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Autore: rose07    11/01/2024    0 recensioni
Due anni.
Erano passati due anni da quando Taichi aveva smarrito sé stesso. Da quando la vita a Kyoto gli stava stretta.
Due anni da quando Yamato aveva iniziato ad andare alla deriva. Da quando il silenzio lo aveva risucchiato.
Due anni.
Erano passati due anni da quando Mimi aveva lasciato la persona che amava. Da quando il suo sorriso era meno sincero.
Due anni da quando Sora aveva riscoperto una parte di sé tenuta nascosta. Da quando le cose avevano preso una piega differente.
Tratto dalla serie: "Stay together in the end".
Genere: Erotico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Mimi Tachikawa, Sora Takenouchi, Taichi Yagami/Tai Kamiya, Yamato Ishida/Matt
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Stay together in the end ( ? )'
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«Sora? Sora, ci sei?
Sora
Altrove, nello stesso momento, Mimi si trovava ritta di fronte alla finestra di camera sua, il telefono all’orecchio con cui un attimo prima stava parlando con la sua amica che l’aveva chiamata inaspettatamente sconvolta.
Non ci aveva capito molto, aveva solo menzionato Matt, pareva si fossero incontrati ma non sembrava che tutto fosse andato per il meglio.
Ad un certo punto aveva sentito un tonfo sordo, delle interferenze, come dei fruscii, dei rumori metallici; poi d’un tratto il nulla, non l’aveva udita più.
La chiamò altre volte ma niente, il telefono sembrava muto.
«Che diamine! Ha riattaccato!» esclamò poi, guardando il cellulare con stizza ma anche con un cipiglio di apprensione.
Si portò una mano sul fianco e con l’altra si tenne la fronte, pensierosa.
Cos’era capitato?
Non ci stava capendo più nulla, né di quello che stava succedendo a Sora, né di quello che era successo a lei poco fa.
Era tutto un curioso macello di sentimenti da cui era difficile uscirne.
Aveva il cervello talmente in pappa da non essersi minimamente accorta di trovarsi senza niente addosso, il seno libero, nessuna ombra di uno dei suoi reggiseni di pizzo; portava solo le mutandine.
E stava lì ritta, impalata, di fronte alla finestra.
Doveva essersi ammattita, o forse era completamente coinvolta da qualcosa di più grande di lei da nemmeno curarsene, in fondo.
Dei passi di piedi nudi si avvicinarono e, senza avvertirla, qualcuno la strinse da dietro, sentì il contatto con il caldo del suo corpo.
Chiuse gli occhi, mentre piano si sentiva baciare il collo e non riuscì a fare a meno di lasciarsi cullare dai brividi, ansimando piano.
Quelle labbra calde risalirono fin sopra la sua guancia, tracciandone dei contorni umidi.
«Non penso abbia riattaccato» soffiò Taichi tra un bacio morbido e l’altro, mentre continuava a stringerla a sé facendo dondolare entrambi leggermente.
Mimi aprì gli occhi e nascose un sorriso di gioia, poi assunse un’espressione di sfida, come tutte le volte in cui parlavano.
Loro erano fatti così, si prendevano in giro, si sfidavano, erano un botta e risposta continuo, amavano stuzzicarsi perché sapevano che l’altro era instancabile; d’altronde, l’ indole egocentrica li accomunava.
Non era cambiato nulla dall’ultima volta.
La loro complicità era quella di sempre, anzi sembrava triplicata.
«E tu che ne sai?» lo rimbeccò lei, dandogli una piccola gomitata tra le costole.
Il castano emise un lamento e rise tenendosi la parte colpita. Lei lo fissava con le braccia conserte e l’espressione altera ma divertita.
«Io so sempre tutto» rispose in modo enigmatico, dandosi delle arie.
La castana gli lanciò un’occhiata scettica, poi si voltò e riportò il cellulare all’orecchio provando a richiamare la ramata.
Tai alzò gli occhi al cielo, la bloccò dai fianchi e tentò di cavarle il telefono di mano. Mimi cacciò un urlo e lottarono per un po’ in quel modo, fino a quando il ragazzo la ebbe vinta.
Lei si voltò con i capelli scompigliati. Lo guardò interrogativa e un po’ irritata.
Perché insisteva affinché non avesse notizie di Sora?
Eppure era la migliore amica di entrambi!
