«Finirà
male.»
«Ti dico di no, andrà tutto come
pianificato.»
«Sappi che se succede qualcosa, io do la colpa a
te.»
«E smettila! Ti fidi di me?»
«Neanche un po'.»
«Ah, davvero? Peccato, è troppo tardi per tornare
indietro.»
La bambina gonfiò le guance, ma non smise di correre; se in
un quarto d'ora non avessero raggiunto la pianura, avrebbero
sicuramente perso la corsa dell'autobus e avrebbero dato l'addio al
progetto di Mello. Quest'ultimo, allegro come non mai, era deciso a
portare a termine l'intero piano che aveva accuratamente programmato la
sera precedente e limato durante tutta la notte; ad Amy aveva solamente
detto che avrebbe dovuto leggere, nel giro di nove ore, tre romanzi che
sarebbero potuti tornare utili durante la loro missione. Avrebbe fatto
bene, poi, ad armarsi di vestiti comodi e fare un'abbondante colazione,
dato che al resto avrebbe pensato lui – fiero di condurre
un'operazione come quella.
Non era permesso a nessuno degli orfani di allontanarsi dalla Wammy's
House, a meno che non autorizzati, accompagnati o maggiorenni, ma Mello
ed Amy non rientravano in nessuna delle tre categorie; la castana aveva
affermato che, agendo in quella maniera, si stavano velocemente
trasformando in criminali e lui, troppo euforico per darle ascolto, a
quelle parole aveva risposto con una grassa risata, ripetendole per
l'ennesima volta che sarebbe filato tutto liscio e che per cena
sarebbero stati di ritorno, in modo da non destare troppi sospetti. Del
resto si era munito di un complice insospettabile, e altri non era che
Souffrance; inizialmente il ragazzo era chiaramente contrario alla
bravata che aveva in mente Mello, ma al biondo era bastato tirare in
ballo Amy per ottenere il silenzio del bibliotecario – mossa
meschina: sapeva che il ragazzetto era capace di fare qualsiasi pazzia
pertanto, se aveva detto che avrebbe distrutto l'intera sezione di
lettura preferita dalla bambina, certamente l'avrebbe fatto.
Dal canto suo, Souffrance avrebbe potuto ignorare la richiesta e
riferire a Roger del ricatto – perché di una vera
e propria prepotenza si trattava –, ma il suo spirito da
codardo l'aveva spinto ad obbedire a un bambino di quasi undici anni
che, con una bella faccia tosta, aveva terrorizzato Amy tanto da
spingerla a pregare in ginocchio l'uomo di accettare la proposta di
Mello; cos'avrebbe ricevuto in cambio? Un bel niente, piuttosto
rischiava di ricevere un rimprovero coi fiocchi dai suoi superiori se i
due fossero stati scoperti – quindi già si era
preparato a riconoscere le proprie colpe e ad accettare l'idea di non
essersi comportato in maniera corretta. Ma cosa ci poteva fare se
considerava Amy un'apprendista? Cosa ci poteva fare se si rispecchiava
in lei? Non voleva che la bambina facesse la sua stessa fine, ovvero
restare per sempre rinchiusa in una casa a perdere la cognizione del
tempo a causa di troppi libri; leggere era senza dubbio fonte di
cultura, un'attività importante, ma la vita reale lo era di
più e per questo motivo le consigliava letture in grado di
esaltare la meraviglia dell'avventura, il piacere di seguire i propri
sogni, qualsiasi cosa che la invogliasse a voler ripetere le stesse
azioni, a vivere.
Si concessero di riprendere fiato poiché arrivati alla
fermata dell'autobus. Si trovavano alle porte del paese ai piedi della
collina sulla quale sorgeva la loro casa, dolce casa, al capolinea del
mezzo di trasporto – una volta arrivato lì, il bus
sarebbe tornato indietro e per giungere in città sarebbe
bastato prestare attenzione ad ogni fermata. Amy strinse le fasce del
proprio zaino color lavanda, gettando un occhio al compagno
d'avventura; gli disse, sinceramente preoccupata: «Siamo
ancora in tempo per tornare indietro.»
Il biondo la guardò torvo. «Non dire sciocchezze.
Noi non torneremo indietro.»
«So che vuoi fare colpo su L, davvero, lo capisco»,
gli rispose, «ma così finiremo seriamente nei
guai.»
Lui fece spallucce. «Non si ottiene nulla senza il
rischio.»
«Ma questo rischio è davvero troppo grande per
noi. Io ho nove anni e tu dieci. Mi spieghi come faremo a cavarcela in
città?»
