco di una belva feroce. Inoltre, il piccolo aveva
perso i sensi e se anche l'avessero interrogato per avere informazioni,
non avrebbe potuto in alcun modo ricordarsi di lui.
Ora andava tutto bene.
(E allora perché se ne stava
andando con un peso abnorme sul
cuore?)
2
(Dieci anni dopo)
Gemeva al suo tocco. Da quando era diventato così sfrontato?
A dirla tutta, lo era sempre stato; a modo suo, con quegli sguardi
complici e quei piccoli sorrisi, era sempre
stato sfrontato. Ma adesso lo era diventato ancora di più e
Ryoken provò un miscuglio di sentimenti diversi che
premevano
sulla sua gola, lì dove quel
sangue scorreva in ogni direzione, infondendogli vita.
Avrebbe voluto staccarsi e guardarlo dritto negli occhi, perdersi in
quelle iridi verdi e dirgli che non ce la faceva più. Che
trovarsi perennemente in bilico lo stava dilaniando senza sosta, che
aveva un disperato bisogno di risposte che tardavano ad arrivare.
Ma in fondo, andava bene anche così. Era ormai arrivato a un
punto in cui pur di rimanere accanto a quel ragazzo che gli aveva tanto
sconvolto la vita, avrebbe sopportato ogni cosa.
Anche quel giorno, avrebbe ascoltato la stessa, identica risposta.
Anche quel giorno se ne sarebbe fatto una ragione. E anche quel giorno
avrebbe atteso la notte successiva per reiterare ciò che li
rendeva tanto loro
in quel mondo che correva sempre troppo veloce.
Era in procinto di staccarsi da lui, quando Yusaku portò
entrambe le mani sul suo capo, invitandolo tacitamente a sostare
ancora un po' sul collo martoriato dai morsi.
Dopo mesi aveva ormai acquisito una resistenza incredibile, tanto che
Ryoken poteva attingere ogni notte a una dose sempre maggiore di
sangue, ma non era un
bene.
Non lo era per nessuno dei due, perché avrebbe significato
rendere Yusaku sempre più simile a lui e se ciò
fosse
accaduto, non se lo sarebbe mai perdonato.
E alla fine riuscì a staccarsi, ancora più
scombussolato di prima, con la mente e il cuore che vorticavano celeri,
quasi volessero evadere da quel corpo sempre più pregno di
emozioni calde e ustionanti, così in contrasto con il gelo
della
sua pelle e la lama affilata proiettata dal suo sguardo.
Si concesse qualche secondo per riprendere fiato, meravigliosamente sazio e
appagato,
mentre Yusaku estraeva un cioccolatino dalla scatola adagiata sul
mobiletto scuro. Lo scartò e lo portò alla bocca,
tornando poi a stendersi sul letto e chiudendo gli occhi dopo aver
poggiato il capo sul cuscino.
Era stato più intenso del solito. Quella notte Ryoken si era
sentito parte di una cosa immensa e inquantificabile, un sussurro di
universo grande quanto un'intera costellazione.
Forse perché Yusaku diventava sempre più simile a
lui
ogniqualvolta lo invitava ad affondare i canini nella sua carne e
Ryoken tendeva sempre più a vederlo come il suo compagno di
vita, anche se questo avrebbe significato strappare Yusaku alla sua
vita umana e incastrarlo in un'esistenza che non gli apparteneva.
(Come ci erano
arrivati a quel punto? Quale incredibile potete aveva avuto Yusaku su
di lui, per diventare il suo unico chiodo fisso?)
Il fatto che anche quella notte non avrebbe ricevuto alcuna risposta,
lo indispettì. Ma c'era comunque un copione da seguire, per
cui…
«Allora, questa notte mi dirai
tutto
quanto?» domandò, lo sguardo fisso sulla sua
figura
pallida.
Yusaku aprì gli occhi e si voltò verso di lui.
Sorrise.
«Sì, questa
è la notte in cui ti racconterò tutto
quanto».
Gli si mozzò il respiro in gola. Ryoken sgranò
gli occhi
e non riuscì a proferire parola alcuna, completamente
affossato
da una miriade di sensazioni che non sapeva identificare.
Non se lo aspettava. Si era ormai così abituato a restare in
bilico, su quel filo sottilissimo che non si spezzava mai
(oscillava e oscillava e oscillava, ma
riusciva a reggere il peso
dell'attesa senza indebolirsi con lo scorrere del tempo)
che ora, a un passo dalla scoperta della verità, si sentiva
disorientato e perfino spaurito.
