September
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Stappiamo lo champagne, chiamiamo l'orchestra, spariamo i fuochi
d'artificio (se sforiamo col budget, mi accontento dei coriandoli):
SONO UFFICIALMENTE IN PARI CON LA RACCOLTA!
Da ottobre in poi pubblicherò solo la OS relativa a quel mese e insomma, meglio tardi che mai!
Sono davvero felice di essere
finalmente in pari, senza contare che questa OS mi ha fatta stare
proprio bene mentre la scrivevo, nonostante le tematiche affrontate.
•
Prima di lasciarvi allo specchietto, vi dico solo che il titolo della
storia è ripreso pari pari, parola per parola da ciò che
Yusaku dice a Ryoken durante il loro secondo duello — che per me
vale come dichiarazione d'amore e nessuno mi potrà mai
convincere del contrario.
Inoltre, se avete presente le OS A Mark On My Soul e After Rain, la situazione vi apparirà subito abbastanza chiara — ma in caso contrario, non vi preoccupate, fa lo stesso.
Vi auguro buona lettura!
September: Hurt/Comfort
Prompt forum: “In questo momento ho bisogno di un'unica cosa: un abbraccio. Un gesto antico quanto l'umanità” (Paulo Coelho) (Everybody Needs A Hug Challenge)
Rating: Giallo
Generi: Fluff, Hurt/Comfort, Introspettivo
Note: Modern!AU, POV Ryoken
Avvertimenti: Tematiche delicate
You are able to save me
and
I am able to save you
1
Stava per scoppiargli la testa. In quel momento desiderò ardentemente trovarsi a casa, al caldo, nel posto giusto e con la persona ancora più giusta. Non ne poteva più.
Aveva raggiunto un
livello di stress e tensione che rischiava di compromettere in maniera
importante la sua salute psicofisica e lui, da bravo testardo quale
era, aveva stretto i denti ed era andato avanti come se niente fosse,
dando l'illusione di essere quello di sempre, un giovane uomo
impossibile da scalfire.
(Uomo. Umano. E proprio per questo, in realtà, molto più fragile di quanto si possa immaginare).
Ryoken
sospirò, perdendosi nella speranza che quell'esalazione
sconfortata potesse colmare il vuoto dell'auto e tenergli un po' di
compagnia, ma questa sparì all'istante e lui rimase nuovamente
solo. Solo coi suoi pensieri, i suoi tormenti e le sue preoccupazioni.
Non voleva accendere
la radio perché sarebbe stato peggio: anche a basso volume,
aveva un mal di testa talmente atroce che ogni singola parola uscita
dalla bocca di un anonimo speaker l'avrebbe mandato nel pallone —
e lui stava guidando in una strada alquanto trafficata, quindi era meglio
non rischiare.
Nemmeno la musica
avrebbe potuto alleviare tutto lo stress che provava. A dirla tutta, in
quel momento, l'unica cosa che desiderava era la quiete, la pace
interiore che si respira dopo essersi rintanati tra le proprie quattro
mura.
Desiderava con tutto se stesso tornare a casa il più presto possibile.
2
Ce l'aveva fatta.
Finalmente aveva parcheggiato la macchina in garage, era sceso dalla
vettura e presto sarebbe rientrato in casa. Il sole era quasi
completamente tramontato e, per l'ennesima volta, Ryoken si rese conto
di essersi trattenuto troppo al lavoro: aveva trascorso ore infinite
davanti lo schermo di un computer a digitare codici e ragionare sugli
innumerevoli progetti che l'azienda per cui lavorava stava portando
avanti.
Era considerato uno dei migliori nel campo della realtà
virtuale, ma c'erano volte, come quella sera, in cui avrebbe preferito
essere un impiegato qualunque che passava inosservato, un volto anonimo
tra la folla. Spiccare e occupare una posizione di rilievo era stato il
suo obiettivo fin dall'inizio e ne era felice; ma se questo significava
dover sacrificare tutto il resto, provava una sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco.
Suo padre non c'era più, ma per anni gli aveva inculcato insegnamenti di cui faticava ancora a liberarsi.
