Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! VRAINS
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Autore: M a k o    20/03/2024    7 recensioni
• Datastormshipping (Ryoken/Yusaku)
• Mini long Curse!AU
• Dal testo:
Yusaku sussultò nel momento in cui la mano di Ryoken sfiorò la sua e, d'istinto, la ritrasse velocemente. Ryoken sorrise ancora una volta.
«Non aver paura,» gli disse con un tono di voce che voleva essere rassicurante, «lascia che si nutra. A differenza delle altre persone, a me non fa del male».
«E se poi ne volesse sempre di più?»
«E se invece dovesse saziarsi?»
Yusaku guardò Ryoken come se quest'ultimo avesse iniziato a parlare in una lingua arcana e sconosciuta.
«In tutti questi anni non ha mai dato segno di essere in grado di saziarsi» rispose con una punta di disprezzo nel tono di voce.
«Questo perché hai sempre fatto del tuo meglio per evitare il contatto fisico» spiegò Ryoken. «Di conseguenza, più le neghi il suo nutrimento, più lei diventa affamata. L'ho percepito quando ci siamo toccati: pare davvero disperata. Per questo non posso fare a meno di domandarmi: se provassi a darle ciò che vuole… non credi che ti lascerebbe in pace?»
• Questa storia partecipa alla Challenge “Fissa un obiettivo (e superalo)” indetta dal forum Siate Curiosi Sempre
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Ryoken Kogami/Revolver, Yusaku Fujiki/Playmaker
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Datastorm mini long'
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A Promise (pt.2)
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Buona lettura!



A PROMISE
(Seconda parte)



11


Without you I fail in every way
Picture a world for me where I can stay
Without you I break in every way
Imagine a place for us where you and I stay


Il modo in cui le dita delle loro mani si intrecciavano era meraviglioso. Yusaku avrebbe potuto guardarle per ore intere con gli occhi pregni di meraviglia e non se ne sarebbe mai stancato.
    «Ryoken» lo chiamò quasi in un sussurro durante un tramonto vermiglio. Avevano trascorso un nuovo pomeriggio insieme e questo aveva ricucito un altro po' i brandelli dell'anima di Yusaku. «Che cosa provi quando ci tocchiamo?»
Ryoken era l'unico in grado di offrirgli una risposta esaustiva in merito. L'unico in grado di saziare quel desiderio di sapere, di metterlo dinanzi la realtà dei fatti senza tergiversare.
Il ragazzo lo guardò negli occhi senza sciogliere la stretta delle loro mani. Si prese qualche istante per sé e poi replicò: «Avverto come uno strappo. Ma non fa male» si affrettò ad aggiungere, notando l'espressione addolorata di Yusaku. «Almeno non a me. Credo che la tua maledizione spaventi così tanto gli altri perché li priva di ciò che di più prezioso hanno, qualcosa che per loro è limitato. Io non ho di questi problemi, anzi… alcune volte mi sento così pesante che ho come la sensazione di essere schiacciato da un macigno immenso».
Seguirono lunghi istanti di silenzio prima che Ryoken riprendesse il filo del discorso: «Mi odi se ti dico che la tua maledizione a me fa del bene? Per la prima volta in tutta la vita riesco a sentirmi capito per davvero e… io lo so che hai sofferto, l'ho percepito fin dal primo momento in cui ti ho visto. Non voglio assolutamente sminuire il tuo dolore. Inoltre, più ti tocco, più entro in empatia con la tua maledizione. Lei non vorrebbe essere così. Lei… sta cercando di realizzare quale sia la sua vera identità, il suo posto nel mondo. E per farlo ha bisogno di nutrirsi. Vuole la mia linfa vitale, la brama con tutta se stessa, ma la desidera in un modo che non ha nulla di malvagio. Lei vuole solo essere compresa, lo stesso che hai desiderato tu per sedici anni, lo stesso che ho desiderato io per secoli interi».
La stretta delle loro mani si era fatta indissolubile.
    (Come se fossero state progettate per quello).