E in un attimo, giusto il tempo di sbattere le palpebre, rivisse tutti
i momenti che avevano portato lui e Yusaku in quel preciso istante,
stesi su quel letto a giurarsi amore eterno a modo loro.
(Mesi e mesi e mesi ridotti a un piccolo
singulto, uno sfilaccio di
tempo sottile e a tratti invisibile).
3
I tried to fight
For so many years I've
tried
You brought me back to
life
Changed my world
Guided me
Era un giorno di inizio
primavera
come tanti. L'anno scolastico era da poco cominciato e lui si stava
pian piano riadattando alla vita umana.
Per dieci anni aveva
mutato la sua
forma, prima in quella di un lupo bianco e poi in quella di una tigre
bianca, vivendo in foreste lontane che non avevano nulla a che vedere
con tutta quella caoticità cittadina; necessitava prima di riprendersi
e ponderare ogni sua singola mossa, poiché in soli dieci
anni
Den City era diventata a tratti irriconoscibile, come una storia
riscritta dall'inizio dopo aver buttato giù più
della
metà dei capitoli, e sentiva di aver perso l'unico appiglio
che
aveva col mondo umano.
Nonostante l'orrore a
cui aveva
assistito dieci anni addietro, Den City brillava sempre di luce propria
e lui aveva deciso di ripartire proprio da lì. Il suo
aspetto
era quello tipico di un ragazzo di diciotto anni, quindi frequentante
l'ultimo anno delle superiori e in procinto di affacciarsi poi al mondo
dell'università. Per qualche anno sarebbe stato in grado di
reggere il gioco, poi se ne sarebbe andato da qualche altra parte
— in America, con ogni probabilità — e
avrebbe fatto
perdere le proprie tracce.
Non che qualcuno avrebbe
dovuto
legarsi a lui al punto tale da imprimere il suo volto nelle pareti
dell'anima, ovviamente. Non era certo sua intenzione avvicinarsi così
tanto agli umani, doveva
solo ritrovare il suo posto nella
società e poi se ne sarebbe andato per la propria strada.
Niente
legami, niente amicizie, solo conoscenze di frivola durata.
(Quanto si
sbagliava).
Accadde proprio in quel momento,
proprio quando doveva ancora abituarsi alla divisa scolastica blu e la
vita umana gli sembrava ancora lontana e inafferrabile; proprio quando
si era imposto di dare il meno possibile nell'occhio, proprio quando si
stava preparando mentalmente al suo primo giorno di scuola come
studente del liceo: avvertì dei passi, lenti e strascicati,
a
pochi metri da lui. Dei passi che quasi si perdevano tra la folla
immobile davanti al semaforo, perché
non si attraversa col rosso, lo sapeva anche lui.
Eppure c'era qualcuno
che
evidentemente non aveva prestato attenzione al colore del semaforo ed
era in procinto di mettere a repentaglio la propria vita nel modo
più sconsiderato possibile.
Ryoken
impiegò un attimo ad
agire: si fece largo tra la folla indifferente e strinse le dita
attorno al polso sottile di quella figura alta e snella, facendola
voltare e attirandola a sé. Si rivelò essere un
ragazzo
che indossava la sua stessa divisa scolastica e, a giudicare dal colore
della cravatta, doveva frequentare il primo anno.
Ma non fu quello a
catturare
l'attenzione di Ryoken; ciò che più gli si
impresse
sottopelle, infatti, furono le iridi verde chiaro che si incastrarono
nelle proprie in un contatto visivo che durò mille anni in
un
secondo. Fu un attimo, solo e soltanto un attimo, eppure qualcosa si
smosse in lui, qualcosa di antico e profondo, che non aveva mai provato
in vita propria.
«Stavi per
attraversare col rosso» riuscì a dire
meccanicamente,
quasi avesse perso l'uso corretto della parola.
Il ragazzo
continuò a fissarlo senza dire una parola
(c'era una storia immensa che si stava animando dietro le
sue iridi, qualcosa che a Ryoken era ancora proibito)
e poi incurvò
le labbra in un piccolo sorriso, lieve come il tratto di una matita
sottile.
«Ti
ringrazio» rispose, assolutamente tranquillo.
«Alcune volte
capita di perdermi nei miei pensieri e non bado a ciò che mi
circonda».
Ryoken inarcò
un sopracciglio.
«Dovresti prestare più attenzione, invece. Hai
rischiato
molto prima, te ne rendi conto?»