Come, ad esempio, il
fatto che fare carriera e ricoprire un ruolo di prestigio fosse la cosa
più importante nella vita, l'aspirazione massima, ciò a
cui un uomo non doveva rinunciare per nulla al mondo. Ryoken ci aveva
fermamente creduto per tantissimo tempo.
(Poi però aveva incontrato Yusaku e le sue priorità erano drasticamente mutate).
3
Quando entrò
in casa, fu accolto dal buon profumo della cena e dal calore che
risiedeva tra quelle quattro mura. La linea di demarcazione più
netta ed evidente tra il mondo esterno e l'intimità della casa
era proprio questo: chiudersi la porta alle spalle e lasciare fuori il
gelo dell'autunno per addentrarsi in quel rifugio colmo di amore e
meraviglia.
Perché, ancor
prima delle luci accese, della tavola apparecchiata e dello sfrigolare
delle padelle sul fuoco, era il profumo della cena a invadergli i
sensi, a dirgli che Yusaku era a casa, a pochi metri di distanza da lui, e che aspettava solo di essere raggiunto e farsi abbracciare forte.
E quando ciò
accadde, quando finalmente poté poggiare le mani sui suoi
fianchi e stringerli con garbo, Ryoken si lasciò completamente
andare come mai aveva fatto in vita propria. Fu nuovo, diverso, un tipo
di reazione del tutto inesplorato. E forse riuscì a spaventarsi
proprio per questo, nonostante avesse le energie prosciugate.
Di solito, quando
tornava a casa e trovava Yusaku intento a preparare la cena, lo
osservava mentre si voltava per accoglierlo con un sorriso e poi,
indipendente da ciò che Yusaku stava facendo — mescolare
la zuppa, condire l'insalata o preparare le uova strapazzate —,
Ryoken lo sollevava da terra prendendolo per i fianchi e girava intorno
almeno due volte. Amava il modo in cui Yusaku si sorprendeva, come se
fosse sempre la prima volta; e amava il modo in cui rideva per poi
avvolgergli le braccia intorno al collo e cercare immediatamente le sue
labbra per unirle alle proprie.
(Un quadro perfetto, puro e immacolato).
Ma questa volta andò diversamente, perché Ryoken era talmente
(distrutto, estenuato, sciupato)
stanco che non
riuscì a fare nulla di tutto ciò e, paradossalmente, il
sorriso di Yusaku gli diede il colpo di grazia.
Perché avrebbe dovuto proteggere quel sorriso anche quel giorno e sapeva
che, invece, non ci sarebbe riuscito. Non quella volta. E che questo
avrebbe sicuramente allarmato il suo ragazzo, l'ultima cosa che Ryoken
avrebbe voluto fare in vita propria.
E pesava. Pesava davvero tanto.
4
Stava per crollare.
Proprio lì, davanti al suo amore, senza dargli spiegazione
alcuna. Anziché sollevarlo da terra, Ryoken fece vagare le mani
sulla sua schiena e poggiò il capo sulla sua spalla, un appiglio
accogliente che lo fece sospirare di sollievo.
Le gambe erano in
procinto di cedere, ma si impose di rimanere in piedi, quasi volesse
mettere radici in quel punto esatto della cucina. Avrebbe voluto dire
tantissime cose, ma era troppo
(distrutto, estenuato, sciupato)
stanco anche solo per pronunciare il suo nome.
E non voleva portare
Yusaku con sé, non voleva che affondasse con lui, ma non
riusciva a staccarsi da quel porto sicuro, dal calore del suo corpo e
dal profumo dei suoi capelli.
Yusaku sospirò e Ryoken si sentì così in colpa per essersi ridotto in quello stato che per un attimo temette di aver fallito in tutto nella vita.
«Ryoken… vieni, sediamoci sul divano».
Non seppe in che
modo, ma grazie al sostegno di Yusaku riuscì miracolosamente a
recarsi in salotto e sedersi sul divano. Da quando Yusaku era diventato
così forte? Lo
sosteneva senza emettere un fiato e l'aveva affiancato per quel breve
tragitto con una determinazione fuori dal comune. Come se sapesse
esattamente cosa doveva fare.
Proprio come si comportava Ryoken ogniqualvolta era Yusaku ad avere bisogno di aiuto.