«Perché non mi lasci riprovare? E se sta male?» obiettò.
Lui, nel frattempo, aveva posato il telefono con la custodia rosa di brillanti sulla scrivania, poi si era voltato a guardarla alzando le sopracciglia scure.
«Starà bene quasi quanto noi, non preoccuparti» la tranquillizzò, vedendola stupita sul posto, gli occhi castani che ancora lo esaminavano dubbiosi.
Tai le regalò un sorriso che aveva qualcosa di convincente.
Sapeva cosa stava dicendo, doveva fidarsi.
Non aveva mai avuto troppi dubbi a riguardo, era convinto che tutto si stava risolvendo per il meglio.
Mimi scrollò le spalle, poi lo continuò a fissare con un ghigno che aveva qualcosa di palesemente malizioso.
La vide avvicinarsi piano, i suoi occhi ricaddero sul suo seno nudo.
Si alzò sulle punte e si avvicinò al suo viso, sfiorandogli la guancia con un dito.
«Hai detto bene... quasi» mormorò sulle sue labbra, quel tanto da dargli modo di attirarla a sé e baciarla.
Si baciarono coprendo le risate, mentre giocavano ad un gioco di lingue che si rincorrevano e lottavano in cerca di un attimo di paradiso.
Perduto, ma ritrovato.
Si lasciarono con uno schiocco e si guardarono per un po’ negli occhi assuefatti, persi in un mondo tutto loro che di bello non aveva poco, aveva troppo .
I contorni, le sfaccettature, il modo in cui si stringevano.
Tai ruppe quel contatto avventandosi su di lei e afferrandola da dietro la schiena. Con un braccio le coprì tutto il seno.
«Non lo sai che da sotto si vede tutto?» la rimproverò giocosamente, mentre aveva il capo chino su di lei.
Mimi lo fissava a mezz’aria, gli occhi che le brillavano.
Vero, se n’ era completamente dimenticata, ormai.
«Bugiardo!» lo apostrofò, prendendolo in giro.
C’era comunque la tenda che copriva la visuale.
Tai la fissò con un cipiglio spostando leggermente la testa come per dire “ah sì?”, ma lei incollò nuovamente le labbra a quelle sue.
Così il ragazzo non resistette, la fece voltare mentre la prendeva in braccio. Senza staccarsi da lei la trascinò di peso proprio sul davanzale della finestra, mentre lei si appoggiava con la schiena nuda sentendo la stoffa della tenda farle il solletico.
Certo che erano proprio due stupidi...
Si baciarono e poi unirono le fronti ridendo, i nasi che si sfioravano.
Come avevano potuto solo minimamente pensare di stare lontani per tutto quel tempo quando loro due erano semplicemente fatti l’uno per l’altra?
Come avevano potuto solo minimamente pensare che si sarebbero mai saziati in tutta la loro vita?
Tai continuava a baciarle il collo, lo mordicchiava, mentre lei si teneva stretta dalle sue spalle e gettava la testa all’indietro, ansimando.
Non credeva che sarebbe mai più stata capace di fare a meno di tutto quello.
In due ore avevano riempito tutto il vuoto lasciato in due anni e adesso non lo avrebbero mai più svuotato di nuovo.
«Hai... hai parlato con il tuo allenatore?» gli chiese improvvisamente tra un bacio e l’altro.
Tai emise un leggero lamento mentre scendeva a baciarle il seno.
«Nh... ti prego, non nominarmelo in un momento del genere...» pigolò sofferente.
Pensare ad Akira in quel momento spegneva tutta la libido...
Mimi ridacchiò e gli diede un buffetto in testa.
«Scemo, dico sul serio» poi lo afferrò dal viso e fece in modo che si fermasse
«Glielo hai detto?»
Il ragazzo la guardò negli occhi, notando un cenno di preoccupazione nel suo sguardo limpido che gli fece scrollare le spalle.
Aveva chiuso il cellulare al fine di non essere reperibile, non avrebbe avuto problemi da ora in avanti.
Nessun’altro allenatore o chi fosse avrebbe avuto il comando della sua vita.
Era finita, quella volta per sempre.
