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Autore: rose07    22/03/2024    0 recensioni
Due anni.
Erano passati due anni da quando Taichi aveva smarrito sé stesso. Da quando la vita a Kyoto gli stava stretta.
Due anni da quando Yamato aveva iniziato ad andare alla deriva. Da quando il silenzio lo aveva risucchiato.
Due anni.
Erano passati due anni da quando Mimi aveva lasciato la persona che amava. Da quando il suo sorriso era meno sincero.
Due anni da quando Sora aveva riscoperto una parte di sé tenuta nascosta. Da quando le cose avevano preso una piega differente.
Tratto dalla serie: "Stay together in the end".
Genere: Erotico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Mimi Tachikawa, Sora Takenouchi, Taichi Yagami/Tai Kamiya, Yamato Ishida/Matt
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Stay together in the end ( ? )'
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L’aria primaverile s’infiltrava attraverso gli ampi balconi della sala lasciati aperti per arieggiare. Il polline vagava poggiandosi sui davanzali, ogni tanto qualche farfalla faceva capolino poggiandosi su una delle grandi piante situate all’esterno.

La sala da cerimonia era vasta, dai toni bianchi e grigi, ritagliata da colonne simil-corinzie.
I tavoli e le sedie erano immacolati, dei fiocchi lasciati pendere nel bel mezzo delle fodere di lino.
Sopra i tavoli troneggiavano dei vasi lunghi di cristallo da dove spuntavano mazzi di fiori colorati. Dai tetti discendevano grandi lucernari decorati con pietre scintillanti.
Al fondo della sala, rialzato da un piccolo soppalco, si intravedeva il lungo tavolo degli sposi, dove ai lati torreggiavano due grandi piante che fuoriuscivano da longilinei vasi ad imbuto rivestiti da un manto bianco pieno di ricami. Dietro, uno specchio quadrato a cornice che rifletteva lo strano candelabro riposto nel bel mezzo del tavolo nunziale.
Mimi si guardò intorno circospetta ed esibì un sorrisino scettico.
Quella sala era oltremodo elegante e sofisticata per accogliere i celebrativi del matrimonio di Joe.
Non immaginava che la scelta fosse toccata ad un tipo come lui: non aveva un gusto degno di potersi ritenere buono, d’altronde.
Le pietanze principali erano state servite e la gente si riversava in sala conversando e godendosi la musica.
I parenti di Luchia erano tantissimi, alcuni avevano indosso costumi indiani tipici da cerimonia, altri invece portavano delle pellicce e dei colbacchi. Qualcuno di loro aveva in volto espressioni strane, come se fosse in allerta di qualcosa.
Mimi pensò che probabilmente era dovuto alla poca conoscenza di quei luoghi, ma non ne era così sicura.
Camminò per un po’ in cerca di qualcuno, si sporse per vedere meglio oltre un tizio che aveva lunghi capelli grigi ed una barba, il quale si girò e la guardo di sbieco. Lei sorrise a mo’ di scuse.
Poi si defilò stando ben attenta a non calpestare nulla di sconveniente con i suoi tacchi neri lucidi di dodici centimetri che non erano propriamente facili da camminare.
Il vestito era un tubino in velluto color vinaccio che le fasciava strettamente il corpo e le arrivava un po’ più sotto alle ginocchia. Il seno era rialzato grazie a delle coppe che si spalancavano nel mezzo a forma di una V e uno spacco meritevole si apriva al lato di una coscia.
Decisamente non il vestito più comodo da indossare, lo ammetteva, ma lo aveva disegnato lei su misura in occasione del matrimonio. Lavorava come una delle modelliste per una casa di moda medio conosciuta in Giappone, la Ashida.
Taichi era un giocatore di serie A, ormai, uno degli attaccanti più forti che avesse mai visto, e non che lei ci capisse molto di calcio. Non aveva mancato alla promessa di portarla con sé dopo la fine dei suoi studi, e si erano stabiliti dapprima in una casa in affitto, poi avevano deciso di comprare un appartamento proprio che lei stessa aveva arredato da cima a fondo.
Era contenta del suo buon gusto e del suo lavoro; quasi quanto era soddisfatta della sua vita amorosa.
L’unica cosa che le sfuggiva di mano, però, era riuscire a trovare chi cercava.
Passò vicino ad un gruppo di persone che riconobbe essere Joe in tenuta da sposo che conversava allegramente con Takeru e Hikari. Aveva i pantaloni dello smoking che gli sfilavano le cosce più di quanto non le avesse già, la camicia bianca era stata risvoltata fino ai gomiti, della giacca nessuna traccia, mentre i capelli erano gellati all’indietro tanto da farlo assomigliare al damerino che sapeva bene non fosse.
Lo vedeva gesticolare animatamente e parlare di qualcosa che non riusciva a captare, così, mossa dalla curiosità, si avvicinò per origliare.
«E quanti anni ha questo bastardo?» lo sentì chiedere in tono diffidente.
Aggrottò le sopracciglia, interrogativa.
«Ma Joe, è un cucciolo. Avrà sì e no due mesi» fu la precisa risposta di Kari.
Mimi lanciò un’occhiata alla ragazza. Si era fatta crescere i capelli castani e li portava legati in una treccia a spiga di pesce che le scendeva morbidamente sulla spalla destra.
Il vestito che indossava era lungo, rosa e a carattere floreale. Stava veramente bene, sembrava una donna nuova, diversa dalla ragazzina che conosceva.
Insegnava ad una scuola materna di Odaiba e, da quello che raccontava a lei e Tai, era la più amata di tutte.
«Poi è un dobermann di razza» sentì dire a TK che soffocò una risata.
Si sporse meglio e notò che in braccio aveva un cucciolo di cane dal pelo nero e marrone.
Lo avevano comprato da poco e lo portavano dovunque dentro il trasportino. Erano davvero due tipi amorevoli entrambi, non mancavano di un impegno.
TK aveva smesso di fare il ragazzaccio subito dopo la pubblicazione del suo libro. Era andato a ruba, c’erano così tante persone curiose di sapere la loro storia per filo e per segno che aveva dovuto scrivere il seguito. Da che ne sapeva, si era iscritto all’università specializzandosi in Editoria, proprio un cammino di cui si presagivano pochi prospetti.
Comunque il look era rimasto invariato; il suo solito cappello, grigio per l’occasione, gli si adagiava in testa sopra i capelli biondi, la giacca larga era lasciata aperta e lasciava intravedere una camicia sbottonata senza ombra di una cravatta. I pantaloni neri erano stati infilati dentro degli anfibi e gli cadevano sbarazzini provocando delle bombature ai lati.
«Ah sì? Ha origini inglesi?» sentì dire a Joe, che guardava il cane addormentato con titubanza.
Kari ridacchiò.
«Perché un cane dovrebbe avere una nazionalità?»
«Che ne so, ha detto man!» rispose prontamente quello, e i due scoppiarono a ridere.
Anche Mimi scosse la testa divertita.
«Lo abbiamo preso appena nato, comunque» spiegava TK.
Gli occhi di Joe s’illuminarono da dietro gli occhiali scuri.
«Lo avete adottato?!»
«In un certo senso» rispose Kari, ma era dubbiosa.
Probabilmente non voleva contraddirlo troppo, d’altronde era sempre il solito permaloso.
«E le pratiche sono state lunghe? Dicono che ci vogliano mesi e mesi...» lasciò cadere la frase con un sospiro rassegnato. Chissà se era un segno di rammarico destinato a Luchia che aveva un pancione tondo da sotto l’abito da sposa. D’altronde era stata una gravidanza scoperta al quinto mese, che si sapesse.
Kari e TK si guardarono allusivi e scoppiarono a ridere. Joe li guardava con le sopracciglia alzate.
Che avevano da ridere?
«Ma Joe, è solo un cane!» lo contraddisse Kari tra una risata e l’altra.
Come poteva pensare che servissero le stesse pratiche legali di quando si adottava un bambino?
Lo sposo fece spallucce.
«E quindi? Anche Koushiro è stato adottato! A voi sembra umano quello lì?» sibilò sardonico da dietro un mano, indicando proprio questi in lontananza che si dirigeva in loro direzione insieme a Frajiko.
Questa aveva un vestito azzurro lungo, dei pois neri che si estendevano per tutta la lunghezza. In vita una cintura che la fasciava e le creava una bombatura in petto. I capelli biondi erano raccolti in un’acconciatura a chignon, ma aveva lasciato due piccole ciocche di fronte al viso.
Il suo volto era splendente, stava bene, non aveva più quella scarnatura malaticcia. Si era ripresa totalmente, aveva portato avanti la riabilitazione e le sedute psicologiche.
Izzy aveva a sua volta il viso sereno, i capelli erano stati lasciati crescere leggermente sul ciuffo davanti. Lavorava in un’azienda di sicurezza informatica tra le più conosciute del Giappone. Il suo stile era quello di sempre, non ne aveva molto da vendere, ma non sarebbe stato sé stesso senza quella giacca color azzurro pastello con le righe verticali.
«Hai fatto il mio nome, per caso?» intervenne con uno sguardo critico.
Joe si voltò dapprima spaesato trovandoselo lì dietro, poi assunse un’espressione pungente.
«Sì, spiegavo ai ragazzi di quella volta che hai scoperto che ti hanno adottato e hai pianto per una giornata intera tirando pugni contro il muro. Ricordi?»
Izzy non fece una piega, solo alzò le estremità della bocca in un ghigno.
«Tragico, sì, come il giorno in cui ti sei rotto la testa cadendo dal monopattino»
TK e Kari scoppiarono a ridere e anche Frankie si portò una mano alla bocca nascondendo un sorriso.
Mimi riuscì a vedere i pugni di Joe che si chiudevano di rabbia.
«Era il monopattino truccato di Shin! E Taichi e Yamato avevano anche manomesso i freni! Quei due hanno il cervelletto» ribatté.
«Che tecnicamente abbiamo tutti, Joe»
Il corvino alzò gli occhi al cielo.
«Lo so già che siete un branco di mentecatti. Non c’è bisogno di ricordarmi che frequento una banda di gente inutile per l’umanità!»
TK lo fissò con un sorriso sarcastico.
«Solo perché tu curi la gente con i cerotti» lo rimbeccò.
Joe gli lanciò uno sguardo truce e incrociò le braccia.
«In quell’università da hipster non ve lo insegnano che la pratica medica discende dal sapere di Dio?»
Eccolo là che si dava un sacco di arie, non era affatto cambiato.
Lavorava in uno degli ospedali più rinomati di Tokyo e aveva perfino ricevuto numerose offerte di spostamenti, ma, ignorava il motivo, non si era mai spostato di lì.
Izzy scosse la testa.
«Joe ha ancora la mentalità da basso medioevo» lo prese in giro.
Questi strinse gli occhi lanciandogli un’occhiata sprezzante.
«Infatti fosse per me ti avrei legato ad un palo e messo al rogo seduta stante. Quei capelli rossi sono chiaramente un segno del male!» alzò gli occhi a fissarli con ripugnanza
«Poi dei tuoi resti ne avremmo fatto delle frittole»
Izzy si tastò piano le orecchie, lanciando uno sguardo a Frankie che ricambiò con un sorriso impacciato.
«L’unico segno del male che vedo qui è il tuo tono di voce da sirena da nebbia»
Li udì ridere e non riuscì a trattenere una risatina anche lei.
Nel frattempo, una signora pomposa vestita con un lungo vestito rosso si era avvicinata e aveva messo una mano sulla spalla di Joe. Questi si voltò e fece una faccia allarmata, poi si allontanò mentre questa gli indicava qualcosa con i gesti. Poi andò via.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo mormorando qualcosa che sembravano tanto delle maledizioni, poi si rivoltò verso gli altri.