E mentre il sole chiudeva sempre più le palpebre infuocate su quella fetta di mondo, Yusaku avvertì ancora una volta quella sensazione che aveva provato il giorno del loro primo appuntamento, quando Ryoken si era offerto di accompagnarlo a casa: il desiderio irrefrenabile e viscerale di non allontanarsi mai più da lui. Ryoken era l'altra metà che Yusaku aveva sempre cercato, una persona in grado stargli accanto senza farlo sentire sbagliato o inadatto alla vita.
    (Ryoken era un concetto impronunciabile, un'incurvatura romantica delle labbra, un lontano effluvio di fiori di campo trasportato dal vento).
    «Io non ti odio. Non potrei mai odiarti. Sei la prima persona che mi fa sentire al posto giusto… non so perché io e te siamo così, ma forse un giorno troveremo le risposte a ogni nostra domanda. Fino a quel momento…»
Fino a quel momento vorrei restare con te, avrebbe voluto dirgli. E anche dopo. Voglio aiutarti a condividere il peso di questo infinito che sento sempre più mio. Perché non voglio più saperti solo e non voglio più che questa solitudine corroda anche me. Siamo due numeri primi che si sono finalmente trovati in mezzo alla vastità dell'universo, e se ci siamo incontrati deve esserci un motivo, me lo sento.
Ma non riuscì a pronunciare parola alcuna poiché Ryoken sciolse la stretta delle loro mani e si sporse verso di lui, avvolgendolo nel calore del suo corpo. Lo stava abbracciando. Lo stava abbracciando su un prato primaverile, durante un tramonto dalle sfumature del dolce sapore di un nuovo inizio
    (una nuova vita)
e con un'intensità tale da farlo sentire una cosa sola con la completezza assoluta.
Se le loro mani erano state progettate su misura per stringersi tra loro, i loro petti erano stati fabbricati per aderire perfettamente. C'era qualcosa di unico e irripetibile in quell'abbraccio, una conquista importante, un sogno che diventava realtà dopo innumerevoli sofferenze.
    (C'era tutto ciò che non erano mai stati prima e che ora potevano essere).
Così era questo, un abbraccio. Era diventare un tutt'uno con il cuore di un'altra persona, era fondersi in una cosa sola, nuova e meravigliosa.
Tutte le gelide notti che Yusaku aveva trascorso nella solitudine più totale, stringendo a sé un cuscino inanimato nel disperato tentativo di immaginare cosa si provasse a essere abbracciati, furono spazzate via con garbo e compassione, sostituite da un calore intenso all'altezza del cuore.
Mentre si lasciavano andare sempre più a quel contatto intimo e incantevole, Yusaku chiuse gli occhi colmi di lacrime cristalline e salate e sognò per brevi istanti una bellissima ragazza dai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri, limpidi e trasparenti che sorrideva con genuina felicità. Non sapeva chi fosse, ma la comprendeva appieno.
    (Era felice anche lui).


12

Fu naturale, per loro, dormire insieme quella notte. A casa di Ryoken, in riva al mare, cullati dal dolce suono delle onde, stretti l'uno all'altro in quel legame divenuto oramai indissolubile.
Avevano un disperato bisogno di rimanere attaccati e di sentire i loro cuori battere all'unisono. Avevano bisogno di non sentirsi più soli. E avevano bisogno di sentirsi al sicuro, di rifugiarsi nella certezza che insieme avrebbero superato ogni avversità.
    (Quella notte, per la prima volta dopo tanto tempo, una giovane donna dimenticata poté finalmente riunire le due metà strappate del suo cuore in un'unica essenza traboccante d'amore).


13

“Per me il tempo scorre in maniera differente. Come un placido corso d'acqua che non ha fretta di sfociare nel mare”. Ryoken glielo aveva confidato in una notte colma di stelle lontane e bellissime e Yusaku non trovò difficile credere a quell'affermazione — l'aveva avvertito lui stesso con un semplice tocco e, ancora di più, ogniqualvolta osservava quella vita infinita svolgersi a ritroso dinanzi i propri occhi meravigliati. Perché, a una manifestazione simile, non vi avrebbe mai fatto davvero l'abitudine, ne era più che certo.
Perdersi in lunghi abbracci era diventata parte integrante della loro quotidianità, come se vivessero solo per quello, per stare insieme il più possibile e non staccarsi mai.
    (E, in fondo, era proprio così).
    (Un tempo infinito messo a disposizione per due piccoli esseri umani come loro).
Yusaku aveva iniziato a comprendere le parole di Ryoken nel giro di poche settimane: anche per lui il tempo aveva iniziato a scorrere in maniera diversa, come se una sbiadita patina di irrealtà gli si fosse adagiata sulle iridi chiare. Una patina che distorceva in maniera quasi impercettibile il susseguirsi infinito e monotono dei secondi, ma Yusaku era comunque in grado di coglierne ogni sfumatura dissimile dal normale.
Ryoken percepiva questa distorsione in maniera ancora più marcata e Yusaku spesso si domandava come dovesse apparire il mondo ai suoi occhi. Come dovesse apparire lui ai suoi occhi.
Ryoken lo guardava in un modo che lo faceva sentire strano e desiderato al tempo stesso. Forse era questo che si provava quando si era importanti per qualcuno. Yusaku non aveva mai avuto certezze in merito poiché nessuno l'aveva mai fatto sentire così e cielo, era quanto di più bello potesse esistere sulla faccia del pianeta.
Non vi avrebbe mai rinunciato. Per nulla al mondo. Ora che aveva assaporato la vera felicità, avrebbe fatto di tutto per tenersela stretta.