Frattanto,
l'emicrania era peggiorata. Le tempie erano sul punto di esplodere e il
loro pulsare incessante era a dir poco insopportabile.
Seduto sul divano, con gli occhi socchiusi e il respiro pesante, vide Yusaku staccarsi da lui e allontanarsi di poco.
«Arrivo subito» lo informò mentre si toglieva il
grembiule. «Vado a spegnere i fornelli e poi sarò di nuovo
da te».
Ryoken annuì
meccanicamente e a fatica contò i secondi che lo separavano dal
ritorno di Yusaku. Era talmente distrutto che si sarebbe addormentato
sul divano nel giro di un battito di ciglia; al contempo, però,
il mal di testa era così opprimente che gli impediva di
lasciarsi andare al sonno.
Che situazione
sgradevole — e, ancora di più, il fatto che Yusaku dovesse
assisterlo per cosa, poi? Per un mal di testa? Bastava così poco
per metterlo al tappeto? Da quando era diventato così debole?
Quasi non si accorse
che Yusaku fosse tornato, sedendosi accanto a lui; quando però
il ragazzo gli prese garbatamente il volto tra le mani e
avvicinò le labbra alle sue, in un solo attimo Ryoken si
sentì alleggerito di tonnellate e tonnellate di stress e
tensione. Non poteva desiderare di meglio, prima di assumere la
medicina: la vicinanza della persona che amava, la sua comprensione e
il suo supporto.
Fu un bacio dolce,
lento, pregno di amore. Un bacio che Ryoken percepì in maniera
ancora più intensa poiché tenne gli occhi chiusi,
concedendosi qualche attimo per riposare la vista.
«Sei bellissimo» sussurrò a fine bacio, dopo aver
riaperto lentamente gli occhi e aver messo a fuoco la sua figura.
Yusaku sorrise,
arrossendo appena. «E tu sei devastato» gli disse,
attirandolo a sé e facendogli poggiare il capo contro il petto.
Il battito cardiaco
regolare che gli rimbombava nelle orecchie era l'unico suono che a
Ryoken non dava fastidio. Perché significava che Yusaku stava
bene e questo per lui aveva la priorità.
Un sorriso rassegnato gli incurvò le labbra nel constatare che sì, era davvero tanto devastato
(distrutto, estenuato, sciupato)
e per un attimo non seppe come uscirne e ne ebbe paura.
Ci pensò
Yusaku ad aiutarlo: «Finisco di preparare la cena, così
poi potrai prendere la pastiglia per il mal di testa, va bene? Vorrei
dartela subito, ma non puoi prenderla a stomaco vuoto…»
Ryoken si rilassò un poco, sospirando. «Resisterò».
5
Mentre assaporava la
zuppa di miso e addentava un pezzo di tamagoyaki, Ryoken si
domandò cosa sarebbe successo quella sera se fosse rincasato in
un appartamento vuoto. Rifletté su cosa avrebbe fatto se fosse
stato da solo e ne concluse che si sarebbe accontentato di un pasto
veloce per prendere quella maledetta pastiglia e poi sarebbe filato
dritto a letto. E il giorno dopo si sarebbe svegliato alle sette in
punto, si sarebbe preparato e sarebbe andato al lavoro, pronto a
distruggersi per un'altra giornata intera.
Con Yusaku, invece,
stava accadendo l'esatto opposto: non aveva ancora assunto la
pastiglia, ma già il solo fatto di gustarsi una cena casalinga
nella quiete più assoluta in compagnia della persona che amava
aveva in parte lenito il pulsare doloroso alle tempie; inoltre, Yusaku
non aveva ammesso replica alcuna quando gli aveva suggerito — o
forse era meglio dire imposto — di rimanere a casa dal lavoro il giorno successivo e pensare solo a riposarsi.
In altre
circostanze, Ryoken non avrebbe mai e poi mai contemplato una soluzione
simile. Per suo padre, poi, sarebbe stata una scelta da vigliacchi.
Cielo, doveva smetterla di fare paragoni. Non avevano alcun senso e soprattutto non gli facevano bene.