«Posso offrirvi il punch indiano preparato da mia suocera?» si avvicinò ad un tavolo dove c’era un grande contenitore di vetro pieno di una strana essenza rosa.
«Con piacere, grazie. Di cosa sa?» chiese Frankie allegra.
Joe si voltava e distribuiva i bicchieri.
«Oh» si fermò a pensare «Hai presente la candeggina?»
«Sì?»
Vide Izzy bere.
«Uguale, con un sofisticato gusto di Tavernello»
Il rosso spalancò gli occhi e sputò.
TK si precipitò a togliere il bicchiere dalle mani della sua ragazza.
«Posalo, Kari! Ti verrà la gastrite!»
Frankie si avvicinò ad Izzy aiutandolo a pulirsi, così i due si allontanarono. Joe aveva lanciato loro un sorrisino soddisfatto.
Poi lo vide pensieroso.
«Mia suocera è una tipa strana. Ha un sacco di pacchetti in celofan sparsi per la casa. Suppongo per acchiappare le larve, con quel giardino immenso se ne vedono a bizzeffe»
I due più piccoli avevano alzato le sopracciglia ed assunto una faccia scettica. Persino Mimi emise un suono sarcastico.
«Una volta ha cucinato una melma verde e l’ha spacciata per un timballo ai carciofi patè» lo vide che guardava un punto imprecisato della sala come se si stesse spremendo le meningi
«C’erano delle strane foglioline come condimento. Non so perché ho avuto un attacco isterico di risa e sono svenuto. Devo aver subito un calo di pressione, d’altronde era la prima volta che mangiavo da lei. Sarà stata l’agitazione»
Archiviò tutto con un’alzata di spalle.
TK aveva guardato Kari con uno sguardo allusivo. Forse c’era qualcosa che esattamente non quadrava.
«Che lavoro fa tua suocera?»
Lui rimase ancora lì fermo, rimuginante.
«Boh, dice Luchia che ha un serra, ma non ho ben capito. A me sembrava di averla vista a quel programma italiano di merda. Avete presente?»
Quelli negarono con la testa.
«Quello dove vanno degli incapaci suonati e fanno cose stupide spacciandole per talenti. Chi diamine se ne frega di un troglodita che sa saltare su un alluce facendo capriole per aria?» s’infervorò.
TK annuì con uno sguardo che trapelava scherno ma che appariva comprensivo.
«Non serve a niente nella vita»
Joe si voltò ad indicarlo.
«Appunto!» gli diede ragione, poi si perse nuovamente a raccontare «Fatto sta che non parla se non da sola. Sospetto comunichi con gli dei della religione politeista a cui crede. Tsk. Merdate!» commentò sprezzante.
Il solito fanatico religioso che disprezzava le altre religioni. Che poi non si era mai ben capito come mai fosse finito proprio a professare la fede cattolica, non era affatto un culto contemplato dalle loro parti.
«Ci parla perfino in codice al telefono» aggiunse in tono criptico.
Kari sorrise falsamente. Joe rimase fermo per un paio di secondi, ancora pensieroso. C’erano delle cose che non quadravano, in realtà, ma non poteva compiere lo stesso peccato di San Tommaso.
Cambiò discorso.
«Comunque, sono contento che hai smesso di spacciare» si rivolse a TK «Non avrei voluto al mio matrimonio uno perseguibile per legge»
Il biondino strinse le labbra cercando di trattenere le risate.
«No, hai ragione» fu la risposta accondiscendente di Kari.
Uno dei tanti parenti chiamò Mimi e si fermò a salutarla. Per un paio di minuti li perse di vista, ma si rivoltò ad origliare non appena fu da sola.
«La vita ha preso delle pieghe inaspettate, amici. Veramente inaspettate» sentì dire al corvino.
«Chi l’avrebbe mai detto che uno dal quoziente intellettivo superiore alla media, destinato a diventare uno dei primi assistenti medici dell’ Agenzia Spaziale Giapponese con uno stipendio netto di 586.825 yen al mese avrebbe dovuto rifiutare l’incarico perché...» strinse forte il lungo bicchiere in cristallo «perché una stronza subdola e patetica si è fatta mettere incinta con l’inganno e ha fatto giurare di sposarla di fronte alla tomba del padre scoperto appartenere ad uno degli alti ranghi della D-Company»
TK e Kari strabuzzarono gli occhi. Mimi spalancò la bocca.
Diceva davvero?
Joe aveva in volto uno sguardo livido. I suoi occhi scuri erano rossi e sembravano poter lanciare fiamme. Si voltò verso i due ragazzi che lo fissavano ancora sconcertati dalla rivelazione appena fatta.
Le sue labbra si piegarono in un improvviso sorriso mellifluo.
«Ovviamente non sto parlando di me! Vi pare che io sia uno che cede ai ricatti così...» scosse la testa quasi indignato di come si era potuto minimamente sfiorare il pensiero. Poi lanciò uno sguardo intorno in maniera titubante
«Io mi sono sposato per amore!» esclamò e lanciò una risata che apparì un nitrito isterico e rassegnato.
Poi bevve dal suo bicchiere in un sorso, facendo una smorfia.
«Il Tavernello era scaduto da più di due mesi, mi sa» commentò tossendo con un occhio chiuso.
Takeru lo fissava non del tutto convinto.
«E comunque, un parente spastico di Luchia ha portato del rum centenario dal Guatemala e dei sigari cubani firmati Montecristo» Joe cambiò discorso come se non avesse detto assolutamente nulla
«Mi sono fatto il segno della croce, saranno stati probabilmente benedetti sul monte Sinai. Certo, non ricordavo fosse a Cuba... Non so se fidarmi, però, una volta l’ho visto dividere lo zucchero a strisce. Però forse se lo mette tutto nel caffè. Eccolo, è quello che sta parlando a Daisuke»
I due si girarono e videro questi che prendeva qualcosa dalle mani di uno tizio in sedia a rotelle vestito tutto di bianco.
«Ci tengo perché è paraplegico, sapete. Dio dice di aiutare i poveri e bisognosi»
Kari aveva guardato TK allarmata, mentre questi si grattava la testa.
«E dove sono?» si riferì ai sigari e al rum.
«Li ho dovuti nascondere. Ti pare che li lasciavo in bella vista sul tavolo dei regali con quei primati di tuo fratello e Taichi? Mi prendi per un ignorante così!» si agitò.
La castana gli fece un sorrisino incoraggiante e gli strinse il braccio.
«Stai tranquillo, Joe. Oggi andrà tutto per il meglio»
Lo sposo si fermò a pensare. L’ultima volta che qualcuno aveva detto una cosa del genere era successo un putiferio madornale. Ma ormai erano passati due anni, aveva imparato a sotterrare tutto dentro.
Non poteva esserci qualcosa che sarebbe andato storto, oramai.
Sarebbe stato un matrimonio tranquillo e godevole.
«Ne sono sicuro anche io» cinguettò felice, poi li prese entrambi a braccetto e parlò con circospezione
«E comunque non le troveranno, le ho messe proprio sotto la...»
Nel frattempo, Yamato passò vicino a loro e si voltò ad ascoltarli. Aggrottò le sopracciglia e fece una smorfietta divertita ma di base scettica.
Poi fece un cenno ai suoi compagni di band che erano rimasti agli strumenti e questi annuirono, mettendo una musica casuale per intrattenere gli invitati fino al suo ritorno.
Erano stati incaricati di esibirsi per tutta la durata dei festeggiamenti, e in effetti non era riuscito a mangiare quasi niente, aveva solo bevuto del vino per caricarsi.
Non sapeva se il genere che suonavano loro era ben apprezzato dai parenti di Luchia, sembravano tutte delle persone strane e a tratti con la puzza sotto il naso. Fatto sta che Joe non aveva perso tempo ad insistere di fargli da sottospecie di intrattenitore dopo aver scoperto che il gruppo stava andando alla grande e facevano un bel po’ di concerti nelle aree metropolitane di tutto il Giappone.
L’attesa gli aveva portato grandi sorprese e tutto il tempo che aveva aspettato e penato alla fine non era stato niente in confronto ai risultati che aveva raggiunto.
Oltre ad aver trovato un manager che li aveva scovati da un paio di video rilasciati sul web e che li aveva rivoluzionati, aveva superato un concorso pubblico acquisendo la cattedra di chitarra elettrica al conservatorio di Tokyo.
Ad averlo persuaso e sostenuto c’era stata lei. Non osava nemmeno immaginare come si sarebbe ridotto se avesse scelto di intraprendere un’altra vita.
Si sistemò il completo scuro e fece un paio di passi.
Doveva cercarla, aveva bisogno di stare un po’ in sua compagnia dato che non aveva potuto rivolgerle delle attenzioni durante tutto il resto dei celebrativi.
I parenti di Joe, soprattutto una delle sue zie, non smetteva di battere su tavoli, piatti e bicchieri urlando di volere una serie di cover improbabili che non si sarebbero mai sognati di esibire.
Erano dannatamente inopportuni e pedanti. Capiva da che ramo della famiglia discendeva Joe.
Fece un altro paio di passi e si scontrò con qualcuno che andava nella direzione opposta.
«Oh!»
«Che-»
Mimi alzò gli occhi e lo fissò bieca. Lui, a sua volta, non mancò di lanciarle uno sguardo stizzito.
Di solito non concludevano mai un discorso senza battibeccare, loro due. Lui non piaceva a lei perché era troppo musone, lei non piaceva a lui perché era troppo invasiva.
Fecero per andare ognuno in una direzione, ma scelsero la stessa un paio di volte ritrovandosi sempre uno di fronte all’altro.
Matt grugnì, mentre Mimi sbuffò infastidita.
«Levati dai piedi!» esclamò.
«Levati tu dai piedi!» rispose l’altro, e presero a spingersi.
Lui riuscì a bloccarla.
«Hai visto Sora?» le chiese poi.
«No, sto andando a cercarla» fu la risposta di lei.
«Anche io» disse Matt tra i denti.
I due si guardarono con sfida.
«Ci vado io. Sarà in bagno, non sei autorizzato ad entrare!» esclamò Mimi, incrociando le braccia.
Il biondo la fissò con un sorriso di scherno.
«Perché? Pensi che mi scandalizzerei?»
La castana alzò le sopracciglia, squadrandolo critica. Sembrava un tronco di legno, ecco cosa.
«Tu no, da bravo ameba, ma le altre invitate sì» lo rimbeccò.
Matt cominciò ad infastidirsi. Se voleva essere fastidiosa come una zanzara ci stava riuscendo.
«Te lo dicono mai abbastanza di essere antipatica?» grugnì.
Mimi fece finta di pensarci.
«No, veramente tu sei il primo. Ma te ne intendi solo di musica» gli sorrise falsamente.
Matt si avventò a stringerle le braccia e tentare nuovamente di cacciarla.
«Spostati!»
Lei opponeva resistenza, spingendolo.
«Non puoi lasciare vuoto il pianobar! Ci vado io, ho detto!»
Lottarono ancora. Mimi alzò una gamba pronta a colpirlo con i suoi tacchi a spillo. Matt la schivò, e fece per darle dei colpetti, ma lei si era messa in posizione di combattimento e glieli parava tutti.
«Vattene, tundra!» lo apostrofò, mentre gli dava uno spintone dritto al petto.
Matt si sentì toccato dall’appellativo cui era solita prenderlo in giro anni prima.
«Ancora?!» le chiese stizzito.
Provò a metterle una mano tra i capelli per spettinarglieli, ma fu lei che scompigliò i suoi.
Si mise a ridere vedendo la sua faccia basita e lui che si premurava a sistemarli.
Poi qualcuno dei suoi compagni di band lo chiamò. Dovevano sicuramente ritornare ad esibirsi con la seconda parte dei pezzi dell’album.
Matt sospirò e Mimi gli lanciò un ghigno sardonico.
«Che peccato, devi andare!» disse sarcasticamente, poi si avvicinò dicendo da dietro una mano:
«Non dirlo a nessuno che hai perso»
Alluse al fatto che non era riuscito a sorpassarla, e voltò i tacchi andandosene via con il sorriso stampato in volto, che il biondo fece di rimando mentre la guardava andare via, scuotendo la testa.
Non era vero che si detestavano, avevano imparato a volersi bene davvero.
Ma era estremamente importante che l’altro ne restasse all’oscuro.