14

    «Ohi, Fujiki!»
La voce di Shima Naoki gli giunse alle orecchie come un'esplosione che fece tremare i timpani per secondi interminabili. Yusaku si fermò, voltandosi lentamente nella sua direzione. Si era già allontanato a sufficienza dall'edificio scolastico e, per tale motivo, intuì che il ragazzo l'avesse seguito per un po'.
    «Ti serve qualcosa?» domandò con il tono di voce più anonimo che possedeva. Nulla contro Shima Naoki, aveva solo una gran voglia di tornare a casa.
    (Di tornare da Ryoken).
    «Senti un po', ma perché fino a qualche mese fa nessuno ti rivolgeva la parola?» gli chiese questi, una volta raggiunto. Aveva il fiato corto, segno che stare al suo passo gli era difficile. Ottimo, avrebbe potuto seminarlo in fretta nel caso fosse diventato troppo insistente.
Yusaku si limitò a fare spallucce e un piccolo sorriso affiorò sulle sue labbra. «Nulla di che, giravano solo strane voci sul mio conto» disse, prima di riprendere a camminare.
Nel corso dei mesi, la percezione nei suoi confronti era decisamente mutata. Dapprima in maniera quasi impercettibile — proprio come la patina che gli si era adagiata sulle iridi e che distorceva lo scorrere del tempo alla sua vista —, fino a diventare sempre più evidente.
Tutto iniziò neanche due settimane addietro, quando un suo compagno di classe gli diede una pacca sulla spalla per congratularsi con lui dell'eccellente voto che aveva preso nel test di matematica. Yusaku strabuzzò gli occhi al punto tale che se da quel momento in poi tutti quanti avessero iniziato a chiamarlo “pesce palla” non se la sarebbe nemmeno presa. Dopo lunghi attimi di incertezza, si era limitato a ringraziarlo frettolosamente e uscire dalla classe per chiudersi in bagno e telefonare a Ryoken.
    «Te ne sei accorto?» gli chiese questi dopo che Yusaku ebbe raccontato per filo e per segno quanto accaduto. «Credo che la tua maledizione stia iniziando pian piano a saziarsi. Di conseguenza, appare molto meno minacciosa agli occhi degli altri, o quantomeno a ciò che percepiscono quando ti sono vicini».
Quelle parole gli si insinuarono nelle vene, trasportando nuova linfa vitale al cuore.
    «Questo… questo non lo avevo preventivato» ammise con un filo di voce e il labbro inferiore che tremava appena.
    «D'ora in avanti allora fallo. Presta attenzione a cosa e soprattutto a chi ti circonda, sono convinto che ti basterà poco per cogliere tutte le differenze rispetto a prima. Non è meraviglioso, Yusaku? Ora potrai goderti la vita come un normale ragazzo delle superiori!»
Yusaku non credeva di essere mai stato normale e di certo non avrebbe iniziato in quel momento. La normalità dei suoi coetanei non gli era mai appartenuta ma forse, da quel giorno in poi, avrebbe potuto provare a capire di che cosa si trattasse.
    «Senti, Ryoken…» pronunciò il suo nome piano, proprio mentre suonava la campanella che annunciava la fine dell'intervallo, «… come fanno a non ricordare nulla? A inizio anno scolastico mi stavano tutti alla larga e mi guardavano come se fossi il demonio sceso in Terra, ma ora… ora sono più gentili, ma sembra che abbiano completamente rimosso tutto ciò che c'è stato prima».
Ryoken non rispose subito e quell'attesa lo portò ad agitarsi un poco. Quando finalmente lo fece, Yusaku si sentì di nuovo ancorato al pavimento del bagno: «Forse anche loro avevano una patina sugli occhi che impediva di vederti per ciò che sei realmente. Apparivi come un individuo distorto e pericoloso, ma forse nemmeno se ne rendevano conto. Anche se questo non cancella tutto il dolore che hai provato per quasi diciassette anni…»