«Che ti importa?» domandò con un sorrisino ironico «Ormai ho preso la mia decisione. Se mi vogliono davvero me lo lasceranno fare»
Ed era vero, se lo volevano sul serio in squadra ad Osaka allora avrebbero rispettato i suoi tempi, nessuno gli avrebbe imposto di tornare prima degli accordi, nessuno stronzo come Akira si sarebbe mai più permesso di riempirgli la vita di obblighi e incertezze che avevano fatto di lui un burattino.
Avrebbe ricominciato a vivere per sé stesso, non per accontentare qualcuno.
Per sé stesso e per Mimi.
Lei sarebbe andata con lui, lo avrebbe seguito e avrebbero dato inizio ad un sogno che per troppo tempo avevano smesso di ritenere importante.
«E poi non posso andare via proprio adesso...» mormorò maliziosamente contro le sue labbra.
Lei rise e lui la baciò ancora, ma Mimi si staccò dopo poco guardandolo ancora di quello sguardo apprensivo.
«E se ti puniranno per questo?» tentò di farlo ragionare, magari c’era qualcosa che non aveva calcolato, a cui non aveva pensato a causa di tutti quegli eventi...
Non avrebbe voluto che Taichi perdesse un’occasione come quella per colpa di una resistenza nella quale c’entrava anche lei.
Non sapeva bene come funzionava nel mondo del calcio, ma in prima divisione le regole dovevano essere più rigide, non poteva trasgredirle in quel modo!
«Dovresti andarci subito!» esclamò ansiosa, scuotendolo leggermente dalle spalle affinché si rendesse conto.
Ma lui si limitò a sorridere di un sorriso strano, pieno di luce e, nello stesso tempo, di qualcosa che assomigliava tanto a quel sentimento che tutto aveva a che fare con l’amore.
«La mia punizione è stata quella di stare due anni senza di te. In tal caso, sarà la mia ricompensa» lo sentì dire con una sincerità tale che la spiazzò, le fece salire il cuore in gola per l’emozione.
A Tai non importava realmente più del destino della sua carriera, a lui importava solamente di averla vicino, e basta, non c’era più nulla che avrebbe anteposto ai sentimenti e al bisogno che aveva di lei.
Le stampò un altro bacio che non le diede tempo di pensare e poi un altro, un altro ancora.
Quel calore era così forte che avrebbe potuto bruciare.
Il modo in cui la stringeva, e la baciava, la guardava tra un bacio e l’altro le faceva sentire vivo il desiderio che aveva di lei.
Le venne da ridere per la felicità.
«E se diranno che è colpa mia che ti distraggo troppo dal lavoro?» lo provocò.
Tai gli lanciò uno sguardo intenso, famelico.
«Gli dirò che hanno ragione»
Poi si guardarono e scoppiarono di nuovo a ridere in quel modo rumoroso, esagerato, a tratti infantile, come se avessero appena tracannato una bottiglia di vino rosso.
Mimi sentì le palpebre che si abbassavano e vide il volto Tai sempre più vicino, impresse nella sua mente la forma delle sue labbra prima di sentirle sulle proprie.
Poteva avvertire sulla sua pelle la passione che li travolgeva nel suo abbraccio, non dava loro modo di respirare, nemmeno di formulare un pensiero utile se non quello di abbandonarsi a quel trasporto.
Mimi gemette ancora, totalmente scossa, terribilmente indifesa tra le braccia del ragazzo che amava, che aveva sempre amato, e al quale doveva tutto, tutto quello che era diventata, quello che sarebbe diventata ancora.
Si abbandonava a lui come se non esistesse ragione per starne fuori, come se Taichi era la parte mancante di sé alla quale doveva necessariamente incastrarsi.
«Tai… portami via con te...» sussurrò tra gli ansimi, lambendo il suo collo, mentre gli provocava dei brividi lungo la schiena.
Lui ansimò di rimando.
Non l’avrebbe lasciata mai più lì da sola, non avrebbe più commesso gli sbagli di un ragazzino accecato da qualcosa per cui aveva perso di vista tutto ciò che era importante pur di conseguire dei risultati che avrebbero sanato il suo ego e la sua ambizione.
Avrebbe lottato per avere entrambi nella sua vita, l’amore e la passione, due fattori che si equilibravano perfettamente, cui senza l’altro erano incompleti.
Mimi era la parte mancante nella sua vita, l’altra metà di sé, l’unica persona che aveva mai amato e che lo rendeva quello che era, il suo vero io, colui che aveva lasciato addormentato per troppo tempo dentro un cassetto.