«Andiamo, frignona, è questione di un giorno, mica
dobbiamo trasferirci per sempre», fece lui per poi scorgere
il mezzo pubblico da lontano. «Guarda, Amy, la nostra attesa
è finita.»
La bambina aguzzò la vista, ma tutto ciò che
riuscì a vedere fu un punto appena sfocato procedere verso
di loro; nel giro di due minuti l'autobus si fermò davanti
ai due orfani e aprì le porte per far circolare i
passeggeri. Mello le sussurrò: «Da adesso sei mia
sorella. Niente domande e seguimi.» La prese per mano e la
trascinò sul mezzo; comprò due biglietti, uno per
sé e uno per la compagna, per poi condurre quest'ultima
verso due dei tanti posti liberi.
Amy si lasciò scappare una risata di scherno.
«Matt ne sarebbe geloso.»
Il biondo le rivolse un'occhiata confusa, poi notò che le
loro mani erano ancora unite; come scottato, sciolse immediatamente la
presa. «Non ne ha motivo, stiamo solo facendo
finta.»
«E perché dobbiamo fingere di essere
fratelli?»
«Perché così non desteremo sospetti. Se
qualcuno in giro dovesse notarci, ci basterà dire che nostra
madre ci ha mandati a fare una commissione e ci stiamo tenendo
compagnia a vicenda. Non è normale vedere due bambini in
giro per il centro senza un adulto.»
«Stai ammettendo di essere un bambino.»
«Zitta, Amy. Prima o poi crescerò. E vedrai, oltre
a diventare bellissimo e ricchissimo, sarò il degno erede di
L.»
La bambina gli sorrise, intenerita da quelle parole e da quel volto;
era raro vederlo in quello stato, Mello, così pieno di
grandi ambizioni caratterizzate dall'innocenza della fanciullezza. Il
suo viso aveva abbandonato l'espressione burbera e scontrosa che
indossava sempre, illuminando i suoi occhi azzurri come il cielo
sereno; in essi brillava la luce del sole, tanto calda quanto
rassicurante, così sincera da far arrossire l'orfana. Si
sentiva fortunata nel vedere il biondo in quello stato; le piaceva
pensare che nessuno mai aveva avuto il privilegio di vederlo sorridere
per davvero, senza un briciolo di cattiveria o un doppio fine, e solo
lei sapeva a quante cose avrebbe potuto rinunciare per poterlo vedere
più spesso nei panni di un semplice bambino.
Aprì lo zaino che aveva con sé e ne estrasse un
libro. «Che fai?», si sentì chiedere.
Rispose: «Devo finire di leggere gli ultimi sei capitoli di
questo volume. Stanotte sono riuscita a completare solo i primi due, mi
manca questo.» Sfogliò le pagine fino a
raggiungere il segnalibro che aveva piazzato poche ore prima e diede
inizio alla lettura. Ben presto, tuttavia, percepì la
propria testa girare vorticosamente, nonostante si trovasse immobile su
quel seggiolino sporco e rovinato dal tempo, dalle innumerevoli persone
che vi si erano accomodate in precedenza – pessimo segnale
lanciato dal proprio corpo.
Mello, seduto dal lato del corridoio e attento ad osservare ogni
individuo che saliva sul mezzo col passare delle fermate, si
sentì silenziosamente chiamare dalla – quasi
– coetanea; si voltò verso di lei e si
allarmò non appena scorse il colorito che aveva assunto il
suo volto. «Tutto bene? Hai una pessima cera.»
La bambina annuì, seppur con una quasi assente convinzione.
«Sì, sì. È solo un po' di
voltastomaco.»
Fu a quel punto che il biondo le strappò via il romanzo
dalle mani. «È mal d'auto, cretina. Se leggi
finirai per vomitare le brioches che hai divorato a
colazione.»
Solo sentendo pronunciare quel vomitare,
Amy ebbe un conato che trattenne a fatica. «Ma devo finire il
libro, altrimenti che ci sto a fare qui?»
Lui sospirò, riponendo quelle duecentoventotto pagine nello
zaino dell'altra. «Lo finirai dopo, tanto sei veloce a
leggere. Però che diamine, Amy, solo una cosa ti avevo
chiesto!»
La castana chiuse gli occhi e abbandonò il capo sul
poggiatesta, ma non prima gli avergli mostrato un'espressione afflitta.
«Mi dispiace. Credo che sia la stanchezza, non ho dormito
molto stanotte.»
