A Promise (pt.2)
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Buona lettura!
A PROMISE
(Seconda parte)
11
Without
you I fail in every way
Picture a world for me where I can stay
Without you I break in every way
Imagine a place for us where you and I stay
Il modo in cui le dita delle
loro mani si intrecciavano era meraviglioso. Yusaku avrebbe potuto
guardarle per ore intere con gli occhi pregni di meraviglia e non se ne
sarebbe mai stancato.
«Ryoken» lo chiamò quasi in un sussurro
durante un tramonto vermiglio. Avevano trascorso un nuovo pomeriggio
insieme e questo aveva ricucito un altro po' i brandelli dell'anima di
Yusaku. «Che cosa provi quando ci tocchiamo?»
Ryoken
era l'unico in grado di offrirgli una risposta esaustiva in merito.
L'unico in grado di saziare
quel desiderio di sapere, di metterlo dinanzi la realtà dei
fatti senza tergiversare.
Il
ragazzo lo guardò negli occhi senza sciogliere la stretta
delle loro mani. Si prese qualche istante per sé e poi
replicò: «Avverto come uno strappo. Ma non
fa male» si affrettò ad aggiungere, notando
l'espressione addolorata di Yusaku. «Almeno non a me. Credo
che la tua maledizione spaventi così tanto gli altri
perché li priva di ciò che di più
prezioso hanno, qualcosa che per loro è limitato. Io non ho
di questi problemi, anzi… alcune volte mi sento così pesante
che ho come la sensazione di essere schiacciato da un macigno
immenso».
Seguirono
lunghi istanti di silenzio prima che Ryoken riprendesse il filo del
discorso: «Mi odi se ti dico che la tua maledizione a me fa
del bene? Per la prima volta in tutta la vita riesco a sentirmi capito
per davvero e… io lo so che hai sofferto, l'ho percepito fin
dal primo momento in cui ti ho visto. Non voglio assolutamente sminuire
il tuo dolore. Inoltre, più ti tocco, più entro
in empatia con la tua maledizione. Lei
non vorrebbe essere così. Lei… sta
cercando di realizzare quale sia la sua vera identità, il
suo posto nel mondo. E per farlo ha bisogno di nutrirsi. Vuole la mia
linfa vitale, la brama con tutta se stessa, ma la desidera in un modo
che non ha nulla di malvagio. Lei vuole solo essere compresa, lo stesso
che hai desiderato tu per sedici anni, lo stesso che ho desiderato io
per secoli interi».
La
stretta delle loro mani si era fatta indissolubile.
(Come
se fossero state progettate per quello).
E
mentre il sole chiudeva sempre più le palpebre infuocate su
quella fetta di mondo, Yusaku avvertì ancora una volta
quella sensazione che aveva provato il giorno del loro primo
appuntamento, quando Ryoken si era offerto di accompagnarlo a casa: il
desiderio irrefrenabile e viscerale di non allontanarsi mai
più da lui. Ryoken era l'altra
metà che Yusaku aveva sempre cercato, una
persona in grado stargli accanto senza farlo sentire sbagliato o
inadatto alla vita.
(Ryoken era un concetto
impronunciabile, un'incurvatura romantica delle labbra, un lontano
effluvio di fiori di campo trasportato dal vento).
«Io non ti odio. Non potrei mai odiarti. Sei la prima persona
che mi fa sentire al
posto giusto… non so perché io e te
siamo così, ma forse un giorno troveremo le risposte a ogni
nostra domanda. Fino a quel momento…»
Fino a quel momento vorrei
restare con te, avrebbe voluto dirgli. E anche dopo. Voglio aiutarti a
condividere il peso di questo infinito che sento sempre più
mio. Perché non voglio più saperti solo e non
voglio più che questa solitudine corroda anche me. Siamo due
numeri primi che si sono finalmente trovati in mezzo alla
vastità dell'universo, e se ci siamo incontrati deve esserci
un motivo, me lo sento.
Ma
non riuscì a pronunciare parola alcuna poiché
Ryoken sciolse la stretta delle loro mani e si sporse verso di lui,
avvolgendolo nel calore del suo corpo. Lo stava abbracciando. Lo stava
abbracciando su un prato primaverile, durante un tramonto dalle
sfumature del dolce sapore di un nuovo inizio
(una nuova vita)
e
con un'intensità tale da farlo sentire una cosa sola con la
completezza assoluta.