E che adesso si era risvegliato coraggiosamente.
«Ti porterò via con me, te lo prometto...» le rispose, poi la prese in braccio facendo incastrare le sue gambe dietro la schiena.
L’allontanò dalla finestra la cui tenda si era ormai spostata e qualcuno aveva probabilmente goduto dello spettacolo, e fece alcuni passi.
Mimi gli mordicchiò il lobo dell’orecchio.
«Partiamo già adesso» disse imperativa con gli occhi che le brillavano.
Tai si fermò e la contemplò con un accenno di ammirazione.
Poi la fece cadere sul letto, trascinandosi a sua volta.
«Agli ordini, principessa» le rispose provocante ma giocoso, citando il modo in cui la usava chiamare anni e anni prima, quando era rimasto incantato da lei esattamente allo stesso modo in cui lo era adesso.
Mimi rise mentre lui era sopra e cominciava a baciarla, sfiorandole il collo, mordendole il seno, fino a scendere giù, sempre più giù.
Gli strinse i capelli e chiuse gli occhi.

Il loro viaggio era appena iniziato.






La porta di casa si aprì, sbattendo contro la solita porzione di muro dove già si era formato un buco per tutte le volte che era stato colpito.
Le persiane erano semiaperte, nell’aria c’era il solito odore di muschio ormai rimasto impregnato tra le pareti.
Qualcuno tentò di aprire la luce a tentoni, ma la lampadina emise solo uno stridio debole che segnava la sua fine.
Yamato grugnì appena senza staccare le labbra da quelle di Sora, con difficoltà lasciò cadere per terra la sacca contenente la chitarra e la valigia rimase immobile all’entrata con la maniglia per aria.
L’agguantò dai fianchi e rotolarono verso destra dove c’era la cucina.
La ramata sentì scivolare la borsa dalla spalla, ma non riuscì a fare nient’altro se non a ricambiare la veracità di quei baci.
Si appigliò alla cucina facendo cadere delle mele dal cestino, poi alzò la mano per trattenersi dal pomello della credenza.
Matt le baciava il collo, le lasciava dei segni visibili, la sua lingua la leccava e le mordeva la mascella.
Ansimò, si torse su sé stessa e, nel muoversi, aprì lo stipetto dove dei biscotti in bilico caddero e s’inserirono tra di loro.
Udì Matt ridacchiare contro il suo collo, e venne da sorridere anche a lei.
Non lo vedeva né sentiva ridere da così tanto tempo, ormai.
Non sapeva nemmeno lei quello che stava succedendo, solo era tutto così talmente eccitante che non voleva nemmeno fermarsi a chiedersi se sarebbe durato.
Si sentì trascinare contro il tavolo. Matt le aprì le gambe e si insinuò continuando a baciarla, mentre lei ricacciava la testa indietro e lo teneva stretto dalla nuca.
Aveva dimenticato com’era provare tutto quelle sensazioni meravigliose.
Sembrava come se ci fosse un fuoco ad ardere le sue cosce, un fuoco che non si placava e la bruciava dentro e fuori.
Il biondo la bloccò dai capelli e fece congiungere le loro fronti. Ansimarono entrambi l’uno contro il volto dell’altro, fino a quando Sora non si leccò le labbra e lui lanciò un grugnito.
Presero a spogliarsi velocemente, si tolsero le rispettive giacche, poi toccò alle maglie. Lui gliela alzò fino al collo e lasciò libero il suo seno, le scese con forza il reggiseno e si avventò ai suoi capezzoli, succhiandoli, lambendone i contorni con la lingua, e poi succhiandoli ancora.
Sora lanciò un gemito rumoroso e si attaccò al suo collo, gli strinse i capelli.
Dopo le tolse la maglia completamente, la lanciò da qualche parte, mentre lei si slacciava il reggiseno, gli prendeva il mento e tornava a baciarlo.
Matt la stringeva forte, sentiva che la voleva interamente, e anche lei desiderava così tanto ogni minima parte del suo corpo.
Si staccò e lo liberò dalla maglia, segnò una traiettoria di baci direttamente sul suo petto fino a scendere alla sua pancia, mordendola e facendogli il solletico.
Scese dal tavolo e cominciò ad armeggiare con la cintura dei suoi pantaloni, poi alzò gli occhi nocciola e lo guardò negli occhi famelica, pronta a farlo suo.