Da fuori le voci si sentivano ovattate, era tutto un brusio di gente che chiacchierava, qualcuno rideva, qualcun altro urlava cose che non riusciva a captare.
Provvide a sistemarsi il vestitino nero che le arrivava a metà coscia, delle frange le ricadevano all’estremità e si aprivano anche dalle spalline ricoperte di perline bianche che le adornavano perfino la vita creando un gioco di luci. Lo scollo era a V ed era profondo, si apriva fino alla parte bassa del seno.
Sora sospirò ed attese.
Forse avrebbe dovuto dirlo a qualcuno, ma non ci era riuscita. Aveva un po’ di paura a farsi vedere in un momento del genere, era come se qualcosa dentro di sé le suggerisse di scoprirlo da sola.
Quanto tempo era passato? Le sembrava un’eternità. Controllò il cellulare. Erano passati solo due minuti.
Tentò di respirare. Chiuse gli occhi e pensò a qualcosa.
Pensò al suo lavoro, a quanto era soddisfatta di quello che stava facendo. Lavorava in un centro di psicologia clinica e riabilitativa a Tokyo. L’avevano assunta dopo aver fatto del tirocinio per un po’ di tempo ed amava quello che faceva, la faceva sentire utile, stare a contatto con tutta quelle gente la rendeva consapevole come era estremamente importante non sottovalutare i problemi delle persone.
Era stata anche lei a seguire Frankie nell’ultimo periodo riabilitativo.
Guardò di nuovo il telefono. Era ora di guardare.
Lo fece. Poi alzò lo sguardo, indecifrabile.
Sentì improvvisamente un rumore di tacchi fare capolino dalla porta principale, e subito la voce di Mimi la ridestò dai suoi pensieri.
«Sora, sei qui?» la udì chiedere.
Il cuore cominciò a batterle forte. Sentì dei colpi alla porta della sua cabina.
«Ehi, Sora!» esclamò dato che non le aveva risposto.
Lei sussultò per il rumore.
«S-sì?» balbettò.
Mimi sospirò di sollievo per averla trovata ed incrociò le braccia.
«Ah, meno male! Cominciavo a credere che qualcuno della famiglia di Luchia ti avesse venduta al contrabbando!» scherzò.
Sora non disse nulla, limitandosi a fissare un punto sul muro di piastrelle lucide che riflettevano la sua immagine distorta.
Mimi alzò un sopracciglio.
«Allora, pensi di stare per molto là dentro?» la incitò, seccatamente.
La ramata sospirò.
«No, adesso esco» soffiò, e con uno scatto ripose tutto dentro la borsetta.
Non appena fece scattare la serratura le due amiche si guardarono. Mimi la fissò a lungo, cercando di analizzare se stesse bene. Aveva in faccia qualcosa di diverso.
«E’ tutto apposto?» le chiese, un tantino preoccupata.
Sora annuì automaticamente, ma si sentiva stordita. Mimi allora l’afferrò da un braccio e fece per trascinarla via, fuori dal bagno.
«Bene, allora rientriamo in sala. Il tuo fidanzato cominciava ad avere le paranoie, sai»
Non appena venne fatto riferimento a Matt, la ragazza sentì il cuore salirle in gola.
«Diventa sempre più suscettibile quando deve suonare. Forse ha l’ansia da prestazione. Spero non a letto» La castana fece una faccia maliziosamente allusiva e si mise a ridere.
Quelle risate rimbombavano in testa alla ramata come potessero martellargliela. Non riuscì nemmeno ad ascoltare quello che le aveva detto dopo, tanto si fermò impulsivamente e fece resistenza al braccio.
Mimi se ne accorse e si voltò interrogativa.
«Che c’è?» le chiese spiccia.
Quella la guardò negli occhi con uno sguardo lucido e serio.
«Devo dirti una cosa» mormorò.
Mimi alzò gli occhi al cielo, sospirando. Mai una volta che la gente non avesse da dire qualcosa, insomma, non potevano essere tutti meno logorroici?
E poi lo dicevano a lei...
«Non potresti dirmela dopo? Tra poco Luchia lancerà il bouquet» disse in tono infantile, svelando anche il motivo dietro quella premura di cercarla.
Voleva essere tra le file delle invitate. Non sapeva perché, ci teneva a compiere quelle tradizioni, lo aveva sempre fatto ai matrimoni da piccola. Una volta ne aveva perfino acchiappato uno, solo che aveva dieci anni. Certo, poi aveva incontrato Tai a Digiworld, ma...
Sora la destò dai suoi pensieri.
«Mimi...» mormorò e le mostrò qualcosa.
L’amica abbassò piano la testa con il broncio e guardò. Subito la sua espressione stufata si spense e alzò gli occhi castani su quelli nocciola dell’altra.

Beveva un bicchiere di vino e guardava Matt e gli altri della band esibirsi.
Quella musica era davvero forte, non aveva niente a che vedere con i pezzi che erano soliti suonare anni fa. Si vedeva che avevano fatto un salto di qualità incredibile ed era davvero contento per il suo migliore amico. Lo osservò cantare con un sorriso e bevve un sorso.
Afferrò il cellulare e lesse un messaggio.
Qualcuno gli scriveva se era andato tutto bene e di fare gli auguri a Joe.
Fece un sorrisino e rispose.
D’un tratto arrivò Mimi e lui fece appena in tempo a posare il telefono nella tasca del suo completo blu. Si voltò con un sorrisino allarmato, ma lei non ci fece caso, per fortuna, e si avventò al suo orecchio per dirgli qualcosa. Subito lui si voltò in direzione di Matt che aveva appena terminato il pezzo e tutti gli battevano le mani. Non riuscì a smettere di fissarlo fino a quando non lo vide che veniva in sua direzione e spostò lo sguardo.
Il biondo si avvicinò e Tai si accinse a cambiare subito espressione.
«Complimenti, testina. Siete una bomba!» esclamò dandogli una pacca sulla spalla.
Matt diede un sospiro, gli prese il bicchiere dalle mani e si scolò il vino.
«Sì, guarda che gente che c’è. Non posso mettermi a suonare il rock-metal, questi preferiscono la musica hindi» commentò lanciando sguardi di traverso agli invitati.
Tai fece lo stesso e notò che tanti altri sembravano avere etnie diverse dalla famiglia indiana da cui proveniva Luchia.
Scrollò le spalle.
«Suonagli un pezzo della Bollywood dance» scherzò.
Matt spalancò gli occhi.
«Espatrio!» commentò rabbrividendo e si misero a ridere.
Il castano alzò gli occhi e la sua vista fu catturata dalla figura di Sora che raggiungeva uno dei balconi. Strinse gli occhi e posò un braccio intorno alle spalle di Matt.
«Comunque, se vuoi riposarti approfittane adesso. Ho la sensazione che più tardi ci sarà il casino» gli lanciò un’occhiata complice e i due ghignarono nello stesso momento.
«Era quello che stavo cercando di fare prima che la tua ragazza mi mettesse il bastone tra le ruote» sputò con risentimento, ma sorrideva.
Tai scosse la testa divertito e poi gli indicò una direzione.
«Sembra abbia trovato Sora, però»
Matt si voltò a guardarla e s’illuminò, poi tornò a fissare il suo migliore amico metabolizzando le parole che aveva appena detto.
Aveva ragione, l’aveva trovata. Doveva andare da lei.
Tai gli diede una pacca e lo vide che si allontanava, disperdendosi tra gli altri invitati. Continuò a guardare il punto in cui Sora si trovava intenta a guardare fuori. Non era uscita sul balcone, era semplicemente in piedi, ritta a guardare il paesaggio.
Come se si fosse sentita osservata, questa si voltò e i loro occhi s’incrociarono. Tai piegò le labbra in un sorriso guardandola con affetto. Non seppe perché, ma sentì gli occhi lucidi.
O forse sì, lo sapeva bene perché.

