L’aria
primaverile s’infiltrava attraverso gli ampi balconi della
sala
lasciati aperti per arieggiare. Il polline vagava poggiandosi sui
davanzali, ogni tanto qualche farfalla faceva capolino poggiandosi su
una delle grandi piante situate all’esterno.
La
sala da cerimonia era vasta, dai toni bianchi e grigi, ritagliata da
colonne simil-corinzie.
I
tavoli e le sedie erano immacolati, dei fiocchi lasciati pendere nel
bel mezzo delle fodere di lino.
Sopra
i tavoli troneggiavano dei vasi lunghi di cristallo da dove
spuntavano mazzi di fiori colorati. Dai tetti discendevano grandi
lucernari decorati con pietre scintillanti.
Al
fondo della sala, rialzato da un piccolo soppalco, si intravedeva il
lungo tavolo degli sposi, dove ai lati torreggiavano due grandi
piante che fuoriuscivano da longilinei vasi ad imbuto rivestiti da un
manto bianco pieno di ricami. Dietro, uno specchio quadrato a cornice
che rifletteva lo strano candelabro riposto nel bel mezzo del tavolo
nunziale.
Mimi si guardò
intorno circospetta ed esibì un sorrisino scettico.
Quella
sala era oltremodo elegante e sofisticata per accogliere i
celebrativi del matrimonio di Joe.
Non
immaginava che la scelta fosse toccata ad un tipo come lui: non aveva
un gusto degno di potersi ritenere buono, d’altronde.
Le
pietanze principali erano state servite e la gente si riversava in
sala conversando e godendosi la musica.
I
parenti di Luchia erano tantissimi, alcuni avevano indosso costumi
indiani tipici da cerimonia, altri invece portavano delle pellicce e
dei colbacchi. Qualcuno di loro aveva in volto espressioni strane,
come se fosse in allerta di qualcosa.
Mimi
pensò che probabilmente era dovuto alla poca conoscenza di
quei
luoghi, ma non ne era così sicura.
Camminò
per un po’ in cerca di qualcuno, si sporse per vedere meglio
oltre
un tizio che aveva lunghi capelli grigi ed una barba, il quale si
girò e la guardo di sbieco. Lei sorrise a mo’ di
scuse.
Poi
si defilò stando ben attenta a non calpestare nulla di
sconveniente
con i suoi tacchi neri lucidi di dodici centimetri che non erano
propriamente facili da camminare.
Il
vestito era un tubino in velluto color vinaccio che le fasciava
strettamente il corpo e le arrivava un po’ più
sotto alle
ginocchia. Il seno era rialzato grazie a delle coppe che si
spalancavano nel mezzo a forma di una V e uno spacco meritevole si
apriva al lato di una coscia.
Decisamente
non il vestito più comodo da indossare, lo ammetteva, ma lo
aveva
disegnato lei su misura in occasione del matrimonio. Lavorava come
una delle modelliste per una casa di moda medio conosciuta in
Giappone, la Ashida.
Taichi
era un giocatore di serie A, ormai, uno degli attaccanti più
forti
che avesse mai visto, e non che lei ci capisse molto di calcio. Non
aveva mancato alla promessa di portarla con sé dopo la fine
dei suoi
studi, e si erano stabiliti dapprima in una casa in affitto, poi
avevano deciso di comprare un appartamento proprio che lei stessa
aveva arredato da cima a fondo.
Era
contenta del suo buon gusto e del suo lavoro; quasi quanto era
soddisfatta della sua vita amorosa.
L’unica
cosa che le sfuggiva di mano, però, era riuscire a trovare
chi
cercava.
Passò
vicino ad un gruppo di persone che riconobbe essere Joe in tenuta da
sposo che conversava allegramente con Takeru e Hikari. Aveva i
pantaloni dello smoking che gli sfilavano le cosce più di
quanto non
le avesse già, la camicia bianca era stata risvoltata fino
ai
gomiti, della giacca nessuna traccia, mentre i capelli erano gellati
all’indietro tanto da farlo assomigliare al damerino che
sapeva
bene non fosse.
Lo
vedeva gesticolare animatamente e parlare di qualcosa che non
riusciva a captare, così, mossa dalla curiosità,
si avvicinò per
origliare.
«E
quanti anni ha questo bastardo?» lo sentì chiedere
in tono
diffidente.
Aggrottò
le sopracciglia, interrogativa.
«Ma
Joe, è un cucciolo. Avrà sì e no due
mesi» fu la precisa risposta
di Kari.
Mimi
lanciò un’occhiata alla ragazza. Si era fatta
crescere i capelli
castani e li portava legati in una treccia a spiga di pesce che le
scendeva morbidamente sulla spalla destra.
Il
vestito che indossava era lungo, rosa e a carattere floreale. Stava
veramente bene, sembrava una donna nuova, diversa dalla ragazzina che
conosceva.
Insegnava
ad una scuola materna di Odaiba e, da quello che raccontava a lei e
Tai, era la più amata di tutte.
«Poi
è un dobermann di razza» sentì dire a
TK che soffocò una risata.
Si
sporse meglio e notò che in braccio aveva un cucciolo di
cane dal
pelo nero e marrone.
Lo
avevano comprato da poco e lo portavano dovunque dentro il
trasportino. Erano davvero due tipi amorevoli entrambi, non mancavano
di un impegno.
TK
aveva smesso di fare il ragazzaccio subito dopo la pubblicazione del
suo libro. Era andato a ruba, c’erano così tante
persone curiose
di sapere la loro storia per filo e per segno che aveva dovuto
scrivere il seguito. Da che ne sapeva, si era iscritto
all’università
specializzandosi in Editoria, proprio un cammino di cui si
presagivano pochi prospetti.
Comunque
il look era rimasto invariato; il suo solito cappello, grigio per
l’occasione, gli si adagiava in testa sopra i capelli biondi,
la
giacca larga era lasciata aperta e lasciava intravedere una camicia
sbottonata senza ombra di una cravatta. I pantaloni neri erano stati
infilati dentro degli anfibi e gli cadevano sbarazzini provocando
delle bombature ai lati.
«Ah
sì? Ha origini inglesi?» sentì dire a
Joe, che guardava il cane
addormentato con titubanza.
Kari
ridacchiò.
«Perché
un cane dovrebbe avere una nazionalità?»
«Che
ne so, ha detto man!» rispose prontamente quello, e i due
scoppiarono a ridere.
Anche
Mimi scosse la testa divertita.
«Lo
abbiamo preso appena nato, comunque» spiegava TK.
Gli
occhi di Joe s’illuminarono da dietro gli occhiali scuri.
«Lo
avete adottato?!»
«In
un certo senso» rispose Kari, ma era dubbiosa.
Probabilmente
non voleva contraddirlo troppo, d’altronde era sempre il
solito
permaloso.
«E
le pratiche sono state lunghe? Dicono che ci vogliano mesi e
mesi...»
lasciò cadere la frase con un sospiro rassegnato.
Chissà se era un
segno di rammarico destinato a Luchia che aveva un pancione tondo da
sotto l’abito da sposa. D’altronde era stata una
gravidanza
scoperta al quinto mese, che si sapesse.
Kari
e TK si guardarono allusivi e scoppiarono a ridere. Joe li guardava
con le sopracciglia alzate.
Che
avevano da ridere?
«Ma
Joe, è solo un cane!» lo contraddisse Kari tra una
risata e
l’altra.
Come
poteva pensare che servissero le stesse pratiche legali di quando si
adottava un bambino?
Lo
sposo fece spallucce.
«E
quindi? Anche Koushiro è stato adottato! A voi sembra umano
quello
lì?» sibilò sardonico da dietro un
mano, indicando proprio questi
in lontananza che si dirigeva in loro direzione insieme a Frajiko.
Questa
aveva un vestito azzurro lungo, dei pois neri che si estendevano per
tutta la lunghezza. In vita una cintura che la fasciava e le creava
una bombatura in petto. I capelli biondi erano raccolti in
un’acconciatura a chignon, ma aveva lasciato due piccole
ciocche di
fronte al viso.
Il
suo volto era splendente, stava bene, non aveva più quella
scarnatura malaticcia. Si era ripresa totalmente, aveva portato
avanti la riabilitazione e le sedute psicologiche.
Izzy
aveva a sua volta il viso sereno, i capelli erano stati lasciati
crescere leggermente sul ciuffo davanti. Lavorava in
un’azienda di
sicurezza informatica tra le più conosciute del Giappone. Il
suo
stile era quello di sempre, non ne aveva molto da vendere, ma non
sarebbe stato sé stesso senza quella giacca color azzurro
pastello
con le righe verticali.
«Hai
fatto il mio nome, per caso?» intervenne con uno sguardo
critico.
Joe
si voltò dapprima spaesato trovandoselo lì
dietro, poi assunse
un’espressione pungente.
«Sì,
spiegavo ai ragazzi di quella volta che hai scoperto che ti hanno
adottato e hai pianto per una giornata intera tirando pugni contro il
muro. Ricordi?»
Izzy
non fece una piega, solo alzò le estremità della
bocca in un
ghigno.
«Tragico,
sì, come il giorno in cui ti sei rotto la testa cadendo dal
monopattino»
TK
e Kari scoppiarono a ridere e anche Frankie si portò una
mano alla
bocca nascondendo un sorriso.
Mimi
riuscì a vedere i pugni di Joe che si chiudevano di rabbia.
«Era
il monopattino truccato di Shin! E Taichi e Yamato avevano anche
manomesso i freni! Quei due hanno il cervelletto»
ribatté.
«Che
tecnicamente abbiamo tutti, Joe»
Il
corvino alzò gli occhi al cielo.
«Lo
so già che siete un branco di mentecatti. Non
c’è bisogno di
ricordarmi che frequento una banda di gente inutile per
l’umanità!»
TK
lo fissò con un sorriso sarcastico.
«Solo
perché tu curi la gente con i cerotti» lo
rimbeccò.
Joe
gli lanciò uno sguardo truce e incrociò le
braccia.
«In
quell’università da hipster non ve lo insegnano
che la pratica
medica discende dal sapere di Dio?»
Eccolo
là che si dava un sacco di arie, non era affatto cambiato.
Lavorava
in uno degli ospedali più rinomati di Tokyo e aveva perfino
ricevuto
numerose offerte di spostamenti, ma, ignorava il motivo, non si era
mai spostato di lì.
Izzy
scosse la testa.
«Joe
ha ancora la mentalità da basso medioevo» lo prese
in giro.
Questi
strinse gli occhi lanciandogli un’occhiata sprezzante.
«Infatti
fosse per me ti avrei legato ad un palo e messo al rogo seduta
stante. Quei capelli rossi sono chiaramente un segno del
male!» alzò
gli occhi a fissarli con ripugnanza
«Poi
dei tuoi resti ne avremmo fatto delle frittole»
Izzy
si tastò piano le orecchie, lanciando uno sguardo a Frankie
che
ricambiò con un sorriso impacciato.
«L’unico
segno del male che vedo qui è il tuo tono di voce da sirena
da
nebbia»
Li
udì ridere e non riuscì a trattenere una risatina
anche lei.
Nel
frattempo, una signora pomposa vestita con un lungo vestito rosso si
era avvicinata e aveva messo una mano sulla spalla di Joe. Questi si
voltò e fece una faccia allarmata, poi si
allontanò mentre questa
gli indicava qualcosa con i gesti. Poi andò via.
Il
ragazzo alzò gli occhi al cielo mormorando qualcosa che
sembravano
tanto delle maledizioni, poi si rivoltò verso gli altri.
«Posso
offrirvi il punch indiano preparato da mia suocera?» si
avvicinò ad
un tavolo dove c’era un grande contenitore di vetro pieno di
una
strana essenza rosa.
«Con
piacere, grazie. Di cosa sa?» chiese Frankie allegra.
Joe
si voltava e distribuiva i bicchieri.