Se
le loro mani erano state progettate su misura per stringersi tra loro,
i loro petti erano stati fabbricati per aderire perfettamente. C'era
qualcosa di unico e irripetibile in quell'abbraccio, una conquista
importante, un sogno che diventava realtà dopo innumerevoli
sofferenze.
(C'era tutto ciò che non erano mai stati prima e che ora
potevano essere).
Così
era questo, un abbraccio. Era diventare un tutt'uno con il cuore di
un'altra persona, era fondersi in una cosa sola, nuova e meravigliosa.
Tutte
le gelide notti che Yusaku aveva trascorso nella solitudine
più totale, stringendo a sé un cuscino inanimato
nel disperato tentativo di immaginare cosa si provasse a essere
abbracciati, furono spazzate via con garbo e compassione, sostituite da
un calore intenso all'altezza del cuore.
Mentre
si lasciavano andare sempre più a quel contatto intimo e
incantevole, Yusaku chiuse gli occhi colmi di lacrime cristalline e
salate e sognò per brevi istanti una bellissima ragazza dai
lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri, limpidi e trasparenti che
sorrideva con genuina felicità. Non sapeva chi fosse, ma la
comprendeva appieno.
(Era felice anche lui).
12
Fu
naturale, per loro, dormire insieme quella notte. A casa di Ryoken, in
riva al mare, cullati dal dolce suono delle onde, stretti l'uno
all'altro in quel legame divenuto oramai indissolubile.
Avevano
un disperato bisogno di rimanere attaccati
e di sentire i loro cuori battere all'unisono. Avevano bisogno di non
sentirsi più soli. E avevano bisogno di sentirsi al sicuro,
di rifugiarsi nella certezza che insieme avrebbero superato ogni
avversità.
(Quella notte, per la prima volta dopo tanto tempo, una giovane donna
dimenticata poté finalmente riunire le due metà
strappate del suo cuore in un'unica essenza traboccante d'amore).
13
“Per me il tempo
scorre in maniera differente. Come un placido corso d'acqua che non ha
fretta di sfociare nel mare”. Ryoken glielo
aveva confidato in una notte colma di stelle lontane e bellissime e
Yusaku non trovò difficile credere a quell'affermazione
— l'aveva avvertito lui stesso con un semplice tocco e,
ancora di più, ogniqualvolta osservava quella vita infinita
svolgersi a ritroso dinanzi i propri occhi meravigliati.
Perché, a una manifestazione simile, non vi avrebbe mai
fatto davvero l'abitudine, ne era più che certo.
Perdersi
in lunghi abbracci era diventata parte integrante della loro
quotidianità, come se vivessero solo per quello, per stare
insieme il più possibile e non staccarsi mai.
(E, in fondo, era proprio così).
(Un tempo infinito messo a disposizione per due piccoli esseri umani
come loro).
Yusaku
aveva iniziato a comprendere le parole di Ryoken nel giro di poche
settimane: anche per lui il tempo aveva iniziato a scorrere in maniera
diversa, come se una sbiadita patina di irrealtà gli si
fosse adagiata sulle iridi chiare. Una patina che distorceva in maniera
quasi impercettibile il susseguirsi infinito e monotono dei secondi, ma
Yusaku era comunque in grado di coglierne ogni sfumatura dissimile dal normale.
Ryoken
percepiva questa distorsione in maniera ancora più marcata e
Yusaku spesso si domandava come dovesse apparire il mondo ai suoi
occhi. Come dovesse apparire lui
ai suoi occhi.
Ryoken
lo guardava in un modo che lo faceva sentire strano e desiderato al
tempo stesso. Forse era questo che si provava quando si era importanti
per qualcuno. Yusaku non aveva mai avuto certezze in merito
poiché nessuno l'aveva mai fatto sentire così e cielo, era quanto di
più bello potesse esistere sulla faccia del pianeta.
Non
vi avrebbe mai rinunciato. Per nulla al mondo. Ora che aveva assaporato
la vera felicità, avrebbe fatto di tutto per tenersela
stretta.
14
«Ohi, Fujiki!»
La
voce di Shima Naoki gli giunse alle orecchie come un'esplosione che
fece tremare i timpani per secondi interminabili. Yusaku si
fermò, voltandosi lentamente nella sua direzione. Si era
già allontanato a sufficienza dall'edificio scolastico e,
per tale motivo, intuì che il ragazzo l'avesse seguito per
un po'.