Sora ricambiò quel lungo sguardo e non riuscì a fare a meno di sorridere anche lei.
Forse lo davano per scontato a volte, ma gli occhi riuscivano a comunicare il bene che si voleva ad una persona in maniera più forte delle parole.
Matt arrivò silenziosamente e la cinse da dietro con le braccia, distogliendola improvvisamente. Lei riconobbe subito la stretta del biondo e si morse piano il labbro.
«Finalmente sei qui» sospirò lui in tono liberatorio, mentre la stringeva e affondava la testa sui suoi capelli socchiudendo gli occhi.
Sora sorrise amorevolmente.
«Ero in bagno, scusa» disse, accarezzandogli con le dita una mano.
Lui le scostò i capelli mossi da un lato e si accinse a dargli dei leggeri baci sul collo.
«Ho bisogno del tuo sguardo di supporto, lo sai» lamentò.
Prima dei concerti era d’obbligo ricevere le sue parole di incoraggiamento, e spesso, quando cantava, si ritrovava a voltare lo sguardo alla ricerca del volto gentile di lei per sentirsi sicuro.
Sora lo guardava sempre in un modo che gli dava carica. La sua espressione non era mai cinica, né tantomeno si prendeva gioco di lui. Quando per lei qualcosa non andava bene glielo diceva con calma e lo faceva sempre ragionare.
«Ma state andando benissimo! Te lo avranno detto tutti!» esclamò spegnendo subito quell’insicurezza.
Lui si fermò dal baciarla.
«Sì, ma a me importa solo di quello che dici tu» ammise e continuò a risalire con le labbra sul suo collo.
Sora sospirò e guardò al di là del balcone, puntando lo sguardo sul largo giardino.
Ripensò d’un tratto a quello che avevano dovuto passare quasi due anni e mezzo prima, quando tutto stava per andare a rotoli. Matt aveva dovuto faticare tanto per aprirsi e per riprendersi completamente. C’erano stati dei momenti in cui avevano creduto di non poterci riuscire. Lui aveva avuto timore di non essere più abbastanza, ci pensava e ripensava, ogni tanto tendeva ad isolarsi. Ma avevano parlato, da quel giorno in poi. Seppur con le difficoltà, non avevano mai più smesso di confidarsi a cuore aperto e quello li aveva salvati e li aveva portati dove erano adesso, integri e innamorati.
«Matt...» sospirò lei, chiamandolo piano.
Il biondo era a sua volta pensieroso, il mento sopra la sua testa.
«Mh?»
Sora decise di dirglielo. Non c’era alcun motivo affinché aspettasse, lo doveva sapere.
«Prima ero in bagno per un motivo» ammise.
Lui sorrise tra i suoi capelli.
«Un motivo fisiologico?» la prese in giro.
Ridacchiarono entrambi, poi Sora si bloccò d’un tratto e i suoi occhi luccicarono, ma si dispersero nel vuoto.
«Più o meno, sì. Ecco, pensavo al fatto se potesse cambiare qualcosa tra di noi» disse in un modo un tantino criptico che mise sull’attenti Matt.
Che era successo? Perché gli diceva quelle cose?
«Cosa dovrebbe cambiare?» chiese, irrigidendosi un poco.
Non avrebbe voluto cambiare niente della vita che stava conducendo adesso. Ci aveva messo così’ tanto per costruire qualcosa di solido ed era soddisfatto, finalmente. Specie la storia con lei andava a gonfie vele, avevano ricostruito tutto ciò che entrambi avevano distrutto ripartendo da zero.
«Non lo so, forse la percezione. Magari è ancora troppo presto» continuò a parlare in quel modo enigmatico e riflessivo.
Non capiva cosa volesse dire con l’essere ancora troppo presto.
«Stiamo insieme da più di dieci anni. Dovremmo essere in ritardo» lo disse in tono forse un tantino brusco.
Non voleva risponderle male, ma aveva timore che potesse uscirsene con qualcosa che non andava, non capiva dove volesse andare a parare.
Sora alzò lo sguardo verso di lui, quasi come a cogliere la palla al balzo.
«Ecco, appunto... Ce l’ho» disse.
Il biondo era sempre più confuso.
«Che cosa?»
Sora sospirò profondamente. Non doveva più usare giri di parole, doveva essere diretta. Anche perché sentiva il cuore in gola per l’emozione.
«Sono incinta» gli confessò in un sussurro.
Il silenzio che ne proseguì fece in modo che trattenesse il fiato sospeso.
Matt aveva spalancato gli occhi e poi aggrottato le sopracciglia con espressione stupefatta, ma non aveva ancora detto nulla.
Sora chiuse gli occhi e aspettò che assimilasse la notizia, e con lui anche lei. Dicendolo ad alta voce la rendeva consapevole che fosse vero.
D’un tratto, lui la prese dalle braccia e la fece voltare verso di lui.
«Stai scherzando?» gli chiese.
Lei sorrise.
«In effetti è primo aprile, ma no»
L’espressione di Matt era a metà tra lo sconvolto e l’emozionato. Non sapeva come reagire, piano piano la sua testa cominciava ad assimilare completamente la veridicità di quella notizia.
Sora capì che non riusciva a crederci, così tentò di aiutarlo aprendo la sua borsetta.
«Guarda, ho fatto il test poco fa. Mi dice anche da quanto» fece vedere lo stick avvolto nella carta da cui si riusciva ad intravedere la piccola scritta che indicava quando era avvenuto il concepimento.
Tre settimane prima.
Sora era incinta esattamente da tre settimane.
«Non ci posso credere...» biascicò il ragazzo alzando lo sguardo su di lei.
Si sentiva morire.
«Sei... felice?» gli chiese la ramata, mordendosi il labbro.
Aveva paura che essendo del tutto inaspettato e fuori dal programma poteva non renderli felici davvero. Diventare genitori così giovani non sarebbe stata una passeggiata. Aveva timore che poteva cambiarli, non dare loro modo di godersi la vita realmente.
Ma Matt distrusse quei pensieri negativi.
«Felice?» chiese retorico e lei aveva aggrottato appena le sopracciglia.
Non fece in tempo a formulare un pensiero che la risposta del ragazzo arrivò, la prese e la baciò appassionatamente, stringendola forte.
«Ti amo da morire» le sussurrò gemendo con la testa nell’incavo del suo collo.
Sora chiuse gli occhi e sentì le lacrime di gioia che la pervadevano.
«Anche io. Ti amo tanto» si aggrappò con le braccia alla sua schiena e lo strinse a sua volta.
Lui le afferrò il volto e la baciò di nuovo.
Si chiese come aveva fatto anche solo per un momento a chiedersi se sarebbero stati davvero felici.

Si erano distratti solo un attimo quando d’un tratto Sen si era voltato e aveva notato una signora anziana che si avvicinava di soppiatto in direzione del mixer.
Spalancò gli occhi e si alzò da dov’era seduto rischiando di travasare tutto il drink sulla giacca.
«Ehi, la vecchia sta toccando!» esclamò allarmato.
L’anziana signora non dava cenni di aver udito, anzi ininterrotta armeggiava con fili fino a staccare quello principale che spense la musica.
Yakamochi la indicò.
«Qualcuno la fermi!» chiese, ma nessuno dei parenti strambi della sposa sembrava curarsene.
Avevano tutti degli sguardi inquisitori e alteri.
L’altro compagno di band tentò di avvicinarsi ma la vecchia si voltò di scatto puntandogli contro un bastone e facendolo indietreggiare con le mani aperte in segno di resa.
I due rimasero in quel modo mentre l’anziana li guardava di sottecchi e si chinava di nuovo a trafficare con le manopole e i fili del microfono, inserendo a caso dei suoni amplificati per poi provocare un forte effetto larsen a causa del quale furono tutti costretti a tapparsi le orecchie.
Joe corse subito a sistemare la situazione.
«Aspetta, nonna, potresti prendere la corrente!» esclamò, afferrandola dalle braccia e cercando di allontanarla piano dalla postazione
«Lascia che muoiano fulminati questi truzzi della dark polo gang!» li apostrofò.
La vecchia si fermò e si scostò dalla presa del corvino, mettendosi subito ad eseguire gesti arrabbiati con le mani e le braccia. Alzò il bastone e colpì Joe negli stinchi.
Quello emise un urletto poco virile.
«Che cosa cerchi di dirmi?!» sbottò esasperato «Ho un pezzo di lattuga tra i denti?» parlò con la bocca aperta toccandosi un molare
«Ho la cravatta messa male?» prese in mano i lembi della cravatta lasciata aperta penzolante dai due lati
«Ho i capelli rasati da un lato? Cosa?!»
La nonnina lo guardava con le braccia incrociate come se fosse un matto da legare.
Subito Luchia si alzò dal tavolo degli sposi con uno sbuffo irritato e cominciò a camminare elegantemente verso suo marito.
«Jyou!» lo ammonì, e quello si voltò a guardarla stralunato.
Il vestito da sposa lungo, davvero lungo, e aveva una scollatura profondissima che tagliava il busto a metà e tratteneva il seno con delle coppe arcuate. L’abito aveva delle rifiniture ad onde di un tessuto che si sovrapponeva a quello della gonna e che partiva dalla fine della scollatura e andava ad allargarsi sui fianchi. I capelli erano pettinati in una strana e bombata acconciatura, si era tagliata la frangetta e aveva degli orecchini ed una collana ricchi in diamanti davvero appariscenti.
Joe non riuscì a fare a meno di posare lo sguardo sulla sua pancia rotonda. Aveva mantenuto una forma fisica perfetta, nonostante tutto, era sempre alta e slanciata e nemmeno sembrava incinta, a vederla bene.
Forse non lo era davvero, era solo una pancera e lo aveva preso in giro per tutto quel tempo, o magari la pancia era scarsa perché era di... Di quanto era incinta? Cinque mesi? No, forse sei..
Aveva in mano una sigaretta racchiusa in un bocchino che faceva tanto anni Trenta e la esibiva tra le dita come fosse un trofeo.
«Daadee ma vuole che venga messo il ballo tradizionale per il lancio del bouquet!» lo rimproverò.
Suo marito alzò gli occhi al cielo.