Il ragazzo sorrise
ancora. «Ma tu mi hai
salvato».
Quella risposta lo
spiazzò.
Poi un brivido di freddo sconquassò l'intero corpo del
ragazzo e
Ryoken capì immediatamente che doveva trattarsi della loro
vicinanza prolungata
(lui era gelo perenne anche nelle
tiepide mattinate di primavera)
e quindi si
staccò, un po' a malincuore e con mille domande che vagavano
incessanti nella sua mente.
«Beh, vedi
di stare più attento in futuro, va bene?» si
limitò
a dire, affondando le mani nella tasche dei pantaloni ora che non
potevano più affondare nella carne del ragazzo. Questi
sorrise
per la terza volta e Ryoken si sentì completamente perso,
calciato via dal mondo che credeva di conoscere e intrappolato in un
luogo che lo metteva in estrema soggezione.
«Ci proverò. Grazie
ancora per il tuo
aiuto».
(E tu chi sei in realtà?)
4
Yusaku Fujiki, così
si
chiamava quel ragazzo dagli occhi verdi, alcune volte era colto da dei
blackout che gli offuscavano la mente, come se entrasse in un mondo
tutto suo fatto di mostri e oscurità angosciante. Lo sguardo
si
adombrava e lui si estraniava completamente da tutto ciò che
lo
circondava, tanto che poteva anche attraversare le strisce pedonali col
rosso senza rendersene conto — e questo Ryoken lo sapeva fin
troppo bene.
Yusaku gli aveva
spiegato che si
trattava delle ombre del suo passato che alcune volte lo raggiungevano
ancora e Ryoken non aveva potuto fare a meno di pensare che quel
ragazzo, con ogni probabilità, non avesse avuto un'infanzia
felice. Ma non aveva indagato oltre, si era limitato ad annuire e a
proteggerlo con lo sguardo
(Yusaku
forse non se ne rendeva conto, ma aveva calamitato tutte le attenzioni
di Ryoken su di sé in un battito di ciglia).
Era stato inevitabile
avvicinarsi a
lui a scuola, tra un intervallo e l'altro e soprattutto durante le ore
trascorse insieme al club di informatica. Ryoken era sempre stato
affascinato dalla tecnologia umana e dopo dieci anni trascorsi lontano
dalla civiltà, sentiva il bisogno di tornare al passo coi
tempi.
Gli bastò la
prima lezione per
avere un quadro generale di tutti i progressi che l'essere umano aveva
fatto durante la sua assenza e ancora meno per capire che Yusaku non se
lo sarebbe mai più tolto di dosso, dall'anima soprattutto.
Non sapeva spiegarsi
come o
perché, ma quel ragazzo aveva la situazione in pugno e
questo lo
faceva precipitare in un vortice senza fine di brividi e desiderio.
L'ultima volta che aveva
perso il
controllo, l'aveva fatto a causa della rabbia; ora era arrivato un
sentimento completamente nuovo a distruggerlo dall'interno e non aveva
bisogno di darsi una motivazione precisa, semplicemente sapeva
già nell'inconscio che Yusaku sarebbe stato l'unico a
soddisfarlo del tutto, a farlo stare bene.
Yusaku che, nella
placidità
più assoluta, durante il loro terzo incontro al club di
informatica gli fece intendere di aver compreso la sua vera natura.
(E di non temerla affatto).
5
Erano rimasti soli
nell'aula di
informatica. Tutti gli altri membri del club se ne erano andati
già da un po' e a Ryoken, in quanto senpai del terzo anno,
erano
state affidate le chiavi per chiudere la porta una volta usciti.
“Yusaku,
dobbiamo andare”
avrebbe voluto dirgli, ma era troppo impegnato a divorarlo con gli
occhi per tenere a bada i canini, i quali premevano per essere liberati
e affondare in quel collo invitante.
Yusaku aveva tantissime
aperture e
non c'era proprio nulla nel suo atteggiamento che desse l'impressione
di volerle coprire modificando il suo modo di fare, la postura o il
linguaggio del corpo. No, Yusaku era ciò che Ryoken definiva
una preda consapevole,
ovvero qualcuno che decide di propria sponte di lanciarsi contro le
fauci del predatore con il serio intento di lasciarsi divorare pezzo
dopo pezzo.
Nella penombra di quella
stanza, si
ritrovarono improvvisamente vicini, così tanto che i loro
petti
quasi si sfioravano e i loro respiri si miscelavano tra loro in un
punto d'incontro a metà strada tra le loro labbra. Ryoken
non
proferì parola quando Yusaku avvicinò le mani a
lui,
giocherellando con la catenina che indossava e che si era sempre
premurato di nascondere sotto la stoffa dei vestiti.