«Ti serve qualcosa?» domandò con il tono
di voce più anonimo che possedeva. Nulla contro Shima Naoki,
aveva solo una gran voglia di tornare a casa.
(Di tornare da Ryoken).
«Senti un po', ma perché fino a qualche mese fa
nessuno ti rivolgeva la parola?» gli chiese questi, una volta
raggiunto. Aveva il fiato corto, segno che stare al suo passo gli era
difficile. Ottimo, avrebbe potuto seminarlo in fretta nel caso fosse
diventato troppo insistente.
Yusaku
si limitò a fare spallucce e un piccolo sorriso
affiorò sulle sue labbra. «Nulla di che, giravano
solo strane voci sul mio conto» disse, prima di riprendere a
camminare.
Nel
corso dei mesi, la percezione nei suoi confronti era decisamente
mutata. Dapprima in maniera quasi impercettibile — proprio
come la patina che gli si era adagiata sulle iridi e che distorceva lo
scorrere del tempo alla sua vista —, fino a diventare sempre
più evidente.
Tutto
iniziò neanche due settimane addietro, quando un suo
compagno di classe gli diede una pacca sulla spalla per congratularsi
con lui dell'eccellente voto che aveva preso nel test di matematica.
Yusaku strabuzzò gli occhi al punto tale che se da quel
momento in poi tutti quanti avessero iniziato a chiamarlo
“pesce palla” non se la sarebbe nemmeno presa. Dopo
lunghi attimi di incertezza, si era limitato a ringraziarlo
frettolosamente e uscire dalla classe per chiudersi in bagno e
telefonare a Ryoken.
«Te ne sei accorto?» gli chiese questi dopo che
Yusaku ebbe raccontato per filo e per segno quanto accaduto.
«Credo che la tua maledizione stia iniziando pian piano a
saziarsi. Di conseguenza, appare molto meno minacciosa agli occhi degli
altri, o quantomeno a ciò che percepiscono quando ti sono
vicini».
Quelle
parole gli si insinuarono nelle vene, trasportando nuova linfa vitale
al cuore.
«Questo… questo non lo avevo
preventivato» ammise con un filo di voce e il labbro
inferiore che tremava appena.
«D'ora in avanti allora fallo. Presta attenzione a cosa e
soprattutto a chi ti circonda, sono convinto che ti basterà
poco per cogliere tutte le differenze rispetto a prima. Non
è meraviglioso, Yusaku? Ora potrai goderti la vita come un
normale ragazzo delle superiori!»
Yusaku
non credeva di essere mai stato normale e di certo non avrebbe iniziato
in quel momento. La normalità dei suoi coetanei non gli era
mai appartenuta ma forse, da quel giorno in poi, avrebbe potuto provare
a capire di che cosa si trattasse.
«Senti, Ryoken…» pronunciò il
suo nome piano, proprio mentre suonava la campanella che annunciava la
fine dell'intervallo, «… come fanno a non
ricordare nulla? A inizio anno scolastico mi stavano tutti alla larga e
mi guardavano come se fossi il demonio sceso in Terra, ma
ora… ora sono più gentili, ma sembra che abbiano
completamente rimosso tutto ciò che c'è stato
prima».
Ryoken
non rispose subito e quell'attesa lo portò ad agitarsi un
poco. Quando finalmente lo fece, Yusaku si sentì di nuovo
ancorato al pavimento del bagno: «Forse anche loro avevano una patina sugli
occhi che impediva di vederti per ciò che sei realmente.
Apparivi come un individuo distorto e pericoloso, ma forse nemmeno se
ne rendevano conto. Anche se questo non cancella tutto il dolore che
hai provato per quasi diciassette anni…»
Yusaku
fece un profondo respiro prima di domandare: «E tu, Ryoken?
Tu come mi hai visto in tutto questo tempo?»
Questa
volta, Ryoken impiegò molto meno tempo a rispondere. E, nel
farlo, Yusaku immaginò che stesse sorridendo nello stesso
modo in cui, mesi addietro, l'aveva invitato a pranzo per la prima
volta.
«Bellissimo,
Yusaku. Mi sei apparso bellissimo fin dal primo momento che ti ho
incontrato».