Ryoken non avrebbe
mai pensato che un giorno Yusaku capitombolasse all'improvviso nella
sua vita e, soprattutto, non avrebbe mai pensato che si sarebbe
innamorato di lui. Eppure era successo. Era successo e, ironia della
sorte, Yusaku era distrutto eppure, solo e soltanto lui, era riuscito a
salvare Ryoken dalla spirale asfissiante nella quale si stava
inabissando giorno dopo giorno.
Prendersi cura di Yusaku era stato ciò che lo aveva salvato. Ciò che gli aveva fatto capire cosa fosse l'amore.
(Quello vero).
E che non era una perdita di tempo.
Nulla, assolutamente
nulla del tempo trascorso con Yusaku era andato sprecato. E ora non gli
restava altro che affidarsi completamente a lui.
6
Dopo aver preso la
pastiglia per il mal di testa e aver avvisato chi di dovere che il
giorno successivo sarebbe rimasto a casa, Ryoken si sentì
improvvisamente più sollevato. Era sazio, i muscoli erano molto
meno tesi e una piacevole leggerezza si era insinuata nella sua testa,
benevola e lenitiva.
Si sedette sul
divano e attese pazientemente che Yusaku finisse di lavare i piatti
— si era offerto di aiutarlo, ma il ragazzo non aveva voluto
sentire ragioni e gli aveva detto di riposarsi.
Da quando Yusaku era
così… autoritario? Non sapeva bene come definirlo, ma
sicuramente qualcosa in lui era cambiato e Ryoken lo trovava
affascinante. Voleva scoprirlo, saperne di più a riguardo.
Perché aveva come l'impressione che si fosse perso un passaggio,
qualcosa di importante a cui avrebbe invece dovuto prestare attenzione.
Quando Yusaku
tornò da lui, pareva lo stesso di sempre. Ma il modo in cui lo
prese per mano e lo aiutò ad alzarsi dal divano era così nuovo che Ryoken ne rimase colpito. C'era come una strana trepidazione in lui, qualcosa di curioso e indecifrabile.
Solitamente la sera
guardavano un film accoccolati sul divano, ma per quella volta
avrebbero lasciato da parte gli aggeggi elettronici — Ryoken
aveva spento il suo smartphone dopo aver visto quante e-mail di lavoro
gli erano giunte da parte dalla SOL Technologies. Non ne poteva
più.
Sarebbero andati a
letto presto. Una buona occasione per coccolarsi e parlare sottovoce.
Inoltre, Ryoken voleva saperne di più. Di Yusaku e del suo
atteggiamento tanto deciso.
7
Fu come coricarsi su
una soffice nuvola. A Ryoken era bastato poggiare il capo sul cuscino
per provare questa sensazione, ma non si sarebbe addormentato, non
nell'immediato almeno. Yusaku era steso accanto a lui, le dita delle
loro mani intrecciate, i loro sguardi incatenati e i loro respiri
vicinissimi.
L'abat-jour sul
comodino di Yusaku era acceso ed era più che sufficiente a
illuminare la stanza quel tanto che bastava per scorgere i particolari
più importanti. E Ryoken voleva scoprirli tutti quanti, senza
tralasciarne nemmeno uno.
Si rese conto che
anche Yusaku era stanco. Quel giorno aveva seguito le lezioni
universitarie di mattina, al pomeriggio aveva studiato, era andato a
fare la spesa e poi verso sera aveva anche preparato la cena. Eppure
non aveva esitato un attimo a prendersi cura di lui e coccolarlo, senza
dare a vedere quanto fosse provato dopo una lunga giornata di impegni.
(Ryoken in quel momento pensò che fosse meraviglioso).
«Ora come stai?» gli domandò Yusaku mentre stringeva un po' più forte la sua mano.
«Meglio. Almeno le tempie hanno smesso di pulsare… ti ringrazio».
«Era il minimo che potessi fare». Poi lo sguardo di Yusaku
si rabbuiò un poco. «Ryoken… nell'ultimo periodo
stai lavorando troppo, te ne rendi conto anche tu, vero?»
