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Autore: M a k o    02/03/2024    10 recensioni
• Datastormshipping (Ryoken/Yusaku)
• Mini long Curse!AU
• Dal testo:
Yusaku sussultò nel momento in cui la mano di Ryoken sfiorò la sua e, d'istinto, la ritrasse velocemente. Ryoken sorrise ancora una volta.
«Non aver paura,» gli disse con un tono di voce che voleva essere rassicurante, «lascia che si nutra. A differenza delle altre persone, a me non fa del male».
«E se poi ne volesse sempre di più?»
«E se invece dovesse saziarsi?»
Yusaku guardò Ryoken come se quest'ultimo avesse iniziato a parlare in una lingua arcana e sconosciuta.
«In tutti questi anni non ha mai dato segno di essere in grado di saziarsi» rispose con una punta di disprezzo nel tono di voce.
«Questo perché hai sempre fatto del tuo meglio per evitare il contatto fisico» spiegò Ryoken. «Di conseguenza, più le neghi il suo nutrimento, più lei diventa affamata. L'ho percepito quando ci siamo toccati: pare davvero disperata. Per questo non posso fare a meno di domandarmi: se provassi a darle ciò che vuole… non credi che ti lascerebbe in pace?»
• Questa storia partecipa alla Challenge “Fissa un obiettivo (e superalo)” indetta dal forum Siate Curiosi Sempre
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Ryoken Kogami/Revolver, Yusaku Fujiki/Playmaker
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Datastorm mini long'
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A Promise (pt.1)
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Buona lettura!



A PROMISE
(Prima parte)



1


You only saw the dark side of me
Bring me back to my reality
I have lost my belief


A Ryoken era bastato un solo attimo per comprendere che quel ragazzo intento a fissarlo con sguardo terrorizzato fosse diverso da tutti gli altri, proprio come lo era lui. Gli era bastato davvero poco e forse anche per quel ragazzo era stato così: aveva spalancato gli occhi, mettendo ancora più in risalto quelle bellissime iridi verde chiaro, e nel giro di poco dei brividi affamati si erano impossessati di ogni muscolo del suo corpo, prendendone il controllo completo.
Si era alzato in piedi barcollando e, tentando di proferire delle parole che si frantumavano in gola e uscivano spezzate e incomprensibili dalla sua bocca
    (“mi dispiace, non volevo, spero di non averti privato di così tanto tempo”)
gli aveva dato le spalle e se ne era poi andato via di corsa, stando comunque bene attento a non urtare o anche solo sfiorare qualcuno.
Ryoken era rimasto senza fiato. In quel tiepido primo pomeriggio di metà marzo, per la prima volta in tutta la vita non si era sentito solo. E, sempre per la prima volta, si era anche sentito compreso nonostante, paradossalmente, il ragazzo col quale si era scontrato per sbaglio non avesse capito nulla di lui, tanto la paura che aveva provato aveva preso il sopravvento — e come dargli torto? Con un potere del genere, chiunque sarebbe fuggito via.
Quello che ignorava, però, era che Ryoken, a differenza del resto del mondo, non aveva motivo alcuno di mandarlo via; anzi, con ogni probabilità erano destinati a questo: a incontrarsi e diventare l'uno il sostegno dell'altro e viceversa.
Sapeva già dove avrebbe potuto trovarlo: la divisa scolastica blu che indossava indicava la sua appartenenza alla scuola superiore di Den City e Ryoken ne conosceva l'ubicazione.
Ora non gli restava che attendere che il calendario si alleggerisse di un altro giorno.
    (E il tempo scorreva inesorabile).


