Epilogo,
Dolci Quadri
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Masyaf
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Dicembre 1193
d.C. .:}*{:.
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La
neve cadeva leggiadra sulla città, imbiancando i tetti delle
case, le strade e le colline fuori dalla vetrata nella sala del
Maestro. Alla vecchia scrivania sedeva un ragazzo il cui sguardo si
perdeva oltre il candore e la brillantezza del cielo e della terra. Una
leggendaria cicatrice sul suo labbro si mostrava, e gli occhi neri
socchiusi, e la mente distante a giovani e futuri ricordi che allungo
lo avevan tormentato. Egli vestiva di una casacca scura, lunga e
abbastanza pesante che serbava in lui il calore necessario al suo cuore
che ultimamente freddo era divenuto. Un gomito egli aveva poggiato sul
ginocchio e l’altro adagiato sul tavolo ordinato di qualche
antico libro e pergamena; la mano ospitava una piuma bianca il cui
inchiostro ancora gocciolava dall’estremità,
andando a macchiare un foglio di carta pregiata.
Linee
sinuose e abili tratti precisi avevano disegnato su quel foglio la
figura di una donna: i capelli castani e lunghi eran raccolti in una
coda alta, dalla quale però sfuggivano alcuni piccoli ciuffi
lisci che le ricadevano graziosi sul collo e sul viso bello. Ella aveva
una mano che immortalata nel bel disegno mostrava lei che si portava
una delle ciocche birichine dietro l’orecchio; un gesto
abituale che lui, l’artista, le aveva visto fare tante volte
e mai avrebbe dimenticato. La fanciulla sedeva su uno sgabello, e
teneva le ginocchi strette, ma ciò che era davvero strano fu
notare gli abiti diversi, di un’epoca che
all’artista era differente. La magliettina e i pantaloni
stretti, d’altri tempi davvero, lo facevano ridere al solo
pensarci, e il ricordo di un buffo incontro nella mente del giovane
cominciò a danzare; un ampio sorriso si stagliò
sulle sue labbra, mentre metteva a riposo la penna e osservava commosso
il suo operato.
Pareva
solo uno schizzo, un abbozzo di quello che un giorno desiderava
rincontrare e che già gli mancava; ora che i pezzi del
puzzle erano tornati al loro posto, avvertiva un vuoto al cuore che
giorno e notte lo faceva star male. Fare quel disegno, lavorarci ancora
allungo, forse avrebbe acquietato il suo dolore, ma quanto ancora
avrebbe dovuto aspettare per poter vedere di nuovo quella magnifica
creatura nessuno poteva saperlo.
Sospirò
il giovane, e lanciò un’ultima occhiata alla
graziosa figura. Firmò il disegno con due nomi e due date, e
in fine ripose tutto in un cassetto.
Si
alzò dallo sgabello che sistemò sotto il tavolo e
si avviò giù dalle scale; lasciò la
sala, e camminò allungo per strade innevate e risa di
bambini.
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Firenze
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Maggio
1486 d. C. .:}+{:.
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Il
sole di una limpida primavera specchiava i suoi raggi sulla
città madre dell’arte e della cultura italiana. I
tetti di Firenze eran così pieni di piccioni che
svolazzavano in grossi stormi per il cielo azzurro, solcando nuvole,
comignoli spenti e ampie piazze. La gente in festa per le strade era
chiassosa, i nitrii dei cavalli e i suoni di una città che
nella domenica il silenzio dimenticava.
Sulle
piastrelle del tetto di una vecchia casa s’issò
con grazia un giovane dal volto coperto di bianco; la sua nobile veste
dai colori sgargianti e dal tessuto pregiato si muoveva al vento che
lassù tirava forte; sorrise il ragazzo, scivolando lesto sul
balcone vicino. La finestra era aperta, ed egli entrò
silenzioso nel buio della cantina, piegando le ginocchia e
richiudendosi i vetri alle spalle. Prese un gran respiro e si
calò il cappuccio via dal viso, finalmente al sicuro in casa
di amici.
Si
avviò giù per delle fragili scalette in legno e
giunse in un ampio salone i cui profumi di olio e tempere riempivano i
polmoni. D’un tratto una melodia fischiettata
attirò la sua attenzione, ed egli congelò le
labbra in un nuovo sorriso. Era un motivetto allegro che proveniva
dallo stanzino tondo lì affianco. Mosse un passo avanti,
guardandosi intorno circospetto e lanciando un’occhiata
dentro il salottino.
-Leonardo-
chiamò. –Siete in casa, Leonardo?-
domandò avanzando ancora.
E il
motivetto proseguì, almeno fin quando gli occhi neri del
giovane non si fermarono sulla figura eretta di un buon uomo seduto su
un alto sgabello. I capelli lunghetti e la barba lasciata crescere, era
lui che fischiettava allegro mentre un suo braccio stava alzato e una
sua mano impugnava delicatamente un fino pennello, la cui
abilità stava tracciando le ombre di un dipinto.