«Oh»
si fermò a pensare «Hai presente la
candeggina?»
«Sì?»
Vide
Izzy bere.
«Uguale,
con un sofisticato gusto di Tavernello»
Il
rosso spalancò gli occhi e sputò.
TK
si precipitò a togliere il bicchiere dalle mani della sua
ragazza.
«Posalo,
Kari! Ti verrà la gastrite!»
Frankie
si avvicinò ad Izzy aiutandolo a pulirsi, così i
due si
allontanarono. Joe aveva lanciato loro un sorrisino soddisfatto.
Poi
lo vide pensieroso.
«Mia
suocera è una tipa strana. Ha un sacco di pacchetti in
celofan
sparsi per la casa. Suppongo per acchiappare le larve, con quel
giardino immenso se ne vedono a bizzeffe»
I
due più piccoli avevano alzato le sopracciglia ed assunto
una faccia
scettica. Persino Mimi emise un suono sarcastico.
«Una
volta ha cucinato una melma verde e l’ha spacciata per un
timballo
ai carciofi patè» lo vide che guardava un punto
imprecisato della
sala come se si stesse spremendo le meningi
«C’erano
delle strane foglioline come condimento. Non so perché ho
avuto un
attacco isterico di risa e sono svenuto. Devo aver subito un calo di
pressione, d’altronde era la prima volta che mangiavo da lei.
Sarà
stata l’agitazione»
Archiviò
tutto con un’alzata di spalle.
TK
aveva guardato Kari con uno sguardo allusivo. Forse c’era
qualcosa
che esattamente non quadrava.
«Che
lavoro fa tua suocera?»
Lui
rimase ancora lì fermo, rimuginante.
«Boh,
dice Luchia che ha un serra, ma non ho ben capito. A me sembrava di
averla vista a quel programma italiano di merda. Avete
presente?»
Quelli
negarono con la testa.
«Quello
dove vanno degli incapaci suonati e fanno cose stupide spacciandole
per talenti. Chi diamine se ne frega di un troglodita che sa saltare
su un alluce facendo capriole per aria?»
s’infervorò.
TK
annuì con uno sguardo che trapelava scherno ma che appariva
comprensivo.
«Non
serve a niente nella vita»
Joe
si voltò ad indicarlo.
«Appunto!»
gli diede ragione, poi si perse nuovamente a raccontare
«Fatto sta
che non parla se non da sola. Sospetto comunichi con gli dei della
religione politeista a cui crede. Tsk. Merdate!»
commentò
sprezzante.
Il
solito fanatico religioso che disprezzava le altre religioni. Che poi
non si era mai ben capito come mai fosse finito proprio a professare
la fede cattolica, non era affatto un culto contemplato dalle loro
parti.
«Ci
parla perfino in codice al telefono» aggiunse in tono
criptico.
Kari
sorrise falsamente. Joe rimase fermo per un paio di secondi, ancora
pensieroso. C’erano delle cose che non quadravano, in
realtà, ma
non poteva compiere lo stesso peccato di San Tommaso.
Cambiò
discorso.
«Comunque,
sono contento che hai smesso di spacciare» si rivolse a TK
«Non
avrei voluto al mio matrimonio uno perseguibile per legge»
Il
biondino strinse le labbra cercando di trattenere le risate.
«No,
hai ragione» fu la risposta accondiscendente di Kari.
Uno
dei tanti parenti chiamò Mimi e si fermò a
salutarla. Per un paio
di minuti li perse di vista, ma si rivoltò ad origliare non
appena
fu da sola.
«La
vita ha preso delle pieghe inaspettate, amici. Veramente
inaspettate»
sentì dire al corvino.
«Chi
l’avrebbe mai detto che uno dal quoziente intellettivo
superiore
alla media, destinato a diventare uno dei primi assistenti medici
dell’ Agenzia Spaziale Giapponese con uno stipendio netto di
586.825 yen al mese avrebbe dovuto rifiutare l’incarico
perché...»
strinse forte il lungo bicchiere in cristallo
«perché una stronza
subdola e patetica si è fatta mettere incinta con
l’inganno e ha
fatto giurare di sposarla di fronte alla tomba del padre scoperto
appartenere ad uno degli alti ranghi della D-Company»
TK
e Kari strabuzzarono gli occhi. Mimi spalancò la bocca.
Diceva
davvero?
Joe
aveva in volto uno sguardo livido. I suoi occhi scuri erano rossi e
sembravano poter lanciare fiamme. Si voltò verso i due
ragazzi che
lo fissavano ancora sconcertati dalla rivelazione appena fatta.
Le
sue labbra si piegarono in un improvviso sorriso mellifluo.
«Ovviamente
non sto parlando di me! Vi pare che io sia uno che cede ai ricatti
così...» scosse la testa quasi indignato di come
si era potuto
minimamente sfiorare il pensiero. Poi lanciò uno sguardo
intorno in
maniera titubante
«Io
mi sono sposato per amore!» esclamò e
lanciò una risata che apparì
un nitrito isterico e rassegnato.
Poi
bevve dal suo bicchiere in un sorso, facendo una smorfia.
«Il
Tavernello era scaduto da più di due mesi, mi sa»
commentò
tossendo con un occhio chiuso.
Takeru
lo fissava non del tutto convinto.
«E
comunque, un parente spastico di Luchia ha portato del rum centenario
dal Guatemala e dei sigari cubani firmati Montecristo» Joe
cambiò
discorso come se non avesse detto assolutamente nulla
«Mi
sono fatto il segno della croce, saranno stati probabilmente
benedetti sul monte Sinai. Certo, non ricordavo fosse a Cuba... Non
so se fidarmi, però, una volta l’ho visto dividere
lo zucchero a
strisce. Però forse se lo mette tutto nel caffè.
Eccolo, è quello
che sta parlando a Daisuke»
I
due si girarono e videro questi che prendeva qualcosa dalle mani di
uno tizio in sedia a rotelle vestito tutto di bianco.
«Ci
tengo perché è paraplegico, sapete. Dio dice di
aiutare i poveri e
bisognosi»
Kari
aveva guardato TK allarmata, mentre questi si grattava la testa.
«E
dove sono?» si riferì ai sigari e al rum.
«Li
ho dovuti nascondere. Ti pare che li lasciavo in bella vista sul
tavolo dei regali con quei primati di tuo fratello e Taichi? Mi
prendi per un ignorante così!» si agitò.
La
castana gli fece un sorrisino incoraggiante e gli strinse il braccio.
«Stai
tranquillo, Joe. Oggi andrà tutto per il meglio»
Lo
sposo si fermò a pensare. L’ultima volta che
qualcuno aveva detto
una cosa del genere era successo un putiferio madornale. Ma ormai
erano passati due anni, aveva imparato a sotterrare tutto dentro.
Non
poteva esserci qualcosa che sarebbe andato storto, oramai.
Sarebbe
stato un matrimonio tranquillo e godevole.
«Ne
sono sicuro anche io» cinguettò felice, poi li
prese entrambi a
braccetto e parlò con circospezione
«E
comunque non le troveranno, le ho messe proprio sotto la...»
Nel
frattempo, Yamato passò vicino a loro e si voltò
ad ascoltarli.
Aggrottò le sopracciglia e fece una smorfietta divertita ma
di base
scettica.
Poi
fece un cenno ai suoi compagni di band che erano rimasti agli
strumenti e questi annuirono, mettendo una musica casuale per
intrattenere gli invitati fino al suo ritorno.
Erano
stati incaricati di esibirsi per tutta la durata dei festeggiamenti,
e in effetti non era riuscito a mangiare quasi niente, aveva solo
bevuto del vino per caricarsi.
Non
sapeva se il genere che suonavano loro era ben apprezzato dai parenti
di Luchia, sembravano tutte delle persone strane e a tratti con la
puzza sotto il naso. Fatto sta che Joe non aveva perso tempo ad
insistere di fargli da sottospecie di intrattenitore dopo aver
scoperto che il gruppo stava andando alla grande e facevano un bel
po’ di concerti nelle aree metropolitane di tutto il Giappone.
L’attesa
gli aveva portato grandi sorprese e tutto il tempo che aveva
aspettato e penato alla fine non era stato niente in confronto ai
risultati che aveva raggiunto.
Oltre
ad aver trovato un manager che li aveva scovati da un paio di video
rilasciati sul web e che li aveva rivoluzionati, aveva superato un
concorso pubblico acquisendo la cattedra di chitarra elettrica al
conservatorio di Tokyo.
Ad
averlo persuaso e sostenuto c’era stata lei. Non osava
nemmeno
immaginare come si sarebbe ridotto se avesse scelto di intraprendere
un’altra vita.
Si
sistemò il completo scuro e fece un paio di passi.
Doveva
cercarla, aveva bisogno di stare un po’ in sua compagnia dato
che
non aveva potuto rivolgerle delle attenzioni durante tutto il resto
dei celebrativi.
I
parenti di Joe, soprattutto una delle sue zie, non smetteva di
battere su tavoli, piatti e bicchieri urlando di volere una serie di
cover improbabili che non si sarebbero mai sognati di esibire.
Erano
dannatamente inopportuni e pedanti. Capiva da che ramo della famiglia
discendeva Joe.
Fece
un altro paio di passi e si scontrò con qualcuno che andava
nella
direzione opposta.
«Oh!»
«Che-»
Mimi
alzò gli occhi e lo fissò bieca. Lui, a sua
volta, non mancò di
lanciarle uno sguardo stizzito.
Di
solito non concludevano mai un discorso senza battibeccare, loro due.
Lui non piaceva a lei perché era troppo musone, lei non
piaceva a
lui perché era troppo invasiva.
Fecero
per andare ognuno in una direzione, ma scelsero la stessa un paio di
volte ritrovandosi sempre uno di fronte all’altro.
Matt
grugnì, mentre Mimi sbuffò infastidita.
«Levati
dai piedi!» esclamò.
«Levati
tu dai piedi!» rispose l’altro, e presero a
spingersi.
Lui
riuscì a bloccarla.
«Hai
visto Sora?» le chiese poi.
«No,
sto andando a cercarla» fu la risposta di lei.
«Anche
io» disse Matt tra i denti.
I
due si guardarono con sfida.
«Ci
vado io. Sarà in bagno, non sei autorizzato ad
entrare!» esclamò
Mimi, incrociando le braccia.
Il
biondo la fissò con un sorriso di scherno.
«Perché?
Pensi che mi scandalizzerei?»
La
castana alzò le sopracciglia, squadrandolo critica. Sembrava
un
tronco di legno, ecco cosa.
«Tu
no, da bravo ameba, ma le altre invitate sì» lo
rimbeccò.
Matt
cominciò ad infastidirsi. Se voleva essere fastidiosa come
una
zanzara ci stava riuscendo.
«Te
lo dicono mai abbastanza di essere antipatica?»
grugnì.
Mimi
fece finta di pensarci.
«No,
veramente tu sei il primo. Ma te ne intendi solo di musica»
gli
sorrise falsamente.
Matt
si avventò a stringerle le braccia e tentare nuovamente di
cacciarla.
«Spostati!»
Lei
opponeva resistenza, spingendolo.
«Non
puoi lasciare vuoto il pianobar! Ci vado io, ho detto!»
Lottarono
ancora. Mimi alzò una gamba pronta a colpirlo con i suoi
tacchi a
spillo. Matt la schivò, e fece per darle dei colpetti, ma
lei si era
messa in posizione di combattimento e glieli parava tutti.
«Vattene,
tundra!» lo apostrofò, mentre gli dava uno
spintone dritto al
petto.
Matt
si sentì toccato dall’appellativo cui era solita
prenderlo in giro
anni prima.
«Ancora?!»
le chiese stizzito.
Provò
a metterle una mano tra i capelli per spettinarglieli, ma fu lei che
scompigliò i suoi.
Si
mise a ridere vedendo la sua faccia basita e lui che si premurava a
sistemarli.