2

Yusaku si barricò in casa con uno scatto veloce della chiave nella serratura della porta. Poggiò la schiena contro quella superficie liscia e dura e poi si accasciò a terra, con lo zaino malamente adagiato tra le sue braccia, oggetto fortunato poiché non era vittima della sua maledizione.
Rendendosi conto di ciò, in un moto di rabbia
    (no, era disperazione)
feroce che doveva assolutamente sfogare, Yusaku lo scagliò con mala grazia lontano da lui, soffocando a stento un grido che aveva tutta l'aria di essere una supplica.
Si coprì il volto con le mani e iniziò a piangere sommessamente, con il cuore che ancora batteva celere nella cassa toracica e ogni muscolo del corpo scosso da tremori beffardi e annichilenti.
Quanto tempo gli aveva tolto? Due settimane? Un mese?
Si era scontrato con quel ragazzo e subito dopo, essendo caduto a terra, il contatto fisico si era immediatamente annullato, quindi forse, nel migliore dei casi, gli aveva sottratto solo qualche giorno… ma era comunque troppo. Era sempre troppo se anche il semplice sfiorare qualcuno significava privarlo di un frammento di vita.
Quel ragazzo non lo conosceva, quindi non poteva saperlo, ma aveva comunque intuito che qualcosa non andava, perché i suoi occhi azzurri
    (così chiari, limpidi e belli)
si erano spalancati in un moto di sorpresa, lo stesso sguardo col quale chiunque tendeva a osservarlo prima che il disgusto si impadronisse dei lineamenti del volto.
Yusaku non aveva avuto modo di osservare quel cambiamento sul viso del ragazzo, ma era certo che fosse andata esattamente così. Se solo il professor Zaizen non si fosse trattenuto più del solito con la sua lezione, tutto questo non sarebbe mai capitato: Yusaku sarebbe uscito in orario da scuola e non avrebbe avuto a che fare con la ressa del primo pomeriggio, un vero e proprio coacervo infernale che tendeva sempre a evitare con tutte le proprie forze e, così facendo, non avrebbe avuto la vita di un'altra persona sulla coscienza e avrebbe fatto ritorno a casa in tutta tranquillità.
E ora, invece, si ritrovava a rimuginare su quanto accaduto e a incolparsi di ogni cosa.
Lasciò che le lacrime gli rigassero il volto per minuti che parvero ore e chiuse istintivamente gli occhi nella tetra speranza di essere inghiottito una volta per tutte dall'oscurità.


3

Yusaku pareva essere l'unico umano vittima di quella inspiegabile maledizione: nel corso degli anni non erano emersi altri casi analoghi al suo e non ne erano mai stati registrati prima della sua nascita. Yusaku era unico al mondo, ma la sua unicità se la sarebbe volentieri strappata di dosso se in cambio avesse ottenuto l'opportunità di condurre una vita normale e tranquilla.
L'isolamento sociale lo stava distruggendo sempre più, senza contare che gli sguardi duri come pietre da parte dei suoi compagni di scuola gli provocavano un dolore lancinante al petto, come se una creatura malvagia si divertisse a gettare ogni volta del sale sulle sue ferite ancora aperte.
Yusaku non sapeva più cosa fare; era completamente solo, perso e privo di qualsiasi punto di riferimento. Per lui era già un miracolo aver compiuto sedici anni ed esserci ancora… perché, in fondo, cos'altro avrebbe potuto fare nel corso della sua tormentata esistenza se non arrancare e cercare quantomeno di sopravvivere?
Quella notte, come era solito fare quasi sempre, si addormentò abbracciando un cuscino, tentando di immaginare cosa si provasse a sprofondare tra le braccia di un essere umano. Un gesto che, purtroppo, sapeva nessuno al mondo gli avrebbe mai riservato.


