Capitolo
XI – (Ri)Conquista
Impreparato,
sì; - non ci riesco; mi manca l’indispensabile
rapporto
con il paesaggio, col tempo, con le cose
e
con gli eventi; - non è per viltà –
impreparato
di
fronte alla soglia dell’azione, completamente estraneo
di
fronte alla missione che gli altri mi assegnarono. Come avviene
che
gli altri stabiliscano a poco a poco la nostra sorte, che ce la
impongano
e
che noi l’accettiamo?
Ghiannis
Ritsos, Oreste.
Link
avanza nella neve dei monti di Hebra senza
vedere né sentire nulla.
Ha le
orecchie che gli ronzano, la vista appannata.
Ha promesso a Revali che avrebbe aiutato a evacuare la loro gente:
è questo
tutto quello che riesce a capire. Sente i bambini urlare e piangere, i
genitori
tentare di calmarli. Continua a camminare nella neve che talora gli
arriva alle
anche: ha le cosce piene di geloni. Vorrebbe riuscire a sentirne il
dolore; ma
non sente niente.
Quando
Kagan ha dato l’ordine di evacuare il borgo
perché nugoli di mostri erano stati avvistati nella gola
Vapone e alle
frontiere di Colbacco subito dopo il terremoto di Hyrule centrale, Link
è
rientrato a casa, alla cieca, e ha preso le prime cose che gli
è venuto in
mente di prendere: del resto, non possedeva molto. Avrebbe dovuto
tenere dei
bagagli pronti, per qualsiasi evenienza, forse: quel pensiero lo ha
sfiorato
per un istante, scioccamente, privo di senso, ed è scomparso
così com’è
arrivato. Del resto, non è più neppure abituato a
farsi i bagagli senza Lelek:
s’è allacciato in vita la Spada che esorcizza il
male, ha preso l’arco che gli
ha fatto Revali e che ora gli appare privo di senso e doloroso come un
rimorso;
s’è caricato sulla schiena una faretra piena di
frecce, poi ha frugato ovunque
in casa per vedere se ci fosse qualcosa da prendere, così,
senza sapere, senza
capire. C’erano le mappe di Revali, gli strumenti di Revali,
gli abiti di
Revali, tutto era doloroso e terrificante come in un incubo. Sotto le
mappe,
nascosto come un segreto, c’era il certificato di matrimonio.
Lo ha guardato
con attenzione per la prima volta: la firma sembra quasi la sua. Lo ha
piegato
e se lo è messo in petto, sotto la tunica, sforzandosi di
non chiedersene il
motivo né il senso; poi è uscito senza guardarsi
indietro. Guardare gli avrebbe
fatto troppo male: è uscito ed è andato a dare
una mano a condurre la sua gente
sulle montagne.
S’è
caricato addosso il bambino più piccolo di
Kagan, quello che ancora non sa camminare né volare,
malgrado le proteste sue e
di Tara, e contro l’altro fianco se n’è
caricato un altro, ancora più piccolo,
di una coppia che non conosce. Kagan protesta, ma Link risponde
immancabilmente: «Se sono stanco, ti chiedo il cambio. Per
ora ce la faccio.»
La sua voce è dura e sorda, distante. Tara si scambia uno
sguardo con Kagan e
non dice nulla; avanza vicino a lui nella neve per tutto il tempo. Non
lo perde
mai di vista. Kagan plana avanti e indietro per sorvegliare la carovana
di
famiglie Rito che si spostano lentamente. Il suo bambino più
grande è molto
coraggioso, e rimane di fianco a Tara per tutto il tempo senza
protestare né
far domande: a volte guarda verso Medoh con una domanda muta negli
occhi, ma
non serve neppure che sua madre lo fulmini con gli occhi. Sa da solo di
non
dover chiedere.