Ryoken sospirò. «Lo so. Ma ce la posso fare, davvero—»
«Sì, e
tra qualche giorno tornerai a casa ridotto peggio di come sei
ora» sbottò Yusaku, alzando gli occhi al cielo. «Io
non voglio che questo accada».
«Yusaku…»
Il ragazzo lo interruppe: «Ricordi tutto quello che hai fatto per me e che continui a fare per me?»
E Ryoken non poté che annuire.
8
Certo che ricordava
quei momenti. Erano stati i più significativi della sua vita,
quelli che avevano avuto un impatto così forte da mutare
drasticamente la sua ragione d'essere.
Yusaku non stava bene, ma non era una malattia passeggera la sua e soprattutto le medicine
per curarla erano estremamente delicate e bisognava impegnarsi per
mantenerle integre giorno dopo giorno. Era un percorso tortuoso e
complicato, quello nel quale Ryoken si era inoltrato. Perché
avere a che fare con una persona che soffriva di depressione, aiutarla
e sostenerla, era quanto di più difficile avesse mai affrontato
in vita propria.
La
(Bestia Senza Volto)
depressione era subdola, tremenda e manipolatrice.
Faceva di Yusaku
— della sua emotività soprattutto — ciò che
voleva, intossicava i suoi pensieri con veleni mortiferi e insidiava
voci sconosciute nella sua testa che gli sussurravano con cattiveria
quanto fosse insulso, inutile, assolutamente inadatto alla vita.
Per Ryoken, vedere
la persona che amava diventare sempre più l'ombra di se stessa
ogni giorno che passava era dilaniante. E per la prima volta, di tutti
gli insegnamenti che suo padre gli aveva inculcato nel corso del tempo,
non sapeva proprio che farsene.
Salire al vertice
avrebbe aiutato Yusaku a guarire? Ottenere gratificazioni sul lavoro ed
essere ammirato dai colleghi avrebbe permesso a Yusaku di stare meglio?
Stare lontano da lui per concentrarsi sugli innumerevoli progetti
aziendali gli avrebbe dato la forza di rialzarsi in piedi?
(No. Assolutamente no).
Ma in una cosa suo padre aveva ragione: mettici tutto te stesso sempre, in ogni momento.
E così aveva
fatto. Si era impegnato sia al lavoro che a casa, non aveva mai fatto
mancare nulla a Yusaku ed era arrivato a imboccarlo pur di assicurarsi
che mangiasse qualcosa perché a un certo punto Yusaku aveva
iniziato a rifiutare il cibo e ad avere sempre meno appetito.
Ryoken aveva sempre
dato il massimo senza mai risparmiarsi, diviso tra la casa e il lavoro,
tra l'amore della sua vita e quella che un tempo era l'unica
aspirazione a cui mirava che, se messa a confronto con ciò che
provava per Yusaku, si riduceva a un microscopico granello di polvere.
Che senso aveva
trovarsi al vertice se poi la persona che amava continuava a stare
male? Il benessere di Yusaku era diventato la sua priorità e fu
proprio questo a segnare Ryoken come uomo: perché per la prima
volta aveva scelto con la propria testa, senza lasciarsi condizionare
dal volere di un padre che non c'era più e che, tra l'altro, non
aveva mai accettato Yusaku nella sua vita.
(Sta con te solo per i soldi).
(È una distrazione).
(Ti rovinerà).
Non era vero. Non era assolutamente vero.
Eppure a quelle
cattiverie era arrivato a crederci proprio Yusaku, e quante volte
Ryoken l'aveva abbracciato forte per impedire che aprisse la porta di
casa per uscire dalla sua vita. Quante volte gli aveva dimostrato di
amarlo e quante volte Yusaku l'aveva dimostrato a lui nonostante tutte
le sue paure, i suoi traumi e le sue insicurezze.
Poi un giorno le
cose cambiarono. Yusaku aveva iniziato un percorso di psicoterapia,
assumeva un farmaco che gli procurava un po' di sonnolenza ma che gli
faceva comunque bene e si stava pian piano riappropriando della propria
vita.
Ryoken era
orgoglioso di lui, di ogni più piccolo passo che muoveva verso
la felicità, ed era onorato di potergli stare accanto. Ma
non fu niente, proprio niente
rispetto a ciò che avvenne una sera in cui tornò a casa
dal lavoro e trovò le luci accese, la tavola apparecchiata e un
profumo invitante che proveniva dalla cucina.