4

Doveva essere uno scherzo. Per forza, non poteva essere altrimenti; era sicuramente in preda alle allucinazioni, non vi era altra spiegazione. In quella nuova giornata di metà marzo, tiepida come la precedente e forse anche leggermente più calda
    (o forse era solo il suo cuore a essersi un poco agitato)
Yusaku incontrò ancora una volta il ragazzo dagli occhi azzurri.
Indossava una maglietta chiara a maniche corte e sopra una giacca grigia, dei pantaloni anch'essi grigi e delle scarpe bianche. Il ritratto dell'eleganza.
Ma la cosa più incredibile fu che non lo incontrò per caso e in un luogo qualsiasi come potevano essere la piazza della città o il centro commerciale ristrutturato da poco, bensì all'uscita della scuola, quella che varcava sempre da solo e che mai, neanche per sbaglio, l'aveva visto in compagnia di qualcuno. A rendere il tutto ancora più straordinario fu il fatto che quel ragazzo stesse aspettando proprio lui, difatti quando i loro sguardi si incrociarono, alzò una mano in segno di saluto e cominciò ad avanzare nella sua direzione.
Si udirono dei mormorii concitati intorno a loro, come una decina di picchi che battevano con insistenza il becco contro la dura corteccia di un albero, e Yusaku per primo ne avrebbe preso parte se non fosse stato il diretto interessato di quell'evento fuori dal comune. Dopotutto, era la prima volta che qualcuno si approcciava a lui con così tanta naturalezza, come se non ci fosse proprio niente di sbagliato nel fare ciò.
Forse quel ragazzo voleva chiedergli spiegazioni circa quanto accaduto il giorno prima, o magari l'aveva già capito e voleva solo urlargli contro di stargli alla larga, come già avevano fatto diverse persone nel corso degli anni una volta aver realizzato la portata della maledizione che gravava sulle sue fragili spalle.
Yusaku era ormai pronto e abituato a tutto, difatti chiuse gli occhi, seguendo il suo più atavico istinto, pronto alla sfuriata. Nei suoi riguardi non esistevano mezze misure: o la gente lo ignorava al punto tale da fargli dubitare di esistere o gli urlava contro le peggio cattiverie che lo portavano ad abbracciare il desiderio di volatilizzarsi nel nulla e sparire una volta per tutte.
Per questo, quando ogni sua più funesta previsione non si realizzò, non poté fare a meno di riaprire gli occhi di scatto, sgranandoli quasi volesse portarli oltre il limite consentito. Quel ragazzo... l'aveva davvero invitato a pranzare con lui?
Il brusio che li circondava si fece ancora più insistente e fu solo quando Yusaku cominciò a guardarsi intorno spaesato che la folla prese a diradarsi via via sempre più, come se chiunque avesse sbloccato un nuovo tipo di terrore dentro di sé, ovvero quello di essere maledetto solo perché il proprio sguardo incontrava il suo. Tutti tranne quel ragazzo, a quanto pareva, il quale non si era mosso di un millimetro e anzi, era in trepidante attesa di ricevere una risposta positiva da parte sua.
Yusaku deglutì una, due, tre volte prima di prendere parola. «Scusa...» disse quasi in un sussurro. «Credo di non aver capito. Potresti ripetere?»
Non ci stava facendo una bella figura, assolutamente no. Ma con ogni probabilità aveva capito male e...
    «Volevo chiederti se ti andava di pranzare con me» ripeté il ragazzo, e un sorriso candido gli incurvò le labbra sottili, rendendolo ancora più attraente di quanto già non fosse.
Yusaku avvertì il terreno sparire sotto la suola delle scarpe e l'aria tardò ad arrivargli ai polmoni. «Io...» balbettò, abbassando lo sguardo.
“Hai idea di cosa mi hai appena chiesto?”, avrebbe voluto dirgli, o peggio, urlargli in faccia, prima di allontanarsi da lì senza dargli l'opportunità di replicare. Questo però era ciò che la parte razionale gli stava suggerendo con impeto, una esuberanza sfiancante che stava iniziando a infastidirlo non poco. La parte irrazionale della sua essenza, invece, era un lago piatto e tranquillo, una voce morbida che lo invitava ad accettare quella strana richiesta.
    (Non ti farà del male).
    (E tu come fai a saperlo?)
    (Lo so e basta).
    «Ehm... sicuro di non aver sbagliato persona?» tentò un'ultima volta, ancora frastornato e col cuore a mille.
Il sorriso del ragazzo si allargò. «Sicurissimo» rispose.
Yusaku arrossì lievemente. «Allora… allora va bene».


5


I have lost the will to fly
With broken wings I can't even try
I have lost my belief