Quando Yusaku iniziò a rigirarsi l'anello solare tra le
dita, il
quale fungeva da ciondolo alla catenina, Ryoken capì. Vi era
curiosità nei suoi gesti, ma anche tanta prudenza e un
accenno
di devozione.
(Era come se gli stesse tenendo il cuore
tra le mani).
«Vuoi venire a casa mia,
questa notte?» domandò Yusaku, alzando lo sguardo.
«Mi darai il
permesso di entrare?» domandò a sua volta Ryoken,
instaurando il contatto visivo con quegli occhi che lo facevano
interiormente impazzire.
Yusaku sorrise e Ryoken
avrebbe voluto mordere e dissetarsi di quel sorriso.
«Certamente».
6
Ryoken quella notte non
entrò
dalla porta di ingresso. Sapeva che l'avrebbe trovata chiusa a chiave e
che Yusaku l'avrebbe direttamente aspettato sul piccolo balcone della
sua camera da letto.
E infatti lo
trovò lì,
un po' tremebondo, che attendeva il suo arrivo fuori al freddo
—
era primavera di giorno e inverno di notte.
Ma tutto il patimento di
Yusaku
sfumò nel nulla nel momento in cui Ryoken gli fu vicino. Il
ragazzo indossava un pigiama blu che si intonava perfettamente ai suoi
occhi e ai suoi capelli e a Ryoken parve, mentre lo osservava per un
attimo, la creatura più bella del mondo.
Avrebbe voluto
abbracciarlo forte e
proteggerlo, ma gli erano impossibili entrambe le cose: il suo corpo
era freddo come il ghiaccio e mai avrebbe potuto scaldarlo e presto i
suoi canini sarebbero affondati in quella carne tanto agognata, come
poteva proteggerlo da se stesso?
Fu Yusaku ad azzerare le
distanze tra
loro: lo prese per mano e lo invitò a entrare, a colmare
quella
stanza vuota con la sua presenza, a dirgli tacitamente “sono
tuo”.
Ryoken avrebbe voluto
porgli
un'infinità di domande: come avesse fatto a intuire la sua
vera
natura, come mai non ne fosse spaventato e soprattutto
perché si
stesse offrendo spontaneamente a lui. Come aveva fatto a capire che
fosse sul punto di morire di fame, quando lui si era tanto impegnato a
nasconderne i sintomi davanti agli esseri umani.
Da quando era tornato
alla
civiltà, non aveva ancora toccato una goccia di sangue. Per
dieci anni, nella forma del lupo e della tigre, aveva cacciato solo e
soltanto animali, abituandosi così al loro sapore.
Ciò
che l'aveva spinto a tramutarsi in un animale e ad allontanarsi dalla
società risaliva proprio all'ultima volta che del sangue
umano
gli aveva invaso la bocca.
E ora, dopo tanti anni,
era quasi sul punto di provare il terrore
di perdere il controllo un'altra volta ancora. Ma in questo caso non
per la rabbia, bensì per il puro e atavico desiderio di
possedere Yusaku nel modo più intimo possibile.
Caddero sul letto
morbido e Ryoken,
con dita febbricitanti, cominciò a sbottonare la camicia del
pigiama di Yusaku, scostandogli poi il colletto. Nel chiaro di luna che
invadeva la stanza, poteva vedere quanto il ragazzo fosse rilassato, come
se non avesse atteso altro in vita propria.
“Puoi
ancora tirarti indietro”
avrebbe voluto dirgli, attingendo alle ultime briciole di autocontrollo
che ancora possedeva. Ma era conscio che Yusaku avrebbe finto di non
udire le sue parole e allora tanto valeva conservare quelle briciole
per ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.
E quando
affondò i canini
nella sua carne, fu come immergere il corpo nell'acqua calda dopo ore
intere di fatiche. Fu come tornare in vita dopo aver vagato nelle
tenebre più profonde, un bellissimo fiore scarlatto in grado
di
nascere dal cemento.
Era il sangue
più puro che avesse mai saggiato. Una fonte di energia
inestimabile, calda e dolcissima.
Yusaku gemette
sommessamente e subito
dopo il suo intero corpo fu scosso da fremiti sempre più
intensi. Ryoken dovette attingere a tutto il proprio autocontrollo per
staccarsi da quel collo e quando ciò accadde si
sentì
vuoto all'improvviso.