Ma Mello era consapevole che, quella, fosse una menzogna; lo poteva
vedere semplicemente osservando quegli occhi, circondati da solchi di
ore di riposo mancate. Aveva passato tutta la notte in bianco per poter
accontentare quell'egoistica richiesta che le aveva fatto la sera
precedente – proposta che lei aveva immediatamente accettato
di buon grado. «Riposati. Controllo io le fermate»,
le sussurrò, senza essere udito; Amy si era addormentata in
poche frazioni di secondo.
Nonostante la giornata non fosse affatto iniziata bene, i due orfani
erano riusciti ad arrivare indenni alla loro destinazione: a pochi
isolati dalla città, nel vico di Itchen Abbas, si ergeva la
grande villa Philips circondata da voltanti della Polizia inglese, i
quali agenti ordinavano ai curiosi e ai giornalisti di tenersi alla
larga.
«Come facciamo a entrare?», sussurrò Amy
al suo compare.
Mello le fece l'occhiolino. «Lascia fare a me.» Si
avvicinò di soppiatto a un ispettore e gli
bisbigliò qualcosa, attento a non farsi sentire dalle
persone attorno; il detective sgranò gli occhi quando il
biondo gli passò un foglio, per poi spostarsi quel tanto da
consentire al ragazzino di oltrepassare la porta d'ingresso. La bambina
s'affrettò a seguirlo, riuscendo a superare indenne i
controlli – non si fece domande, troppo impegnata a studiare
la scena del crimine che le si presentava davanti.
Il proprietario dell'abitazione era immobile su una delle poltrone del
salone al piano terra, affianco a un tavolino elegante con sopra una
scacchiera; era morto a causa di due proiettili impiantati nella fronte
e al petto, dai quali fori si erano seccati dei rivoli di sangue.
Dietro di lui, una libreria s'estendeva per tutta la parete ed era
colma di romanzi e manuali di diverse dimensioni e diversi colori;
nessuno di essi spiccava in particolare, fatta eccezione per
un'enciclopedia a più volumi dalla copertina blu.
In un angolo della stanza, degli agenti della polizia mortuaria,
già avvisati del ruolo dei due, fissavano i bambini senza
parlare, attendendo un cenno da parte di Mello per poter portare via il
cadavere. Il biondo indossò un paio di guanti per non
inquinare la scena del crimine, poi si avvicinò al corpo,
osservando le ferite mortali provocate da un'arma da fuoco. La vista di
quell'uomo privato della vita non fece alcun effetto in lui;
inizialmente si era sentito destabilizzato poiché memore
della raccapricciante morte di Arthur, però era riuscito a
riprendersi in fretta, tracciando una linea di confine tra il proprio
trauma e il proprio lavoro – mai si sarebbero dovuti
mischiare, quei due elementi, altrimenti come avrebbe fatto a
dimostrare la sua bravura?
«Mello?»
Si voltò, guardando Amy con sufficienza. «Che
vuoi?»
Lei tentò di non posare gli occhi sul cadavere.
«C'è una donna.»
«Chi è?»
«Annie Cooper.»
Bastò quel nome a convincere Mello a dare la giusta
attenzione alla persona che era appena entrata nella casa; era stata
nominata sul reportage che L aveva fornito per lo studio del caso di
omicidio: ventinove anni, addetta alle pulizie domestiche, era stata
lei a trovare il cadavere e ad allertare le Forze dell'Ordine.
Autoritario come un uomo di Scotland Yard, il ragazzino fece accomodare
la donna in un'altra stanza e le chiese di ripercorrere gli avvenimenti
a partire dal suo ultimo incontro con la vittima. «Lavoravo
per Aaron tutti i giorni», iniziò Annie,
«dalle otto di mattina fino alle dieci di sera. Rimanevo
così tanto tempo perché era solo. Ero io a
prendermi cura di lui.» Si asciugò una lacrima
solitaria con un fazzoletto di stoffa. «L'ultima volta che ho
visto Aaron è stata due sere fa, alla fine del turno. Lui
era in cucina a prendersi la pillola che era solito assumere prima di
andare a letto. Sono tornata a casa mia, e ieri mattina sono tornata
come di consueto. È stato in quel momento che ho trovato
Aaron senza vita», balbettò, per poi scoppiare a
piangere.
Amy storse la bocca in una smorfia di dispiacere, non smettendo di
appuntare la dichiarazione della donna su un taccuino. Mello non
batté ciglio e le ordinò: «Mi parli
della famiglia della vittima.»