Lui le portò una ciocca ramata dietro l’orecchio in un gesto di premura, mentre lei gli scendeva di colpo i pantaloni, poi le mutande.
Si abbassò all’altezza del suo ventre e prese in mano la sua erezione, muovendola per un po’ su e giù, dopo segnò i contorni con la sua lingua, tracciandone tutta la lunghezza come se fosse un disegno da realizzare.
Matt le strinse i capelli eccitato, lei alzò gli occhi a guardarlo e, senza attendere oltre, se lo portò in bocca.
Il gemito roco che ne uscì fu talmente gratificante da farle aumentare il ritmo, succhiò con maggior vigore, lo portò in fondo, dentro fino a quanto poteva.
La saliva le scendeva dai bordi ma non se ne curò.
Succhiava e ogni tanto raschiava con i denti, mentre lui le aveva alzato i capelli con una mano, non si perdeva la visione di lei e di quel pompino così intenso.
Lei sapeva tutti i segreti del suo corpo, era a conoscenza di tutti i punti che lo facevano godere, sapeva a memoria dove toccarlo, come stimolarlo per fargli perdere la testa, e lui non era affatto da meno: riusciva a possederla in un modo rude, selvaggio, ma allo stesso tempo così talmente protettivo che la lasciava inerme al suo volere.
La fermò e, d’un tratto, la tirò su. La fece sedere sul tavolo, a sua volta gli tolse via i pantaloni sfilandoli con furia, la denudò delle mutandine.
Le aprì le gambe e la fece sdraiare.
Scese fino alle sue parti intime e la leccò, la bacio, le succhiò il clitoride fino a farla urlare dal piacere. Inseriva la lingua in maniera ritmica e la penetrava, la vezzeggiava in un modo così profondo che le fece riversare la testa sul tavolo colpendolo, completamente piegata, disarmata.
Gli strinse i capelli, lo spinse ancora più in fondo nelle sue cavità.
Stava per venire, stava perdendo il controllo, aveva perso ogni minima parte di ragione.
«Matt... Oh, Matt!» urlò strozzatamente.
Inarcò la schiena, pronta a sentire l’orgasmo che si faceva strada in lei, ma Matt si fermò, tolse la bocca e la lasciò lì, tremante e piena di umori che grondavano.
Lei lo guardò toccarsi la bocca, ansimante ed eccitata.
Non poteva lasciarla in quel modo.
Le rivolse uno sguardo con gli occhi azzurri che brillavano, allora non capì più niente, si alzò dal tavolo e si precipitò da lui, lo fece indietreggiare contro la cucina e si abbassò a prendere di nuovo in bocca il suo membro.
Il biondo non riuscì a dire nulla, solo alzò la testa e gemette incontrollatamente.
Bastava poco, le sarebbe venuto in faccia, in gola, sul seno, l’avrebbe marchiata a fuoco, lo voleva così tanto.
Lei lo faceva dannare, ma lo faceva volare in paradiso un attimo dopo.
Solo che voleva di più, voleva Sora interamente, la voleva per il suo modo di essere, per la sua bellezza, per la sua caparbietà, per la sua dolcezza.
L’amava così tanto e in modo incancellabile.
La scostò rudemente dalle spalle, lei lo fissò titubante, ma lui la fece alzare e la spinse sul tavolo di schiena.
Non aspettò nemmeno il tempo di dire qualcosa che afferrò il suo membro e la penetrò da dietro, così come stava.
Sora emise un gemito sorpreso non appena si sentì violata e ad ogni spinta che lui dava perdeva la testa, si sconnetteva dal mondo, pronta a farsi cullare dalla sensazioni di fuoco.
Si attaccò al tavolo e lasciò che la scopasse. Gli ansimi risuonavano per tutta la casa, le sue urla di piacere e di dolore erano come una musica piacevole da sentire.
Si incastravano perfettamente, non lasciavano spazio a nient’altro.
Erano solo loro due a godere del privilegio di quella passione incommensurabile, di un sentimento d’amore che strabordava per quanto era ricco.
«Oh, ti prego!» esclamò senza un senso, appoggiandosi con un braccio all’altra sponda del tavolo che cigolava.