Il
vecchio interruppe il suo allegro fischiettar. –Ezio, vieni
pure avanti- disse lui senza distoglier attenzione all’arte.
–Attendevo la tua visita, ragazzo- pronunciò
gioioso.
Ezio
si avvicinò a Da Vinci con piccoli passi incerti.
–Cosa ritraete, maestro? Questa d’opera vostra mi
è nuova- commentò con un filo di voce.
-Dici
bene, ragazzo mio- sospirò l’anziano smontando
dall’alto sgabello. Ripose il pennello assieme agli altri
lì di fianco, su un mobile, e s’asciugò
le mani su uno straccio. –Vedi, la scorsa settimana lasciasti
sbadato a me questo disegno, che cascò dalle tue tasche
prima che te ne andasti, Ezio- disse egli afferrano un vecchio taglio
di carta, che poi porse al giovane.
Auditore
non ebbe neppure bisogno di guardare lo schizzo di donna che vi era
ritratto sull’antico trancio di pergamena.
–Ebbene?- domandò confuso.
-È
mia intenzione rivisitare quel bel disegno- confessò
Leonardo. –Guarda- esultò indicando la tela alle
sue spalle.
Il
volto dalla pelle chiara era di una ragazza giovane, dagli occhi verdi
e graziosi. Il corpo snello e bello sedeva su una pila di grossi tomi
dalle tante pagine; le ginocchia composte, un braccio stretto attorno
al ventre e l’altro tenuto alto mentre la mano portava una
ciocca dei lunghi capelli dietro l’orecchio. Le guance un
poco arrossate, indossava un vestito leggero e delicato, con una spalla
scoperta e di un tessuto bianco candido primaverile. Lo sfondo non era
altro che il bianco della tela sulla quale era ritratta, ma solo una
parte di un pavimento dalle grosse tegole di legno appariva attorno
alla sua figura. La luce, si capiva bene, veniva dalle spalle di lei
che lo sguardo basso tendeva.
-È
una bellezza che incanta, maestro…- mormorò Ezio
senza altre parole.
-Sì,
questa era più o meno la reazione che mi aspettavo da te,
mio giovane, o meglio: quella che mi aspetto da chiunque guardi
quest’opera- ridacchiò Leonardo.
-…
Che nome darete a quest’opera?- chiese colpito il ragazzo,
mentre con le dita carezza la grezza pergamena di un antico schizzo.
Leonardo
ci rifletté allungo. –Il disegno che hai tra le
mani è molto rozzo, e sta sbiadendo. Voglio che questo
dipinto resti integro e bello nel tempo, assicurando ad altri, magari i
figli dei tuoi figlii, carissimo Ezio, di godere di tale bellezza
così come oggi stai facendo tu- arrise. –Per
quanto sta al nome che intendo darle, bhé…
guardala tu stesso, e regalami il tuo primo pensiero- gli sorrise
felice.
-Sono
confuso, maestro… perché…- fece per
chiedere.
-Consideralo
come un dono per te da parte mia, Ezio- sorrise Leonardo incrociando le
braccia. –Anche un ceco vedrebbe nei tuoi occhi quello che
sto vedendo io- si beffò.
-E
cioè?- domandò curioso il giovane ripiegando il
vecchio schizzo e portandoselo in una tasca del pantalone.
-L’amore-
disse il saggio Leo.
-Vi
sbagliate, io…-.
-Ho
come l’impressione che conosci già questa
fanciulla, sai?- pronunciò pensoso Leonardo camminando
attorno al ragazzo. –Come se l’avessi
già incontrata da qualche parte, in qualche
tempo…- blaterò.
-Sciocchezze.
È solo molto bella, e come l’avete ritratta
voi…- s’interruppe. –Lo è
ancora di più-.
Leonardo
si strinse nelle spalle. –Come preferite. Ma mi auguro che un
giorno tu abbia l’occasione di rincontrarla-.
-È
frutto della fantasia di un pazzo- sbottò Ezio voltandosi.
–Quella donna non esiste- eruppe severo. –E il
disegno non io lo feci. Non conosco questa donna-.
-Contento
per te che ne sei così certo, vorrà dire che
darò il quadro come pegno di fortuna a qualcun altro-.
-No!-
si girò di colpo.
Leonardo
inarcò un sopracciglio. –Dite- fece calmo.
-Il
quadro, vi prego, datelo a me. Apprezzerei moltissimo- sorrise il
ragazzo.
-Dammi
il tempo di finirlo- prese fiato il vecchio tornando seduto.
–E sarà tuo- dichiarò.
-Vi
ringrazio- chinò la testa.