Poi
qualcuno dei suoi compagni di band lo chiamò. Dovevano
sicuramente
ritornare ad esibirsi con la seconda parte dei pezzi
dell’album.
Matt
sospirò e Mimi gli lanciò un ghigno sardonico.
«Che
peccato, devi andare!» disse sarcasticamente, poi si
avvicinò
dicendo da dietro una mano:
«Non
dirlo a nessuno che hai perso»
Alluse
al fatto che non era riuscito a sorpassarla, e voltò i
tacchi
andandosene via con il sorriso stampato in volto, che il biondo fece
di rimando mentre la guardava andare via, scuotendo la testa.
Non
era vero che si detestavano, avevano imparato a volersi bene davvero.
Ma
era estremamente importante che l’altro ne restasse
all’oscuro.
Da
fuori le voci si sentivano ovattate, era tutto un brusio di gente che
chiacchierava, qualcuno rideva, qualcun altro urlava cose che non
riusciva a captare.
Provvide
a sistemarsi il vestitino nero che le arrivava a metà
coscia, delle
frange le ricadevano all’estremità e si aprivano
anche dalle
spalline ricoperte di perline bianche che le adornavano perfino la
vita creando un gioco di luci. Lo scollo era a V ed era profondo, si
apriva fino alla parte bassa del seno.
Sora
sospirò ed attese.
Forse
avrebbe dovuto dirlo a qualcuno, ma non ci era riuscita. Aveva un
po’
di paura a farsi vedere in un momento del genere, era come se
qualcosa dentro di sé le suggerisse di scoprirlo da sola.
Quanto
tempo era passato? Le sembrava un’eternità.
Controllò il
cellulare. Erano passati solo due minuti.
Tentò
di respirare. Chiuse gli occhi e pensò a qualcosa.
Pensò
al suo lavoro, a quanto era soddisfatta di quello che stava facendo.
Lavorava in un centro di psicologia clinica e riabilitativa a Tokyo.
L’avevano assunta dopo aver fatto del tirocinio per un
po’ di
tempo ed amava quello che faceva, la faceva sentire utile, stare a
contatto con tutta quelle gente la rendeva consapevole come era
estremamente importante non sottovalutare i problemi delle persone.
Era
stata anche lei a seguire Frankie nell’ultimo periodo
riabilitativo.
Guardò
di nuovo il telefono. Era ora di guardare.
Lo
fece. Poi alzò lo sguardo, indecifrabile.
Sentì
improvvisamente un rumore di tacchi fare capolino dalla porta
principale, e subito la voce di Mimi la ridestò dai suoi
pensieri.
«Sora,
sei qui?» la udì chiedere.
Il
cuore cominciò a batterle forte. Sentì dei colpi
alla porta della
sua cabina.
«Ehi,
Sora!» esclamò dato che non le aveva risposto.
Lei
sussultò per il rumore.
«S-sì?»
balbettò.
Mimi
sospirò di sollievo per averla trovata ed
incrociò le braccia.
«Ah,
meno male! Cominciavo a credere che qualcuno della famiglia di Luchia
ti avesse venduta al contrabbando!» scherzò.
Sora
non disse nulla, limitandosi a fissare un punto sul muro di
piastrelle lucide che riflettevano la sua immagine distorta.
Mimi
alzò un sopracciglio.
«Allora,
pensi di stare per molto là dentro?» la
incitò, seccatamente.
La
ramata sospirò.
«No,
adesso esco» soffiò, e con uno scatto ripose tutto
dentro la
borsetta.
Non
appena fece scattare la serratura le due amiche si guardarono. Mimi
la fissò a lungo, cercando di analizzare se stesse bene.
Aveva in
faccia qualcosa di diverso.
«E’
tutto apposto?» le chiese, un tantino preoccupata.
Sora
annuì automaticamente, ma si sentiva stordita. Mimi allora
l’afferrò
da un braccio e fece per trascinarla via, fuori dal bagno.
«Bene,
allora rientriamo in sala. Il tuo fidanzato cominciava ad avere le
paranoie, sai»
Non
appena venne fatto riferimento a Matt, la ragazza sentì il
cuore
salirle in gola.
«Diventa
sempre più suscettibile quando deve suonare. Forse ha
l’ansia da
prestazione. Spero non a letto» La castana fece una faccia
maliziosamente allusiva e si mise a ridere.
Quelle
risate rimbombavano in testa alla ramata come potessero
martellargliela. Non riuscì nemmeno ad ascoltare quello che
le aveva
detto dopo, tanto si fermò impulsivamente e fece resistenza
al
braccio.
Mimi
se ne accorse e si voltò interrogativa.
«Che
c’è?» le chiese spiccia.
Quella
la guardò negli occhi con uno sguardo lucido e serio.
«Devo
dirti una cosa» mormorò.
Mimi
alzò gli occhi al cielo, sospirando. Mai una volta che la
gente non
avesse da dire qualcosa, insomma, non potevano essere tutti meno
logorroici?
E
poi lo dicevano a lei...
«Non
potresti dirmela dopo? Tra poco Luchia lancerà il
bouquet» disse in
tono infantile, svelando anche il motivo dietro quella premura di
cercarla.
Voleva
essere tra le file delle invitate. Non sapeva perché, ci
teneva a
compiere quelle tradizioni, lo aveva sempre fatto ai matrimoni da
piccola. Una volta ne aveva perfino acchiappato uno, solo che aveva
dieci anni. Certo, poi aveva incontrato Tai a Digiworld, ma...
Sora
la destò dai suoi pensieri.
«Mimi...»
mormorò e le mostrò qualcosa.
L’amica
abbassò piano la testa con il broncio e guardò.
Subito la sua
espressione stufata si spense e alzò gli occhi castani su
quelli
nocciola dell’altra.
Beveva
un bicchiere di vino e guardava Matt e gli altri della band esibirsi.
Quella
musica era davvero forte, non aveva niente a che vedere con i pezzi
che erano soliti suonare anni fa. Si vedeva che avevano fatto un
salto di qualità incredibile ed era davvero contento per il
suo
migliore amico. Lo osservò cantare con un sorriso e bevve un
sorso.
Afferrò
il cellulare e lesse un messaggio.
Qualcuno
gli scriveva se era andato tutto bene e di fare gli auguri a Joe.
Fece
un sorrisino e rispose.
D’un
tratto arrivò Mimi e lui fece appena in tempo a posare il
telefono
nella tasca del suo completo blu. Si voltò con un sorrisino
allarmato, ma lei non ci fece caso, per fortuna, e si
avventò al suo
orecchio per dirgli qualcosa. Subito lui si voltò in
direzione di
Matt che aveva appena terminato il pezzo e tutti gli battevano le
mani. Non riuscì a smettere di fissarlo fino a quando non lo
vide
che veniva in sua direzione e spostò lo sguardo.
Il
biondo si avvicinò e Tai si accinse a cambiare subito
espressione.
«Complimenti,
testina. Siete una bomba!» esclamò dandogli una
pacca sulla spalla.
Matt
diede un sospiro, gli prese il bicchiere dalle mani e si
scolò il
vino.
«Sì,
guarda che gente che c’è. Non posso mettermi a
suonare il
rock-metal, questi preferiscono la musica hindi»
commentò lanciando
sguardi di traverso agli invitati.
Tai
fece lo stesso e notò che tanti altri sembravano avere etnie
diverse
dalla famiglia indiana da cui proveniva Luchia.
Scrollò
le spalle.
«Suonagli
un pezzo della Bollywood dance» scherzò.
Matt
spalancò gli occhi.
«Espatrio!»
commentò rabbrividendo e si misero a ridere.
Il
castano alzò gli occhi e la sua vista fu catturata dalla
figura di
Sora che raggiungeva uno dei balconi. Strinse gli occhi e
posò un
braccio intorno alle spalle di Matt.
«Comunque,
se vuoi riposarti approfittane adesso. Ho la sensazione che
più
tardi ci sarà il casino» gli lanciò
un’occhiata complice e i due
ghignarono nello stesso momento.
«Era
quello che stavo cercando di fare prima che la tua ragazza mi
mettesse il bastone tra le ruote» sputò con
risentimento, ma
sorrideva.
Tai
scosse la testa divertito e poi gli indicò una direzione.
«Sembra
abbia trovato Sora, però»
Matt
si voltò a guardarla e s’illuminò, poi
tornò a fissare il suo
migliore amico metabolizzando le parole che aveva appena detto.
Aveva
ragione, l’aveva trovata. Doveva andare da lei.
Tai
gli diede una pacca e lo vide che si allontanava, disperdendosi tra
gli altri invitati. Continuò a guardare il punto in cui Sora
si
trovava intenta a guardare fuori. Non era uscita sul balcone, era
semplicemente in piedi, ritta a guardare il paesaggio.
Come
se si fosse sentita osservata, questa si voltò e i loro
occhi
s’incrociarono. Tai piegò le labbra in un sorriso
guardandola con
affetto. Non seppe perché, ma sentì gli occhi
lucidi.
O
forse sì, lo sapeva bene perché.
Sora
ricambiò quel lungo sguardo e non riuscì a fare a
meno di sorridere
anche lei.
Forse
lo davano per scontato a volte, ma gli occhi riuscivano a comunicare
il bene che si voleva ad una persona in maniera più forte
delle
parole.
Matt
arrivò silenziosamente e la cinse da dietro con le braccia,
distogliendola improvvisamente. Lei riconobbe subito la stretta del
biondo e si morse piano il labbro.
«Finalmente
sei qui» sospirò lui in tono liberatorio, mentre
la stringeva e
affondava la testa sui suoi capelli socchiudendo gli occhi.
Sora
sorrise amorevolmente.
«Ero
in bagno, scusa» disse, accarezzandogli con le dita una mano.
Lui
le scostò i capelli mossi da un lato e si accinse a dargli
dei
leggeri baci sul collo.
«Ho
bisogno del tuo sguardo di supporto, lo sai»
lamentò.
Prima
dei concerti era d’obbligo ricevere le sue parole di
incoraggiamento, e spesso, quando cantava, si ritrovava a voltare lo
sguardo alla ricerca del volto gentile di lei per sentirsi sicuro.
Sora
lo guardava sempre in un modo che gli dava carica. La sua espressione
non era mai cinica, né tantomeno si prendeva gioco di lui.
Quando
per lei qualcosa non andava bene glielo diceva con calma e lo faceva
sempre ragionare.
«Ma
state andando benissimo! Te lo avranno detto tutti!»
esclamò
spegnendo subito quell’insicurezza.
Lui
si fermò dal baciarla.
«Sì,
ma a me importa solo di quello che dici tu» ammise e
continuò a
risalire con le labbra sul suo collo.
Sora
sospirò e guardò al di là del balcone,
puntando lo sguardo sul
largo giardino.
Ripensò
d’un tratto a quello che avevano dovuto passare quasi due
anni e
mezzo prima, quando tutto stava per andare a rotoli. Matt aveva
dovuto faticare tanto per aprirsi e per riprendersi completamente.
C’erano stati dei momenti in cui avevano creduto di non
poterci
riuscire. Lui aveva avuto timore di non essere più
abbastanza, ci
pensava e ripensava, ogni tanto tendeva ad isolarsi. Ma avevano
parlato, da quel giorno in poi. Seppur con le difficoltà,
non
avevano mai più smesso di confidarsi a cuore aperto e quello
li
aveva salvati e li aveva portati dove erano adesso, integri e
innamorati.
«Matt...»
sospirò lei, chiamandolo piano.
Il
biondo era a sua volta pensieroso, il mento sopra la sua testa.
«Mh?»
Sora
decise di dirglielo. Non c’era alcun motivo
affinché aspettasse,
lo doveva sapere.
«Prima
ero in bagno per un motivo» ammise.
Lui
sorrise tra i suoi capelli.
«Un
motivo fisiologico?» la prese in giro.