Quando guardò
Yusaku negli
occhi, però, ecco che quel vuoto tornò riempirsi
di tutte
le meraviglie del mondo.
(Occhi verdi colmi di appagamento e
gratitudine).
«Grazie»
sussurrò Yusaku, sorridendo con amore.
E ancora una volta,
Ryoken non
poté che rimanere incantato dalla straordinarietà
di quel
ragazzo. Chi mai ringraziava il proprio predatore per avergli portato
via parte di sé?
«Grazie a
te» rispose, estraendo un piccolo involucro dalla tasca della
giacca. «Tieni, mangia. È un cioccolatino, ti
aiuterà a recuperare le energie».
Solo in quel momento si
rese conto di
quanto Yusaku fosse esausto, tanto che non riuscì nemmeno a
scartare il cioccolatino con le proprie mani. Ryoken lo fece al posto
suo e lo imboccò, fremendo quando le labbra di Yusaku gli
sfiorarono la punta delle dita.
Mentre il ragazzo
gustava il cioccolatino in silenzio, Ryoken osservò rapito i
due piccoli fori sul suo collo.
(Glieli
aveva fatti lui. Ed era stato il primo. Perché Yusaku aveva
voluto che fosse così, che le cose andassero in quel modo.
Chi
era, in realtà, quel ragazzo all'apparenza tanto innocente?)
«Come
mai?» domandò Ryoken all'improvviso, nel momento
in cui
Yusaku finì di mangiare il cioccolatino.
«Perché
tutto questo?»
Voleva capire,
poiché il non
comprendere lo stava divorando dall'interno. Yusaku sorrise ancora e si
accoccolò accanto a lui, facendogli tacitamente intuire che
poteva restare, che non gli importava di sopportare il
gelo della sua pelle, lo voleva lì accanto per il resto
della
notte e basta.
«Te lo
dirò, ma non oggi» rispose, poggiando il capo
contro il
suo petto. «Quando arriverà il giorno, saprai ogni
cosa.
Promettimi solo che resterai accanto a me fino a quel
momento…»
Istintivamente, Ryoken
lo strinse
forte a sé. Nonostante il gelo. Nonostante la vita giacesse
accanto alla morte. Nonostante la sua purezza d'animo gli stritolasse
il cuore.
«D'accordo. Te lo
prometto».
Quella fu la loro prima
notte insieme. La prima di tante.
7
I'm free
You
are my saviour
I'm
free
You
are my guiding soul
Era arrivato il momento. Dopo mesi trascorsi a nutrirsi di lui, della
sua vita e del suo amore, ecco che tutto stava per giungere a una
svolta e niente sarebbe più stato come prima.
Yusaku allungò una mano verso Ryoken, toccando la collana
che indossava e avvicinando l'anello solare alle labbra.
(So cosa sei e non ho paura).
E Ryoken attese, trepidante, desideroso di scoprire tutta la
verità.
«Dieci anni fa sono stato
rapito»
iniziò a raccontare e subito Ryoken sentì il
letto
sparire sotto il suo peso, una voragine dai denti aguzzi al posto del
morbido materasso.
(Cielo, Yusaku, che traumi hai
subìto quando eri solo un
bambino?)
(Ma lo sapeva già. In cuor
suo, forse, l'aveva sempre saputo).
«Avevo all'incirca sei anni
quando accadde.
Rimasi rinchiuso per mesi interi in una stanza piccola e sporca, con
pochissimo da mangiare e diverse persone che venivano a farmi visita
quasi tutti i giorni: possibili acquirenti. Ma nessuno ha mai pensato
di comprarmi, forse perché ero troppo magro e debilitato,
non lo
so. A ogni modo…»
Si interruppe un attimo, stringendo forte l'anello solare tra le dita.
«… gli uomini che mi avevano rapito erano dei
tossici che
guadagnavano soldi illeciti tramite il traffico di esseri umani.
Soprattutto bambini. E io… io più di una volta ho
creduto
che sarei morto di fame lì, tra quelle mura tanto anguste,
perforato dalle mie stesse ossa e in preda alle
allucinazioni».
Liberò l'anello solare dalla sua stretta convulsa e le sue
labbra sottili tremarono appena. Si guardarono negli occhi e Ryoken gli
si avvicinò, stringendolo forte a sé.
«Tutto questo gelo…
a me non fa paura.