-Non
ringraziare me- rise l’anziano. –Ma il pazzo che il
disegno creò!-.
Ezio
si avviò fuori dallo studio tondo. Ma una volta sulla porta,
si fermò. –Mastro Leonardo- chiamò
voltandosi.
-Dite-
proferì disponibile, dando una nuova fina pennellata al
quadro.
-Timidezza-
disse Ezio.
Leonardo
aggrottò la fronte. –Fate riferimento al dipinto?-
chiese.
-Sì,
maestro- sorrise lui. –Timidezza, ella trasmette timidezza,
per parer mio-.
-E
“Timidezza” sia, dunque- gioì il
vecchio. –Fate posto sulla bianca parete della dimora vostra,
Auditore-.
-Una
tale rarità non andrebbe messa alla mercé di vani
occhi, mio signore- ridacchiò il giovane calandosi il
cappuccio sul volto.
-Ezio-
chiamò prima che potesse mettere un solo piede fuori
dall’uscio di casa.
-Sì?-.
-A
voi questo dipinto non piace- eruppe l’anziano.
Il
ragazzo stette interdetto. –Perché dite
questo?…-.
-Voi
ne siete del tutto innamorato!-.
-Vecchio
pazzo…- borbottò Ezio lasciando lo studio e
chiudendosi la porta alle spalle.
Da
Vinci scoppiò allora in una fragorosa risata.
Il
dipinto fu pronto pochi mesi più tardi, ma alla morte
dell’artista, dopo che Ezio lo tenne con sé
allungo, non venne più ritrovato.
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THE .:}+{:.
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END
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Quando
immaginai questa storia (ovvero quando pensai a come e cosa avrebbe
fatto e combinato Altair nel futuro come assassino e uomo medievale)
pensavo di trarne qualcosa di comico e assolutamente meno sentimentale
ed esplicito. Ma fin dai primi capitoli, ho riscontrato delle
cosiddette difficoltà nel plasmare i due protagonisti delle
vicende (Giorgia e Desmond) in modo meno romantico e serio,
tramutandoli in qualcosa di più spiritoso. Alla fine non ci
sono riuscita, ma non nego affatto che i risultati sarebbero stati dei
migliori, anzi! Un’altra delle ff che mi hanno accompagnata
nel terzo anno di medie volge al termine, e senza avvertire nessuno
questa volta! X°°°°D Forse non sarei
dovuta essere così crudele, chissà quanti di voi
si aspettavano che sarebbe durata di più. Personalmente pur
io immaginavo di poter continuare, di poter approfondire qualcosina
sulla permanenza di Giorgia nei laboratori dell’Abstergo, ma
come mio solito, mi è sembrato giusto terminare
così, con un finale emozionante nel presente, ma ancora di
più nel passato!
Sì,
insomma…
<.<
Quanti
di voi hanno capito che la ragazza che ritrae Altair è
Giorgia? E quanti di voi hanno capito che il disegno si è
tramandato nei secoli fino ad arrivare ad Ezio, così da
poter sicuramente assicurare un sequel a questa ff? Quanti di voi,
avanti? X°°°D
Il
finale è davvero poco esplicito e romanzato al massimo, e
questo mi duole, ma a parte il fatto che anche il ricordo di Altair che
aveva per Giorgia si è tramandato fino ad Auditore de
Firenze, bhé… Sembra un po’ assurdo, ma
insomma, avanti, si è capito che Altair era innamorato di
lei, no? Ecco.
Volevo
chiarire questo punto soltanto, ammettendo le mie e le colpe
dell’assassino OOC che ho creato: sì, lui
l’amava, ma non l’avrebbe mai e poi mai strappata
al suo pro-pro-pro nipote in un modo a tal punto egoista. Questo
è il motivo per il quale questa storia si conclude
così, ma ribadisco: il sequel ci sarà, e questa
volta a creare pasticci non sarà niente popò di
meno che…. Ooooooh! E vabbé, sì, lui,
Ezio! XD
Quindi
possiamo concludere dicendo che il finale lascia pensare a male!XD
Molto male!
La
mia fantasia già va avanti per conto suo da quando scrissi
questo capitolo in Grecia, una 30 di giorni fa. La stessa sera
dell’arrivo mi sono messa subito all’opera per
questa storia, avendo già in mente di finirla in tale modo.
Ovviamente me bastarda non ha detto nulla a nessuno! XD Ma meglio
così.
Ora
i ringraziamenti, e poi attenderò paziente le vostre
recensioni, sperando che questi ultimi due capitoli siano stati (non
esaurienti: 4 pagine ciascuno -.-‘) ma… belli,
ecco.
È
stato bello scrivere questa storia.
E
sarà bello continuare a scriverne delle altre.
Un
abbraccio a tutti!
Elika95
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