Ridacchiarono
entrambi, poi Sora si bloccò d’un tratto e i suoi
occhi
luccicarono, ma si dispersero nel vuoto.
«Più
o meno, sì. Ecco, pensavo al fatto se potesse cambiare
qualcosa tra
di noi» disse in un modo un tantino criptico che mise
sull’attenti
Matt.
Che
era successo? Perché gli diceva quelle cose?
«Cosa
dovrebbe cambiare?» chiese, irrigidendosi un poco.
Non
avrebbe voluto cambiare niente della vita che stava conducendo
adesso. Ci aveva messo così’ tanto per costruire
qualcosa di
solido ed era soddisfatto, finalmente. Specie la storia con lei
andava a gonfie vele, avevano ricostruito tutto ciò che
entrambi
avevano distrutto ripartendo da zero.
«Non
lo so, forse la percezione. Magari è ancora troppo
presto» continuò
a parlare in quel modo enigmatico e riflessivo.
Non
capiva cosa volesse dire con l’essere ancora troppo presto.
«Stiamo
insieme da più di dieci anni. Dovremmo essere in
ritardo» lo disse
in tono forse un tantino brusco.
Non
voleva risponderle male, ma aveva timore che potesse uscirsene con
qualcosa che non andava, non capiva dove volesse andare a parare.
Sora
alzò lo sguardo verso di lui, quasi come a cogliere la palla
al
balzo.
«Ecco,
appunto... Ce l’ho» disse.
Il
biondo era sempre più confuso.
«Che
cosa?»
Sora
sospirò profondamente. Non doveva più usare giri
di parole, doveva
essere diretta. Anche perché sentiva il cuore in gola per
l’emozione.
«Sono
incinta» gli confessò in un sussurro.
Il
silenzio che ne proseguì fece in modo che trattenesse il
fiato
sospeso.
Matt
aveva spalancato gli occhi e poi aggrottato le sopracciglia con
espressione stupefatta, ma non aveva ancora detto nulla.
Sora
chiuse gli occhi e aspettò che assimilasse la notizia, e con
lui
anche lei. Dicendolo ad alta voce la rendeva consapevole che fosse
vero.
D’un
tratto, lui la prese dalle braccia e la fece voltare verso di lui.
«Stai
scherzando?» gli chiese.
Lei
sorrise.
«In
effetti è primo aprile, ma no»
L’espressione
di Matt era a metà tra lo sconvolto e
l’emozionato. Non sapeva
come reagire, piano piano la sua testa cominciava ad assimilare
completamente la veridicità di quella notizia.
Sora
capì che non riusciva a crederci, così
tentò di aiutarlo aprendo
la sua borsetta.
«Guarda,
ho fatto il test poco fa. Mi dice anche da quanto» fece
vedere lo
stick avvolto nella carta da cui si riusciva ad intravedere la
piccola scritta che indicava quando era avvenuto il concepimento.
Tre
settimane prima.
Sora
era incinta esattamente da tre settimane.
«Non
ci posso credere...» biascicò il ragazzo alzando
lo sguardo su di
lei.
Si
sentiva morire.
«Sei...
felice?» gli chiese la ramata, mordendosi il labbro.
Aveva
paura che essendo del tutto inaspettato e fuori dal programma poteva
non renderli felici davvero. Diventare genitori così giovani
non
sarebbe stata una passeggiata. Aveva timore che poteva cambiarli, non
dare loro modo di godersi la vita realmente.
Ma
Matt distrusse quei pensieri negativi.
«Felice?»
chiese retorico e lei aveva aggrottato appena le sopracciglia.
Non
fece in tempo a formulare un pensiero che la risposta del ragazzo
arrivò, la prese e la baciò appassionatamente,
stringendola forte.
«Ti
amo da morire» le sussurrò gemendo con la testa
nell’incavo del
suo collo.
Sora
chiuse gli occhi e sentì le lacrime di gioia che la
pervadevano.
«Anche
io. Ti amo tanto» si aggrappò con le braccia alla
sua schiena e lo
strinse a sua volta.
Lui
le afferrò il volto e la baciò di nuovo.
Si
chiese come aveva fatto anche solo per un momento a chiedersi se
sarebbero stati davvero felici.
Si
erano distratti solo un attimo quando d’un tratto Sen si era
voltato e aveva notato una signora anziana che si avvicinava di
soppiatto in direzione del mixer.
Spalancò
gli occhi e si alzò da dov’era seduto rischiando
di travasare
tutto il drink sulla giacca.
«Ehi,
la vecchia sta toccando!» esclamò allarmato.
L’anziana
signora non dava cenni di aver udito, anzi ininterrotta armeggiava
con fili fino a staccare quello principale che spense la musica.
Yakamochi
la indicò.
«Qualcuno
la fermi!» chiese, ma nessuno dei parenti strambi della sposa
sembrava curarsene.
Avevano
tutti degli sguardi inquisitori e alteri.
L’altro
compagno di band tentò di avvicinarsi ma la vecchia si
voltò di
scatto puntandogli contro un bastone e facendolo indietreggiare con
le mani aperte in segno di resa.
I
due rimasero in quel modo mentre l’anziana li guardava di
sottecchi
e si chinava di nuovo a trafficare con le manopole e i fili del
microfono, inserendo a caso dei suoni amplificati per poi provocare
un forte effetto larsen a causa del quale furono tutti costretti a
tapparsi le orecchie.
Joe
corse subito a sistemare la situazione.
«Aspetta,
nonna, potresti prendere la corrente!» esclamò,
afferrandola dalle
braccia e cercando di allontanarla piano dalla postazione
«Lascia
che muoiano fulminati questi truzzi della dark polo gang!» li
apostrofò.
La
vecchia si fermò e si scostò dalla presa del
corvino, mettendosi
subito ad eseguire gesti arrabbiati con le mani e le braccia.
Alzò
il bastone e colpì Joe negli stinchi.
Quello
emise un urletto poco virile.
«Che
cosa cerchi di dirmi?!» sbottò esasperato
«Ho un pezzo di lattuga
tra i denti?» parlò con la bocca aperta toccandosi
un molare
«Ho
la cravatta messa male?» prese in mano i lembi della cravatta
lasciata aperta penzolante dai due lati
«Ho
i capelli rasati da un lato? Cosa?!»
La
nonnina lo guardava con le braccia incrociate come se fosse un matto
da legare.
Subito
Luchia si alzò dal tavolo degli sposi con uno sbuffo
irritato e
cominciò a camminare elegantemente verso suo marito.
«Jyou!»
lo ammonì, e quello si voltò a guardarla
stralunato.
Il
vestito da sposa lungo, davvero lungo, e aveva una scollatura
profondissima che tagliava il busto a metà e tratteneva il
seno con
delle coppe arcuate. L’abito aveva delle rifiniture ad onde
di un
tessuto che si sovrapponeva a quello della gonna e che partiva dalla
fine della scollatura e andava ad allargarsi sui fianchi. I capelli
erano pettinati in una strana e bombata acconciatura, si era tagliata
la frangetta e aveva degli orecchini ed una collana ricchi in
diamanti davvero appariscenti.
Joe
non riuscì a fare a meno di posare lo sguardo sulla sua
pancia
rotonda. Aveva mantenuto una forma fisica perfetta, nonostante tutto,
era sempre alta e slanciata e nemmeno sembrava incinta, a vederla
bene.
Forse
non lo era davvero, era solo una pancera e lo aveva preso in giro per
tutto quel tempo, o magari la pancia era scarsa perché era
di... Di
quanto era incinta? Cinque mesi? No, forse sei..
Aveva
in mano una sigaretta racchiusa in un bocchino che faceva tanto anni
Trenta e la esibiva tra le dita come fosse un trofeo.
«Daadee
ma vuole che venga messo il ballo tradizionale per il lancio del
bouquet!» lo rimproverò.
Suo
marito alzò gli occhi al cielo.
«E
non sa parlare daddala?» storpiò il nome
«Che ne sapevo io,
credevo volesse rubare la chitarra a Matt!» spiegò
indicando la
chitarra elettrica del biondo lasciata incustodita.
Poi
si rivolse agli altri due musicisti, mentre lei attendeva lì
in
piedi impaziente battendo un piede con i tacchi a spillo.
«Mettete
la musica tradizionale che dice mia moglie» ordinò
a bassa voce e
fece per andarsene.
Sen
si bloccò mentre sistemava il basso.
«Joe,
noi non abbiamo la minima idea di come suonarla!» si
lamentò
preoccupato.
Quello
emise un grugnito stizzito e si rivoltò.
«Mettetela
da youtube, santo cielo! Avrei dovuto chiamare una band più
capace!»
sbraitò.
I
due ragazzi si guardarono allarmati e andarono subito al computer a
cercare qualcosa.
Il
corvino sorrise a tutti i parenti di Luchia che lo fissavano sbieco,
soprattutto sua nonna. Si allontanò tentando di risultare
convincente su quello che stava facendo, ma doveva andare a cercare
il frontman di quella band del cavolo, cioè Yamato, e
trascinarlo di
forza a salvargli il sedere con un’improvvisazione.
Il
fatto era che non si vedeva in giro.
Allungò
il passo quasi scivolando su qualcosa di bagnato per terra e
improvvisamente qualcuno gli diede uno sberletto
sull’orecchio.
Era
suo fratello Shin. Lo odiava.
«Ehi,
Joe! Simpatica tua suocera!» esclamò indicando con
la testa la
donna che aveva ancora l’aria circospetta e indossava un velo
che
nascondeva metà viso.
«Mi
ha offerto del punch fatto in casa»
Lui
non gli diede nemmeno ascolto.
«Sì,
sì» fece un cenno con la mano per liquidarlo.
Che
si affogasse con quel punch schifoso!
Shin
lo trattenne ancora.
«Mi
ha anche detto che sono affascinante!» si vantò.
Joe
fece un’espressione adirata ma tentò di mantenere
la calma.
«Non
mette le lentine giuste» si limito a dire e cambiò
direzione
affinché si levasse davanti e non gli intralciasse la
strada. Aveva
intravisto i capelli biondo paglia di Matt e doveva trascinarlo al
pianobar.
Shin,
però, gli si parò di nuovo davanti.
«Ora
che ti sei sposato e stai per diventare padre posso dirti che ho
sempre creduto in te?» gli rivelò in tono serio e
mellifluo, mentre
lo stringeva da un braccio.
Joe
alzò gli occhi a guardarlo basito.
«Davvero?»
mormorò sentendo i lucciconi agli occhi.
Shin
gli sorrise e gli posò una mano sulla spalla.
Non
poteva crederci che stava succedendo, suo fratello gli aveva appena
fatto un complimento, questo voleva dire che in fondo teneva a lui...
Lo
sapeva, era sempre stato troppo avventato a criticarlo e a pensare
che era uno sporco sfruttatore razzista. Shin aveva un cuore, mentre
lui, Joe, aveva sempre cercato di distruggerglielo.
«No,
ovviamente. Era solo per farti fermare» rise e gli
tirò un pacca
potente sulla spalla che lo fece barcollare.
Joe
si guardò intorno e si rese conto di essere proprio al
centro della
sala, mentre tutti gli altri invitati si erano spostati e sistemati
ai lati formando un cerchio.
Assunse
una faccia inorridita.
«Che
diamine sta succedendo, per i Dieci Comandamenti!?» chiese
impaurito.
Alcuni
parenti russi di Luchia avevano delle facce che sembrava volessero
ammazzarlo. Che poi non capiva, quanti aprenti aveva nel mondo quella
lì?
Indiana
ma con una madre mezzo italiana, una serie di parenti mischiati tra
etnie indiane, russe, belga e cubane. Non ci capiva una mazza, dove
diamine era capitato?
Sua
suocera si avvicinò e gli mise addosso un specie di turbante
rosso
ornato di fiori e uno scialle. Si guardò inorridito, mentre
si
voltava e vedeva Luchia indossare un Mangtikka sulla fronte e un velo
rosso che le arrivava fino ai piedi.