Il tragitto verso la destinazione misteriosa fu avvolto da un manto di mutismo strano e anche un po' agitato — questo solo da parte di Yusaku, però.
Non sapeva dove quel ragazzo volesse portarlo, ma a un tratto si ritrovò a sperare che non si trattasse di un ristorante o luoghi simili, perché gli si era improvvisamente serrata la bocca dello stomaco. Anche solo un sandwich o un onigiri acquistato al konbini sarebbero andati bene…
Mentre proseguivano nella loro camminata, Yusaku non poté fare a meno di domandarsi come mai quel ragazzo desiderasse tanto pranzare con lui. Voleva forse bombardarlo di quesiti circa la sua condizione? Doveva forse esporre un progetto alla classe — a proposito, chissà quale scuola superiore frequentava, o forse era già uno studente universitario? —, oppure voleva proporgli di intimidire qualcuno col suo potere — e magari pagarlo per questo?
Accantonò immediatamente l'ultima ipotesi: non gli sembrava proprio il tipo da abbassarsi a compiere un gesto tanto meschino. Ma in fondo, che cosa sapeva di lui? Ignorava perfino il suo nome.
Era talmente ingarbugliato nel ginepraio che erano diventati i suoi pensieri che a stento riuscì a udire l'unica parola che il giovane pronunciò, un “Attento” deciso e, al contempo, velato da una nota di spensieratezza. Si accorse appena in tempo della coppia di ragazze che camminava nella direzione opposta alla loro ed era in procinto di scansarsi per evitare di rovinare la giornata
    (o la vita intera)
di un altro essere umano quando sì, si scansò, ma non come avrebbe voluto.
Il ragazzo l'aveva attirato a sé, stringendogli il fianco con garbo, e Yusaku per poco non urlò. Sordo ai gridolini eccitati delle due ragazze che avevano assistito alla scena un attimo prima di proseguire nella direzione opposta — e che stavano frattanto aggiungendo commenti riguardo un tipo di galanteria che credevano ormai estinto —, non poté fare altro se non concentrarsi su ciò che il suo corpo stava percependo, un subbuglio di emozioni indefinibili che si diramavano impazzite in ogni dove.
Lo stava toccando. Quel ragazzo aveva deliberatamente scelto di toccarlo, attirarlo a sé e persistere in quel contatto fisico che si stava imbrattando sempre più di panico e terrore.
La sentiva, era ormai in atto: la maledizione che gravava sulle sue spalle si stava cibando con voracità della vita di quel ragazzo, banchettando senza sosta e sbavando ovunque. Avvertiva il tempo che gli stava sottraendo insinuarsi dentro di lui, nelle vene, schizzando poi al cervello ed esplodendo in un concerto di fuochi d'artificio vermigli.
    «Lasciami andare» sussurrò con voce spezzata e pregna di agitazione. Tentò di divincolarsi e porre almeno qualche passo di distanza tra loro, ma invano: la stretta di quel ragazzo si era accentuata e ora le dita della mano affondavano con maggior decisione nel suo fianco.
    «No, non credo che ti lascerò andare ora» disse con tranquillità, senza alcuna inflessione particolare nel tono di voce. Pareva infatti non provare il minimo terrore nei confronti di ciò che stava succedendo e anzi, sembrava volerne sempre di più.
Fu lì che Yusaku cadde in un abisso di panico senza fine: possibile che quel ragazzo desiderasse morire e avesse trovato in lui la soluzione più rapida e ottimale? Con ogni probabilità non aveva il coraggio di suicidarsi e lo scontro accidentale che avevano avuto il giorno prima gli aveva aperto le porte a una nuova prospettiva alquanto allettante.
Doveva staccarsi immediatamente, ormai non c'era più tempo: gli aveva già sottratto abbastanza, forse una decina d'anni, e quel ragazzo gli stava soltanto stringendo un fianco; se avesse approfondito il contatto fisico, presto Yusaku si sarebbe ritrovato nell'orribile posizione di dover sorreggere un corpo inanimato ormai privo di vita.
Ma una cosa del genere non avvenne mai. Anzi, accadde l'esatto opposto poiché fu Yusaku a vedere una porta aprirsi dinanzi a sé.
    (Qualcosa di assolutamente incredibile e inaspettato).
    (Tremendo e meraviglioso al tempo stesso).