Yusaku fece un profondo respiro prima di domandare: «E tu, Ryoken? Tu come mi hai visto in tutto questo tempo?»
Questa volta, Ryoken impiegò molto meno tempo a rispondere. E, nel farlo, Yusaku immaginò che stesse sorridendo nello stesso modo in cui, mesi addietro, l'aveva invitato a pranzo per la prima volta.
    «Bellissimo, Yusaku. Mi sei apparso bellissimo fin dal primo momento che ti ho incontrato».
Mentre ripensava a quel frammento di vita, a come si fosse sentito nell'udire quelle parole
    (il cuore che batteva celere, le gote ridotte a un ammasso di carne bruciata, le gambe molli)
e al fatto che lui e Ryoken non avevano più ripreso in mano quella discussione senza un apparente motivo, Yusaku non si accorse, almeno in un primo momento, che Shima Naoki stesse continuando a seguirlo quasi arrancando al suo fianco.
    «Sì, ma è davvero strano, Fujiki! Nessuno sa nulla di te, tipo dove abiti o quali sono le tue passioni… sei un vero mistero!»
Yusaku si fermò una seconda volta e fissò per mezzo istante il ragazzo che stava riprendendo fiato. «Abito nella villa in riva al mare e mi piacciono i videogiochi» rispose semplicemente, nella speranza che così facendo avesse soddisfatto la curiosità del suo interlocutore.
Shima Naoki parve riscuotersi da un lungo torpore. «Eh?! La villa in riva al mare?! Ma è enorme! Quanti siete in famiglia?!»
Yusaku non ascoltò il resto — gli aveva chiesto se fosse ricco o qualcosa di simile — e riprese a camminare con la mente indirizzata a un'unica domanda e a un'unica persona: quanti siete in famiglia?
Lui e Ryoken cos'erano in realtà? Avevano un rapporto del tutto diverso rispetto a quello che instauravano i ragazzi della loro età: vivevano insieme — era stato naturale, per Yusaku, trasferirsi nella villa in riva al mare quando Ryoken glielo aveva chiesto — e dormivano abbracciati tutte le notti.
Ma nessuno avrebbe mai potuto immaginare che il loro stile di vita fosse dettato da un'esigenza primordiale che li voleva insieme in un modo impossibile da descrivere.
Yusaku doveva percorrere ogni giorno un tragitto molto più lungo sia per andare a scuola che per tornare a casa, ma questo non gli pesava affatto. Anzi, così facendo aveva modo di guardarsi intorno e di osservare la città sotto innumerevoli sfumature che non aveva mai colto.
    (Poteva sentirsi al sicuro a camminare tra la gente, senza più provare il terrore atavico di fare del male a qualcuno semplicemente sfiorandolo).
Più si avvicinava alla villa, più il dolce suono delle onde del mare gli cullava i timpani, rilassando il suo intero corpo. E quando giungeva a casa e si chiudeva la porta alle spalle, ecco che l'invitante profumo del pranzo gli solleticava le narici; la consapevolezza che ad accoglierlo ci fosse qualcuno e che non avrebbe mai più trascorso le sue tristi giornate nella solitudine assoluta era la conquista più bella che avesse mai ottenuto.
Alcune volte Ryoken lo aspettava fuori da scuola per andare a desinare da qualche parte in città oppure portava con sé dei bento da aprire una volta giunti al parco cittadino. Erano le sorprese che Yusaku più apprezzava poiché gli riempivano il cuore di una felicità tremante. Ed era tutto merito di Ryoken.
Ryoken che lo faceva sentire bellissimo per davvero.