«Ma
io... Io non posso!» esclamò intimorito, mentre
qualcuno gli alzava
le braccia e lo vestiva di altri fronzoli «State facendo un
errore,
non sono io a dover ballare!»
Luchia
si voltò a fulminarlo con lo sguardo da sotto il velo.
Sembrava
un’odalisca assassina. Gli avrebbe fatto tagliare la testa
come
Salomè e lui avrebbe fatto la fine di Giovanni il Battista,
lo
sentiva...
Si
fece il segno della croce di corsa.
«Gli
sposi devono aprire le danze e gli altri commensali tengono il
passo»
gli spiegò come se fosse ovvio.
Poi
aprì le braccia e un paio di sue cugine si adoperarono per
infilarle
degli anelli e dei bracciali.
«Non
lo hai mai studiato questo?» lo guardò poi,
arcigna.
Joe
alzò lo sguardo e vide uno che lo spazzolava con uno
spolverino da
barba facendogli entrare le setole dentro al naso. Un altro dei
parenti russi si avvicinava e gli metteva in bocca una bottiglia di
whiskey facendoglielo scendere giù forzatamente.
Tossì sentendosi
affogare.
Altri
due tizi gli toglievano le scarpe e gliene rifilavano un paio
appuntite a barca. Le guardò inorridito, poi uno degli zii
vichinghi
gli lanciò uno scappellotto e lo spinse di nuovo al centro
della
sala.
«Forse
nel libro di anatomia 3 avevo letto qualcosa, sai...»
riferì
sarcastico, mentre lei gli lanciava un semplice e breve sguardo
sprezzante.
«Parlo
del corso pre-matrimoniale che abbiamo fatto»
spiegò come se fosse
un bambino poco sveglio.
Joe
imprecò tra i denti.
«Lo
so che nei tuoi studi terapeutici non viene fatto accenno
all’arte
della sacra danza indiana» si beffò di lui mentre
si metteva in
posizione con le braccia al cielo.
Il
corvino strabuzzò gli occhi.
Stava
scherzando quella vacca, non era così?
Si
prendeva giuoco del suo mestiere, uno tra i più prestigiosi
e utili
al mondo, quando lei metteva i piedi uno dietro l’altro,
ondeggiava
con le braccia come un polpo e sapeva cucinare solo pollo al curry.
«Terapeutici?»
ripeté schifato, mentre fissava un punto imprecisato,
sconvolto da
quell’affermazione.
Ma
aveva idea in cosa consisteva l’arte medica? Credeva fosse
tutta
salti e movimenti volgari di bacino come faceva lei in quella scuola
di danza per esibizionisti?
Chi
glielo aveva fatto fare quel giorno di dieci anni prima a chiamarla
per intrattenerli con le sue danze? Era una stupida grigliata
organizzata a quella papera di Mimi, che non solo gli aveva fregato
la barca ma non lo aveva neanche ringraziato, che bisogno aveva di
chiamare una danzatrice del ventre indiana?
Potevano
giocare a tappo per intrattenersi da soli.
Quel
giorno si era incasinato la vita, e non solo perché si era
innamorato ignorantemente di lei, ma perché adesso quella
voleva
prendere il comando della sua persona.
Di
lui, di Jyou Kido.
«Perché
non ho adottato anche io un cane invece di imprenare questa figlia
dei bislacchi...» mormorò tra i denti, gettando
uno sguardo
invidioso e pieno di rimpianto verso il dobermann di TK e Kari.
Luchia
lo incenerì con gli occhi scuri.
«Cosa
hai detto?» sibilò minacciosa a denti stretti.
Lui
sussultò, poi deglutì, spaventato.
E
menava duro, tra l’altro. Meglio non farla adirare. Non
perché si
spaventasse, che fosse chiaro... solo, era per dimostrare
maturità.
«Che
ho voglia di ballare questa musica da matti!»
esclamò, esibendo un
sorriso a trenta denti.
La
donna alzò un sopracciglio, scettica.
«Bene,
allora seguimi» e schioccò le dita
affinché partisse la musica.
Cominciò
a muoversi in una strana danza fatta da saltelli e battiti di mano.
Joe era in evidente difficoltà, e non riusciva ad emulare un
passo
decente, solo zompava da un piede all’altro come se fosse
stato
morso da una tarantola, non beccava il tempo e rischiò pure
di fare
un ruzzolone.
Qualcuno
rise, alcuni dei parenti scellerati di sua moglie. Grugnì,
arrabbiato.
Doveva
essere deriso da un gruppo di sciocchi pellerossa oltraggiosi! Lui,
uno dei medici migliori di Tokyo!
Voleva
farli fuori tutti, pensò mentre eseguiva dei movimenti
circolari con
le mani come se stesse svitando una lampadina.
Sua
madre e suo padre lo fissavano con dei sorrisini preoccupati. Shin
rideva come una iena opportunista e carogna, qual era. Lì
accanto,
però, notò qualcuno che attirò la sua
attenzione. Sua suocera si
era tolta il velo che le copriva metà volto e aveva scostato
i
lunghi capelli castani, lanciandogli uno sguardo e una risata che gli
fece venire i brividi.
Aveva
già visto quella faccia, aveva capito chi era,
l’aveva
riconosciuta, finalmente!
Era
lei, dannazione, era lei!
«Adesso
ricordo chi è! Sabrina Ferilli!» la
indicò sembrando un ossesso,
mentre alcuni si voltavano a guardare il punto da lui indicato.
La
donna lo udì, si rimise il velo e si infiltrò tra
la folla.
Joe
allungò una mano.
«Sabrina!»
urlò.
Ma
proprio in quel momento tutta la gente si riversò a ballare
e gli
coprirono la visuale. Sua suocera era scomparsa e lui guardava ancora
con occhi sgranati il punto in cui si trovava prima.
Qualcuno
lo strattono da un braccio e lui si voltò pronto a sbottare.
«Forza,
bello di zia, è come fare zumba!»
Era
sua zia Janna che batteva le mani e saltava come un elefante
accalorato. Fece una smorfia inorridita, ma non riuscì a
sgattaiolare via da quella calca perché questa lo aveva
trascinato a
ballare con lei.
«’Nnaggia,
oh» imprecò tra i denti, mentre batteva le mani
con un sorriso
finto.
Tutte
a lui capitavano! Però meglio reagire con filosofia, proprio
come
stava facendo.. Ci teneva alla buona riuscita delle cose, e non amava
fare figure troppo umilianti. Perciò, nonostante si sentisse
uno
stupido dentro, doveva adeguarsi a tutto e continuare a fingere di
starsi divertendo da matti ad un matrimonio multietnico imposto,
sfoggiando proprio quel luminoso sorriso che avrebbe fatto invidia
perfino ad un cielo stellato.
Tai
ne approfittò di quella confusione per sgattaiolare via
dalla
mischia. Il cellulare gli vibrò nuovamente e diede una
veloce
occhiata al messaggio che ne susseguì. Fece un sorriso e lo
ripose
di nuovo in tasca, poi si disperse senza farsi notare.
Sora
e Matt, nel frattempo, camminavano tenendosi mano nella mano. Il
biondo si era chinato per darle un bacio a fior di labbra e la
ragazza aveva sorriso, felice.
D’un
tratto si resero conto di quello che stava succedendo intorno a loro
e si avvicinarono alla calca di gente che ballava e si dimenava nel
bel mezzo della sala.
Matt
si stranì.
«Ma
chi è che sta suonando? Non mi dirai che sono...»
Lanciarono
entrambi uno sguardo verso la postazione del pianobar e videro Sen,
Masaru e Yakamochi che si impegnavano a suonare con alcuni parenti di
Luchia.
La
musica hindi era stata sostituita da delle canzoni russe suonate da
una sorta di balalaika cui un signore barbuto era intento a
schitarrare.
Nel
centro Luchia e Joe saltellavano e si muovevano a ritmo della
Kalinka.
Sora
scoppiò a ridere fino a sentire le lacrime agli occhi. Il
cagnolino
di TK e Kari saltò giù dalle braccia di questa e
prese a
gironzolare intorno allo sposo cercando di mordergli i pantaloni.
Il
corvino tentò di scrollarselo di dosso.
«Kalinkakalinkaa-Pussa
via, sciò, mi stai facendo sbagliare!»
esclamò, pestando i piedi
per spaventarlo.
TK
era subito corso a recuperarlo.
Matt
fece un’espressione buffa aggrottando le sopracciglia e
guardò la
ramata, basito. Lei lo tirò per un braccio.
«Dai,
andiamo anche noi!» lo esortò, divertita.
Lui,
però, intravide Luchia che andava a recuperare il suo mazzo
di fiori
e oppose resistenza.
«No,
aspetta!» esclamò.
La
ramata lo guardò sospettosa. Allora lui la strinse da dietro
con le
braccia e fece in modo che si posizionassero in un punto tra le
persone da dove potevano aver ben chiara la visuale.
«Aspetta»
ripeté in un sussurro al suo orecchio, suonando convincente.
Sora
allora guardò avanti aspettandosi qualcosa.
Mimi
si muoveva a ritmo saltellando da un piede all’altro, poi
faceva
delle giravolte veloci attaccandosi al braccio di Yolei che era
euforica e riprendeva tutto con un cellulare sorretto da un lungo
bastone che registrava ampiamente a 180 gradi.
Non
riusciva quasi più a respirare. I balli erano cambiati
repentinamente da una canzone tradizionale all’altra, e tutte
erano
movimentate e prevedevano saltelli.
La
ragazza con i capelli viola urlava e si dimenava, e lei fece lo
stesso sentendo in testa la pesantezza del vino rosso. Mosse di qua e
là i capelli castani per l’occasione acconciati in
delle onde
perfette, e si spettinò tutta, poi scoppiò a
ridere, mentre Yolei
urlava cose come un’ossessa continuando a girare il video.
La
ragazza sentì la testa girare e dovette fermarsi un attimo,
alzandosi i capelli per aria e sventolandosi con le mani.
Ma
dov’era Tai? Lo aveva perso di vista, eppure gli era sembrato
di
averlo visto andare via poco fa in maniera furtiva... Che non le
stesse nascondendo qualcosa?
Prese
a ridere sguaiatamente quando Yolei urlò parole russe
inesistenti,
fino a quando le luci in sala non si abbassarono.
Si
guardò intorno spaesata.
Gli
invitati smisero di ballare e Luchia si erse da sopra un piedistallo.
Si era tolta via gli altri costumi tradizionali e manteneva il
semplice abito bianco.
Esibì
il grande bouquet.
«Mettetevi
in linea orizzontale, donne! Se c’è qualche uomo
che avanzi pure»
esclamò e suo marito la prese in parola mettendosi in prima
fila.
«Non
tu, stoccafisso!» lo riprese e Joe imprecò tra i
denti,
andandosene.
Mimi
si sentì spinta in avanti da una pila di ragazze che si
accalcavano
per accaparrarsi il posto migliore.
Subito
spalancò gli occhi e si rese conto di quello che sarebbe
successo.
La sposa avrebbe lanciato il suo bouquet. Non seppe come mai ma
sentì
il cuore batterle forte.
Forse
era ubriaca, o il lancio del mazzo le procurava sempre una forte che
emozione. Non sapeva nemmeno il perché; era ridicolo,
d’altronde.
«Arriva
il lancio! Uno, due, e...»
Mimi
si aspettò che dicesse tre, ma Luchia non parlò
oltre. Si fermò,
scese dal piedistallo e si voltò a guardarla. Stava
guardando
proprio lei, ne era sicura.
Le
si avvicinò e le diede il mazzo di fiori in mano, poi si
allontanò
con un sorriso enigmatico.