6

Quando, disgraziatamente, il contatto fisico con qualcuno tendeva a prolungarsi, Yusaku era in grado osservare per brevi attimi alcune reminiscenze legate a quella che era stata la vita della persona toccata fino a quel momento. Ricordava, per esempio, prima che una maschera di disgusto ne tramutasse i lineamenti del volto, il primo appuntamento che una giovane dai lunghi capelli corvini aveva avuto col senpai del terzo anno delle superiori che tanto le piaceva, oppure, andando un po' indietro, del suo primo giorno di scuola media, oppure ancora, avanzando sempre più all'indietro, la prima volta che da bambina era salita su una bicicletta senza le due ruotine di sostegno — era caduta malamente sul duro asfalto, sbucciandosi le ginocchia, e aveva iniziato a piangere a dirotto.
Di una anziana signora, che dopo aver realizzato quanto accaduto gli aveva dato del demonio con asprezza, rammentava invece il giorno in cui tenne per la prima volta in braccio il suo nipotino, poi quando assistette al matrimonio del suo unico figlio, quando lo accompagnò a scuola il primo giorno delle elementari e quando lo allattò al seno per la prima volta, in ospedale, quando era ancora una ragazza che forse era diventata madre troppo presto.
Non sapeva come mai ma, a quanto pareva, era anche condannato ad assistere a degli squarci di normalità che lui non avrebbe mai assaporato oltre che privare le persone di preziosi secondi
    (ore, giorni, mesi, anni)
di vita al solo tocco.
Tutto questo l'aveva portato a rifuggire il contatto fisico allo stesso modo in cui i ragni fuggono impauriti alla presenza del basilisco: non poteva fare altro se non scappare dinanzi a quello che era diventato il suo nemico per eccellenza, qualcosa che sapeva di non poter sconfiggere, un duello perso in partenza sotto tutti i punti di vista.
Per questo, nel momento in cui iniziò ad affondare nella vita di quel ragazzo, Yusaku non poté fare a meno di sorprendersi di quanto stesse andando a ritroso, senza più riuscire a fermarsi. Vide albe e tramonti in città situate dall'altra parte del mondo — ma non era questa la cosa strabiliante, bensì il fatto che si trattasse di una Londra del 1970 o di una Parigi del 1950 o di una Stoccolma del 1890 — e un susseguirsi di persone sempre diverse che avevano in comune solo la vecchiaia che diveniva via via giovinezza e il tempo andava indietro, indietro, indietro e quel ragazzo però rimaneva sempre uguale, uguale, uguale.
Yusaku assistette inerme a dolorosi addii che si tramutavano in buffi primi incontri, a sguardi pregni di compassione, quella che nessuno gli aveva mai riservato, e a lacrime versate in silenzio nel tentativo di mantenere intatta una forza d'animo che vacillava e scricchiolava.
Iniziò a unire i tasselli di quell'intricato puzzle tra loro, cercando di avvicinarsi sempre più alla triste verità: possibile che quel ragazzo fosse…?
Proprio nel momento in cui era in procinto di dare un nome a quel concetto che tanto lo frastornava, il giovane spezzò il contatto fisico tra loro, e Yusaku ripiombò bruscamente nella realtà del presente. Impiegò qualche istante a riprendersi e, nel momento in cui alzò lo sguardo per incontrare gli occhi azzurri dello sconosciuto, per la prima volta da quando aveva compreso di essere maledetto fu accolto da un'espressione assolutamente tranquilla e cordiale, come se fino a pochi istanti prima non fosse accaduto proprio nulla. Ancora più incredibile fu il fatto che quel ragazzo pareva essergli addirittura grato.
    «Ti ringrazio» disse infatti con un sorriso. «Ora va molto meglio».
E Yusaku, per la prima volta in tutta la vita, provò qualcosa all'altezza del petto che non fossero dolore e rassegnazione; qualcosa di impronunciabile al quale ancora non voleva dare una forma per timore che svanisse nel nulla in un concerto di bolle di sapone.