15

Yusaku si rese conto di aver seminato Shima Naoki quando mancava ormai poco per raggiungere casa. Fece spallucce e si ripromise di sforzarsi di scambiare qualche altra chiacchiera con lui l'indomani a scuola per farsi perdonare.
Ora i suoi pensieri erano tutti dedicati a Ryoken, al desiderio di riabbracciarlo e di raccontargli come fosse andata la giornata — e sapere come fosse andata la sua.
Ryoken nel corso dei secoli aveva frequentato l'università una cinquantina di volte e, se all'inizio lo aveva fatto per restare al passo coi tempi e ricevere un'istruzione adeguata, a lungo andare il tutto si era tramutato in una disperata ricerca di risposte circa la sua condizione
    (maledizione).
Risposte che, nel presente, non aveva ancora trovato.
Così ora Ryoken trascorreva le sue giornate a prendere libri in prestito dalla biblioteca o ad acquistarli in libreria e leggere, leggere a non finire, leggere fino a imparare a memoria paragrafi interi. Aveva frequentato l'università troppe volte per rendersi conto che lì non avrebbe mai trovato ciò che cercava e anche Yusaku aveva ormai capito che nell'ordinarietà del programma scolastico della scuola superiore che frequentava non avrebbe mai trovato nulla di utile e interessante riguardo loro.
Ryoken però non si arrendeva, era sicuro che qualcosa, un giorno, sarebbe sicuramente emerso in mezzo a quel coacervo di pagine stampate con l'inchiostro scuro. In fondo doveva pur impiegare le sue giornate in qualcosa, no? E visto tutto l'impegno che ci metteva, Yusaku si stava impegnando a sua volta nel mantenere un rendimento scolastico lodevole e socializzare un po' di più coi compagni di classe.
    (Ma Ryoken rimaneva sempre il suo preferito).
L'immensa villa nella quale vivevano si era presto tramutata in una biblioteca che racchiudeva al suo interno storie antiche e pericolose, altre dolci come un bel sogno e altre ancora amare come una medicina non zuccherata.
Era un bel posto, forse davvero troppo grande per due sole persone, ma comunque accogliente e luminoso. Ed era casa loro, lo era a tutti gli effetti.
Anche se, a essere sincero fin nel profondo, Yusaku sentiva che mancava qualcosa. Come se, nonostante tutto, quello non fosse il posto giusto per loro. Non sapeva spiegarsi come o perché, ma alcune volte immaginava di vivere tra la neve, lontano da tutto e da tutti, al riparo dal bollente sole estivo e dalla sabbia che ustionava la pelle.
Fece spallucce un'altra volta ancora, relegando quell'idea al semplice pensiero che fosse ormai estate inoltrata, le vacanze di agosto non erano ancora arrivate e lui mal sopportava il caldo. Erano, dunque, solo i pensieri di un adolescente come tanti che non vedeva l'ora di trovare ristoro durante la stagione più afosa dell'anno.


16

Solitamente, quando rientrava in casa, Yusaku era accolto non solo dagli invitanti profumi delle pietanze cucinate per il pranzo, ma anche dal sorriso di Ryoken, dal suo “Bentornato” e da un lungo abbraccio. Quel giorno fu diverso perché non accadde nulla di tutto ciò che aveva ormai iniziato a comporre la loro quotidianità.
Ma, nonostante tutto, fu meraviglioso lo stesso. Forse anche più bello. Anzi, lo fu sicuramente.
Ryoken era seduto sul divano, lo sguardo fisso su due pagine che, dalla distanza in cui si trovava, Yusaku non riuscì a identificare. Lo spesso volume poggiato sulle sue cosce era aperto circa a metà, segno che avesse trascorso l'intera mattinata a leggerlo — aveva iniziato la sera addietro, leggendo però solo le prime pagine.
    «Ryoken…» Yusaku lo chiamò piano, quasi avesse il timore di spaventarlo. E in effetti era proprio così, dato che il ragazzo pareva completamente assorbito da ciò che aveva letto in quelle pagine che sapevano di lontano, di terre mai viste prima ed epoche sconosciute perfino a lui che per settecento anni aveva camminato per le strade dell'intero pianeta.
A sentire il suo nome, Ryoken si ridestò con un lieve sobbalzo da tutti i suoi pensieri. «Yusaku…» sussurrò piano a sua volta dopo aver alzato lo sguardo su di lui. Poi si riscosse del tutto e, dopo aver poggiato il volume sul tavolino in vetro, si alzò in piedi e gli andò incontro.
Non gli chiese scusa per non aver ancora preparato il pranzo, né per non averlo accolto come suo solito. Non fece niente di tutto ciò. Gli strinse forte le mani e lo guardò in un modo che Yusaku non avrebbe mai dimenticato: era come se Ryoken fosse entrato in contatto con ciò che si nascondeva al centro dell'universo, la fonte di energia massima e suprema.
Come se una nuova vita — o un nuovo modo di viverla e interpretarla — si fosse fatto spazio nei suoi pensieri. Era come se, nelle sue iridi azzurre, si fosse materializzato il segreto più importante fra tutti. Il loro.
    «Ho trovato la risposta che abbiamo a lungo cercato».