Perché
lo aveva fatto? Non ci stava capendo più niente... Le luci
erano
soffuse, la musica suonava una melodia lenta e dolce, e tutti gli
invitati si erano spostati da un lato. Si guardò intorno e,
stupita,
si rese conto di essere rimasta da sola al centro della sala.
Faceva
parte del ballo? Forse doveva dare il mazzo ad un’altra
invitata e
non lo sapeva... Diamine, ci stava facendo una figura pessima...
Inaspettatamente,
vide Taichi arrivare da un punto imprecisato, farsi largo da dietro
un paio di persone e camminare verso la sua direzione.
Sentì
il cuore che cominciava a salirle fino alla gola.
Lo
guardò con un’espressione stupefatta, mentre lui
manteneva in
volto un’aria misteriosa. Furono uno davanti
all’altro.
«Oddio,
che succede?» gli chiese preoccupata, mentre gli occhi erano
appannati e si sentiva stordita.
Nel
frattempo, Joe aveva spalancato le orbite non appena si era reso
conto di quello che stava succedendo.
«Ma
quello è...» provò ad urlare, ma Luchia
gli pestò prontamente un
piede con lo spillo del tacco.
«Chiudi
quel becco da uccello tuki tuki!» lo redarguì e
lui si tenne il
piede dolorante emettendo uno strillo di dolore acuto.
Sora
cominciò già a sentire le lacrime agli occhi e si
portò una mano
alla bocca, mentre Matt la stringeva ancora di più con un
sorriso.
Mimi
guardava Tai ancora stupita e un tantino allarmata. Non capiva bene
cosa stesse succedendo, o meglio, laddove il suo cervello tentasse di
formulare un pensiero razionale, lei stessa si dava della sciocca.
Il
castano si passò una mano tra i capelli e si decise a
parlare.
«So
che mi stavi cercando perché volevi trascinarmi a ballare,
infatti
l’ho fatto apposta a nascondermi» le
rivelò con una risatina che
voleva apparire divertita, ma che in realtà faceva trapelare
tutta
la sua agitazione.
Joe
grugnì dopo essersi rialzato.
«E
hai fatto bene...» commentò con rammarico.
La
castana lo fissava come se non fosse sicura che quello stesse
accadendo realmente e che lui fosse Taichi.
Questi
si rese conto che era un po’ a disagio e tentò di
sdrammatizzare.
«Anche
perché se fossi rimasto probabilmente mi sarei messo a
ballare anche
io sul serio e avremmo fatto casino come al solito. Quindi me ne
sarei dimenticato»
Mimi
sciolse finalmente le spalle e si mise a ridere, tenendosi il viso
con la mano libera.
Aveva
più che ragione. Si comportavano da scemi quando erano
insieme.
Tai
si schiarì la voce e divenne più serio.
Puntò gli occhi su quelli
di lei e vide che erano pervasi da uno strano bagliore.
«Per
questo ho pensato che non c’era momento migliore di questo.
Inaugurare quello che sto per fare proprio adesso» lo vide
mettersi
una mano in tasca e prendere qualcosa «è di buon
auspicio»
Sentì
il cuore che batteva distrattamente come fosse alienata. In sala era
calato il silenzio più assoluto.
Tai
tirò fuori una scatolina di velluto rosso e la
rigirò nelle mani
come se stesse pensando a qualcosa. Poi alzò lo sguardo con
un
sorriso rassegnato.
«Deve
esserlo, perché se mi dirai di no dovrei riciclarlo a Joe e
Luchia
come regalo»
Il
nominato in questione alzò le spalle.
«Taccagno...»
sibilò.
Mimi
cominciò a mettere lentamente insieme i pezzi del puzzle.
Gli occhi
le si riempirono di lacrime.
Non
appena lo vide inginocchiarsi pensò di poter cascare per
terra tanto
sentiva le gambe di gelatina e il vino non migliorava a stabilizzare
la sua condizione.
«Forse
è un po’ imbarazzante»
commentò il castano con una smorfia
mentre dava un’occhiata a tutte le persone che li stavano
osservando. Poi guardò di nuovo lei, risoluto.
«Ma
noi siamo così, lo sai, amore. Siamo egocentrici, ci piace
essere al
centro dell’attenzione. Non abbiamo misure, o tutto o
niente»
Era
assolutamente vero. Loro due erano fatti in quel modo, si
assomigliavano molto. Erravano insieme, si perdonavano insieme, si
amavano in maniera imperfetta ma straordinariamente intensa.
Le
scesero due lacrime che non riuscì a trattenere.
«Già»
mormorò.
Tai
socchiuse gli occhi e prese un gran respiro. Poi aprì la
scatolina e
la portò di fronte a lei.
Joe
cominciò a sentire intorno a sé singulti di gente
che si emozionava
e fece una smorfia, percependo dei conati di disgusto pervaderlo. Poi
Tai parlò di nuovo.
«Quindi
credo sia arrivato il momento dopo così tanti anni, dopo
esserci
persi e poi ritrovati con una consapevolezza diversa, cioè
quella di
voler stare insieme per sempre... credo sia arrivato il momento di
renderlo concreto» fece una pausa in cui Mimi
pensò di star
sognando.
Ma
era tutto reale, perché lui pronunciò quella
domanda.
«Mi
vuoi sposare?»
Il
silenzio era assordante e le lacrime si erano fermate. Aveva portato
entrambe le mani al viso, lasciando cadere il mazzo per terra e aveva
abbassato la testa. Non ci poteva credere che glielo aveva proposto
in quel modo, davanti a tutti...
Non
sapeva che dire, non sapeva cosa fare. Si sentiva bloccata come se
fosse scolpita nella pietra.
Tai
la fissava attendendo una risposta e cominciò a sentire
l’ansia
assalirlo. Quello sguardo non riusciva a decifrarlo, sembrava ci
stesse pensando, sembrava sconvolta, ma Mimi non era una che di
solito ci pensava troppo, quindi il fatto che stesse ritardando a
rispondergli era...
Non
riuscì a finire il pensiero che subito quella lo interruppe.
«Sì…
certo» alzò il viso guardandolo con un sorriso
«Certo che lo
voglio, certo!»
E
subito gli fu addosso abbracciandolo e baciandolo. Lui non
riuscì a
trattenere il peso ricevuto all’improvviso e perse
l’equilibrio
facendo cascare entrambi per terra.
Ci
fu uno scroscio di applausi, di urla e di fischi.
Mimi
non aveva smesso di baciarlo, lo baciava dovunque e le lacrime le
sgorgavano come un fiume in piena, ma rideva, continuava a ridere
incessantemente.
«Non
pensavo avessi mai potuto farlo!» esclamò,
sollevando appena la
testa mentre erano ancora sdraiati per terra e lei era sopra di lui.
«Mi
sottovaluti» ghignò il ragazzo, poi si
drizzò con il busto e si
mise a sedere.
Staccò
l’anello dalla scatola e subito le afferrò
l’anulare della mano
sinistra, infilandole l’anello. Mimi alzò la mano
e osservò i
diamanti che brillavano.
Si
guardarono e risero felici. Mimi si avvicinò e gli prese il
viso,
avvicinandolo al proprio.
«Ti
amo immensamente» mormorò sulle sue labbra.
Lui
sorrise.
«Anche
io, non hai idea di quanto ti amo» gli uscì
spontaneamente.
E
lei subito gli fu di nuovo addosso continuando a baciarlo, sdraiati
l’uno sopra l’altro. Dopo staccò a
malapena le labbra da quelle
sue e lo guardò ancora incredula.
«Gli
altri lo sapevano?» chiese, dando una veloce occhiata al
resto degli
invitati.
Tai
la teneva stretta dai fianchi, la testa appoggiata contro il
pavimento.
«Matt,
ovviamente. E Luchia, mi ha retto il gioco con il bouquet. Pensa che
anche Harumi sapeva tutto, gli chiedevo consigli» le
rivelò.
Harumi
era il suo allenatore dell’Osaka. Lo apprezzava, lo
incoraggiava,
avevano costruito un rapporto di amicizia che mai avrebbe pensato si
potesse costruire davvero dopo quello che gli era successo in
passato.
Mimi
spalancò gli occhi.
«No
va be!»
«Sì,
prima era lì che mi mandava messaggi chiedendomi
“allora l’hai
fatto, non l’hai fatto?”» gli
raccontò.
I
due risero e continuarono a baciarsi isolandosi dal resto che perse
improvvisamente di importanza.
Joe
li guardava con invidia e irritazione. Quell’indegno di
Taichi
aveva dovuto organizzare tutta quella piazzata solamente per rubargli
la scena e togliere tutta l’attenzione da lui!
Come
se non bastasse quella vacca grassa di sua moglie piangeva senza
ritegno.
«Cazzo
ti piangi? Non è altro che una corbelleria!» la
guardò schifato.
Quella
alzò gli occhi rossi e lo strozzò con lo sguardo.
«Taci,
Joe. Sono gli ormoni» biascicò con la voce
incrinata, soffiandosi
il naso.
Baggianate,
pensò Joe. Poi sentì un pesò sulla sua
spalla e qualcuno che lo
agguantava pesantemente da un braccio. Rabbrividì vedendo
sua zia
Janna che piangeva allo stesso modo.
«Zia,
ti prego! Rispettiamo un po’ di spazio interpersonale,
avanti!»
esclamò tentando di allontanarla stomacato.
Quella
si pulì il naso con un fazzoletto di stoffa facendo
parecchio
rumore.
«E’
che mi manca Tolomeo! Adesso che è in Costa Rica con quella
ragazza
e i suoi dieci figli mi manca tanto e tu me lo ricordi!» si
lamentò
tra le lacrime.
Joe
fece una smorfia sentendo di essere in procinto di vomitare. Si
scostò dalla presa di sua zia e andò al centro
della sala dove i
due promessi sposi erano ancora in terra a fare le zozzerie.
Si
accigliò e si avvicinò, picchiettando la spalla
di uno di loro.
«Scusate!»
si annunciò con voce melliflua, le mani giunte,
un’espressione
gentile.
Mimi
e Tai smisero di baciarsi e si voltarono a guardarlo.
Lui
mantenne un tono zuccheroso, gli zigomi rialzati in un sorriso
asimmetrico.
«Non
solo mi avete rubato la scena, ma sembrereste in procinto di
accoppiarvi nel bel mezzo della mia sala da cerimonia. Potreste, che
ne so, ALZARVI DA QUEL CAZZO DI PAVIMENTO E DARVI UN
CONTEGNO?!»
strepitò come un matto.
I
due non se lo fecero ripetere, si misero subito all’ impiedi
e
sgattaiolarono via.
Joe
sospirò pesantemente in quello che sembrava un ringhio
esasperato.
Si passò una mano tra i capelli ma subito fece una faccia
schifata.
Aveva esagerato con il gel.
Alzò
le braccia al cielo e con uno sbuffo si fece largo tra la folla
camminando senza una meta ben precisa.
Aveva
bisogno d’aria dopo quelle figure insabbianti.
In
successione alle canzoni tradizionali era toccato ai balli di gruppo
e, sinceramente, quello non lo poteva sopportare.
Vedere
Luchia e sua zia Janna che ballavano zumba era uno spettacolo
raccapricciante. Doveva dileguarsi nell’immediato altrimenti
avrebbero sicuramente incastrato anche lui.
Uscì
fuori dalla mischia di persone e, d’un tratto, uno strano
odore gli
fece rizzare le narici. Era un odore strano, come di pollo arrosto, e
proveniva perpendicolare ai bagni.
Rimase
con gli occhi sbarrati a pensare e fece due più due.
A
meno che qualcuno non stesse facendo un barbecue dentro un cesso,
quella puzza apparteneva a qualcosa di vagamente familiare...
La
sua mano si avvicinava lentamente alla maniglia della porta.
Ce
l’aveva in pugno.
Improvvisamente
qualcuno lo chiamò al microfono. Era Matt. Strinse i pugni e
imprecò.