7

    «Prometti di non scappare mentre ti do le spalle?»
Yusaku si imbronciò appena, provando un vago senso di imbarazzo che si riflesse sulle gote velatamente arrossate.
    «Hai la mia parola» borbottò, distogliendo lo sguardo.
    «Ottimo, allora intanto puoi prendere posto. Non ci metterò molto».
    «D'accordo».
Si sedette a uno dei tavolini più distanti, in modo da evitare di attirare l'attenzione — di certo non avrebbero discusso di cose ordinarie come un film da vedere al cinema nel week-end o quanto fossero belle le scarpe sportive in vendita nel nuovo negozio che aveva recentemente aperto al centro commerciale — e attese, con una punta di agitazione frammista a impazienza che gli strisciava sottopelle.
Estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e constatò che generalmente a quell'ora — verso le due del pomeriggio — fosse a casa già da un po', al riparo tra le sue quattro mura, senza più correre il rischio di diventare un pericolo per gli altri. E invece ora si trovava all'aperto, seduto a un tavolino in attesa che un ragazzo del quale ignorava perfino il nome arrivasse con il pranzo per entrambi.
    (Roba da tutti i giorni, no?)
Si guardò intorno e si perse a osservare il viavài di persone che volgevano in ogni direzione, il chiacchiericcio insistente, profumi indistinti e al contempo invitanti che giungevano da lontano e poi puntò irrimediabilmente lo sguardo verso quel ragazzo che, in quel momento, stava attendendo con pazienza che il vassoio si riempisse con tutto ciò che aveva richiesto per poi prendere posto di fronte a lui.
Yusaku non era mai stato al Café Nagi, ma sapeva che quel furgoncino dai colori caldi e chiari che si spostava per tutta la città vendeva soprattutto hot dog e lui li mangiava volentieri, quindi era anche felice di trovarsi lì… ma come doveva interpretare quell'invito a pranzo?
Era questo ciò che più lo impensieriva, e se da una parte non vedeva l'ora di scoprirlo, dall'altra sperava che quel ragazzo prendesse posto di fronte a lui il più tardi possibile, in modo tale da concedergli un altro po' di tempo per crogiolarsi nella fioca illusione che tutto sarebbe andato per il meglio.


8

Sul vassoio era accuratamente riposto il doppio di tutto: due confezioni di cartone contenenti un hot dog a testa, due vaschette sempre di cartone colme di patatine fritte, due lattine medie di soda e due taiyaki riposti l'uno sopra l'altro nelle loro confezioni di plastica che ricordavano vagamente la forma di un pesce. Era un pranzo semplice, pregno di grassi e calorie, eppure era il più bello che avesse mai visto e il più buono che avesse mai assaporato.
Fino a quel momento, Yusaku non aveva mai saputo cosa si provasse a condividere parte del proprio tempo con qualcuno: era sempre stato un muto spettatore delle vite altrui che, relegato a una distanza di sicurezza, non poteva fare altro se non immaginare come sarebbe stata la sua esistenza se non si fosse rivelato un pericolo per gli altri. E fino a quell'istante non era mai riuscito a colmare il vuoto che provava dentro di sé poiché le fantasie venivano perennemente spazzate via da folate di vento che lo distruggevano ogni giorno sempre più
    (l'indifferenza altrui nei suoi confronti, le occhiatacce, le parole che avevano lo stesso effetto del morso di uno squalo)
e che gli ricordavano con morbosa insistenza che non c'era posto per lui in un mondo in cui la vita bisognava toccarla con mano.
Sentì di aver ottenuto una piccola rivincita ed era intenzionato più che mai a tenersela stretta.
    «Come ti chiami?» domandò, arrossendo subito dopo in quanto la sua voce si era unita a quella del ragazzo che gli stava di fronte nel pronunciare la stessa, identica frase.
    «Prima tu» gli disse questi con un sorriso candido, e Yusaku, mentre articolava il suo nome quasi in un sussurro, si perse per qualche attimo nell'incurvatura di quelle labbra sottili.
    «E tu?» chiese poi, come se si fosse appena ridestato da un bel sogno.
    «Ryoken».
    (E in fondo, a essere onesto, quel nome suonava proprio come un bel sogno).