La
guarnigione di Hebra è a una giornata di marcia
dal borgo dei Rito. Link cammina per tutto il giorno senza alzare gli
occhi
verso Medoh: guarda dritto di fronte a sé, nella neve alta,
e si sforza di
andare avanti, ancora avanti. Non vuole concedere a se stesso di
pensare né di
sentire. Quando Kagan dà l’ordine di fermarsi per
far riposare il gruppo e dar
da mangiare ai bambini, Link scarica i suoi ai rispettivi genitori, poi
torna
indietro, verso il gruppo più lento che è rimasto
indietro, si carica addosso i
bagagli che trova e li porta per un po’. Quando il gruppo
è pronto a ripartire,
torna a prendere i bambini, ma Tara lo scuote quasi con violenza. Gli
ripete
qualcosa molte volte per costringerlo ad ascoltarla. Finché
non alza la voce,
Link non riesce a distinguere le sue parole.
«Link,
devi mangiare. Non ripartiremo finché non
hai mangiato qualcosa, sono stata chiara?»
«Allora
non ripartiamo» risponde Link con più
durezza di quanta vorrebbe e soprattutto di quanto Tara meriti,
perché sta
cercando di aiutarlo; ma non può farci niente. La
pietà negli occhi di Tara è
grande abbastanza perché lei possa perdonarlo per questa
risposta.
«Va
bene» dice tristemente. Avrebbe voluto poterlo
aiutare meglio. «Dammi almeno il bambino, però. Lo
porto io da qui in poi.»
«Ce
la faccio» risponde Link alla cieca,
ostinatamente; vorrebbe caricarsi addosso tutto il peso del mondo,
vorrebbe
camminare, come i cavalli, con nient’altro che la strada di
fronte a sé, e
avere paraocchi che lo proteggano dal dolore e da tutto quello che non
vuole
vedere; ma non ha paraocchi né peso a sufficienza. Tara
prende in braccio il
bambino.
«Lo
so che ce la fai» mormora. «Ma io non ho
perduto quello che hai perduto tu.»
Link
vorrebbe che non l’avesse detto. Non può
arrabbiarsi con lei per avergli detto ad alta voce la
verità, per avere il
coraggio di dire quello che nessuno ha ancora osato ammettere neppure
nella
propria mente: che Revali è morto, che il suo corpo
rimarrà prigioniero per
sempre di Medoh e della nera vischiosa melma della Calamità.
Link riprende a
camminare senza guardarla né ascoltarla perché se
si soffermasse sulle sue
parole resterebbe fermo nella neve e nel dolore senza poter guardare
avanti né
indietro. Non può permetterselo adesso. Ha promesso che
avrebbe aiutato a
evacuare la loro gente.
La
guarnigione di Hebra è attestata in una
roccaforte di legno circondata da palizzate e da metri e metri di filo
spinato.
I soldati e gli arcieri di guardia si precipitano ad accogliere i
fuggitivi:
tra di loro ci sono anche i loro genitori e le loro mogli, i loro
figli. Sono
tutti salvi, almeno per ora.
Kagan
viene a cercarlo in mezzo alla folla, lo
afferra per le braccia per costringerlo a guardarlo, come ha fatto sua
moglie
poche ore fa: Link deve concentrarsi sul suo volto per sforzarsi di
comprendere
le sue parole attraverso il ronzio che gli copre le orecchie. Lo fissa
a lungo
senza capire.
«Derdran
vuole parlarci» dice Kagan. Link ha
bisogno di frugare nella propria memoria per un tempo assurdamente
lungo per
ricordare chi sia Derdran: tutto gli pare provenire attraverso una
grande
distanza, i suoi sensi sono ovattati, attutiti come dalla neve.
«La principessa
Zelda è salva. La consigliera Impa è riuscita a
portarla qui con quella sua
tavoletta Sheikah.»
Link
segue Kagan attraverso il forte di guardia
senza capire né comprendere: Zelda è salva,
ripete a lungo dentro di sé. Non
riesce quasi a ricordare perché sia così
importante.
Derdran
li aspetta dentro una costruzione nuda,
essenziale, al centro del forte. È in piedi di fronte al
grande braciere
centrale, costruito alla maniera dei Rito, colle braccia incrociate sul
petto.