Mentre
ripensava a quel frammento di vita, a come si fosse sentito nell'udire
quelle parole
(il cuore che batteva
celere, le gote ridotte a un ammasso di carne bruciata, le gambe molli)
e
al fatto che lui e Ryoken non avevano più ripreso in mano
quella discussione senza un apparente motivo, Yusaku non si accorse,
almeno in un primo momento, che Shima Naoki stesse continuando a
seguirlo quasi arrancando al suo fianco.
«Sì, ma è davvero strano, Fujiki!
Nessuno sa nulla di te, tipo dove abiti o quali sono le tue
passioni… sei un vero mistero!»
Yusaku
si fermò una seconda volta e fissò per mezzo
istante il ragazzo che stava riprendendo fiato. «Abito nella
villa in riva al mare e mi piacciono i videogiochi» rispose
semplicemente, nella speranza che così facendo avesse
soddisfatto la curiosità del suo interlocutore.
Shima
Naoki parve riscuotersi da un lungo torpore. «Eh?! La villa
in riva al mare?! Ma è enorme! Quanti siete in
famiglia?!»
Yusaku
non ascoltò il resto — gli aveva chiesto se fosse
ricco o qualcosa di simile — e riprese a camminare con la
mente indirizzata a un'unica domanda e a un'unica persona: quanti siete in famiglia?
Lui
e Ryoken cos'erano
in realtà? Avevano un rapporto del tutto diverso rispetto a
quello che instauravano i ragazzi della loro età: vivevano
insieme — era stato naturale, per Yusaku, trasferirsi nella
villa in riva al mare quando Ryoken glielo aveva chiesto — e
dormivano abbracciati tutte le notti.
Ma
nessuno avrebbe mai potuto immaginare che il loro stile di vita fosse
dettato da un'esigenza primordiale che li voleva insieme in un modo
impossibile da descrivere.
Yusaku
doveva percorrere ogni giorno un tragitto molto più lungo
sia per andare a scuola che per tornare a casa, ma questo non gli
pesava affatto. Anzi, così facendo aveva modo di guardarsi
intorno e di osservare la città sotto innumerevoli sfumature
che non aveva mai colto.
(Poteva sentirsi al
sicuro a camminare tra la gente, senza più provare il
terrore atavico di fare del male a qualcuno semplicemente sfiorandolo).
Più
si avvicinava alla villa, più il dolce suono delle onde del mare
gli cullava i timpani, rilassando il suo intero corpo. E quando
giungeva a casa
e si chiudeva la porta alle spalle, ecco che l'invitante profumo del
pranzo gli solleticava le narici; la consapevolezza che ad accoglierlo
ci fosse qualcuno e che non avrebbe mai più trascorso le sue
tristi giornate nella solitudine assoluta era la conquista
più bella che avesse mai ottenuto.
Alcune
volte Ryoken lo aspettava fuori da scuola per andare a desinare da
qualche parte in città oppure portava con sé
dei bento
da aprire una volta giunti al parco cittadino. Erano le sorprese che
Yusaku più apprezzava poiché gli riempivano il
cuore di una felicità tremante. Ed era tutto merito di
Ryoken.
Ryoken
che lo faceva sentire bellissimo per davvero.
15
Yusaku
si rese conto di aver seminato Shima Naoki quando mancava ormai poco
per raggiungere casa. Fece spallucce e si ripromise di sforzarsi di
scambiare qualche altra chiacchiera con lui l'indomani a scuola per
farsi perdonare.
Ora
i suoi pensieri erano tutti dedicati a Ryoken, al desiderio di
riabbracciarlo e di raccontargli come fosse andata la giornata
— e sapere come fosse andata la sua.
Ryoken
nel corso dei secoli aveva frequentato l'università una
cinquantina di volte e, se all'inizio lo aveva fatto per restare al
passo coi tempi e ricevere un'istruzione adeguata, a lungo andare il
tutto si era tramutato in una disperata ricerca di risposte circa la
sua condizione
(maledizione).
Risposte
che, nel presente, non aveva ancora trovato.
Così
ora Ryoken trascorreva le sue giornate a prendere libri in prestito
dalla biblioteca o ad acquistarli in libreria e leggere, leggere a non
finire, leggere fino a imparare a memoria paragrafi interi. Aveva
frequentato l'università troppe volte per rendersi conto che
lì non avrebbe mai trovato ciò che cercava e
anche Yusaku aveva ormai capito che nell'ordinarietà del
programma scolastico della scuola superiore che frequentava non avrebbe
mai trovato nulla di utile e interessante riguardo loro.