9

    «Ciò che è successo prima… cos'è stato?»
Aveva finalmente trovato il coraggio di porgli quella domanda, di rendere concreta quella situazione e di uscire, anche se molto a malincuore, dal bel sogno a occhi aperti che era stato l'intero pranzo. Il sapore del cioccolato contenuto nel taiyaki permeava ancora sulla sua lingua.
    «Penso che tu l'abbia già capito» rispose Ryoken con calma.
    «Credo di sì…» sussurrò Yusaku, abbassando un poco lo sguardo. «Però è davvero strano. Com'è possibile che…?»
    «Sono secoli che me lo domando e ancora non ho trovato una risposta».
Secoli. Era assurdo pensare che Ryoken li avesse vissuti per davvero, ma ciò che Yusaku aveva visto nel momento in cui si erano toccati ne era una prova inconfutabile.
    «Anche se» proseguì Ryoken, allungando una mano nella sua direzione, «forse oggi ho finalmente trovato un punto di inizio».
Yusaku sussultò nel momento in cui la mano di Ryoken sfiorò la sua e, d'istinto, la ritrasse velocemente. Ryoken sorrise ancora una volta.
    «Non aver paura,» gli disse con un tono di voce che voleva essere rassicurante, «lascia che si nutra. A differenza delle altre persone, a me non fa del male».
    «E se poi ne volesse sempre di più?»
    «E se invece dovesse saziarsi?»
Yusaku guardò Ryoken come se quest'ultimo avesse iniziato a parlare in una lingua arcana e sconosciuta.
    «In tutti questi anni non ha mai dato segno di essere in grado di saziarsi» rispose con una punta di disprezzo nel tono di voce.
    «Questo perché hai sempre fatto del tuo meglio per evitare il contatto fisico» spiegò Ryoken. «Di conseguenza, più le neghi il suo nutrimento, più lei diventa affamata. L'ho percepito quando ci siamo toccati: pare davvero disperata. Per questo non posso fare a meno di domandarmi: se provassi a darle ciò che vuole… non credi che ti lascerebbe in pace?»
Yusaku non ci aveva mai pensato ma, a dirla tutta, se anche l'avesse fatto, con ogni probabilità la parte pessimista della sua persona avrebbe preso il sopravvento e non l'avrebbe considerata una soluzione plausibile. Però quelle parole le aveva pronunciate Ryoken. E dette da lui non poterono che sortire un effetto distensivo sul suo intero corpo, come se Yusaku le avesse attese una vita intera
    (e in realtà era proprio così).
Alla fine, sempre accompagnato da un pizzico di incertezza, poggiò nuovamente la mano sul tavolo e Ryoken la sfiorò un'altra volta ancora.
La sgradevole sensazione di star privando un altro essere umano di giorni
    (settimane, mesi, anni)
importanti di vita persisteva ancora, ma Yusaku non si ritrasse, decidendo invece di proseguire con quel contatto che si stava pian piano aprendo un varco in quel coacervo informe di dolore, portando con sé tanta benevolenza.
Lasciò che Ryoken gli carezzasse con garbo il dorso e che poi gli voltasse la mano per cominciare a tracciare dei piccoli sentieri sul palmo, come se si fosse improvvisato un chiromante alle prime armi e avesse deciso di leggergli il futuro
    (chissà quale linea stava studiando silenziosamente in quel momento).
    (Quella della saggezza? O forse era quella del destino?)
Non ebbe tempo per rifletterci su: più il contatto fisico persisteva, più entrava nell'esistenza di Ryoken, come se si trovasse al cinema e avesse scelto di vedere un film che mostrava tutto ciò che il ragazzo aveva vissuto nel corso dei secoli. Si sentì partecipe e coinvolto in qualcosa che non gli apparteneva, assistette ancora una volta ad albe meravigliose e tramonti mozzafiato in città che non aveva mai visitato e in epoche in cui non era ancora nato. Provò il forte impulso di rendere quella vita straordinaria la coperta con la quale si sarebbe coricato a letto quella notte, come se in realtà non pesasse tanto quanto mille macigni e fosse, invece, la sola cosa che gli avrebbe permesso di andare avanti un altro giorno ancora.
Per la prima volta se ne fregò delle conseguenze che un contatto fisico troppo prolungato con qualcuno portava con sé e non badò alla maledizione che si ingozzava e strozzava nella sua stessa ingordigia. Per la prima volta si sentì così bene che quando Ryoken pose fine a tutto ciò, Yusaku provò qualcosa direttamente proporzionale a tutto quel benessere che aveva accumulato: disperazione.
    «Non… non credo che sia ancora sazia» balbettò, cercando di non lasciar trasparire l'imbarazzo che, beffardo, si era comunque manifestato vistosamente sulle gote.
    «Lo so» concordò Ryoken, divertito. «Ma per il momento credo sia meglio fermarci qui».