E quando vide Yusaku
intento a preparare la cena, il suo cuore traboccò di una gioia
impossibile da quantificare e, ne era certo, in quel momento Ryoken
poteva definirsi l'uomo più felice del mondo. Perché se
Yusaku stava preparando la cena significava che era uscito di casa per
fare la spesa, che aveva passeggiato all'aria aperta, che si era preso
cura di sé. Che finalmente un barlume di speranza era
riaffiorato nel suo cuore.
Ryoken non gli diede il tempo di dire nulla: gli si avvicinò, lo prese per i fianchi e lo sollevò da terra
(cielo, quanto era magro).
Poi girò su
se stesso per due volte, con Yusaku che si lasciò scappare un
gridolino di sorpresa e, subito dopo, iniziò a ridere
genuinamente, avvolgendo le braccia attorno al suo collo.
Quando Ryoken smise di girare, si stavano già baciando, stretti l'uno all'altro nel loro legame unico e speciale.
«Ho preparato un po' di cose» disse Yusaku dopo aver
salvato per puro miracolo le bistecche dall'essere bruciate —
aveva dimenticato i fornelli accesi e si era lasciato un po' troppo
andare con le effusioni quando Ryoken era rincasato.
«Spero siano commestibili, non cucinavo da un po'…»
Ryoken
osservò le diverse pietanze che Yusaku aveva preparato e, solo
alla vista, gli parvero tutte invitanti, perfino le bistecche salvate
per il rotto della cuffia. Poi notò un piccolo vassoio un po' in
disparte rispetto a tutto il resto, coperto da un tovagliolo.
«E quello cos'è?» domandò, indicandolo con un cenno del capo.
Yusaku
arrossì appena. «Oh, quello… niente di che, ho
preparato dei panini con la marmellata, nel caso tutto il resto dovesse
rivelarsi un disastro».
Ryoken non
poté fare a meno di ridere divertito a quella risposta. E una
sensazione di meravigliosa speranza gli invase il petto.
Quella sera, dopo cena, fecero l'amore. Fecero l'amore e fu come rinascere insieme, senza mai smettere di tenersi per mano.
(E
alla fine mangiarono anche i panini con la marmellata come spuntino di
mezzanotte. Perché certe esperienze bisognava concluderle in
bellezza).
9
Ryoken non avrebbe
dimenticato mai quei momenti. Così come ciò che accadde
pochi giorni dopo, quando Yusaku gli disse che avrebbe ripreso a
studiare all'università.
Tutto questo accadde
circa l'anno addietro. E ora, dopo altri innumerevoli passi in avanti,
Yusaku appariva davvero cambiato, e non solo perché aveva
ripreso peso e colorito. Appariva cambiato in un modo che Ryoken non
sapeva ancora spiegarsi, ma che già amava con tutto se stesso.
(E si rese conto, come mai aveva fatto in vita propria, di avere un disperato bisogno di lui).
«Lo sai che tutto ciò che ho fatto per te lo rifarei altre
mille volte ancora» disse con voce un po' roca. All'improvviso
parlare era diventato più difficile, ma non demorse.
«Certo che lo so» rispose Yusaku, annuendo lievemente.
«Ma lo stesso ora vale per me, solo che fatico a fartelo capire.
Così ho pensato di lasciar da parte le parole e far parlare i
fatti al posto loro».
Ryoken sorrise. Coi fatti Yusaku gli aveva già mostrato tanto.
«Vuoi provare a parlarmene ora?» gli chiese mentre portava la mano libera a carezzargli la gota.
Yusaku annuì,
socchiudendo gli occhi per quel caldo contatto. «Avevo notato
già da un po' quanto il lavoro ti stesse assorbendo sempre di
più ogni giorno che passava,» iniziò a raccontare
con calma, senza tralasciare nulla, «e so quanto ci tieni, ti sei
impegnato tanto per arrivare dove sei ora e la tua determinazione l'ho
sempre ammirata. Ma… se penso che potranno esserci altre serate
come questa, in cui tornerai a casa e quasi non ti reggerai in piedi, sto
male. Non voglio che il troppo lavoro ti riduca in quello stato ancora
una volta».