17

Tanto tempo fa, nelle fredde Terre del Nord, viveva un piccolo villaggio di contadini da più di cinque generazioni. Erano persone umili e perbene che, nonostante la rigidità della loro terra, erano sempre grate per ciò che offriva loro.
Non vivevano nella miseria assoluta, ma erano comunque costrette a compiere tanti sacrifici per garantire un pasto caldo la sera ai loro figli prima di andare a dormire.
Il Sole, ammirato e impietosito al tempo stesso dalla loro tenacia, decise di aiutarli offrendo un dono dal valore inestimabile: trasformò uno dei suoi più caldi raggi in una giovane donna che chiamò Synnöve e le disse che, da quel momento in poi, avrebbe portato gioia e prosperità al villaggio grazie al potere custodito nella sua mano destra, il quale dava tutto senza chiedere nulla in cambio; al contempo, però, quell'immenso potere era controbilanciato da ciò che risiedeva nella sua mano sinistra, ovvero la possibilità di togliere tutto senza pietà alcuna. Stava a lei decidere come e quando usare entrambi i suoi poteri.
Così Synnöve giunse al villaggio e fu accolta con benevolenza e devozione. Era figlia del Sole e, proprio per questo, brillava di luce propria; i lunghi capelli parevano fili dorati che se intrecciati tra loro creavano meraviglie mai viste prima e gli occhi erano simili a due pezzi di cielo ritagliati su misura per lei. Sorrideva sempre, Synnöve, perché questo sapeva fare, portava gioia e serenità ovunque volgesse lo sguardo e scaldava il cuore di chiunque incontrasse sul proprio cammino.
Il figlio del capo villaggio si innamorò perdutamente di lei e la corteggiò per settimane intere prima che Synnöve accettasse di sposarlo. Nel mentre, però, qualcosa di sinistro aveva iniziato a insinuarsi nel villaggio e ad aleggiare mortifero tra le abitazioni. Qualcosa di oscuro e spaventoso, in grado di frantumare l'animo umano e rimodellarlo in un'essenza torbida e mefitica.
Più Synnöve usava i poteri custoditi nella sua mano destra, più si rendeva conto che qualcosa non andava. Dapprima non vi aveva fatto caso: i contadini, meravigliati dalla prosperità che ella aveva portato al villaggio, l'avevano ringraziata e venerata con una devozione nello sguardo in grado di scaldare il Sole stesso; ma nel giro di poco tutto ciò che Synnöve aveva fatto e continuava a fare per loro non bastava più: i campi da coltivare erano troppo piccoli e andavano ampliati, la neve da sciogliere era sempre di più, le infrastrutture necessitavano di piani più alti, sempre più alti, fino a toccare il cielo, e i gioielli in oro e argento puro da vendere o indossare per rimirarsi dinanzi lo specchio per ore intere non erano mai abbastanza.
Nessuno si fermava più ad ammirare i fiori sbocciati tra la neve, quegli stessi fiori colorati che avevano suscitato così tanta meraviglia il primo giorno che erano emersi con graziosa timidezza; ora chiunque li calpestava senza curarsi minimamente del loro dolore e dei loro singulti spezzati, perfino i bambini si stavano inabissando sempre più nella spirale eterna dell'ingordigia e dell'avarizia.
Il villaggio brillava più del Sole per tutto l'oro e l'argento che Synnöve aveva donato ai suoi abitanti, ma dentro era vuoto, era una terra arida di sentimenti genuini e spensieratezza. I contadini pensavano solo ad arricchirsi e vivere in un lusso che non avevano mai assaporato e che non sapevano come gestire.
E allora Synnöve comprese che il suo dono non era più visto come un miracolo, bensì come una fonte di potere assoluto. Tutti quanti avevano perso la luce negli occhi, sostituita da un lampo di pura malignità.
La giovane donna compì dunque una scelta che avrebbe cambiato per sempre la sua sorte: usò il potere sigillato nella sua mano sinistra per riportare tutto quanto al suo stadio iniziale e mentre compiva la sua magia rivide la vita di ogni abitante del villaggio svolgersi a ritroso dinanzi a lei. Pian piano, lentamente e con molta grazia, i tratti del viso di ognuno mutarono in quelli dolci e gentili dell'umiltà e ritornarono a ciò che erano un tempo, quando la neve rendeva difficile coltivare i campi ma nessuno si lamentava mai e chiunque era grato al pallido Sole di offrire parte del suo immenso calore anche lì, in quella terra così lontana e aspra alla vita.
Fu lì che Synnöve comprese di aver sbagliato, di aver offerto troppo in così poco tempo e di aver corrotto senza volerlo la mente e i desideri di quelle persone tanto semplici. Voleva porre rimedio agli errori commessi e, per farlo, doveva rimanere ferma nelle sue posizioni: non si lasciò abbindolare dalle suppliche dei contadini, dai pianti delle donne e dalle grida dei bambini e non si scompose minimamente nel momento in cui tutta la loro disperazione si tramutò in una lunga sequela di minacce e bestemmie e ruggiti infuriati.