10

Ryoken si era offerto di accompagnarlo a casa e Yusaku aveva accettato senza farselo ripetere due volte. E fu proprio durante quella passeggiata, mente erano intenti a parlare del più e del meno, che ci fu un altro evento straordinario: un bambino delle elementari, con una cartella tre volte più grande di lui issata sulle piccole spalle, era intento a correre con fare goffo nella direzione opposta alla loro e sarebbe rovinato malamente a terra se Yusaku non lo avesse sorretto con prontezza.
Ryoken non disse nulla, lasciando a Yusaku il tempo di arrivarci da solo. E quando ciò accadde, per poco non lasciò andare il bambino quando ancora stava cercando di risollevarsi a dovere — e in quel caso sì che sarebbe caduto a terra, completamente affossato dal peso di quello zaino dall'aspetto di un possente macigno nero come la pece.
Il cuore di Yusaku perse una decina di battiti, uno dietro l'altro. Perché Ryoken non era intervenuto? Dopo tutto il bene che gli aveva fatto era improvvisamente diventato sadico e aveva deciso di rovinargli la giornata prendendo di mira quel bambino che non c'entrava nulla? Pensava che fosse una cosa divertente da fare?
Yusaku era in procinto di dire qualcosa di molto cattivo quando il bambino puntò lo sguardo su di lui e un dolce sorriso si proiettò sul suo volto un poco arrossato.
    «Ehm… grazie!» esclamò, tornando ad assumere la posizione eretta.
Ricominciò a sgambettare nella direzione opposta alla loro e, subito dopo, Yusaku si voltò verso Ryoken. Aprì bocca più e più volte, senza però riuscire ad articolare alcun suono. Era esterrefatto.
Quando poi comprese che Ryoken sapeva non sarebbe accaduto nulla con quel bambino — a quanto pareva la sua vita aveva placato la maledizione, almeno per il momento —, si vergognò talmente tanto di aver pensato male di lui che iniziò a camminare con passo celere verso casa senza prestare attenzione alla voce di Ryoken che lo chiamava con insistenza.
Quando giunsero a destinazione — Ryoken era riuscito a colmare la distanza che li separava in poche falcate nonostante Yusaku camminasse spedito —, ci fu qualche attimo di esitazione da parte di entrambi, come se nessuno dei due volesse compiere il primo passo per porre fine a quell'incontro. Fu Ryoken a farsi avanti, anche se a malincuore.
    «Ti ringrazio per la compagnia» disse, e non fece in tempo ad aggiungere altro poiché Yusaku, colto da un impeto di coraggio che non credeva di possedere, parlò a sua volta.
    «Possiamo rivederci?» chiese tutto d'un fiato, con le gote che avevano improvvisamente preso fuoco.
Ryoken non poté fare a meno di sorridere. «Stavo per chiedertelo io» ammise, e Yusaku arrossì ancora di più. «Certo che possiamo rivederci. Tutte le volte che vorrai».
E Yusaku, questa volta, riuscì a fermarsi in tempo, perché qualcosa gli era esploso all'altezza del petto e se non l'avesse domato avrebbe risposto con una sola parola dalla potenza di mille soli: “Sempre”.






Questa mini long (che all'inizio doveva essere una One Shot) me la porto dietro ormai da un anno.
Mi è venuta in mente pensando a un prompt della Everybody Needs A Hug Challenge del mio forum, Siate Curiosi Sempre, anche se poi 1) come mio solito ho iniziato a scrivere troppo e quindi essendo diventata una mini long è fuori gara e 2) il prompt che avevo scelto è andato in una direzione e io in un'altra, quindi diciamo che rimane poco e niente di quello che avevo in mente all'inizio.
Ma va benissimo così perché questa versione mi piace tantissimo e spero possa piacere anche a voi.

Non posso non citare A Promise dei Dead by April, perché se non fosse stato per questa meravigliosa canzone, la storia sarebbe risultata incompleta, almeno secondo me.
Tra l'altro, questa canzone è la mia preferita in assoluto, del tipo che se mi dovessero chiedere “qual è la tua canzone preferita nella vita?” io direi proprio questa.
La amo con tutta me stessa e non vedo l'ora di inserire il ritornello nella seconda parte della storia.

Cosa ne pensate delle maledizioni che affliggono Ryoken e Yusaku?
All'apparenza sembra solo Yusaku quello maledetto, ma anche Ryoken, costretto alla vita eterna, non se la passa certo meglio.
Il loro incontro è davvero frutto del caso, secondo voi?
Fatemi sapere, se vi va.

Dovrei aver detto tutto.
Vi ringrazio per essere arrivati fino a qui.

M a k o
   
 
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