Qui Yusaku si
fermò, conscio che nella mente di Ryoken si stava svolgendo un
conflitto apocalittico. Per Ryoken sarebbe stato facile dirgli che le
tempie avevano ricominciato a pulsare e lasciare tutto in sospeso fino
alla mattina successiva; sarebbe stato facile, sì, ma non era da
lui.
Il fatto era che lo
sapeva. Era conscio che Yusaku avesse ragione e sapeva quanto fosse
preoccupato per lui. Sapeva che nell'ultimo periodo il troppo lavoro lo
stava schiacciando sempre più e si riscoprì essere un nessuno qualunque, uno tra i tanti, un volto anonimo tra la folla.
Suo padre aveva
dimenticato di aver generato un altro essere umano e non un robot
dall'energia illimitata. Che sacrificarsi così tanto per
giungere in cima a una montagna dalla quale non si poteva ammirare
alcun paesaggio, solo un'infinita distesa di nebbia grigia e densa non
aveva alcun senso.
Era solo un grandissimo spreco.
«Tu hai fatto così tanto per me che c'erano volte in cui
non sapevo nemmeno da dove cominciare per ringraziarti»
proseguì Yusaku dopo un po'. «Se eri stanco non lo davi
mai a vedere e, soprattutto, non ti sei mai lamentato. Grazie. Grazie
per ogni momento che mi hai dedicato».
Prendersi cura di
Yusaku l'aveva cambiato. Gli aveva fatto capire che c'era anche altro
nella vita e che dedicarsi alle persone amate ripagava sempre. Ma non avrebbe mai pensato che sarebbe potuto succedere il contrario, che i ruoli un giorno si sarebbero invertiti.
Yusaku si avvicinò un po' di più, tanto che per poco le loro labbra non si sfiorarono.
«Quindi ora, permettimi di fare lo stesso con te. Sono diventato
forte abbastanza per prendermi cura di te quando stai male. Forse non
ti ripagherò mai a sufficienza per tutto quello che hai fatto
per me in questi anni, ma almeno fammi cominciare. Tu sei in grado di salvare me e io sono in grado di salvare te».
Ryoken era rimasto
senza parole. Un abnorme paradosso, visto e considerato che solitamente
nella coppia era lui quello loquace mentre Yusaku tendeva a essere
più taciturno. E per la prima volta qualcuno era stato in grado
di togliergli tutto, ma nel modo più bello possibile.
Si avvicinò a
sua volta, e finalmente le loro labbra si incontrarono. Si baciarono
per minuti interi, senza più dirsi nulla, perché in fondo
si erano già detti tutto — o quasi — e Ryoken aveva
capito di avere davvero un
disperato bisogno di Yusaku, di sentirlo accanto a sé e
percepirne la morbidezza delle labbra. E soprattutto aveva bisogno di
un suo abbraccio, di quel gesto antico quanto l'umanità in grado
di farlo sentire ancora tutto intero.
«C'è una cosa importante che ancora non ti ho detto»
sussurrò Yusaku tra un bacio e l'altro e lì Ryoken
avvertì nuovamente tutta la trepidazione che aveva colto prima,
quando Yusaku l'aveva aiutato ad alzarsi dal divano, qualcosa di curioso e indecifrabile.
(Assolutamente meraviglioso).
«Ed è anche il motivo per cui desidero che non ti affanni più tanto al lavoro».
«Dimmi».
«Da lunedì inizierò a lavorare anch'io».
Ryoken sgranò gli occhi, colto del tutto alla sprovvista.
«Quando…?»
«Oh, è da un po' che cercavo un lavoro qui nei dintorni.
Un part-time da gestire insieme allo studio e alle lezioni
universitarie. Ora mi sento pronto e… ho trovato qualcosa».
Ryoken si fece tutto orecchi. «E cosa hai trovato?»