La donna annuì piano, prendendo qualche secondo per tornare
calma. «Aaron era divorziato da tanti anni. Ha perso quasi
completamente i rapporti con la sua ex moglie, Lucy Bassnett.»
«Quasi?»
«Una volta l'ho sentito parlare al telefono con
lei», spiegò. «Non ho ben capito di cosa
stessero parlando, ma mi è sembrata una conversazione
tranquilla. È successo mesi fa, ormai.»
«E oltre a quella volta?»
Scosse la testa. «Aaron non parla mai con lei, né
tantomeno la incontra. Per lui, la signora Bassnett è solo
la madre dei suoi figli, niente di più.»
Mello estrasse dallo zaino di Amy una barretta di cioccolato fondente
e, dopo averla scartata dal proprio involucro, la addentò.
«Cosa mi sa dire su Francis e Isaac Philips?»
«Sono due bravi ragazzi», rispose la cameriera.
«Il signor Isaac veniva spesso qui a trovare il padre. A
volte litigavano, ma riuscivano a risolvere le loro questioni in
fretta.»
«E che genere di litigi avevano?»
«Oh, nulla di preoccupante. Erano dei semplici battibecchi in
famiglia. A volte discutevano per le loro idee discordanti sulla
politica, altre volte per una multa presa per parcheggio in divieto di
sosta.»
«E l'altro figlio? Francis Philips?»
«Di lui non so molto. Vive a una cinquantina di chilometri da
qui e non si fa vedere spesso.»
Amy s'intromise nel discorso: «Non andavano
d'accordo?»
La donna parve rifletterci su. «Immagino che il signor
Francis sia rimasto molto legato alla madre. L'ho potuto incontrare
solo alle cene di famiglia, quelle organizzate a Natale.»
«Questa casa era frequentata anche da qualcun
altro?»
«Ogni tanto, mia sorella Mary veniva a farmi
visita.» Notò lo sguardo freddo del ragazzino e si
affrettò a specificare: «Ma non può
essere stata lei. Mary non commetterebbe mai un simile gesto. E poi,
ora è in luna di miele alle Hawaii.»
«Che lei sappia», fece Mello, «la vittima
aveva dei nemici?»
«Nossignore! Aaron era benvoluto da tutti! È
sempre stato un uomo leale e di buon cuore.»
Si ritenne soddisfatto dell'interrogatorio, ma proprio quando stava per
invitare la domestica ad uscire, un agente della polizia chiese loro di
dirigersi all'esterno dell'abitazione – i mortuari dovevano
portare il cadavere, rimasto in quel luogo fin troppo a lungo, presso
lo studio d'analisi. Per tale motivo, i due orfani si spostarono sul
retro della villa e si sedettero all'ombra, in attesa di poter
rientrare.
«Perché le hai fatto tutte quelle
domande?», domandò Amy alludendo alla
documentazione di cui entrambi erano forniti; su quel piccolo plico di
moduli, erano stati spiegati alla lettera non solo la testimonianza di
Annie Cooper, ma anche e soprattutto l'orario del decesso e un'analisi
più approfondita della psicologia di Aaron Philips.
«Ah, Amy», fece Mello pizzicandole le guance con
falsa tenerezza. «Piccola, dolce e innocente Amy, ti hanno
mai detto che le persone possono dire le bugie?»
Lei si scostò malamente dalla sua presa. «Sospetti
di lei?»
Il biondo incrociò le braccia al petto. «Tutti i
conoscenti della vittima sono dei potenziali killer, per quanto mi
riguarda. Compresa lei, sì. La scientifica ha anche trovato
un suo capello sulla seconda poltrona del salotto.»
«Ma è normale, sta qui tutti i giorni. Poi, l'hai
vista?», gli chiese retoricamente. «Era distrutta,
poverina! Non può essere stata lei.»
«Tenera e innocua Amy, lo sai che esistono dei corsi di
recitazione?» Lasciò che gli tirasse uno schiaffo
sul braccio, poi cambiò discorso. «Tu piuttosto,
hai scritto tutto?»
La bambina annuì e gli porse il taccuino. «Ogni
singola parola.»
«Allora qualcosa la sai fare.»
«Finiscila di prendermi in giro!»
Mello si mise a ridere, per poi mettersi a confrontare le due
dichiarazioni della donna delle pulizie. Sentenziò:
«Sono un po' diverse.»
«Che?»