«E non sa parlare daddala?» storpiò il nome «Che ne sapevo io, credevo volesse rubare la chitarra a Matt!» spiegò indicando la chitarra elettrica del biondo lasciata incustodita.
Poi si rivolse agli altri due musicisti, mentre lei attendeva lì in piedi impaziente battendo un piede con i tacchi a spillo.
«Mettete la musica tradizionale che dice mia moglie» ordinò a bassa voce e fece per andarsene.
Sen si bloccò mentre sistemava il basso.
«Joe, noi non abbiamo la minima idea di come suonarla!» si lamentò preoccupato.
Quello emise un grugnito stizzito e si rivoltò.
«Mettetela da youtube, santo cielo! Avrei dovuto chiamare una band più capace!» sbraitò.
I due ragazzi si guardarono allarmati e andarono subito al computer a cercare qualcosa.
Il corvino sorrise a tutti i parenti di Luchia che lo fissavano sbieco, soprattutto sua nonna. Si allontanò tentando di risultare convincente su quello che stava facendo, ma doveva andare a cercare il frontman di quella band del cavolo, cioè Yamato, e trascinarlo di forza a salvargli il sedere con un’improvvisazione.
Il fatto era che non si vedeva in giro.
Allungò il passo quasi scivolando su qualcosa di bagnato per terra e improvvisamente qualcuno gli diede uno sberletto sull’orecchio.
Era suo fratello Shin. Lo odiava.
«Ehi, Joe! Simpatica tua suocera!» esclamò indicando con la testa la donna che aveva ancora l’aria circospetta e indossava un velo che nascondeva metà viso.
«Mi ha offerto del punch fatto in casa»
Lui non gli diede nemmeno ascolto.
«Sì, sì» fece un cenno con la mano per liquidarlo.
Che si affogasse con quel punch schifoso!
Shin lo trattenne ancora.
«Mi ha anche detto che sono affascinante!» si vantò.
Joe fece un’espressione adirata ma tentò di mantenere la calma.
«Non mette le lentine giuste» si limito a dire e cambiò direzione affinché si levasse davanti e non gli intralciasse la strada. Aveva intravisto i capelli biondo paglia di Matt e doveva trascinarlo al pianobar.
Shin, però, gli si parò di nuovo davanti.
«Ora che ti sei sposato e stai per diventare padre posso dirti che ho sempre creduto in te?» gli rivelò in tono serio e mellifluo, mentre lo stringeva da un braccio.
Joe alzò gli occhi a guardarlo basito.
«Davvero?» mormorò sentendo i lucciconi agli occhi.
Shin gli sorrise e gli posò una mano sulla spalla.
Non poteva crederci che stava succedendo, suo fratello gli aveva appena fatto un complimento, questo voleva dire che in fondo teneva a lui...
Lo sapeva, era sempre stato troppo avventato a criticarlo e a pensare che era uno sporco sfruttatore razzista. Shin aveva un cuore, mentre lui, Joe, aveva sempre cercato di distruggerglielo.
«No, ovviamente. Era solo per farti fermare» rise e gli tirò un pacca potente sulla spalla che lo fece barcollare.
Joe si guardò intorno e si rese conto di essere proprio al centro della sala, mentre tutti gli altri invitati si erano spostati e sistemati ai lati formando un cerchio.
Assunse una faccia inorridita.
«Che diamine sta succedendo, per i Dieci Comandamenti!?» chiese impaurito.
Alcuni parenti russi di Luchia avevano delle facce che sembrava volessero ammazzarlo. Che poi non capiva, quanti aprenti aveva nel mondo quella lì?
Indiana ma con una madre mezzo italiana, una serie di parenti mischiati tra etnie indiane, russe, belga e cubane. Non ci capiva una mazza, dove diamine era capitato?
Sua suocera si avvicinò e gli mise addosso un specie di turbante rosso ornato di fiori e uno scialle. Si guardò inorridito, mentre si voltava e vedeva Luchia indossare un Mangtikka sulla fronte e un velo rosso che le arrivava fino ai piedi.
«Ma io... Io non posso!» esclamò intimorito, mentre qualcuno gli alzava le braccia e lo vestiva di altri fronzoli «State facendo un errore, non sono io a dover ballare!»
Luchia si voltò a fulminarlo con lo sguardo da sotto il velo. Sembrava un’odalisca assassina. Gli avrebbe fatto tagliare la testa come Salomè e lui avrebbe fatto la fine di Giovanni il Battista, lo sentiva...
Si fece il segno della croce di corsa.
«Gli sposi devono aprire le danze e gli altri commensali tengono il passo» gli spiegò come se fosse ovvio.
Poi aprì le braccia e un paio di sue cugine si adoperarono per infilarle degli anelli e dei bracciali.
«Non lo hai mai studiato questo?» lo guardò poi, arcigna.
Joe alzò lo sguardo e vide uno che lo spazzolava con uno spolverino da barba facendogli entrare le setole dentro al naso. Un altro dei parenti russi si avvicinava e gli metteva in bocca una bottiglia di whiskey facendoglielo scendere giù forzatamente. Tossì sentendosi affogare.
Altri due tizi gli toglievano le scarpe e gliene rifilavano un paio appuntite a barca. Le guardò inorridito, poi uno degli zii vichinghi gli lanciò uno scappellotto e lo spinse di nuovo al centro della sala.
«Forse nel libro di anatomia 3 avevo letto qualcosa, sai...» riferì sarcastico, mentre lei gli lanciava un semplice e breve sguardo sprezzante.
«Parlo del corso pre-matrimoniale che abbiamo fatto» spiegò come se fosse un bambino poco sveglio.
Joe imprecò tra i denti.
«Lo so che nei tuoi studi terapeutici non viene fatto accenno all’arte della sacra danza indiana» si beffò di lui mentre si metteva in posizione con le braccia al cielo.
Il corvino strabuzzò gli occhi.
Stava scherzando quella vacca, non era così?
Si prendeva giuoco del suo mestiere, uno tra i più prestigiosi e utili al mondo, quando lei metteva i piedi uno dietro l’altro, ondeggiava con le braccia come un polpo e sapeva cucinare solo pollo al curry.
«Terapeutici?» ripeté schifato, mentre fissava un punto imprecisato, sconvolto da quell’affermazione.
Ma aveva idea in cosa consisteva l’arte medica? Credeva fosse tutta salti e movimenti volgari di bacino come faceva lei in quella scuola di danza per esibizionisti?
Chi glielo aveva fatto fare quel giorno di dieci anni prima a chiamarla per intrattenerli con le sue danze? Era una stupida grigliata organizzata a quella papera di Mimi, che non solo gli aveva fregato la barca ma non lo aveva neanche ringraziato, che bisogno aveva di chiamare una danzatrice del ventre indiana?
Potevano giocare a tappo per intrattenersi da soli.
Quel giorno si era incasinato la vita, e non solo perché si era innamorato ignorantemente di lei, ma perché adesso quella voleva prendere il comando della sua persona.
Di lui, di Jyou Kido.
«Perché non ho adottato anche io un cane invece di imprenare questa figlia dei bislacchi...» mormorò tra i denti, gettando uno sguardo invidioso e pieno di rimpianto verso il dobermann di TK e Kari.
Luchia lo incenerì con gli occhi scuri.
«Cosa hai detto?» sibilò minacciosa a denti stretti.
Lui sussultò, poi deglutì, spaventato.
E menava duro, tra l’altro. Meglio non farla adirare. Non perché si spaventasse, che fosse chiaro... solo, era per dimostrare maturità.
«Che ho voglia di ballare questa musica da matti!» esclamò, esibendo un sorriso a trenta denti.
La donna alzò un sopracciglio, scettica.
«Bene, allora seguimi» e schioccò le dita affinché partisse la musica.
Cominciò a muoversi in una strana danza fatta da saltelli e battiti di mano. Joe era in evidente difficoltà, e non riusciva ad emulare un passo decente, solo zompava da un piede all’altro come se fosse stato morso da una tarantola, non beccava il tempo e rischiò pure di fare un ruzzolone.
Qualcuno rise, alcuni dei parenti scellerati di sua moglie. Grugnì, arrabbiato.
Doveva essere deriso da un gruppo di sciocchi pellerossa oltraggiosi! Lui, uno dei medici migliori di Tokyo!
Voleva farli fuori tutti, pensò mentre eseguiva dei movimenti circolari con le mani come se stesse svitando una lampadina.
Sua madre e suo padre lo fissavano con dei sorrisini preoccupati. Shin rideva come una iena opportunista e carogna, qual era. Lì accanto, però, notò qualcuno che attirò la sua attenzione. Sua suocera si era tolta il velo che le copriva metà volto e aveva scostato i lunghi capelli castani, lanciandogli uno sguardo e una risata che gli fece venire i brividi.
Aveva già visto quella faccia, aveva capito chi era, l’aveva riconosciuta, finalmente!
Era lei, dannazione, era lei!
«Adesso ricordo chi è! Sabrina Ferilli!» la indicò sembrando un ossesso, mentre alcuni si voltavano a guardare il punto da lui indicato.
La donna lo udì, si rimise il velo e si infiltrò tra la folla.
Joe allungò una mano.
«Sabrina!» urlò.
Ma proprio in quel momento tutta la gente si riversò a ballare e gli coprirono la visuale. Sua suocera era scomparsa e lui guardava ancora con occhi sgranati il punto in cui si trovava prima.
Qualcuno lo strattono da un braccio e lui si voltò pronto a sbottare.
«Forza, bello di zia, è come fare zumba!»
Era sua zia Janna che batteva le mani e saltava come un elefante accalorato. Fece una smorfia inorridita, ma non riuscì a sgattaiolare via da quella calca perché questa lo aveva trascinato a ballare con lei.
«’Nnaggia, oh» imprecò tra i denti, mentre batteva le mani con un sorriso finto.
Tutte a lui capitavano! Però meglio reagire con filosofia, proprio come stava facendo.. Ci teneva alla buona riuscita delle cose, e non amava fare figure troppo umilianti. Perciò, nonostante si sentisse uno stupido dentro, doveva adeguarsi a tutto e continuare a fingere di starsi divertendo da matti ad un matrimonio multietnico imposto, sfoggiando proprio quel luminoso sorriso che avrebbe fatto invidia perfino ad un cielo stellato.