Sapeva che a parlare non erano le loro vere essenze, ma la corruzione che le aveva contaminate. In quel villaggio ritornato al suo stadio iniziale, coi piccoli campi coperti da un manto di soffice neve e le case vuote di beni di lusso ma piene di vita, Synnöve spiegò che non avrebbe usato i poteri della sua mano destra per un anno intero, in modo tale che ogni abitante potesse riscoprire se stesso attraverso il sacrificio del duro lavoro. Chinò il capo e domandò il loro perdono per averli resi talmente schiavi delle ricchezze materiali da dimenticare quali fossero i veri valori della vita.
Quella stessa sera, Synnöve annunciò che se ne sarebbe andata e che avrebbe vegliato su di loro fino al suo ritorno l'anno successivo, ma il figlio del capo villaggio insistette affinché la giovane donna rimanesse fino al mattino successivo, in modo tale non solo di riposare, ma anche di partire guidata dalla luce del Sole.
Synnöve accettò, intenerita dalla sua gentilezza, e gli promise che l'anno successivo, quando tutto si fosse risolto, l'avrebbe sposato. Ma il figlio del capo villaggio non era più intenzionato a sposarla, non dopo l'affronto che aveva recato alla sua famiglia privandola di tutti i tesori che avevano accumulato grazie al suo potere e che ora non avevano più a causa di quello che lui riteneva un puerile capriccio.
Egli era l'uomo più avido e meschino delle lontane Terre del Nord ma, a differenza di tanti altri, era sempre stato bravo a celare questo oscuro tratto della sua persona sotto strati e strati e strati di finta bontà e compassione. Aveva sempre odiato la miseria nella quale viveva lui, solo e soltanto lui, perché per gli abitanti del suo villaggio non provava nulla se non un profondo ribrezzo.
Così decise che quella notte, mentre Synnöve dormiva, le avrebbe amputato la mano sinistra e l'avrebbe bruciata, in modo tale che la giovane non avrebbe mai più potuto sottrargli le sue ricchezze ma solo donargliele, come una moglie devota doveva fare. L'avrebbe costretta a sposarlo quella stessa notte, all'oscuro di tutto il villaggio, perfino di suo padre. E una volta divenuto più ricco e importante di lui, avrebbe comandato su tutti quanti come unico e vero signore di quelle terre bianche e grigie.
Così la notte giunse, amara e inesorabile, e le lunghe ombre avvolsero le strade deserte e i campi ricoperti di neve. Synnöve faticava ad addormentarsi, non riusciva a provare un solo briciolo di serenità e l'inquietudine le serpeggiava sottopelle facendola svegliare di soprassalto al minimo rumore.
Per questo, quando la luna fu alta e piena nel cielo e la porta della sua camera si aprì, lei spalancò gli occhi di scatto, colta da un terrore gelido e pungente, un terrore che le serrò la gola con dita scheletriche e avvizzite. Era un raggio di Sole, Synnöve, ma tutto il suo calore venne meno nel momento in cui, voltandosi e alzando il busto, vide l'uomo che amava armato di un coltello affilato avanzare verso di lei con fulmini e saette di follia pura che esplodevano nei suoi occhi.
Tutto le fu subito chiaro: comprese che non avrebbe mai potuto cambiare il cuore ormai troppo corrotto di quelle povere creature confinate nelle gelide Terre del Nord. E il dolore che provò nel realizzare una verità di questo tipo fu così grande, immenso e atroce che la uccise.
Synnöve, il dono del Sole, morì di crepacuore ancor prima che il suo promesso sposo ebbe il tempo di affondare il coltello nel suo braccio sinistro. Il suo cuore si strappò a metà e si dissolse nel nulla, ma non prima di aver preso in custodia i poteri racchiusi nelle sue mani: nella parte destra vi confinò la prosperità e la ricchezza e in quella sinistra il ritorno al punto di origine.
Le mani della giovane divennero così due mani comuni, prive di qualsiasi unicità. E ancor prima che il figlio del capo villaggio potesse rendersi conto di ciò che era capitato, una potente bufera di neve si abbatté su quelle terre dimenticate dal Sole, seppellendole ed estinguendole per sempre.
Il cuore spaccato a metà di Synnöve vagò in lungo e in largo per tutto il mondo alla ricerca di qualcuno che lo potesse proteggere. Ma le due metà si erano perse e allontanate, senza più ritrovarsi, rendendo così instabili i poteri che custodivano al loro interno ed elevandoli a qualcosa che, se preso singolarmente, risultava terrificante e minaccioso: la vita eterna nella parte destra e l'annientamento della linfa vitale in quella sinistra.
Fino a quando due anime gemelle condannate alla solitudine perpetua non avranno modo di incontrarsi e completarsi a vicenda, il cuore strappato di Synnöve continuerà a soffrire, trasportato dal vento della disperazione.
Solo due vere anime gemelle saranno in grado di spezzare la maledizione e, così facendo, Synnöve potrà finalmente riposare in pace.