Perché è lo stesso che mi ha fatto tremare dieci
anni fa,
che mi ha fatto capire di essere ancora vivo. Quando ero solo un
bambino… tra le tue braccia… tu mi hai salvato. E
non
solo me: hai salvato altri cinque bambini che oggigiorno sono riusciti
a rifarsi una vita e andare avanti. Siamo tutti quanti ancora
spaventati per ciò che abbiamo subìto, ma siamo vivi grazie a te».
Respirò a fondo prima di proseguire: «All'inizio
credevo
di essere in preda alle allucinazioni dovute alla fame. Ma quella notte
riuscii a scorgere la tua figura e ti vidi nel momento in
cui…
ti sei nutrito del sangue di quegli uomini. Non lo dissi alla polizia,
ovviamente, anche perché non sapevo se ciò che
avevo
visto fosse reale o meno, ma quando tornai a scuola riuscii a
estrapolare qualche informazione: mentii alla maestra dicendole che
avevo avuto un incubo e le raccontai ciò che avevo visto
quel
giorno. Così lei mi disse che, con ogni
probabilità,
avevo sognato un vampiro».
Era la prima volta che Yusaku dava una forma concreta alla vera essenza
di Ryoken. Era la prima volta che gli diceva esplicitamente so che tu sei un vampiro.
E fu anche la prima volta in cui Ryoken si sentì
completamente esposto dinanzi un essere umano pensando a quanto fosse giusto.
Era lui. Il bambino che aveva stretto tra le proprie braccia dieci anni
addietro, la creatura fragile e denutrita a un passo dalla morte,
l'innocenza perduta a causa di belve travestite da esseri umani. Ryoken
quella notte aveva seguito odori e miscugli disgustosi, era giunto
dinanzi un luogo degli orrori e in preda alla rabbia si era nutrito di
sangue contaminato dall'alcol, dalle droghe e dalla cattiveria
assoluta. Aveva liberato il mondo da tre parassiti e aveva stretto
forte Yusaku a sé prima di andarsene e trascorrere i dieci
anni
successivi a disintossicarsi da quel trauma, a cercare di andare avanti
e ritrovare il controllo perduto.
La saggezza della tigre bianca gli aveva suggerito poi di tornare dagli
umani, di dare loro una nuova possibilità, ma mai avrebbe
pensato di ritrovare proprio quel bambino, la creatura che tanto
l'aveva scosso nel profondo dell'animo dieci anni addietro.
«Ti ho cercato per tanto
tempo…»
sussurrò Yusaku, senza riuscire a trattenere un singulto.
«Volevo… rivederti e fare qualcosa per te. Perché so che cosa
significa morire di fame,
l'ho provato per mesi interi sulla mia stessa pelle. E questa
primavera, quando stavo per attraversare le strisce pedonali col rosso
e tu mi hai fermato… l'ho avvertito di nuovo: lo stesso gelo
che
dieci anni fa mi ha fatto capire di essere ancora vivo. Eri tornato e
io mi sono sentito così
felice, come se fossi rinato un'altra volta
ancora».
E ora Yusaku piangeva. Piangeva con tutta la sua innocenza riflessa
negli occhi, una sensibilità che Ryoken trovò
meravigliosa.
«Ryoken… io non ti
ho mai dimenticato.
Non ho mai smesso di sperare che un giorno ci saremmo ritrovati e che
avrei finalmente potuto salvarti allo stesso modo in cui tu hai salvato
me. Volevo davvero fare qualcosa per te…»
E l'aveva fatto. Yusaku si era mantenuto puro per lui e il
suo sangue irresistibile ne era la prova inconfutabile.
Ora come non mai Ryoken si rese conto di quanto quel ragazzo gli fosse
stato devoto per anni interi, senza neanche sapere se un giorno si
fossero ritrovati. Ryoken per primo non credeva avrebbe mai stretto
nuovamente a sé il bambino che aveva salvato in quella notte
tremenda, e invece ecco che ora lo bramava come compagno di vita,
perché giorno dopo giorno Yusaku si era fatto strada nei
suoi
sentimenti, mettendo radici nel cuore
(lo stesso cuore che Ryoken non avrebbe
mai pensato potesse battere per
qualcuno).
«Ciò che hai fatto
per me in questi
mesi è quanto di più bello mi sia mai capitato
nella
vita, Yusaku. Sei il motivo per cui credo ancora
nell'umanità. E
per questo non ti ringrazierò mai abbastanza».