Tai ne approfittò di quella confusione per sgattaiolare via dalla mischia. Il cellulare gli vibrò nuovamente e diede una veloce occhiata al messaggio che ne susseguì. Fece un sorriso e lo ripose di nuovo in tasca, poi si disperse senza farsi notare.
Sora e Matt, nel frattempo, camminavano tenendosi mano nella mano. Il biondo si era chinato per darle un bacio a fior di labbra e la ragazza aveva sorriso, felice.
D’un tratto si resero conto di quello che stava succedendo intorno a loro e si avvicinarono alla calca di gente che ballava e si dimenava nel bel mezzo della sala.
Matt si stranì.
«Ma chi è che sta suonando? Non mi dirai che sono...»
Lanciarono entrambi uno sguardo verso la postazione del pianobar e videro Sen, Masaru e Yakamochi che si impegnavano a suonare con alcuni parenti di Luchia.
La musica hindi era stata sostituita da delle canzoni russe suonate da una sorta di balalaika cui un signore barbuto era intento a schitarrare.
Nel centro Luchia e Joe saltellavano e si muovevano a ritmo della Kalinka.
Sora scoppiò a ridere fino a sentire le lacrime agli occhi. Il cagnolino di TK e Kari saltò giù dalle braccia di questa e prese a gironzolare intorno allo sposo cercando di mordergli i pantaloni.
Il corvino tentò di scrollarselo di dosso.
«Kalinkakalinkaa-Pussa via, sciò, mi stai facendo sbagliare!» esclamò, pestando i piedi per spaventarlo.
TK era subito corso a recuperarlo.
Matt fece un’espressione buffa aggrottando le sopracciglia e guardò la ramata, basito. Lei lo tirò per un braccio.
«Dai, andiamo anche noi!» lo esortò, divertita.
Lui, però, intravide Luchia che andava a recuperare il suo mazzo di fiori e oppose resistenza.
«No, aspetta!» esclamò.
La ramata lo guardò sospettosa. Allora lui la strinse da dietro con le braccia e fece in modo che si posizionassero in un punto tra le persone da dove potevano aver ben chiara la visuale.
«Aspetta» ripeté in un sussurro al suo orecchio, suonando convincente.
Sora allora guardò avanti aspettandosi qualcosa.