«Non ti agitare, va bene così.» Le
mostrò i due testi e iniziò a spiegare:
«Ha detto tutto quello che già sapevamo, ma usando
parole differenti. Inoltre, ha dimenticato di dirci un particolare
fondamentale, cioè la professione della vittima. Aaron
Philips era un campione pluripremiato di scacchi, e la sua
notorietà è stata la causa del divorzio con la
moglie.»
«Che bisogno c'era di specificarlo? Non gliel'hai mai
chiesto.»
Le mostrò un sorriso furbo. «Come dunque poss'io ritornare in
buona salute, privo come sono del benefizio del riposo?»
Amy sorrise a sua volta. «Se
l'oppressione del dì non è alleviata dalla notte,
ma il dì m'è reso opprimente dalla notte, e la
notte dal dì.»
«Bravissima», le rispose. «Vedi, hai
imparato a memoria una poesia. La reciti sempre allo stesso modo, non
importa quale sia il contesto. I menzogneri fanno la stessa cosa. Il
fatto che Annie Cooper non solo abbia raccontato le cose in modo
diverso, ma che si sia addirittura dimenticata di fornirci alcuni
dettagli, la scagiona automaticamente.»
La bambina sollevò la testa verso l'alto, osservando il
cielo. «Non sapevo leggessi Shakespeare.»
«Ci sono tante cose che non sai di me.»
Lo guardò mentre continuava a leggere il rapporto di L.
«Me le dirai mai?»
Mello si voltò e fece incontrare i loro sguardi.
«Mah, chi lo sa? Un giorno, forse.»
Tornò a far scorrere gli occhi azzurri sui documenti.
«Piuttosto, di cosa parlavano quei tre libri?»
Amy s'illuminò ed estrasse i romanzi dallo zainetto.
«Sono l'uno indipendente dall'altro e sono diversi anche nel
genere. Immagino che il signor Philips volesse sperimentare molteplici
stili per trovare quello che meglio si adattasse con le sue idee e con
il suo gusto personal--»
«Sì, sì, vai avanti.»
La bambina gonfiò le guance, infastidita. «Il Cavallo del Re
è ambientato nell'Alto Medioevo e prende ispirazione dalle
vicende di Re Artù e i Cavalieri della Tavola
Rotonda», spiegò. «Narra di una lotta
all'ultimo sangue con un popolo invasore e della prontezza di un fante
con il suo destriero che ha scoperto i malvagi piani dei nemici. Si
è sacrificato per il bene della Patria.»
Mello guardò la compagna, i cui occhi luccicavano
dall'emozione: quello era il suo genere letterario prediletto,
perciò non si stupì affatto della passione che la
piccola aveva nella voce. Non la interruppe neanche.
«Poi, L'Importanza
di un Pedone è un poliziesco ambientato nei
giorni nostri. Una donna è stata assassinata brutalmente e
un detective riesce a risalire al colpevole grazie alla dichiarazione
di un testimone oculare. E per ultimo, La Regina Matta
è un fantasy. Ricorda molto Alice nel Paese delle Meraviglie,
ma stavolta i fatti sono narrati dal punto di vista dell'antagonista.
Ci sono riferimenti agli scacchi ovunque, e in più mentre si
legge si ha l'impressione di star assistendo a una partita. Questo in
tutti e tre i libri. Ma dopotutto, era la ragione di vita del signor
Philips.»
Il ragazzino annuì. «Hai trovato qualcosa che
possa collegarsi all'omicidio?»
«Proprio no. Tutti e tre sono stati scritti da Philips
stesso, e non credo proprio che potesse prevedere il futuro.»
«Fai poco la sarcastica», la ammonì.
«Devono per forza c'entrare qualcosa con il caso. L li ha
inseriti nel rapporto, non può averlo fatto senza un
motivo.»
Amy assunse un'aria pensierosa. Fino a quel momento, non aveva fatto un
granché per aiutare Mello a trovare la soluzione al delitto
e, fattore di maggiore importanza, non aveva la minima idea di cosa
andare a pensare; le sembrava di star perdendo tempo, senza contare che
in cuor suo desiderasse dimostrare a se stessa e al compagno di essere
all'altezza del compito assegnato dal paladino della giustizia degli
orfani della Wammy's House e dell'intero globo. Quella era la prima
volta in assoluto in cui si ritrovava a ragionare seriamente, senza
nessuno a suggerirle quale fosse la risposta corretta o quale strada
dovesse imboccare per andare nella giusta direzione. C'era lei, un uomo
privo di vita e l'orgoglio del suo compagno di indagini –
niente di più e niente di meno. Sapeva di dover osservare le
cose da un'altra prospettiva.