Rimasero abbracciati per minuti interi, senza più dirsi
nulla,
persi in un gelo che a modo suo li scaldava e univa fin nelle ossa. Chi
l'avrebbe mai detto che un vampiro come lui, un giorno, avrebbe perso
la testa per un essere umano così sensibile.
Ma, in fin dei conti, erano fatti per stare insieme proprio per questo,
perché si completavano a vicenda.
C'era solo un'ultima cosa da fare, ed era la più importante
fra tutte.
E se fossero andati fino in fondo, poi non sarebbero più
potuti tornare indietro.
8
«Yusaku».
Lo chiamò piano, un sussurro che si perse nel silenzio della
notte. Non sapeva quanto tempo fosse trascorso da quell'importante
rivelazione, ma sicuramente era già abbastanza per tornare a
parlare e confrontarsi ancora.
Yusaku alzò lo sguardo su di lui, le lacrime secche sul viso
e un sorriso dolce nascosto nell'incurvatura delle labbra.
Ryoken gli carezzò i capelli, lo stesso gesto che avrebbe
voluto
compiere dieci anni addietro nei confronti del bambino che aveva
salvato.
«All'inizio non volevo
arrivare a questo
punto. Immagino l'abbia avvertito anche tu che manchi ormai poco alla
tua trasformazione: ogni volta che ti mordo, una parte di me fluisce in
te, in attesa di essere risvegliata. Dovrei smettere di nutrirmi del
tuo sangue per almeno un anno, se vogliamo cancellare queste tracce. Ma
immagino che tu non lo voglia».
«Affatto. Io voglio restarti
accanto».
«E lo stesso vale per me. E se
tu sei sicuro
di ciò, se vuoi davvero diventare come me ed essere il mio
compagno… ne sarei onorato».
Si staccò da lui, invitandolo ad alzare il busto. Si tolse
la
collana e la aprì, facendo cadere l'anello solare nel palmo
della mano. Poi prese quella sinistra di Yusaku e gli infilò
l'anello nell'anulare.
«Questo ora è
tuo» disse.
Gli esseri umani lo chiamavano matrimonio,
ma nel loro caso le fedi non possedevano alcun potere sovrannaturale.
Gli anelli solari, invece, erano ciò che permetteva a un
vampiro
di vivere anche alla luce del sole senza tramutarsi in cenere tra
atroci sofferenze. E Ryoken aveva appena donato a Yusaku l'anello che
aveva indossato per secoli interi. Perché lo amava ed era
come
avergli offerto il proprio cuore.
«Ma… questo
è il tuo…»
«Non ti preoccupare, noi
vampiri ne abbiamo
sempre uno di riserva. E un giorno te ne farai forgiare uno anche tu. Ma questo è un'altra
cosa.
Questo non è solo un anello solare, è la prova
del mio
amore per te. Ti sto donando ciò che mi ha protetto per
secoli
interi e io ora sono vulnerabile, perché la mia
priorità
sei tu».
Avvicinò le labbra alle sue e poi le sfiorò.
Fremettero entrambi.
«Se accetti il mio amore,
rimane solo una cosa
da fare. Ma non potremo più tornare indietro, lo sai,
vero?»
Yusaku sorrise, un'incurvatura pregna di consapevolezza e
serenità.
«Lo so. Ma il tuo amore
è ciò
che desidero e non potrei mai rifiutarlo. Voglio essere il tuo compagno
di vita e stare con te, qualunque cosa accada».
Non fu necessario aggiungere altro. Semplicemente, Ryoken si
avvicinò al suo collo e lo morse un'altra volta ancora, con
l'intento di marchiarlo molto più in profondità.
Presto
Yusaku si sarebbe addormentato e, una volta riapriti gli occhi, avrebbe
avuto sete. Molta sete.
E Ryoken avrebbe vegliato su di lui e gli avrebbe offerto il suo sangue
senza remora alcuna, proprio come aveva fatto Yusaku per tutti quei
mesi.
E in ogni gesto, in ogni morso, in ogni più piccolo gemito,
c'erano parole nascoste che li avrebbero tenuti uniti per altre mille
vite.
(Ti amo).
All I need is you
N.d.A.
•
Questa storia la potrei
quasi definire il motivo per cui amo così tanto Ryoken e
Yusaku
come coppia: il concetto di salvezza, di ragione di vita, di devozione,
di amore incondizionato… c'è praticamente tutto.
Okay, io punto i riflettori su una chiave di lettura decisamente
romantica, ma è innegabile che questi due sottoni siano
legati
in maniera indissolubile.