Mimi si muoveva a ritmo saltellando da un piede all’altro, poi faceva delle giravolte veloci attaccandosi al braccio di Yolei che era euforica e riprendeva tutto con un cellulare sorretto da un lungo bastone che registrava ampiamente a 180 gradi.
Non riusciva quasi più a respirare. I balli erano cambiati repentinamente da una canzone tradizionale all’altra, e tutte erano movimentate e prevedevano saltelli.
La ragazza con i capelli viola urlava e si dimenava, e lei fece lo stesso sentendo in testa la pesantezza del vino rosso. Mosse di qua e là i capelli castani per l’occasione acconciati in delle onde perfette, e si spettinò tutta, poi scoppiò a ridere, mentre Yolei urlava cose come un’ossessa continuando a girare il video.
La ragazza sentì la testa girare e dovette fermarsi un attimo, alzandosi i capelli per aria e sventolandosi con le mani.
Ma dov’era Tai? Lo aveva perso di vista, eppure gli era sembrato di averlo visto andare via poco fa in maniera furtiva... Che non le stesse nascondendo qualcosa?
Prese a ridere sguaiatamente quando Yolei urlò parole russe inesistenti, fino a quando le luci in sala non si abbassarono.
Si guardò intorno spaesata.
Gli invitati smisero di ballare e Luchia si erse da sopra un piedistallo. Si era tolta via gli altri costumi tradizionali e manteneva il semplice abito bianco.
Esibì il grande bouquet.
«Mettetevi in linea orizzontale, donne! Se c’è qualche uomo che avanzi pure» esclamò e suo marito la prese in parola mettendosi in prima fila.
«Non tu, stoccafisso!» lo riprese e Joe imprecò tra i denti, andandosene.
Mimi si sentì spinta in avanti da una pila di ragazze che si accalcavano per accaparrarsi il posto migliore.
Subito spalancò gli occhi e si rese conto di quello che sarebbe successo. La sposa avrebbe lanciato il suo bouquet. Non seppe come mai ma sentì il cuore batterle forte.
Forse era ubriaca, o il lancio del mazzo le procurava sempre una forte che emozione. Non sapeva nemmeno il perché; era ridicolo, d’altronde.
«Arriva il lancio! Uno, due, e...»
Mimi si aspettò che dicesse tre, ma Luchia non parlò oltre. Si fermò, scese dal piedistallo e si voltò a guardarla. Stava guardando proprio lei, ne era sicura.
Le si avvicinò e le diede il mazzo di fiori in mano, poi si allontanò con un sorriso enigmatico.
Perché lo aveva fatto? Non ci stava capendo più niente... Le luci erano soffuse, la musica suonava una melodia lenta e dolce, e tutti gli invitati si erano spostati da un lato. Si guardò intorno e, stupita, si rese conto di essere rimasta da sola al centro della sala.
Faceva parte del ballo? Forse doveva dare il mazzo ad un’altra invitata e non lo sapeva... Diamine, ci stava facendo una figura pessima...
Inaspettatamente, vide Taichi arrivare da un punto imprecisato, farsi largo da dietro un paio di persone e camminare verso la sua direzione.
Sentì il cuore che cominciava a salirle fino alla gola.
Lo guardò con un’espressione stupefatta, mentre lui manteneva in volto un’aria misteriosa. Furono uno davanti all’altro.
«Oddio, che succede?» gli chiese preoccupata, mentre gli occhi erano appannati e si sentiva stordita.
Nel frattempo, Joe aveva spalancato le orbite non appena si era reso conto di quello che stava succedendo.
«Ma quello è...» provò ad urlare, ma Luchia gli pestò prontamente un piede con lo spillo del tacco.
«Chiudi quel becco da uccello tuki tuki!» lo redarguì e lui si tenne il piede dolorante emettendo uno strillo di dolore acuto.
Sora cominciò già a sentire le lacrime agli occhi e si portò una mano alla bocca, mentre Matt la stringeva ancora di più con un sorriso.
Mimi guardava Tai ancora stupita e un tantino allarmata. Non capiva bene cosa stesse succedendo, o meglio, laddove il suo cervello tentasse di formulare un pensiero razionale, lei stessa si dava della sciocca.
Il castano si passò una mano tra i capelli e si decise a parlare.
«So che mi stavi cercando perché volevi trascinarmi a ballare, infatti l’ho fatto apposta a nascondermi» le rivelò con una risatina che voleva apparire divertita, ma che in realtà faceva trapelare tutta la sua agitazione.
Joe grugnì dopo essersi rialzato.
«E hai fatto bene...» commentò con rammarico.
La castana lo fissava come se non fosse sicura che quello stesse accadendo realmente e che lui fosse Taichi.
Questi si rese conto che era un po’ a disagio e tentò di sdrammatizzare.
«Anche perché se fossi rimasto probabilmente mi sarei messo a ballare anche io sul serio e avremmo fatto casino come al solito. Quindi me ne sarei dimenticato»
Mimi sciolse finalmente le spalle e si mise a ridere, tenendosi il viso con la mano libera.
Aveva più che ragione. Si comportavano da scemi quando erano insieme.
Tai si schiarì la voce e divenne più serio. Puntò gli occhi su quelli di lei e vide che erano pervasi da uno strano bagliore.
«Per questo ho pensato che non c’era momento migliore di questo. Inaugurare quello che sto per fare proprio adesso» lo vide mettersi una mano in tasca e prendere qualcosa «è di buon auspicio»
Sentì il cuore che batteva distrattamente come fosse alienata. In sala era calato il silenzio più assoluto.
Tai tirò fuori una scatolina di velluto rosso e la rigirò nelle mani come se stesse pensando a qualcosa. Poi alzò lo sguardo con un sorriso rassegnato.
«Deve esserlo, perché se mi dirai di no dovrei riciclarlo a Joe e Luchia come regalo»
Il nominato in questione alzò le spalle.
«Taccagno...» sibilò.
Mimi cominciò a mettere lentamente insieme i pezzi del puzzle. Gli occhi le si riempirono di lacrime.
Non appena lo vide inginocchiarsi pensò di poter cascare per terra tanto sentiva le gambe di gelatina e il vino non migliorava a stabilizzare la sua condizione.
«Forse è un po’ imbarazzante» commentò il castano con una smorfia mentre dava un’occhiata a tutte le persone che li stavano osservando. Poi guardò di nuovo lei, risoluto.
«Ma noi siamo così, lo sai, amore. Siamo egocentrici, ci piace essere al centro dell’attenzione. Non abbiamo misure, o tutto o niente»
Era assolutamente vero. Loro due erano fatti in quel modo, si assomigliavano molto. Erravano insieme, si perdonavano insieme, si amavano in maniera imperfetta ma straordinariamente intensa.
Le scesero due lacrime che non riuscì a trattenere.
«Già» mormorò.
Tai socchiuse gli occhi e prese un gran respiro. Poi aprì la scatolina e la portò di fronte a lei.
Joe cominciò a sentire intorno a sé singulti di gente che si emozionava e fece una smorfia, percependo dei conati di disgusto pervaderlo. Poi Tai parlò di nuovo.
«Quindi credo sia arrivato il momento dopo così tanti anni, dopo esserci persi e poi ritrovati con una consapevolezza diversa, cioè quella di voler stare insieme per sempre... credo sia arrivato il momento di renderlo concreto» fece una pausa in cui Mimi pensò di star sognando.
Ma era tutto reale, perché lui pronunciò quella domanda.
«Mi vuoi sposare?»
Il silenzio era assordante e le lacrime si erano fermate. Aveva portato entrambe le mani al viso, lasciando cadere il mazzo per terra e aveva abbassato la testa. Non ci poteva credere che glielo aveva proposto in quel modo, davanti a tutti...
Non sapeva che dire, non sapeva cosa fare. Si sentiva bloccata come se fosse scolpita nella pietra.
Tai la fissava attendendo una risposta e cominciò a sentire l’ansia assalirlo. Quello sguardo non riusciva a decifrarlo, sembrava ci stesse pensando, sembrava sconvolta, ma Mimi non era una che di solito ci pensava troppo, quindi il fatto che stesse ritardando a rispondergli era...
Non riuscì a finire il pensiero che subito quella lo interruppe.
«Sì… certo» alzò il viso guardandolo con un sorriso «Certo che lo voglio, certo!»
E subito gli fu addosso abbracciandolo e baciandolo. Lui non riuscì a trattenere il peso ricevuto all’improvviso e perse l’equilibrio facendo cascare entrambi per terra.
Ci fu uno scroscio di applausi, di urla e di fischi.
Mimi non aveva smesso di baciarlo, lo baciava dovunque e le lacrime le sgorgavano come un fiume in piena, ma rideva, continuava a ridere incessantemente.
«Non pensavo avessi mai potuto farlo!» esclamò, sollevando appena la testa mentre erano ancora sdraiati per terra e lei era sopra di lui.
«Mi sottovaluti» ghignò il ragazzo, poi si drizzò con il busto e si mise a sedere.
Staccò l’anello dalla scatola e subito le afferrò l’anulare della mano sinistra, infilandole l’anello. Mimi alzò la mano e osservò i diamanti che brillavano.
Si guardarono e risero felici. Mimi si avvicinò e gli prese il viso, avvicinandolo al proprio.
«Ti amo immensamente» mormorò sulle sue labbra.
Lui sorrise.
«Anche io, non hai idea di quanto ti amo» gli uscì spontaneamente.
E lei subito gli fu di nuovo addosso continuando a baciarlo, sdraiati l’uno sopra l’altro. Dopo staccò a malapena le labbra da quelle sue e lo guardò ancora incredula.
«Gli altri lo sapevano?» chiese, dando una veloce occhiata al resto degli invitati.
Tai la teneva stretta dai fianchi, la testa appoggiata contro il pavimento.
«Matt, ovviamente. E Luchia, mi ha retto il gioco con il bouquet. Pensa che anche Harumi sapeva tutto, gli chiedevo consigli» le rivelò.
Harumi era il suo allenatore dell’Osaka. Lo apprezzava, lo incoraggiava, avevano costruito un rapporto di amicizia che mai avrebbe pensato si potesse costruire davvero dopo quello che gli era successo in passato.
Mimi spalancò gli occhi.
«No va be!»
«Sì, prima era lì che mi mandava messaggi chiedendomi “allora l’hai fatto, non l’hai fatto?”» gli raccontò.
I due risero e continuarono a baciarsi isolandosi dal resto che perse improvvisamente di importanza.
Joe li guardava con invidia e irritazione. Quell’indegno di Taichi aveva dovuto organizzare tutta quella piazzata solamente per rubargli la scena e togliere tutta l’attenzione da lui!
Come se non bastasse quella vacca grassa di sua moglie piangeva senza ritegno.
«Cazzo ti piangi? Non è altro che una corbelleria!» la guardò schifato.
Quella alzò gli occhi rossi e lo strozzò con lo sguardo.
«Taci, Joe. Sono gli ormoni» biascicò con la voce incrinata, soffiandosi il naso.
Baggianate, pensò Joe. Poi sentì un pesò sulla sua spalla e qualcuno che lo agguantava pesantemente da un braccio. Rabbrividì vedendo sua zia Janna che piangeva allo stesso modo.
«Zia, ti prego! Rispettiamo un po’ di spazio interpersonale, avanti!» esclamò tentando di allontanarla stomacato.
Quella si pulì il naso con un fazzoletto di stoffa facendo parecchio rumore.
«E’ che mi manca Tolomeo! Adesso che è in Costa Rica con quella ragazza e i suoi dieci figli mi manca tanto e tu me lo ricordi!» si lamentò tra le lacrime.
Joe fece una smorfia sentendo di essere in procinto di vomitare. Si scostò dalla presa di sua zia e andò al centro della sala dove i due promessi sposi erano ancora in terra a fare le zozzerie.
Si accigliò e si avvicinò, picchiettando la spalla di uno di loro.
«Scusate!» si annunciò con voce melliflua, le mani giunte, un’espressione gentile.
Mimi e Tai smisero di baciarsi e si voltarono a guardarlo.
Lui mantenne un tono zuccheroso, gli zigomi rialzati in un sorriso asimmetrico.
«Non solo mi avete rubato la scena, ma sembrereste in procinto di accoppiarvi nel bel mezzo della mia sala da cerimonia. Potreste, che ne so, ALZARVI DA QUEL CAZZO DI PAVIMENTO E DARVI UN CONTEGNO?!» strepitò come un matto.
I due non se lo fecero ripetere, si misero subito all’ impiedi e sgattaiolarono via.
Joe sospirò pesantemente in quello che sembrava un ringhio esasperato. Si passò una mano tra i capelli ma subito fece una faccia schifata. Aveva esagerato con il gel.
Alzò le braccia al cielo e con uno sbuffo si fece largo tra la folla camminando senza una meta ben precisa.
Aveva bisogno d’aria dopo quelle figure insabbianti.
In successione alle canzoni tradizionali era toccato ai balli di gruppo e, sinceramente, quello non lo poteva sopportare.
Vedere Luchia e sua zia Janna che ballavano zumba era uno spettacolo raccapricciante. Doveva dileguarsi nell’immediato altrimenti avrebbero sicuramente incastrato anche lui.
Uscì fuori dalla mischia di persone e, d’un tratto, uno strano odore gli fece rizzare le narici. Era un odore strano, come di pollo arrosto, e proveniva perpendicolare ai bagni.
Rimase con gli occhi sbarrati a pensare e fece due più due.
A meno che qualcuno non stesse facendo un barbecue dentro un cesso, quella puzza apparteneva a qualcosa di vagamente familiare...
La sua mano si avvicinava lentamente alla maniglia della porta.
Ce l’aveva in pugno.
Improvvisamente qualcuno lo chiamò al microfono. Era Matt. Strinse i pugni e imprecò.
«E aspetta, non vedi che sto per aprire una dannata porta?!» sbraitò.
Perché non lo lasciavano mai in pace? Per diana, la privacy era una sconosciuta per quegli individui!
Si voltò di nuovo verso la porta e posò la mano sopra la maniglia.
«Non avevi detto che dovevamo fare quella cosa?» lo destò il biondo, e subito la lampadina del suo cervello si accese.
Si voltò con un sorriso elettrizzato.
«Arrivo!» urlò e si dimenticò della porta e di quello che stava facendo.
Superò velocemente le persone che gli intralciavano la strada spingendole con sgarbo ed arrivò davanti al mixer dove Matt e gli altri componenti della band lo attendevano.
Izzy e TK avevano un bicchiere in mano e li raggiunsero.
«Che intendi fare?» chiese il rosso scettico, vedendolo saltellare gioiosamente come un bambino a Natale.
«Sicuramente una cosa più sensata di tutta la tua esistenza, Koushiro» fu la frettolosa risposta che ne susseguì.
Quello alzò un sopracciglio scuro e lanciò uno sguardo interrogativo a Takeru che sorrideva divertito mentre lo osservava trafficare. Muoveva cose di qua e di là, afferrando fili e spostandoli senza nemmeno sapere cosa stesse facendo; solo era così fomentato da non vederci più.
Matt lo afferrò da un polso stritolandolo e fece in modo che posasse subito uno degli amplificatori che stava maneggiando.
«Non mi dire che vorresti cantare?» chiese poi TK non appena lo vide trasferire la sua attenzione verso un microfono rimasto incustodito su un’asta.
Joe si voltò a guardarlo con gli occhi che gli brillavano da dietro gli occhiali scuri.
«Lo faremo tutti! Canteremo un pezzo scritto da me e arrangiato da Yamato. Certo, l’emozione delle parole supera di gran lunga la banalità dell’arrangiamento, ma...» spiegò con enfasi, poi si distrasse e puntò lo sguardo sul cane del biondino che scodinzolava sotto di loro.
«A proposito, il bastardo come si chiama? Ferdi? » chiese pensieroso.
Ci avrebbe scommesso un’anca che si chiamava Ferdi. Suonava così bene per inventare delle scuse.
Il più piccolo lo prese in braccio accarezzandolo, poi fece un sorrisino.
«Ehm, in realtà lo abbiamo chiamato Kido» rispose tentennando.
Joe rimase pensieroso ancora per qualche secondo, poi rinsavì non appena collegò.
«Come me?!»
«Beh...»
«Perché non lo avete chiamato Matt come la bestiaccia di tuo fratello?!» lanciò per aria degli spartiti.
La persona in questione strabuzzò gli occhi arrabbiato, prendendolo dalla nuca e facendo in modo che si piegasse per terra a raccogliere i fogli che aveva gettato.
«Vedi di darti una mossa e smettila di sparare cavolate, burino!» ruggì, poi lo lasciò dandogli una spinta. Sentì la mano sporca di gel e con una smorfia disgustata la pulì sopra la sua camicia bianca piena di pieghe. Della giacca ancora nemmeno l’ombra.
Quello si rialzò e posò gli spartiti stizzito sopra una tastiera. Poi si sistemò gli occhiali che gli pendevano da un lato e si portò le mani sui fianchi facendogli il verso.
«Burino è ormai passato di moda! Sii più originale dopo vent’anni. Potresti chiamarmi, che ne so, grossolano? Picaro? Sobillatore?»
Izzy aveva un’espressione scettica.
«Burino renderà sempre il concetto di quello che sei. Solo che sposato» e bevve dal suo bicchiere.
Joe ebbe un luccichio folle negli occhi non appena lo udì parlare, così si precipitò dal batterista che aveva appena alzato in aria le bacchette, sfilandogliele dalle mani.
Poi con un urlo imbizzarrito si voltò in sua direzione pronto a colpirlo.
«Grrrr! Ti cavo gli occhi! Vieni qua! VIENI QUA!» strepitava dimenandosi, mentre TK lo bloccava dai fianchi e Kido aveva incominciato ad abbaiare ai suoi piedi, mordendogli di nuovo i pantaloni.
Quella lite ebbe vita breve perché Matt schioccò stufato le dita e partirono a suonare. La musica si espanse per tutta la sala, e Joe cambiò espressione nell’immediato, scavalcando il piano bar e posizionandosi in bella vista per l’esibizione.
Tai e Mimi si fecero largo tra la folla, incuriositi. Erano entrambi in disordine e avevano le labbra rosse. Matt notò il suo migliore amico e gli fece cenno di avvicinarsi con un dito. Questo non se lo fece ripetere due volte e lo raggiunse posizionandosi accanto a lui. Gli sorrise entusiasta e Matt gli passò un braccio sulle spalle, poi gli passò un microfono ed iniziò a cantare i primi versi leggendo il testo dal monitor.
«Mugendai na yume no ato no nanimo nai yo no naka ja...»
Gli altri si avvicinarono a loro volta. Izzy posò il bicchiere e trascinò Frankie dalla mano che emise uno strillo eccitato. TK fece cenno a Kari e questa lasciò il cagnolino alla zia Janna, raggiungendolo. Mimi e Sora si presero per mano e corsero a posizionarsi dal lato sinistro.
Joe diede a fatica un aiuto a Luchia ed entrambi si issarono sopra il tavolo nunziale, ballando.
Tutti cantarono un pezzo di canzone a turno, storpiando un po’ il ritmo, ma divertendosi da morire.
Matt suonava la chitarra elettrica in contemporanea e Tai ormai ci aveva preso gusto a cantare. Voltarono la testa l’uno verso l’altro, si avvicinarono con la fronte e risero entrambi. I diamanti dell’anello di Mimi luccicavano mentre alzava in aria le mani unite di lei e Sora. Kari volteggiava leggiadra dal lato opposto.
D’un tratto Joe sparì sotto le gonne di Luchia e ne uscì fuori con una giarrettiera blu in bocca.
Tutti scoppiarono a ridere e lui la fece girare tra le dita saltellando con i piedi.
Izzy chiamò qualcuno per farsi prestare qualcosa, poi si staccò dalla mandria portando Frankie con sé. Posizionò il cellulare sul bastone lungo e fece in modo che l’inquadratura prendesse tutti.
«Guardate qua!» esclamò.
I ragazzi si voltarono e TK fece in tempo a lanciare per aria il suo cappello grigio che venne immortalato nella foto appena scattata.