Matt spingeva e le afferrava i capelli, e poi spingeva e la toccava in un punto sensibile, si abbassava al suo viso, le metteva una mano sulla bocca, le leccava il collo, l’orecchio.
Sora chiuse gli occhi , stordita, confusa, ma pronta a morirne.
E poi ruotò nuovamente posizione, si sedette su una sedia, se la portò addosso e la fece sedere sopra di lui, in lui.
Sora spinse andando su e giù, attaccata al suo collo, gli morse la spalle, mentre lui baciava il suo seno, lo risucchiava avidamente lasciandole dei succhiotti rossi.
Congiunse le fronti stringendole la nuca.
«Sora...» sussurrò contro le sue labbra, guardandola di uno sguardo velato dall’eccitazione.
Lei gli strinse forte i capelli facendogli male.
«Sto venendo... non fermarti... non fermarti!» lo invocò urlando, preparandosi a sentire il piacere esplodere dentro di sé.
Matt strinse le labbra e un pensiero gli passò per la mente.
Qualcun altro aveva goduto di lei allo stesso modo in cui lo stava facendo lui?
L’aveva presa, strattonata, amata come faceva lui?
Si fermò, e lanciò un ringhio.
Non riusciva a pensare di aver lasciato Sora nelle mani di qualcuno che l’aveva contaminata con il suo tocco...
Lo faceva morire, lo distruggeva.
La spostò bruscamente da lui e si mise in piedi.
La ragazza lo fissò con il cuore che batteva forte, sfatta, i capelli attaccati al viso, piena di segni e di eccitazione interrotta.
Il biondo alzò gli occhi in uno sguardo livido che le provocò un brivido su per la schiena. Non appena provò a dire qualcosa, ecco che si vide spingere contro il tavolo ancora, da dietro, in maniera sottomessa.
«Ti ha fatto urlare così, eh?» gli sibilò nell’orecchio, sferzante, ma sofferente
«Hai pregato anche lui in questo modo?»
Le stringeva la nuca, ma lei riuscì a fare un respiro profondo.
Avrebbe dovuto dirglielo...
Sentì le sue dita che si insinuavano dentro la sua vagina e la stuzzicavano e non riuscì a pensare lucidamente.
Doveva sapere qual era la realtà dei fatti, quella realtà per la quale era successo tutto quello.
«No...» mormorò in un gemito.
Matt si bloccò, stupito.
Non l’aveva fatto?
Non aveva scopato con quel pezzo di merda?
«No?» domandò con il fiato sospeso, togliendo lentamente le dita grondanti.
Il cuore gli batteva forte ed attendeva una risposta. Lei si voltò lentamente e incastrò gli occhi sopra i suoi in modo lascivo, poi salì sul tavolo spalancando le gambe di fronte a lui.
Matt respirò piano e con attesa.
Lo avrebbe ucciso in quel modo.
La vide che cominciava a toccarsi da sola, gemendo, riversando la testa all’indietro e sentì il fiato spezzarsi, emise una smorfia eccitata, il pene ancora più duro.
Ti prego...
E Sora incastrò gli occhi sopra i suoi.
«Non ci sono mai andata a letto. Nessuno potrà mai avermi così» disse con voce bassa e provocante, mentre continuava a sfiorare la sua entrata.
Matt chiuse gli occhi.
«Nessuno tranne te»
Li riaprì e la guardò con le lacrime traboccanti.
Lentamente si avvicinò, s’insinuò tra le sue cosce e lei piano si sdraiò. Si guardarono senza dire più nulla, lui entrò di nuovo dentro di lei ma fu dolce, la baciò con consapevolezza, con voglia di ritrovare la pace.
Aumentò le spinte mentre Sora si inarcava e spingeva a sua volta verso di lui, avevano lo stesso ritmo, volevano entrambi di più, volevano perdersi nei meandri dell’altro e non avere più via d’uscita.
Era finita.
Tutta quell’agonia non avrebbe più trovato luogo su cui adagiarsi.
Vennero insieme.
Yamato si lasciò cadere su di lei, l’abbracciò, la strinse, non voleva lasciarla andare mai più. Le lacrime silenziose avevano ormai bagnato il suo petto, non c’era modo affinché potesse contenere quell’amore così grande.
Sora gli accarezzò i capelli, stringendolo, il volto rivolto al soffitto.

Era finita, ma non era realmente finita.

Iniziava.







   
 
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