Prima di lasciarvi al mega spiegone, vi dico solo che erano ANNI che
desideravo usare My
Saviour
in una storia, ancor prima di scoprire questa ship, ma non l'ho mai
fatto perché volevo utilizzarla in una storia per me
importante,
e non così a cuor leggero, quindi sono estremamente felice
di
aver finalmente trovato lo scritto adatto per la portata di questa
canzone.
•
Dunque, più o
meno tutti sanno del passato traumatico di Yusaku: è stato
rapito (insieme ad altri cinque bambini, tra cui Jin e Miyu) per degli
esperimenti legati alle intelligenze artificiali e il suo aguzzino
è nientepopodimeno che Kiyoshi Kogami, ovvero il padre di
Ryoken.
Ryoken diventa la voce di speranza di Yusaku nel corso di quei sei mesi
di inferno: gli infonde coraggio, gli resta accanto, gli parla per
alleviare il suo dolore arrivando al punto di rottura in cui non ce la
fa più e si ribella al padre, facendo una denuncia anonima
alla
polizia.
E tutto questo avviene quando Ryoken aveva otto anni e Yusaku sei,
praticamente due bambini traumatizzati a vita.
Yusaku infatti non ne esce bene: soffre di disturbo da stress
post-traumatico, di notte è divorato dagli incubi e tutto
ciò che lo tiene ancora in vita è proprio colui
che
è diventato la sua ragione per continuare a vivere durante i
sei
mesi d'inferno, ovvero Ryoken.
I dieci anni successivi di Yusaku sono una perenne ricerca di Ryoken,
di colui che lo ha salvato, della sua voce di speranza,
perché
è fermamente convinto che anche Ryoken sia una vittima degli esperimenti e vuole
salvarlo a tutti i costi allo stesso modo in cui Ryoken ha salvato
lui.
Insomma, Ryoken è la ragione di vita di Yusaku e non sono io
a
dirlo perché li shippo con tutta me stessa, è
proprio il
canon che lo dice e well, non ho mai avuto una OTP così
intensa,
madò.
•
Comunque, dicevo, penso
sia palese dunque come ho rielaborato il canon: qui Yusaku è
stato rapito da dei trafficanti di esseri umani e le condizioni pessime
in cui riversa non sono poi tanto dissimili da quelle del canon, visto
che nella serie durante gli esperimenti riceveva la scossa ed era
privato dei pasti se perdeva un duello.
Ryoken qui è un vampiro e soprattutto non va contro il suo
stesso padre per salvare Yusaku (rido perché l'unica volta
in
cui Kiyoshi non è colpevole è perché
non è
proprio presente all'interno della storia, MA OKAY), ma rimane comunque
il fatto che lo salva dalla prigionia e fa la fatidica chiamata anonima
alla polizia per prestare soccorso ai bambini.
Poi ancora, Yusaku è l'unico tra le vittime a sapere di
Ryoken,
anche se ne ignora l'identità e, di conseguenza, la sua
ragione
di vita diventa proprio trovare Ryoken per salvarlo a sua volta: nella
serie perché credeva che anche lui fosse una vittima degli
esperimenti, in questa storia perché ha capito che si tratta
di
un vampiro e vuole dunque offrirgli la propria vita per saziare la sua
sete.
Quindi sì, nelle mie storie Ryoken sarà sempre il
salvatore di Yusaku e Yusaku sarà sempre il salvatore di
Ryoken;
sono l'uno l'ancora di salvezza dell'altro e ribadisco che non sono io
a dire queste cose così, perché mi va,
è proprio
il canon che lo dice.
•
Quindi ecco come ho
attinto dal canon per scrivere questa storia, aggiungendo poi alcuni
elementi tipici (o almeno credo) di una Vampire!AU, tra cui l'anello
solare, il fatto che a furia di mordere la stessa persona per tanto
tempo questa possa trasformarsi in vampiro, il fatto che per entrare in
una stanza i vampiri debbano essere invitati dal proprietario della
suddetta, il sangue irresistibile di
chi è puro (e sì, è un chiaro
riferimento alla
verginità di Yusaku) e anche il fatto che i vampiri possano
trasformarsi in diversi tipi di animali — e per Ryoken non
potevo
non scegliere il lupo bianco ma, soprattutto, la tigre bianca, che per
me è il suo animale per eccellenza.
•
HO FINITO, LO GIURO.
Mi sono svenata per scrivere questa storia (dato che siamo in tema) e
spero davvero che sia stata di vostro gradimento.
Alla prossima!
M a k o
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