E Yusaku
arrossì. Non velatamente, bensì in maniera alquanto
marcata. «Hai presente il nuovo Rabbit Cafè che ha aperto
a due isolati da qui? Cercano personale e così…»
Notando l'espressione di Ryoken — un misto tra sorpresa, malizia e altre cose indecifrabili ma fin troppo lascive —, Yusaku si affrettò subito a dire: «Ryoken, no. Non mi vestirò da coniglietto».
«Ah, che peccato!» rispose con teatralità, come se stesse recitando in una tragedia.
Yusaku si
lasciò scappare un risolino. «Però, davvero,»
continuò tornando serio, «promettimi che prenderai in
considerazione l'idea di lavorare meno, d'ora in avanti. Adesso ci sono
anch'io e… non voglio più rimanere indietro».
Ryoken lo baciò un'altra volta ancora. «Lo farò, te lo prometto».
Se avesse lavorato
di meno, avrebbe avuto più tempo per stare con Yusaku. Tutte
quelle ore in più davanti allo schermo del computer le avrebbe
invece trascorse insieme alla persona che amava. Poteva forse chiedere di meglio?
Si ripromisero di festeggiare a dovere
la bellissima notizia nel week-end. Nel frattempo, prima di
addormentarsi, Ryoken si divertì un sacco a stuzzicare Yusaku
circa la sua nuova divisa da lavoro e a godersi ogni sua reazione
imbarazzata.
Poi si lasciò
cullare dall'unica cosa di cui necessitava in quel momento: un altro
abbraccio da parte di Yusaku, la sua roccia, il suo porto sicuro.
(Era bello perdersi tra le sue braccia, ora abbastanza forti per proteggerlo).
Per un attimo
tornò con la mente a vagare in quell'universo alternativo in cui
rincasava in un appartamento vuoto, privo di amore e di calore umano.
No, non ce l'avrebbe mai fatta. Non sarebbe mai riuscito a sostenere
una solitudine simile.
Il qui e ora erano diversi: era felice perché la persona che amava l'aveva salvato e lo proteggeva nel suo abbraccio.
E non avrebbe cambiato ciò per nulla al mondo.
N.d.A.
•
Io avrei davvero il mondo intero da dire, ma cercherò di essere
breve: per me questa storia chiude un cerchio che è iniziato con
A Mark On My Soul, è proseguito con After Rain
e trova la sua conclusione qui, con questo ribaltamento dei ruoli che
non è definitivo, semplicemente in questo momento è
Ryoken ad avere bisogno di aiuto e Yusaku è in grado di aiutarlo.
Le due OS citate non sono collegate
tra loro, così come non sono collegate a questa storia, ovvero:
avvengono in universi e tempi diversi, ma hanno un filo conduttore che
è quello in cui Ryoken salva Yusaku e gli fa capire che la sua
vita è preziosa e che non ha nulla da temere, perché coi
suoi tempi riuscirà a riemergere dall'abisso in cui è
sprofondato.
Qui avviene l'opposto: Yusaku si
preoccupa per la salute psicofisica di Ryoken e finalmente si sente in
grado di aiutarlo e fare qualcosa per lui.
Perché per aiutare il
prossimo devi prima stare bene tu e Yusaku è a un punto del suo
percorso in cui riesce a reggersi e camminare sulle sue gambe, magari
inciampando, ma trovando sempre la forza di rialzarsi.
•
La devozione che provano l'uno nei confronti dell'altro diventa sempre
più palpabile a ogni storia che scrivo e devo dire che in tutto
questo tempo sono cresciuta e continuo a crescere insieme a loro; tanto
per dirvi che fino a qualche tempo fa non avrei mai pensato di riuscire
a scrivere una storia di questo tipo, in cui è Yusaku a salvare
Ryoken sotto ogni punto di vista, e invece…
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Immagino abbiate notato che in questa storia, poi, ho chiamato la
Bestia Senza Volto col suo vero nome, senza edulcorarlo: la depressione
è qualcosa che mi ha lasciato il segno e probabilmente non se ne
andrà mai, ma grazie a chi mi ha aiutata e continua a farlo
sento che posso affrontarla con molta più risolutezza, quindi mi
sembrava giusto chiamarla col suo vero nome.
Vi ringrazio per aver letto la storia e per essere arrivati fino a qui.
Alla prossima!
M a k o
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