Ryoken
però non si arrendeva, era sicuro che qualcosa, un giorno,
sarebbe sicuramente emerso in mezzo a quel coacervo di pagine stampate
con l'inchiostro scuro. In fondo doveva pur impiegare le sue giornate
in qualcosa, no? E visto tutto l'impegno che ci metteva, Yusaku si
stava impegnando a sua volta nel mantenere un rendimento scolastico
lodevole e socializzare un po' di più coi compagni di classe.
(Ma Ryoken rimaneva
sempre il suo preferito).
L'immensa
villa nella quale vivevano si era presto tramutata in una biblioteca
che racchiudeva al suo interno storie antiche e pericolose, altre dolci
come un bel sogno e altre ancora amare come una medicina non zuccherata.
Era
un bel posto, forse davvero troppo grande per due sole persone, ma
comunque accogliente e luminoso. Ed era casa loro, lo era a tutti gli
effetti.
Anche
se, a essere sincero fin nel profondo, Yusaku sentiva che mancava
qualcosa. Come se, nonostante tutto, quello non fosse il posto giusto
per loro. Non sapeva spiegarsi come o perché, ma alcune
volte immaginava di vivere tra la neve, lontano da tutto e da tutti, al
riparo dal bollente sole estivo e dalla sabbia che ustionava la pelle.
Fece
spallucce un'altra volta ancora, relegando quell'idea al semplice
pensiero che fosse ormai estate inoltrata, le vacanze di agosto non
erano ancora arrivate e lui mal sopportava il caldo. Erano, dunque,
solo i pensieri di un adolescente come tanti che non vedeva l'ora di
trovare ristoro durante la stagione più afosa dell'anno.
16
Solitamente,
quando rientrava in casa, Yusaku era accolto non solo dagli invitanti
profumi delle pietanze cucinate per il pranzo, ma anche dal sorriso di
Ryoken, dal suo “Bentornato”
e da un lungo abbraccio. Quel giorno fu diverso perché non
accadde nulla di tutto ciò che aveva ormai iniziato a
comporre la loro quotidianità.
Ma,
nonostante tutto, fu meraviglioso lo stesso. Forse anche più
bello. Anzi, lo fu sicuramente.
Ryoken
era seduto sul divano, lo sguardo fisso su due pagine che, dalla
distanza in cui si trovava, Yusaku non riuscì a
identificare. Lo spesso volume poggiato sulle sue cosce era aperto
circa a metà, segno che avesse trascorso l'intera mattinata
a leggerlo — aveva iniziato la sera addietro, leggendo
però solo le prime pagine.
«Ryoken…» Yusaku lo chiamò
piano, quasi avesse il timore di spaventarlo. E in effetti era proprio
così, dato che il ragazzo pareva completamente assorbito da
ciò che aveva letto in quelle pagine che sapevano di
lontano, di terre mai viste prima ed epoche sconosciute perfino a lui
che per settecento anni aveva camminato per le strade dell'intero
pianeta.
A
sentire il suo nome, Ryoken si ridestò con un lieve sobbalzo
da tutti i suoi pensieri. «Yusaku…»
sussurrò piano a sua volta dopo aver alzato lo sguardo su di
lui. Poi si riscosse del tutto e, dopo aver poggiato il volume sul
tavolino in vetro, si alzò in piedi e gli andò
incontro.
Non
gli chiese scusa per non aver ancora preparato il pranzo, né
per non averlo accolto come suo solito. Non fece niente di tutto
ciò. Gli strinse forte le mani e lo guardò in un
modo che Yusaku non avrebbe mai dimenticato: era come se Ryoken fosse
entrato in contatto con ciò che si nascondeva al centro
dell'universo, la fonte di energia massima e suprema.
Come
se una nuova vita — o un nuovo modo di viverla e
interpretarla — si fosse fatto spazio nei suoi pensieri. Era
come se, nelle sue iridi azzurre, si fosse materializzato il segreto
più importante fra tutti. Il loro.
«Ho trovato la
risposta che abbiamo a lungo cercato».
17
Tanto tempo fa, nelle fredde
Terre del Nord, viveva un piccolo villaggio di contadini da
più di cinque generazioni. Erano persone umili e perbene
che, nonostante la rigidità della loro terra, erano sempre
grate per ciò che offriva loro.