È lì anche Zelda: è seduta vicino al
fuoco, con una coperta sulle spalle nude,
ma si affretta ad alzarsi al suo ingresso; quando è scappata
dal Castello non
indossava che i suoi leggeri paramenti sacri, evidentemente. Vederla lo
riscuote un poco dal torpore della sua mente: forse è quel
senso di dovere, di
sacrificio e abnegazione in nome del quale è stato cresciuto
e continua a
vivere, malgrado tutto, e che per una volta lo richiama a se stesso.
C’è anche
il piccolo guardiano, schierato di fronte alla principessa come se
avesse il
potere di difenderla dal mondo.
Impa
è in piedi alle spalle di Zelda, con le
braccia conserte sul petto: ha il volto esangue, estenuato, e forse il
peso del
regno sulle spalle. Alza lo sguardo dal fuoco quando lo sente entrare,
ma non
perde tempo in saluti.
«Il
re è morto» dice. La sua voce sembra rimbombare
nella stanza, improvvisa: Link esita sulla soglia. Qualcosa nello
sguardo di
Zelda sembra vacillare a quelle parole. «Si è
sacrificato per darci il tempo di
fuggire dal Castello. I Colossi Sacri sono stati conquistati da
emanazioni
della Calamità.»
Link
cerca lo sguardo di Impa al di là del fuoco e
di Zelda, e lei, in modo appena percettibile e unicamente per lui,
scuote il
capo in silenzio. Il potere del sigillo non si è
risvegliato, dicono i suoi
occhi senza bisogno di parole. Sono totalmente soli, perduti, dunque;
eppure
Impa sembra pronta a combattere, e Zelda, seppur cogli occhi rossi di
pianto, è
più ferrea e determinata che mai.
Chinando
appena il capo di fronte a lei, Kagan
prende la parola. «Principessa Zelda, vi porgo le mie
condoglianze per la
vostra perdita. Voi e la consigliera Impa potrete restare con noi per
tutto il
tempo necessario.»
Quando
Zelda parla, la sua voce è più dignitosa e
calma di quanto Link ricordi d’averla sentita mai.
«Vi
ringrazio, capo Kagan» dice. «Vi ringrazio
della vostra ospitalità e dell’aiuto che state
dando alla Corona, ma né io né
Impa siamo qui per nasconderci. Siamo venute qui a chiedervi il vostro
aiuto
per liberare i Colossi Sacri.»
Link
sente le sue parole come una lama che scava
nel suo petto ancora e ancora. Non finirà mai, dunque,
questa rincorsa ai
Colossi, questa lotta destinata a esser perduta sempre, ancora e
ancora, e
questo sacrificio eterno, come quello di Revali…?
Posando
una mano sulla sua schiena, Kagan pare
quasi volerlo sostenere. Link s’accorge d’aver
stretto i pugni fino a farsene
sanguinare i palmi, deve aver cambiato espressione, forse tremato;
guarda Kagan
sperando che parli anche in sua vece.
«No,
principessa.» Le parole di Kagan sono dure e
chiare, la sua voce gentile ma inflessibile. «I Colossi ci
hanno già tradito
una volta. Noi Rito abbiamo perduto il nostro guerriero più
amato e più nobile,
e da quello che avete detto mi pare di capire che anche le altre genti
di
Hyrule abbiano sacrificato a sufficienza. Revali era quanto di
più simile a un
fratello io abbia mai avuto, e anche voi avete perduto vostro padre. La
strategia era sbagliata. Non vi pare abbastanza?»
«È
proprio questo il punto» risponde Zelda. Questa
volta, forse per la prima volta da quando Link la conosce, il suo
sguardo non
vacilla. «Noi pensiamo che i campioni sui Colossi siano
ancora vivi. E
intendiamo riprenderceli.»
Gli
attendenti di Derdran porgono loro tazze di tè
bollente che rimangono a fumigare lentamente e poi a raffreddarsi tra
le loro
mani. Sui Colossi, sostiene Impa, i campioni stanno ancora combattendo.
Devono
provare a salvarli.
Non
occorre sentire altro. Non vuole neppure
accertarsi che sia vero: forse non vuole neppure saperlo; gli basta
poterci
credere per il semplice fatto che Impa l’ha detto. Link si
alza in piedi, si
rivolge a Derdran, perché qui non si parla più di
civili ma di guerra, e dice
semplicemente: «Quand’è così,
io vado.»