Dead by April — A Promise || Siate Curiosi Sempre

Ditemi se il ritornello della canzone non urla DATASTORMSHIPPING a ogni parola.
Questa canzone parla davvero di loro, non c'è altra spiegazione.
E vorrei dire che questa storia è nata proprio con l'intento di creare una leggenda al suo interno (quella di Synnöve), ma mentirei se lo dicessi, perché questa mini long vive per tutt'altro motivo che scoprirete nel prossimo capitolo, che sarà anche l'ultimo — rido perché inizialmente questa storia doveva essere una One Shot.
Più che altro, desideravo concluderla oggi perché è il 20 marzo ed è il compleanno di Yusaku, sempre secondo i miei personalissimi Headcanon e quindi non è nulla di ufficiale, ma almeno oggi ho pubblicato il cuore di questa storia, quindi va benissimo anche così.

Spero con tutta me stessa di avervi offerto delle risposte esaustive circa le maledizioni di Ryoken e Yusaku e che tutto fili liscio e senza alcun intoppo.
Una mega confezione di biscotti in regalo a tutti coloro che, nelle recensioni al primo capitolo, hanno intuito che si trattasse di una questione di “anime gemelle”, perché è proprio così: solo due vere anime gemelle possono spezzare la maledizione di Synnöve e questo destino è capitato proprio a Ryoken e Yusaku perché sono sadica e mi piace sguazzare nell'Angst trascinando questi due poveri disgraziati con me, in sostanza.

La leggenda è ambientata in Svezia. So che nello scritto non l'ho mai specificato, ma in ogni caso sì, le fredde Terre del Nord in questa mini long sono proprio la Svezia — omaggio ai Dead by April che sono svedesi e non solo, fosse per me mi trasferirei a Göteborg tipo SUBITO, ma dettagli.
Amo la Svezia pur non essendoci mai stata e spero un giorno di poterla visitare.


Synnöve significa dono del sole ed è la variante svedese di Synnøve (nome norvegese); ovviamente ai tempi di questa leggenda (qualcosa come uno o due millenni fa) il nome Synnöve ancora non esisteva, dato che deriva dall'antico nome anglosassone Sunngifu e poi, nel Medioevo, da Sunnifa.
Mi sono presa la libertà di chiamare la donna della leggenda Synnöve solo per rimarcare il fatto che la leggenda è svedese, tutto qui.

Non vedo l'ora di farvi scoprire cosa succederà nel terzo (e ultimo) capitolo.
Avete qualche teoria a riguardo? Fatemi sapere, se vi va.
Io intanto vi ringrazio per essere arrivati fino a qui.

M a k o
   
 
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