«Mel?», lo chiamò dopo un po'.
«Sì?»
«Ma non è che è stato un
suicidio?»
Il biondo la guardò, indeciso su che espressione assumere.
«Sei seria?»
«Potrebbe essere, no?»
Sospirò pesantemente. «Innanzitutto, i colpi sono
due. E poi l'arma del delitto non c'è.»
«E se qualcuno l'ha nascosta?» Mello le
scoccò un'occhiata infuocata e lei arrossì,
distogliendo lo sguardo. «Suonava meglio nella mia
testa.»
Mello non era mai stato sicuro di nulla in tutta la sua vita,
nonostante esistesse da appena un decennio: non sapeva com'erano fatti
i suoi genitori, non sapeva se aveva ancora dei parenti, non sapeva da
dove fosse nata la sua golosità per il cioccolato
né da dove fosse spuntato quel suo carattere scorbutico
– la sua unica certezza, era che la soluzione al caso
d'omicidio si trovasse proprio sotto ai suoi occhi. Doveva solo capire
di cosa si trattasse. Del resto, quello doveva essere un caso da
analizzare e risolvere entro le mura della Wammy's House, ma come
avrebbero fatto gli altri bambini a sciogliere quel grosso nodo stando
a chilometri di distanza?
Riguardò l'istantanea che aveva tra le mani; era stata
allegata ai documenti che L aveva consegnato agli orfani e raffigurava
il cadavere di Aaron Philips. La fotografia era stata scattata
dall'alto, in maniera tale che fossero visibili la maggior parte dei
particolari di quella stanza: i quadri, i libri, il tappeto, il divano
e le due poltrone accostate al tavolino della scacchiera.
Fissò con attenzione quest'ultima, notando nuovamente
– perché era impossibile non accorgersene
dall'inizio – la disposizione dei pezzi: non erano in ordine,
bensì distribuiti su tutto il campo di battaglia.
Pensò che fosse strano poiché, stando
all'identikit della vittima, Aaron Philips era una persona precisa;
teneva moltissimo all'ordine ed era in grado di accorgersi di uno
spillo fuori posto semplicemente appellandosi alla propria
straordinaria memoria fotografica: ecco spiegato il motivo per il quale
la domestica, Annie Cooper, doveva stare a turni lavorativi molto
lunghi – non poteva appellarsi all'unico fattore dell'affetto
che provava nei confronti del giocatore di scacchi.
Il ragazzino guardò il cadavere ritratto nell'istantanea che
aveva tra le mani, tracciando con gli occhi le pieghe della vestaglia
costosa e i fori dei proiettili. Che fosse impegnato in una partita con
il suo assassino? Oppure si stava semplicemente allenando, nonostante
fosse un campione degno di nota?
Si grattò la testa come se stesse cercando la soluzione con
le dita. Come fare, come fare? C'era qualcosa che gli stava sfuggendo,
ne era più che certo. Ma di cosa si trattava? Anche la
Polizia, che ancora non aveva abbandonato quel luogo, pareva star
brancolando nel buio più totale. E se fosse stato un ladro o
un fanatico? Strinse le mascelle, ricordandosi che non vi erano
videocamere di sorveglianza a osservare l'abitazione, né
alcun tipo di sensore o sistema di sicurezza.
Prese un respiro profondo, accantonando l'agitazione in un angolo
irraggiungibile della propria testa. Il killer doveva aver sparato
dalla soglia della porta e non da distanza ravvicinata – a
suggerirlo era la forma dei fori dei proiettili sul cadavere
– ed era stato un mago a non lasciare né impronte
né indizi in giro. Proprio per tale accuratezza, doveva
trattarsi obbligatoriamente di un omicidio premeditato, e ad aver
ucciso doveva essere qualcuno che si sapesse muovere lì.
«Mel?»
Il biondo si voltò lentamente, rimanendo in silenzio. Amy
stava fissando la scacchiera con gli occhi spalancati, con un'aria
incredula che raramente colpiva il suo viso.
«Non trovi anche tu che sia strano?»
Angoletto dell'Autrice!!
Questo omicidio è gentilmente offerto dal mio fratm
perché la mia testa è un sacchetto sottovuoto e
non è in grado di creare casi del genere.
Secondo voi, chi è l'assassino facendo finta che
tutto questo non sia già stato pubblicato sul sito arancione
da me medesima? :)
Vi do appuntamento al prossimo capitolo!
-Channy
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