«E
aspetta, non vedi che sto per aprire una dannata porta?!»
sbraitò.
Perché
non lo lasciavano mai in pace? Per diana, la privacy era una
sconosciuta per quegli individui!
Si
voltò di nuovo verso la porta e posò la mano
sopra la maniglia.
«Non
avevi detto che dovevamo fare quella cosa?» lo
destò il biondo, e
subito la lampadina del suo cervello si accese.
Si
voltò con un sorriso elettrizzato.
«Arrivo!»
urlò e si dimenticò della porta e di quello che
stava facendo.
Superò
velocemente le persone che gli intralciavano la strada spingendole
con sgarbo ed arrivò davanti al mixer dove Matt e gli altri
componenti della band lo attendevano.
Izzy
e TK avevano un bicchiere in mano e li raggiunsero.
«Che
intendi fare?» chiese il rosso scettico, vedendolo saltellare
gioiosamente come un bambino a Natale.
«Sicuramente
una cosa più sensata di tutta la tua esistenza,
Koushiro» fu la
frettolosa risposta che ne susseguì.
Quello
alzò un sopracciglio scuro e lanciò uno sguardo
interrogativo a
Takeru che sorrideva divertito mentre lo osservava trafficare.
Muoveva cose di qua e di là, afferrando fili e spostandoli
senza
nemmeno sapere cosa stesse facendo; solo era così fomentato
da non
vederci più.
Matt
lo afferrò da un polso stritolandolo e fece in modo che
posasse
subito uno degli amplificatori che stava maneggiando.
«Non
mi dire che vorresti cantare?» chiese poi TK non appena lo
vide
trasferire la sua attenzione verso un microfono rimasto incustodito
su un’asta.
Joe
si voltò a guardarlo con gli occhi che gli brillavano da
dietro gli
occhiali scuri.
«Lo
faremo tutti! Canteremo un pezzo scritto da me e arrangiato da
Yamato. Certo, l’emozione delle parole supera di gran lunga
la
banalità dell’arrangiamento, ma...»
spiegò con enfasi, poi si
distrasse e puntò lo sguardo sul cane del biondino che
scodinzolava
sotto di loro.
«A
proposito, il bastardo come si chiama? Ferdi? » chiese
pensieroso.
Ci
avrebbe scommesso un’anca che si chiamava Ferdi. Suonava
così bene
per inventare delle scuse.
Il
più piccolo lo prese in braccio accarezzandolo, poi fece un
sorrisino.
«Ehm,
in realtà lo abbiamo chiamato Kido» rispose
tentennando.
Joe
rimase pensieroso ancora per qualche secondo, poi rinsavì
non appena
collegò.
«Come
me?!»
«Beh...»
«Perché
non lo avete chiamato Matt come la bestiaccia di tuo
fratello?!»
lanciò per aria degli spartiti.
La
persona in questione strabuzzò gli occhi arrabbiato,
prendendolo
dalla nuca e facendo in modo che si piegasse per terra a raccogliere
i fogli che aveva gettato.
«Vedi
di darti una mossa e smettila di sparare cavolate, burino!»
ruggì,
poi lo lasciò dandogli una spinta. Sentì la mano
sporca di gel e
con una smorfia disgustata la pulì sopra la sua camicia
bianca piena
di pieghe. Della giacca ancora nemmeno l’ombra.
Quello
si rialzò e posò gli spartiti stizzito sopra una
tastiera. Poi si
sistemò gli occhiali che gli pendevano da un lato e si
portò le
mani sui fianchi facendogli il verso.
«Burino
è ormai passato di moda! Sii più originale dopo
vent’anni.
Potresti chiamarmi, che ne so, grossolano? Picaro?
Sobillatore?»
Izzy
aveva un’espressione scettica.
«Burino
renderà sempre il concetto di quello che sei. Solo che
sposato» e
bevve dal suo bicchiere.
Joe
ebbe un luccichio folle negli occhi non appena lo udì
parlare, così
si precipitò dal batterista che aveva appena alzato in aria
le
bacchette, sfilandogliele dalle mani.
Poi
con un urlo imbizzarrito si voltò in sua direzione pronto a
colpirlo.
«Grrrr!
Ti cavo gli occhi! Vieni qua! VIENI QUA!» strepitava
dimenandosi,
mentre TK lo bloccava dai fianchi e Kido aveva incominciato ad
abbaiare ai suoi piedi, mordendogli di nuovo i pantaloni.
Quella
lite ebbe vita breve perché Matt schioccò stufato
le dita e
partirono a suonare. La musica si espanse per tutta la sala, e Joe
cambiò espressione nell’immediato, scavalcando il
piano bar e
posizionandosi in bella vista per l’esibizione.
Tai
e Mimi si fecero largo tra la folla, incuriositi. Erano entrambi in
disordine e avevano le labbra rosse. Matt notò il suo
migliore amico
e gli fece cenno di avvicinarsi con un dito. Questo non se lo fece
ripetere due volte e lo raggiunse posizionandosi accanto a lui. Gli
sorrise entusiasta e Matt gli passò un braccio sulle spalle,
poi gli
passò un microfono ed iniziò a cantare i primi
versi leggendo il
testo dal monitor.
«Mugendai
na yume no ato no nanimo nai yo no naka ja...»
Gli
altri si avvicinarono a loro volta. Izzy posò il bicchiere e
trascinò Frankie dalla mano che emise uno strillo eccitato.
TK fece
cenno a Kari e questa lasciò il cagnolino alla zia Janna,
raggiungendolo. Mimi e Sora si presero per mano e corsero a
posizionarsi dal lato sinistro.
Joe
diede a fatica un aiuto a Luchia ed entrambi si issarono sopra il
tavolo nunziale, ballando.
Tutti
cantarono un pezzo di canzone a turno, storpiando un po’ il
ritmo,
ma divertendosi da morire.
Matt
suonava la chitarra elettrica in contemporanea e Tai ormai ci aveva
preso gusto a cantare. Voltarono la testa l’uno verso
l’altro, si
avvicinarono con la fronte e risero entrambi. I diamanti
dell’anello
di Mimi luccicavano mentre alzava in aria le mani unite di lei e
Sora. Kari volteggiava leggiadra dal lato opposto.
D’un
tratto Joe sparì sotto le gonne di Luchia e ne
uscì fuori con una
giarrettiera blu in bocca.
Tutti
scoppiarono a ridere e lui la fece girare tra le dita saltellando con
i piedi.
Izzy
chiamò qualcuno per farsi prestare qualcosa, poi si
staccò dalla
mandria portando Frankie con sé. Posizionò il
cellulare sul bastone
lungo e fece in modo che l’inquadratura prendesse tutti.
«Guardate
qua!» esclamò.
I
ragazzi si voltarono e TK fece in tempo a lanciare per aria il suo
cappello grigio che venne immortalato nella foto appena scattata.
Andava
tutto bene.
«AAAAAAAAARRRGH!»
Si
voltarono tutti verso la fonte di quell’urlo. Luchia si
trovava
ferma, piegata su sé stessa che si teneva la pancia rotonda
con in
volto un’espressione sofferente.
La
canzone era appena finita.
«Oddio,
che ha?» chiese Mimi, spaventata.
L’espressione
della donna non presagiva nulla di buono. Lentamente videro che si
accasciava sopra il tavolo quasi avesse perso i sensi.
Kari
gettò uno strillo.
«Sta
male!»
Joe,
che dapprima era rimasto lì fermo come un ebete, subito si
precipitò
a trattenerla da sotto le ascelle, mentre lei si aggrappava con una
mano al suo braccio per non scivolare.
Il
corvino aveva in volto una ruga di apprensione che gli divideva in
due la fronte.
«Hai
esagerato con le cozze?» gli chiedeva allarmato, mentre lei
continuava a lamentarsi e gli faceva cenno di tenergli il vestito.
Lui
la fece adagiare sul tavolo a gambe aperte e subito iniziava a
spostare l’ampio abito di qua e di là.
«Te
l’avevo detto che non dovevi mangiartele con il panino alla
Nutella!» la rimproverò.
Alcuni
fecero un’espressione stralunata, mentre la donna alzava la
testa e
lo guardava con un occhio aperto e uno chiuso e grugniva un
po’ per
il dolore, un po’ per l’ira.
Joe
mollò subito la sua mano e le alzò entrambe in
segno di difesa.
«Eh
la peppa! Non ti preoccupare, mica è gente che
giudica» e fece
cenno verso tutti gli altre che facevano da spettatori da sotto,
preoccupati ma interrogativi.
Luchi
strinse forte i denti e aprì anche l’altro occhio,
puntandolo su
di lui in maniera truce.
«Joe»
chiamò.
«Eh?»
Si
contorse per il dolore.
«Si
sono rotte le acque» annunciò poi, non appena
riuscì a respirare.
Subito
un mormorio si alzò dalla sala, qualcuno emise un gridolino
eccitato, la madre di Joe si portò una mano al petto e sua
zia Janna
cominciò a battere le mani.
Sora,
Mimi e Kari si avvicinarono a parlottare mentre mandavano loro
occhiatine. Il batterista diede un colpo al piatto per scaricare la
tensione.
Il
ragazzo non capì.
Di
che acque parlava?
Sbatté
le palpebre, perplesso.
«Eh…
e non si possono riparare? Dobbiamo chiamare
l’idraulico?»
Insomma,
gli dicesse ciò che doveva essere fatto e via, quante
storie. C’era
bisogno di fare tutto quel teatrino inutile che nemmeno Heidi quando
voleva tornare tra i monti...
Luchia
gettò un altro grugnito e gli strinse il braccio, affondando
le
lunghe unghie rifinite in gel dentro la sua carne e facendolo
abbassare alla sua altezza.
«Vuol
dire che ho le contrazioni, emerito idiota!»
sbottò con voce
altisonante.
Calò
il silenzio. Poi d’un tratto un mormorio, e un altro ancora.
Tutti
si mossero di qua e di là cominciando ad adoperarsi, sua
madre tirò
fuori un telefono.
«Chiamo
l’ambulanza!» comunicò, emozionata.
Joe
continuava a guardarla come se avesse parlato greco antico.
«Che…
che significa... non capisco...» biascicava in shock, mentre
le
ragazze aiutavano Luchia a scendere giù dal tavolo con non
poca
difficoltà.
Matt
scosse la testa mentre riponeva la chitarra elettrica dentro la
custodia, mentre Tai alzava le braccia e le faceva ricascare sulle
cosce emettendo un rumore in segno di esasperazione.
«Sta
per nascere tuo figlio!» lo illuminò.
Joe,
rimasto sopra il tavolo, lo fissò spaventato.
«Figlio?»
borbottò con gli occhi fuori dalle orbite.
Si
voltò a guardare Luchia tutta raccolta su sé
stessa che veniva
adagiata su delle sedie. Le avevano appoggiato le gambe e la
sventolavano come un sultano.
No,
non poteva essere, non lo aveva calcolato... Lui credeva che sarebbe
successo in un tempo futuro e lontano, non di certo quel giorno.
Doveva esserci un errore, ne era sicuro. Magari sua moglie aveva
esagerato con il cibo, d’altronde mangiava come una balena e
ruttava come un camionista. Non poteva essere che un mini lui fosse
pronto ad essere lanciato fuori dalle interiora di quella donna!
Non
si sentiva pronto ad affrontare tutto quello, non riusciva ad
immaginarsi intricato in notti insonni a cambiare pannolini
puzzolenti ed essere schizzato di latte bollente sul volto.
Aveva
bisogno della sua vita, bastava già lui ad essere un
tirapiedi, non
voleva averne un altro in casa e poi andare a fare il turno in
ospedale alle cinque di mattina!
Subito
scese dal tavolo con un balzo e si precipitò da Luchia, che
aveva le
gambe aperte, il vestito alzato fino al ventre e teneva strette le
mani di qualcuno.
L’afferrò
dalle spalle e fece in modo che lo guardasse.