«Aspetta,
Link» protesta Zelda. «Non puoi andare da
solo. Dobbiamo formulare un piano, e…»
Link
avrebbe obbedito a Zelda, persino a suo padre,
se gli avessero chiesto di lanciarsi alla cieca nella lotta, nella
mischia, e
di sacrificare la sua vita senza neppure saper per cosa: in
verità forse l’ha
fatto molte volte, ma non è questo il punto. Non si tratta
del re né di Zelda,
ora: si tratta di Revali. Sostenendo con calma il suo sguardo, Link
scandisce con
lentezza: «Perdonatemi, principessa. Non posso aspettare. Non
posso chiedere a
nessuno di venire con me, ma io andrò su Medoh
adesso.»
Zelda
annuisce piano. Sa di non poterglisi opporre,
forse neppure lo vuole; vorrebbe soltanto che lui fosse al sicuro, Link
glielo
legge negli occhi; ma, allo stesso modo, anche lei legge nei suoi che
non si
fermerà. Rimane in silenzio.
«Tutto
molto giusto, Link» obietta Impa. «Peccato
solo che non abbiamo modo di salire su Medoh. La cosa più
sensata, in questo
momento, sarebbe liberare Vah Naboris, e poi, col suo
aiuto…»
«Impa»
dice Link con calma, senza alzare la voce ma
neppure chinare lo sguardo. «Io salverò Revali.
Sono uno solo, e non posso
salvarli tutti, ma se devo scegliere salverò mio marito.
Sono stato chiaro?»
Sa di
aver detto una cosa orribile, oscena: sa che
le sue parole condannano Urbosa, Daruk, persino Mipha che quel giorno a
Hebra è
venuta a salvarlo, coi medici militari, e gli ha imposto le mani in
battaglia
decine di volte per guarire le sue ferite; ma è la guerra.
Neppure loro, al suo
posto, potrebbero salvare tutti; dovrebbero scegliere pure loro, alla
fine, e a
un certo punto saprebbero di dover dire ad alta voce la stessa cosa
orribile e
oscena che ha detto lui adesso: che ne sceglierebbero uno solo. Di
Urbosa, di
Daruk, non sa dire chi sceglierebbero: forse ragionerebbero con
freddezza, da
buoni militari, come dovrebbe fare lui adesso, e sceglierebbero il
Campione che
in battaglia potrebbe rivelarsi più utile nei giorni
successivi; ma Mipha
sceglierebbe lui per nessun altro motivo che questo, che lo ama. Link
sceglie
Revali per lo stesso motivo egoistico e disperato per cui Mipha
sceglierebbe
lui sempre.
Impa lo
osserva molto più a lungo del normale, e
Link ha la sensazione che i suoi occhi vedano e le sue orecchie sentano
molto
più dei suoi gesti e delle sue parole.
«Tu
sai già che io verrò con te ovunque»
dice. «Ma,
Link… Medoh sta volando, e, almeno fino a quando non siete
arrivati qui, stava
sbandando sempre più verso nord. A meno che non lo
abbattiamo a cannonate, non
vedo proprio come potremo salirci. Se ci riuscissimo, poi potremmo
usarlo per
liberare Vah Naboris.»
Link si
volta verso Derdran. Se c’è qualcuno che
conosce i monti di Hebra, per quanto possa non piacergli, è
proprio lui.
«Derdran, tu conosci le montagne del nord. Ti viene in mente
un punto da cui
possiamo avvicinarci il più possibile? Medoh non stava
planando molto in alto,
ma…»
Derdran
potrebbe dirgli che sono un branco di pazzi
e insensati; che, se proprio su Medoh deve andarci qualcuno nella folle
speranza di salvare un guerriero che non c’è
alcuna garanzia di trovar vivo,
avrebbe senso che ci andasse una squadra scelta di arcieri Rito, che
siano
quantomeno in grado di raggiungere il colosso autonomamente; ma non
è questo
che dice. Sta riflettendo. Fa un cenno a un attendente, che si
precipita a
srotolargli di fronte una mappa, e cerca qualcosa di specifico
scorrendovi
sopra con la punta delle dita.