Non vivevano nella miseria
assoluta, ma erano comunque costrette a compiere tanti sacrifici per
garantire un pasto caldo la sera ai loro figli prima di andare a
dormire.
Il Sole, ammirato e
impietosito al tempo stesso dalla loro tenacia, decise di aiutarli
offrendo un dono dal valore inestimabile: trasformò uno dei
suoi più caldi raggi in una giovane donna che
chiamò Synnöve e le disse che, da quel momento in
poi, avrebbe portato gioia e prosperità al villaggio grazie
al potere custodito nella sua mano destra, il quale dava tutto senza
chiedere nulla in cambio; al contempo, però, quell'immenso
potere era controbilanciato da ciò che risiedeva nella sua
mano sinistra, ovvero la possibilità di togliere tutto senza
pietà alcuna. Stava a lei decidere come e quando usare
entrambi i suoi poteri.
Così
Synnöve giunse al villaggio e fu accolta con benevolenza e
devozione. Era figlia del Sole e, proprio per questo, brillava di luce
propria; i lunghi capelli parevano fili dorati che se intrecciati tra
loro creavano meraviglie mai viste prima e gli occhi erano simili a due
pezzi di cielo ritagliati su misura per lei. Sorrideva sempre,
Synnöve, perché questo sapeva fare, portava gioia e
serenità ovunque volgesse lo sguardo e scaldava il cuore di
chiunque incontrasse sul proprio cammino.
Il figlio del capo villaggio
si innamorò perdutamente di lei e la corteggiò
per settimane intere prima che Synnöve accettasse di sposarlo.
Nel mentre, però, qualcosa di sinistro aveva iniziato a
insinuarsi nel villaggio e ad aleggiare mortifero tra le abitazioni.
Qualcosa di oscuro e spaventoso, in grado di frantumare l'animo umano e
rimodellarlo in un'essenza torbida e mefitica.
Più
Synnöve usava i poteri custoditi nella sua mano destra,
più si rendeva conto che qualcosa non andava. Dapprima non
vi aveva fatto caso: i contadini, meravigliati dalla
prosperità che ella aveva portato al villaggio, l'avevano
ringraziata e venerata con una devozione nello sguardo in grado di
scaldare il Sole stesso; ma nel giro di poco tutto ciò che
Synnöve aveva fatto e continuava a fare per loro non bastava
più: i campi da coltivare erano troppo piccoli e andavano
ampliati, la neve da sciogliere era sempre di più, le
infrastrutture necessitavano di piani più alti, sempre
più alti, fino a toccare il cielo, e i gioielli in oro e
argento puro da vendere o indossare per rimirarsi dinanzi lo specchio
per ore intere non erano mai abbastanza.
Nessuno si fermava
più ad ammirare i fiori sbocciati tra la neve, quegli stessi
fiori colorati che avevano suscitato così tanta meraviglia
il primo giorno che erano emersi con graziosa timidezza; ora chiunque
li calpestava senza curarsi minimamente del loro dolore e dei loro
singulti spezzati, perfino i bambini si stavano inabissando sempre
più nella spirale eterna dell'ingordigia e dell'avarizia.
Il villaggio brillava
più del Sole per tutto l'oro e l'argento che
Synnöve aveva donato ai suoi abitanti, ma dentro era vuoto,
era una terra arida di sentimenti genuini e spensieratezza. I contadini
pensavano solo ad arricchirsi e vivere in un lusso che non avevano mai
assaporato e che non sapevano come gestire.
E allora Synnöve
comprese che il suo dono non era più visto come un miracolo,
bensì come una fonte di potere assoluto. Tutti quanti
avevano perso la luce negli occhi, sostituita da un lampo di pura
malignità.
La giovane donna
compì dunque una scelta che avrebbe cambiato per sempre la
sua sorte: usò il potere sigillato nella sua mano sinistra
per riportare tutto quanto al suo stadio iniziale e mentre compiva la
sua magia rivide la vita di ogni abitante del villaggio svolgersi a
ritroso dinanzi a lei. Pian piano, lentamente e con molta grazia, i tratti del viso
di ognuno mutarono in quelli dolci e gentili dell'umiltà e
ritornarono a ciò che erano un tempo, quando la neve rendeva
difficile coltivare i campi ma nessuno si lamentava mai e chiunque era
grato al pallido Sole di offrire parte del suo immenso calore anche
lì, in quella terra così lontana e aspra alla
vita.