«Luchia,
gioia della mia vita, cuore del mio cuore, io ti giuro che
farò di
tutto perché tu stia bene!» esclamò
celebre, mentre lei urlava per
il dolore delle contrazioni.
Doveva
tentare la sua ultima carta, quella poteva perfino sputarlo dalla
bocca!
Fece
finta di accarezzarle la testa con amore, ma si abbassò fino
al suo
orecchio di soppiatto.
«Sei
ancora in tempo, dimmelo. Dimmi, è veramente mio
figlio?» le
sussurrò tra i denti, mentre quella ruggiva con il sudore
che le
scendeva dalla fronte.
Lo
guardò sconvolta, ma lui continuò a darle
colpetti sulla testa.
«Puoi
dirmi la verità, non mi arrabbio. Dimmi se non lo
è, coraggio,
avanti, ti giuro che sarò molto diplomatico...»
continuava ancora a
dire tutt’ad un fiato.
Quella
strinse i denti.
«Certo
che è tuo figlio! Di chi dovrebbe essere,
sennò?!» urlò.
Lui
le prese una mano tra le sue e l’accarezzò,
facendole cenno di
tacere dolcemente altrimenti avrebbe sentito più dolore.
Poi
si riabbassò con una speranza impressa negli occhi.
«Quel
nero della scuola di danza, quel Carlos!» tentò.
«E’
gay!» sbottò lei.
Joe
rimase di stucco e fece cadere lentamente la sua mano.
Allora
era proprio vero, stava per diventare padre.
Si
allontanò camminando all’indietro lasciandola
ansimare e urlare.
Una mano sopra il suo petto come segno che stava iniziando a sentirsi
male. Sbatté contro qualcuno.
«Coraggio,
Joe! E’ questione di tempo ormai!» era suo fratello
Shin che gli
alzava il pollice, entusiasta.
Sentì
la rabbia rizzare i capelli neroblu.
«E’
questione di tempo prima che ti uccida definitivamente, flagello di
Dio!» ululò imbizzarrito, sentendo il corpo
iniziare a tremare.
Cominciò
a correre, cominciò a vedere tutto distorto. Dio, si sarebbe
sentito
male... Non sapeva dove stava andando, non sapeva nemmeno se esisteva
realmente...
«Non
è possibile! Credevo mancasse ancora del tempo! Deve esserci
una
telecamera nascosta!» sbraitava preso dal panico. Poi metteva
a
soqquadro i tavoli, lanciava le posate, prendeva le bacchette di Sen
e le spezzava in un colpo netto con un forza immane, spalancava le
tende e guardava negli angoli per constatare se tutto ciò
fosse una
candid in camera.
E
correva di nuovo, urlava, si toccava i capelli sporcandoli di gel.
Improvvisamente
s’ imbatté contro i suoi amici che lo fissavano
come se fosse
matto. Lui si portò le mani al volto rielaborando fedelmente
l’urlo
di Munch.
«Non
ero pronto nemmeno a sposarmi!» confessò con le
lacrime agli occhi
«Nessuno
di voi ha notato che balbettavo mentre leggevo le promesse? Volevo
fuggire in Kazakhistan! Non sono pronto per diventare padre!»
ammise
in un pianto disperato.
Il
cane di TK abbaiava imperterrito e questo cercava di farlo stare
buono, ma aveva addirittura preso a ringhiargli contro considerandolo
un pericolo da sopprimere.
«E
te ne rendi conto dopo nove mesi?» fu la domanda sarcastica
che gli
fece Izzy.
Volle
rispondere con sgarbo che aveva calcolato male usando il calendario
Maya, ma Luchia gettò un acuto così forte che
furono costretti a
tapparsi le orecchie.
Joe
aveva il panico che scorreva da dietro gli occhiali.
«Santo
cielo, sembra un cavallo che ha le coliche! Qualcuno
l’aiuti!»
cominciò a correre di nuovo, invocando nomi di gente che non
corrispondevano a quelli reali
«Ilir!
Saluan! Moujhu! Chiamate un medico! Chiamate
un’ambulanza!»
A
quell’urlo tutti si voltarono a guardarlo, perfino Luchia.
Lui
cominciò a barcollare lentamente.
«Cazzo,
sono io, s-sì… O-okay, allora so quello che devo
fare...» tentò
di fermarsi, si passò due dita sulle meningi per poter
pensare.
Fece
un respiro profondo.
«E-ecco,
allora... b-bisogna cominciare con la pressione, q-qualcuno porti il
misuratore...» biascicava, cominciando a vedere confuso, i
colori
che lentamente si scolorivano e i suoni che si spegnevano.
Girò
più volte su sé stesso per tentare di rimanere in
piedi.
«P-poi
bisogna a-aprire la b-b-bocca della p-p-paziente e infilarle il... il
termo… il termometro, p-possibilmente non uno della
C-chicco...
bisogna misurarle la... la...»
«LA?»
gli chiesero.
Lui
chiuse gli occhi e fece una smorfia irritata.
«La...
La... oh, cazzo vuoi, ci sono troppe cose da ricordare! Lasciami
pensare... la... N-non mi sento la faccia, è
normale?»
Lo
videro che faceva un altro giro di 360 gradi e lasciava cadere le
braccia sui fianchi. Li guardò. Loro guardarono lui.
Sorrise
sghembo.
«Io
non sono normale» ammise con una risatina isterica.
Poi
alzò gli occhi al cielo, gli occhi diventarono bianchi, le
palpebre
si chiusero e cadde per terra, svenuto.
Silenzio.
Tai
e Matt si lanciarono uno sguardo. Izzy rise. TK gli scattò
una foto.
Si
avvicinarono e lo tolsero da lì, facendolo strisciare per
terra,
mentre Kido continuava ad aggrapparsi ai pantaloni del vestito,
riuscendo perfino a strappargli un lembo di stoffa.
L’ambulanza
era ferma, parcheggiata di fronte il ristorante.
Subito
la porta centrale si aprì e ne uscirono di corsa degli
infermieri
che trascinavano una barella sopra cui giaceva Joe, privo di sensi,
un braccio che penzolava da un lato.
Dietro
di loro, Luchia alzava i lembi del vestito in maniera tale che non
strofinasse per terra ed avanzava imperiosamente senza farsi toccare
da nessuno.
Alcuni
di loro uscirono e guardarono la scena dall’ampio affaccio.
Il sole
stava tramontando e il cielo cominciava a tingersi di un meraviglioso
rosso.
Le
porte dell’ambulanza vennero spalancate e Luchia
salì a bordo
senza battere ciglio, sedendosi e guardando tutti con
un’espressione
altera.
Si
chiesero come riuscisse ad essere così tranquilla in un
momento del
genere. Stava andando a partorire e non batteva ciglio, al contrario
di Joe che, paradossalmente, era quello che aveva subito più
danni
psicologici, oltre che fisici. Aveva un bernoccolo sulla fronte e gli
occhiali gli si erano spezzati proprio nel mezzo dell’asta.
Della
madre della sposa nemmeno l’ombra.
Tai
arrivò proprio in quel momento e affiancò Matt,
porgendogli un
bicchiere. Questi non fu sorpreso, lo afferrò e
continuò a guardare
la barella che stava per essere imbarcata.
«Li
hai trovati?» chiese solo.
Il
castano afferrò un pacco dalla tasca destra e gli fece cenno
di
prendere qualcosa. Il biondo abbassò la mano e
sfilò un sigaro,
portandoselo alla bocca.
Tai
bevve un sorso di rum.
«Proprio
dove avevi sentito dire» disse.
Matt
alzò le labbra in un sorrisino.
Joe,
nel frattempo, rinvenne, aprendo lentamente gli occhi. Alzò
leggermente la testa e li vide proprio lì davanti,
così fece una
faccia disperata, alzò appena un braccio, indicandoli.
Il
suo rum cubano e i suoi sigari guatemaltechi! Quei bastardi! Quei
figli del demonio!
Volle
urlare, ma le forze gli mancarono e perse di nuovo i sensi. Le porte
dell’ambulanza vennero sbattute e venne acceso il motore.
I
due ragazzi alzarono una mano in segno di saluto con un ghigno
ironico.
«E’
proprio un burino» commentò Tai.
Matt
annuì, rilasciando il fumo. Poi si lanciarono
un’occhiata e
scoppiarono a ridere.
Nel
frattempo udirono il rumore di una sirena e videro
un’automobile
della polizia che arrivava sgommando. Subito parcheggiò di
fronte e
ne uscirono fuori dei poliziotti in divisa che entravano di corsa.
I
due si scambiarono uno sguardo sconcertato.
«Non
ho davvero idea di cosa stia succedendo oggi»
proferì Matt in tono
confuso.
Tai
fece un gesto con le sopracciglia come segno che aveva ragione.
«Forse
dovremmo continuare ad ignorarlo e goderci questo» disse poi
facendo
tentennare il rum e lanciando uno sguardo a Sora e Mimi che si
trovavano dietro di loro, un po’ più distanti.
L’amico
fece lo stesso, poi si voltò di nuovo a guardarlo con un
sorriso
radioso.
«Hai
ragione. Facciamo un brindisi» propose e subito alzarono i
bicchieri.
Tai
tirò un sospiro rilasciando tutta l’aria che aveva
trattenuto per
troppo tempo, come segno di pace interiore. E Matt aveva una luce
diversa sul viso, era cambiato.
Entrambi
erano felici, rigenerati, due persone nuove.
Si
augurava per loro tutto quello che di bello poteva augurarsi.
«A
noi. Un augurio per una vita migliore» disse, guardando fisso
negli
occhi il suo migliore amico che annuì concordante.
«All’arrivo
di una nuova» continuò, e si voltarono entrambi
verso Sora, che
sorrise amabilmente e portò una mano sul suo ventre.
«E
alla promessa di “per sempre”»
Mimi
rispose al loro sguardo con un cipiglio curioso. Poi si voltarono e
incastrarono nuovamente gli occhi su quelli dell’altro.
Tai
si morse il labbro inferiore come se fosse emozionato.
«Festeggiamo
quelli che siamo, quelli che saremo, festeggiamo noi che non abbiamo
mollato, che siamo ancora qui, uniti inesorabilmente»
concluse poi.
Lo
sguardo di Matt si fece velato.
«Mi
fai sciogliere, dannazione...» mormorò sentendo le
lacrime che
premevano per uscire.
Il
castano ridacchiò.
«Lo
so» soffiò, poi abbassò la testa.
«Mi
sciolgo anch’io» ammise sentendo di star cedendo a
sua volta
lentamente, come se tutto il peso di quegli anni stesse finalmente
andando via e li liberava dall’angoscia, dalla paura di non
essere
abbastanza, dalla solitudine con cui avevano dovuto lottare per
sopravvivere.
Batterono
i bicchieri, si guardarono ancora e bevvero.
Stava
incominciando, questa volta davvero.
Volsero
lo sguardo verso il tramonto e sorrisero.
Il
cane di TK e Kari apparve improvvisamente trascinando qualcosa in
bocca. Diede un morso e corse via, palesando per terra la piccola
miniatura di Joe che avrebbe dovuto figurare in cima alla torta
nunziale. Non aveva più la testa.
Vedendo
quella scena cominciarono a ridacchiare in maniera compulsiva, mentre
le lacrime premevano ancora per scendere, la vista era appannata e la
faccia sembrava andare a fuoco.
Si
guardarono interrogativi e allarmati, le risatine che fuoriuscivano
senza controllo e non si placavano, poi gettarono uno sguardo ai
sigari.
Con
un’ occhiatina sorpresa, alzarono le spalle decidendo di non
farsi
domande neanche in quel caso.
Sora
e Mimi erano ancora dietro di loro abbracciate, viso contro viso,
mentre il sole era tramontato e lasciava come scia il battito
emozionato dei loro cuori.
Andava
tutto bene davvero.
Fine.
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