Andava tutto bene.
























«AAAAAAAAARRRGH!»

















Si voltarono tutti verso la fonte di quell’urlo. Luchia si trovava ferma, piegata su sé stessa che si teneva la pancia rotonda con in volto un’espressione sofferente.
La canzone era appena finita.
«Oddio, che ha?» chiese Mimi, spaventata.
L’espressione della donna non presagiva nulla di buono. Lentamente videro che si accasciava sopra il tavolo quasi avesse perso i sensi.
Kari gettò uno strillo.
«Sta male!»
Joe, che dapprima era rimasto lì fermo come un ebete, subito si precipitò a trattenerla da sotto le ascelle, mentre lei si aggrappava con una mano al suo braccio per non scivolare.
Il corvino aveva in volto una ruga di apprensione che gli divideva in due la fronte.
«Hai esagerato con le cozze?» gli chiedeva allarmato, mentre lei continuava a lamentarsi e gli faceva cenno di tenergli il vestito.
Lui la fece adagiare sul tavolo a gambe aperte e subito iniziava a spostare l’ampio abito di qua e di là.
«Te l’avevo detto che non dovevi mangiartele con il panino alla Nutella!» la rimproverò.
Alcuni fecero un’espressione stralunata, mentre la donna alzava la testa e lo guardava con un occhio aperto e uno chiuso e grugniva un po’ per il dolore, un po’ per l’ira.
Joe mollò subito la sua mano e le alzò entrambe in segno di difesa.
«Eh la peppa! Non ti preoccupare, mica è gente che giudica» e fece cenno verso tutti gli altre che facevano da spettatori da sotto, preoccupati ma interrogativi.
Luchi strinse forte i denti e aprì anche l’altro occhio, puntandolo su di lui in maniera truce.
«Joe» chiamò.
«Eh?»
Si contorse per il dolore.
«Si sono rotte le acque» annunciò poi, non appena riuscì a respirare.
Subito un mormorio si alzò dalla sala, qualcuno emise un gridolino eccitato, la madre di Joe si portò una mano al petto e sua zia Janna cominciò a battere le mani.
Sora, Mimi e Kari si avvicinarono a parlottare mentre mandavano loro occhiatine. Il batterista diede un colpo al piatto per scaricare la tensione.
Il ragazzo non capì.
Di che acque parlava?
Sbatté le palpebre, perplesso.
«Eh… e non si possono riparare? Dobbiamo chiamare l’idraulico?»
Insomma, gli dicesse ciò che doveva essere fatto e via, quante storie. C’era bisogno di fare tutto quel teatrino inutile che nemmeno Heidi quando voleva tornare tra i monti...
Luchia gettò un altro grugnito e gli strinse il braccio, affondando le lunghe unghie rifinite in gel dentro la sua carne e facendolo abbassare alla sua altezza.
«Vuol dire che ho le contrazioni, emerito idiota!» sbottò con voce altisonante.
Calò il silenzio. Poi d’un tratto un mormorio, e un altro ancora. Tutti si mossero di qua e di là cominciando ad adoperarsi, sua madre tirò fuori un telefono.
«Chiamo l’ambulanza!» comunicò, emozionata.
Joe continuava a guardarla come se avesse parlato greco antico.
«Che… che significa... non capisco...» biascicava in shock, mentre le ragazze aiutavano Luchia a scendere giù dal tavolo con non poca difficoltà.
Matt scosse la testa mentre riponeva la chitarra elettrica dentro la custodia, mentre Tai alzava le braccia e le faceva ricascare sulle cosce emettendo un rumore in segno di esasperazione.
«Sta per nascere tuo figlio!» lo illuminò.
Joe, rimasto sopra il tavolo, lo fissò spaventato.
«Figlio?» borbottò con gli occhi fuori dalle orbite.
Si voltò a guardare Luchia tutta raccolta su sé stessa che veniva adagiata su delle sedie. Le avevano appoggiato le gambe e la sventolavano come un sultano.
No, non poteva essere, non lo aveva calcolato... Lui credeva che sarebbe successo in un tempo futuro e lontano, non di certo quel giorno. Doveva esserci un errore, ne era sicuro. Magari sua moglie aveva esagerato con il cibo, d’altronde mangiava come una balena e ruttava come un camionista. Non poteva essere che un mini lui fosse pronto ad essere lanciato fuori dalle interiora di quella donna!
Non si sentiva pronto ad affrontare tutto quello, non riusciva ad immaginarsi intricato in notti insonni a cambiare pannolini puzzolenti ed essere schizzato di latte bollente sul volto.
Aveva bisogno della sua vita, bastava già lui ad essere un tirapiedi, non voleva averne un altro in casa e poi andare a fare il turno in ospedale alle cinque di mattina!
Subito scese dal tavolo con un balzo e si precipitò da Luchia, che aveva le gambe aperte, il vestito alzato fino al ventre e teneva strette le mani di qualcuno.
L’afferrò dalle spalle e fece in modo che lo guardasse.
«Luchia, gioia della mia vita, cuore del mio cuore, io ti giuro che farò di tutto perché tu stia bene!» esclamò celebre, mentre lei urlava per il dolore delle contrazioni.
Doveva tentare la sua ultima carta, quella poteva perfino sputarlo dalla bocca!
Fece finta di accarezzarle la testa con amore, ma si abbassò fino al suo orecchio di soppiatto.
«Sei ancora in tempo, dimmelo. Dimmi, è veramente mio figlio?» le sussurrò tra i denti, mentre quella ruggiva con il sudore che le scendeva dalla fronte.
Lo guardò sconvolta, ma lui continuò a darle colpetti sulla testa.
«Puoi dirmi la verità, non mi arrabbio. Dimmi se non lo è, coraggio, avanti, ti giuro che sarò molto diplomatico...» continuava ancora a dire tutt’ad un fiato.
Quella strinse i denti.
«Certo che è tuo figlio! Di chi dovrebbe essere, sennò?!» urlò.
Lui le prese una mano tra le sue e l’accarezzò, facendole cenno di tacere dolcemente altrimenti avrebbe sentito più dolore.
Poi si riabbassò con una speranza impressa negli occhi.
«Quel nero della scuola di danza, quel Carlos!» tentò.
«E’ gay!» sbottò lei.
Joe rimase di stucco e fece cadere lentamente la sua mano.
Allora era proprio vero, stava per diventare padre.
Si allontanò camminando all’indietro lasciandola ansimare e urlare. Una mano sopra il suo petto come segno che stava iniziando a sentirsi male. Sbatté contro qualcuno.
«Coraggio, Joe! E’ questione di tempo ormai!» era suo fratello Shin che gli alzava il pollice, entusiasta.
Sentì la rabbia rizzare i capelli neroblu.
«E’ questione di tempo prima che ti uccida definitivamente, flagello di Dio!» ululò imbizzarrito, sentendo il corpo iniziare a tremare.
Cominciò a correre, cominciò a vedere tutto distorto. Dio, si sarebbe sentito male... Non sapeva dove stava andando, non sapeva nemmeno se esisteva realmente...
«Non è possibile! Credevo mancasse ancora del tempo! Deve esserci una telecamera nascosta!» sbraitava preso dal panico. Poi metteva a soqquadro i tavoli, lanciava le posate, prendeva le bacchette di Sen e le spezzava in un colpo netto con un forza immane, spalancava le tende e guardava negli angoli per constatare se tutto ciò fosse una candid in camera.
E correva di nuovo, urlava, si toccava i capelli sporcandoli di gel.
Improvvisamente s’ imbatté contro i suoi amici che lo fissavano come se fosse matto. Lui si portò le mani al volto rielaborando fedelmente l’urlo di Munch.
«Non ero pronto nemmeno a sposarmi!» confessò con le lacrime agli occhi
«Nessuno di voi ha notato che balbettavo mentre leggevo le promesse? Volevo fuggire in Kazakhistan! Non sono pronto per diventare padre!» ammise in un pianto disperato.
Il cane di TK abbaiava imperterrito e questo cercava di farlo stare buono, ma aveva addirittura preso a ringhiargli contro considerandolo un pericolo da sopprimere.
«E te ne rendi conto dopo nove mesi?» fu la domanda sarcastica che gli fece Izzy.
Volle rispondere con sgarbo che aveva calcolato male usando il calendario Maya, ma Luchia gettò un acuto così forte che furono costretti a tapparsi le orecchie.
Joe aveva il panico che scorreva da dietro gli occhiali.
«Santo cielo, sembra un cavallo che ha le coliche! Qualcuno l’aiuti!» cominciò a correre di nuovo, invocando nomi di gente che non corrispondevano a quelli reali
«Ilir! Saluan! Moujhu! Chiamate un medico! Chiamate un’ambulanza!»
A quell’urlo tutti si voltarono a guardarlo, perfino Luchia. Lui cominciò a barcollare lentamente.
«Cazzo, sono io, s-sì… O-okay, allora so quello che devo fare...» tentò di fermarsi, si passò due dita sulle meningi per poter pensare.
Fece un respiro profondo.
«E-ecco, allora... b-bisogna cominciare con la pressione, q-qualcuno porti il misuratore...» biascicava, cominciando a vedere confuso, i colori che lentamente si scolorivano e i suoni che si spegnevano.
Girò più volte su sé stesso per tentare di rimanere in piedi.
«P-poi bisogna a-aprire la b-b-bocca della p-p-paziente e infilarle il... il termo… il termometro, p-possibilmente non uno della C-chicco... bisogna misurarle la... la...»
«LA?» gli chiesero.
Lui chiuse gli occhi e fece una smorfia irritata.
«La... La... oh, cazzo vuoi, ci sono troppe cose da ricordare! Lasciami pensare... la... N-non mi sento la faccia, è normale?»
Lo videro che faceva un altro giro di 360 gradi e lasciava cadere le braccia sui fianchi. Li guardò. Loro guardarono lui.
Sorrise sghembo.
«Io non sono normale» ammise con una risatina isterica.
Poi alzò gli occhi al cielo, gli occhi diventarono bianchi, le palpebre si chiusero e cadde per terra, svenuto.
Silenzio.
Tai e Matt si lanciarono uno sguardo. Izzy rise. TK gli scattò una foto.
Si avvicinarono e lo tolsero da lì, facendolo strisciare per terra, mentre Kido continuava ad aggrapparsi ai pantaloni del vestito, riuscendo perfino a strappargli un lembo di stoffa.






L’ambulanza era ferma, parcheggiata di fronte il ristorante.
Subito la porta centrale si aprì e ne uscirono di corsa degli infermieri che trascinavano una barella sopra cui giaceva Joe, privo di sensi, un braccio che penzolava da un lato.
Dietro di loro, Luchia alzava i lembi del vestito in maniera tale che non strofinasse per terra ed avanzava imperiosamente senza farsi toccare da nessuno.
Alcuni di loro uscirono e guardarono la scena dall’ampio affaccio. Il sole stava tramontando e il cielo cominciava a tingersi di un meraviglioso rosso.
Le porte dell’ambulanza vennero spalancate e Luchia salì a bordo senza battere ciglio, sedendosi e guardando tutti con un’espressione altera.
Si chiesero come riuscisse ad essere così tranquilla in un momento del genere. Stava andando a partorire e non batteva ciglio, al contrario di Joe che, paradossalmente, era quello che aveva subito più danni psicologici, oltre che fisici. Aveva un bernoccolo sulla fronte e gli occhiali gli si erano spezzati proprio nel mezzo dell’asta. Della madre della sposa nemmeno l’ombra.
Tai arrivò proprio in quel momento e affiancò Matt, porgendogli un bicchiere. Questi non fu sorpreso, lo afferrò e continuò a guardare la barella che stava per essere imbarcata.
«Li hai trovati?» chiese solo.
Il castano afferrò un pacco dalla tasca destra e gli fece cenno di prendere qualcosa. Il biondo abbassò la mano e sfilò un sigaro, portandoselo alla bocca.
Tai bevve un sorso di rum.
«Proprio dove avevi sentito dire» disse.
Matt alzò le labbra in un sorrisino.
Joe, nel frattempo, rinvenne, aprendo lentamente gli occhi. Alzò leggermente la testa e li vide proprio lì davanti, così fece una faccia disperata, alzò appena un braccio, indicandoli.
Il suo rum cubano e i suoi sigari guatemaltechi! Quei bastardi! Quei figli del demonio!
Volle urlare, ma le forze gli mancarono e perse di nuovo i sensi. Le porte dell’ambulanza vennero sbattute e venne acceso il motore.
I due ragazzi alzarono una mano in segno di saluto con un ghigno ironico.
«E’ proprio un burino» commentò Tai.
Matt annuì, rilasciando il fumo. Poi si lanciarono un’occhiata e scoppiarono a ridere.
Nel frattempo udirono il rumore di una sirena e videro un’automobile della polizia che arrivava sgommando. Subito parcheggiò di fronte e ne uscirono fuori dei poliziotti in divisa che entravano di corsa.
I due si scambiarono uno sguardo sconcertato.
«Non ho davvero idea di cosa stia succedendo oggi» proferì Matt in tono confuso.
Tai fece un gesto con le sopracciglia come segno che aveva ragione.
«Forse dovremmo continuare ad ignorarlo e goderci questo» disse poi facendo tentennare il rum e lanciando uno sguardo a Sora e Mimi che si trovavano dietro di loro, un po’ più distanti.
L’amico fece lo stesso, poi si voltò di nuovo a guardarlo con un sorriso radioso.
«Hai ragione. Facciamo un brindisi» propose e subito alzarono i bicchieri.
Tai tirò un sospiro rilasciando tutta l’aria che aveva trattenuto per troppo tempo, come segno di pace interiore. E Matt aveva una luce diversa sul viso, era cambiato.
Entrambi erano felici, rigenerati, due persone nuove.
Si augurava per loro tutto quello che di bello poteva augurarsi.
«A noi. Un augurio per una vita migliore» disse, guardando fisso negli occhi il suo migliore amico che annuì concordante.
«All’arrivo di una nuova» continuò, e si voltarono entrambi verso Sora, che sorrise amabilmente e portò una mano sul suo ventre.
«E alla promessa di “per sempre”»
Mimi rispose al loro sguardo con un cipiglio curioso. Poi si voltarono e incastrarono nuovamente gli occhi su quelli dell’altro.
Tai si morse il labbro inferiore come se fosse emozionato.
«Festeggiamo quelli che siamo, quelli che saremo, festeggiamo noi che non abbiamo mollato, che siamo ancora qui, uniti inesorabilmente» concluse poi.
Lo sguardo di Matt si fece velato.
«Mi fai sciogliere, dannazione...» mormorò sentendo le lacrime che premevano per uscire.
Il castano ridacchiò.
«Lo so» soffiò, poi abbassò la testa.
«Mi sciolgo anch’io» ammise sentendo di star cedendo a sua volta lentamente, come se tutto il peso di quegli anni stesse finalmente andando via e li liberava dall’angoscia, dalla paura di non essere abbastanza, dalla solitudine con cui avevano dovuto lottare per sopravvivere.
Batterono i bicchieri, si guardarono ancora e bevvero.
Stava incominciando, questa volta davvero.
Volsero lo sguardo verso il tramonto e sorrisero.
Il cane di TK e Kari apparve improvvisamente trascinando qualcosa in bocca. Diede un morso e corse via, palesando per terra la piccola miniatura di Joe che avrebbe dovuto figurare in cima alla torta nunziale. Non aveva più la testa.
Vedendo quella scena cominciarono a ridacchiare in maniera compulsiva, mentre le lacrime premevano ancora per scendere, la vista era appannata e la faccia sembrava andare a fuoco.
Si guardarono interrogativi e allarmati, le risatine che fuoriuscivano senza controllo e non si placavano, poi gettarono uno sguardo ai sigari.
Con un’ occhiatina sorpresa, alzarono le spalle decidendo di non farsi domande neanche in quel caso.
Sora e Mimi erano ancora dietro di loro abbracciate, viso contro viso, mentre il sole era tramontato e lasciava come scia il battito emozionato dei loro cuori.

Andava tutto bene davvero.









Fine.












   
 
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