Fu lì che
Synnöve comprese di aver sbagliato, di aver offerto troppo in
così poco tempo e di aver corrotto senza volerlo la mente e
i desideri di quelle persone tanto semplici. Voleva porre rimedio agli
errori commessi e, per farlo, doveva rimanere ferma nelle sue
posizioni: non si lasciò abbindolare dalle suppliche dei
contadini, dai pianti delle donne e dalle grida dei bambini e non si
scompose minimamente nel momento in cui tutta la loro disperazione si
tramutò in una lunga sequela di minacce e bestemmie e
ruggiti infuriati.
Sapeva che a parlare non erano
le loro vere essenze, ma la corruzione che le aveva contaminate. In
quel villaggio ritornato al suo stadio iniziale, coi piccoli campi
coperti da un manto di soffice neve e le case vuote di beni di lusso ma
piene di vita, Synnöve spiegò che non avrebbe usato
i poteri della sua mano destra per un anno intero, in modo tale che
ogni abitante potesse riscoprire se stesso attraverso il sacrificio del
duro lavoro. Chinò il capo e domandò il loro
perdono per averli resi talmente schiavi delle ricchezze materiali da
dimenticare quali fossero i veri valori della vita.
Quella stessa sera,
Synnöve annunciò che se ne sarebbe andata e che
avrebbe vegliato su di loro fino al suo ritorno l'anno successivo, ma
il figlio del capo villaggio insistette affinché la giovane
donna rimanesse fino al mattino successivo, in modo tale non solo di
riposare, ma anche di partire guidata dalla luce del Sole.
Synnöve
accettò, intenerita dalla sua gentilezza, e gli promise che
l'anno successivo, quando tutto si fosse risolto, l'avrebbe sposato. Ma
il figlio del capo villaggio non era più intenzionato a
sposarla, non dopo l'affronto che aveva recato alla sua famiglia
privandola di tutti i tesori che avevano accumulato grazie al suo
potere e che ora non avevano più a causa di quello che lui
riteneva un puerile capriccio.
Egli era l'uomo più
avido e meschino delle lontane Terre del Nord ma, a differenza di tanti
altri, era sempre stato bravo a celare questo oscuro tratto della sua
persona sotto strati e strati e strati di finta bontà e
compassione. Aveva sempre odiato la miseria nella quale viveva lui,
solo e soltanto lui, perché per gli abitanti del suo villaggio
non provava nulla se non un profondo ribrezzo.
Così decise che
quella notte, mentre Synnöve dormiva, le avrebbe amputato la
mano sinistra e l'avrebbe bruciata, in modo tale che la giovane non
avrebbe mai più potuto sottrargli le sue ricchezze ma solo
donargliele, come una moglie devota doveva fare. L'avrebbe costretta a
sposarlo quella stessa notte, all'oscuro di tutto il villaggio, perfino
di suo padre. E una volta divenuto più ricco e importante di
lui, avrebbe comandato su tutti quanti come unico e vero signore di
quelle terre bianche e grigie.
Così la notte
giunse, amara e inesorabile, e le lunghe ombre avvolsero le strade
deserte e i campi ricoperti di neve. Synnöve faticava ad
addormentarsi, non riusciva a provare un solo briciolo di
serenità e l'inquietudine le serpeggiava sottopelle
facendola svegliare di soprassalto al minimo rumore.
Per questo, quando la luna fu
alta e piena nel cielo e la porta della sua camera si aprì,
lei spalancò gli occhi di scatto, colta da un terrore gelido
e pungente, un terrore che le serrò la gola con dita
scheletriche e avvizzite. Era un raggio di Sole, Synnöve, ma
tutto il suo calore venne meno nel momento in cui, voltandosi e alzando
il busto, vide l'uomo che amava armato di un coltello affilato avanzare
verso di lei con fulmini e saette di follia pura che esplodevano nei
suoi occhi.
Tutto le fu subito chiaro:
comprese che non avrebbe mai potuto cambiare il cuore ormai troppo
corrotto di quelle povere creature confinate nelle gelide Terre del
Nord. E il dolore che provò nel realizzare una
verità di questo tipo fu così grande, immenso e
atroce che la uccise.
Synnöve, il dono del
Sole, morì di crepacuore ancor prima che il suo promesso
sposo ebbe il tempo di affondare il coltello nel suo braccio sinistro.
Il suo cuore si strappò a metà e si dissolse nel
nulla, ma non prima di aver preso in custodia i poteri racchiusi nelle
sue mani: nella parte destra vi confinò la
prosperità e la ricchezza e in quella sinistra il ritorno al
punto di origine.
Le mani della giovane
divennero così due mani comuni, prive di qualsiasi
unicità. E ancor prima che il figlio del capo villaggio
potesse rendersi conto di ciò che era capitato, una potente
bufera di neve si abbatté su quelle terre dimenticate dal
Sole, seppellendole ed estinguendole per sempre.
Il cuore spaccato a
metà di Synnöve vagò in lungo e in largo
per tutto il mondo alla ricerca di qualcuno che lo potesse proteggere.
Ma le due metà si erano perse e allontanate, senza
più ritrovarsi, rendendo così instabili i poteri
che custodivano al loro interno ed elevandoli a qualcosa che, se preso
singolarmente, risultava terrificante e minaccioso: la vita eterna
nella parte destra e l'annientamento della linfa vitale in quella
sinistra.
Fino a quando due anime
gemelle condannate alla solitudine perpetua non avranno modo di
incontrarsi e completarsi a vicenda, il cuore strappato di
Synnöve continuerà a soffrire, trasportato dal
vento della disperazione.
Solo due vere anime gemelle
saranno in grado di spezzare la maledizione e, così facendo,
Synnöve potrà finalmente riposare in pace.
• Dead
by April — A Promise || Siate
Curiosi Sempre
• Ditemi se il ritornello della
canzone non urla DATASTORMSHIPPING a ogni parola.
Questa canzone parla
davvero di loro, non c'è altra spiegazione.
E vorrei dire che
questa storia è nata proprio con l'intento di creare una
leggenda al suo interno (quella di Synnöve), ma mentirei se lo
dicessi, perché questa mini long vive per tutt'altro motivo
che scoprirete nel prossimo capitolo, che sarà anche
l'ultimo — rido perché inizialmente questa storia
doveva essere una One Shot.
Più che
altro, desideravo concluderla oggi perché è il 20
marzo ed è il compleanno di Yusaku, sempre secondo i miei
personalissimi Headcanon e quindi non è nulla di ufficiale,
ma almeno oggi ho pubblicato il cuore di questa storia, quindi va
benissimo anche così.
• Spero con tutta me stessa di
avervi offerto delle risposte esaustive circa le maledizioni di Ryoken
e Yusaku e che tutto fili liscio e senza alcun intoppo.
Una mega confezione di
biscotti in regalo a tutti coloro che, nelle recensioni al primo
capitolo, hanno intuito che si trattasse di una questione di
“anime gemelle”, perché è
proprio così: solo due vere anime gemelle possono spezzare
la maledizione di Synnöve e questo destino è
capitato proprio a Ryoken e Yusaku perché
sono sadica e mi piace sguazzare nell'Angst trascinando questi due
poveri disgraziati con me, in sostanza.
• La leggenda è
ambientata in Svezia. So che nello scritto non l'ho mai specificato, ma
in ogni caso sì, le fredde Terre del Nord in questa mini
long sono proprio la Svezia — omaggio ai Dead by April che
sono svedesi e non solo, fosse per me mi trasferirei a
Göteborg tipo SUBITO, ma dettagli.
Amo la Svezia pur non essendoci mai stata e spero un giorno di poterla
visitare.
• Synnöve significa dono del sole ed
è la variante svedese di Synnøve (nome
norvegese); ovviamente ai tempi di questa leggenda (qualcosa come uno o
due millenni fa) il nome Synnöve ancora non esisteva, dato che
deriva dall'antico nome anglosassone Sunngifu e poi, nel
Medioevo, da Sunnifa.
Mi sono presa la
libertà di chiamare la donna della leggenda Synnöve
solo per rimarcare il fatto che la leggenda è svedese, tutto
qui.
• Non vedo l'ora di farvi
scoprire cosa succederà nel terzo (e ultimo) capitolo.
Avete qualche teoria a
riguardo? Fatemi sapere, se vi va.
Io intanto vi
ringrazio per essere arrivati fino a qui.
M a
k o
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