«Qui»
dice infine picchiettando su un punto
preciso. Link reclina il capo per guardare al di sopra delle sue ali:
è
un’infossatura tra due montagne, non poi molto più
a nord di dove si trova la
guarnigione. A occhio sono forse due ore di cammino, anche se in mezzo
alle
nevi perenni di Hebra. «In questo punto ci sono degli
sfiatatoi naturali simili
a quelli che si trovano al Volodromo, o quantomeno c’erano
fino a un paio di
anni fa. Può darsi che siano stati ricoperti dalle frane, ma
possiamo farli
saltare con le frecce esplosive. Possiamo usarli per prendere quota e
issarci
fino al Colosso, a meno che non devi dalla direzione che ha preso.
L’importante
è arrivarci in tempo, ma per ora Medoh sta procedendo molto
piano, in balia
solo dei venti. Nessuno lo sta pilotando.»
«Il
fatto che tu dica possiamo mi fa
supporre
che in questo piano ti veda coinvolto tu stesso» commenta
Kagan guardandolo.
Derdran
esita. «Se mi ordini di restare, non posso
disobbedirti, ovviamente. Ma tu sai che preferirei andare. In fin dei
conti, lo
sai… ho qualcosa da farmi perdonare da Revali.»
Kagan
alza gli occhi al cielo. «Ah, quindi ora
ammetti di avere qualcosa da farti perdonare. Era proprio necessario
che
arrivasse la Calamità e Revali restasse prigioniero di Medoh
per costringerti
ad ammettere che tutto sommato non avresti dovuto provarci con suo
marito,
vero?»
Tanto
Impa quanto Zelda non riescono a trattenersi
dal guardare verso Link con aria meravigliata. Derdran ha esattamente
l’espressione di un bambino che sia stato rimproverato in
pubblico dai genitori
e sia del tutto consapevole d’aver combinato qualcosa che non
avrebbe dovuto.
«Come
vuoi, Kagan.» È avvampato di vergogna.
«Link,
perdonami per averci provato con te a quel matrimonio. Non avrei
dovuto,
eccetera. Ma se sei d’accordo che io vi accompagni e se
ritroviamo Revali vivo,
giuro che porgerò le mie scuse anche a lui, va
bene?»
Link,
che a tutto pensava fuori che al matrimonio,
alla scenata di gelosia e alle scuse di Derdran, è
interessato soltanto al
fatto che li accompagnerà un guerriero che conosce quel
territorio. «Grazie,
Derdran. Ci sono mostri in quelle zone?»
«Col
ritorno della Calamità? Temo che ci siano
mostri un po’ dappertutto. Non sarò facile
avanzare nemmeno in volo, e non
possiamo permetterci di perder tempo.» Derdran esegue a mente
un rapido
calcolo. Alza gli occhi verso Kagan. «Mi dai il permesso di
prendere trenta
arcieri?»
Non
è una richiesta banale. Trenta arcieri per una
missione suicida significa trenta arcieri di meno a difendere la
guarnigione, i
vecchi, i bambini: per un attimo il volto di Kagan si trasfigura del
peso della
responsabilità. Sembra troppo giovane per un peso del
genere, eppure, come gli
ha detto Revali solo la sera prima, ciascuno deve fare la sua parte; e
lui deve
scegliere.
«Quanti
ce ne rimangono?»
«Duecentosessanta
tra la guarnigione e le immediate
vicinanze. Un altro centinaio può essere richiamato dai
presidi di controllo
del sud di Hebra e di Colbacco al più tardi in un paio di
giorni, e la
roccaforte non è in pericolo immediato. Io e i ragazzi
abbiamo ripulito le tane
dei mostri nel raggio di qualche miglio fino a ieri, in previsione
della
Calamità. È estremamente improbabile che veniamo
attaccati.»
Kagan
sospira profondamente coprendosi gli occhi
con le mani per qualche istante. «Puoi avere i tuoi trenta
arcieri, allora. Ma
non possiamo ordinare loro di dare la vita per uno solo di noi,
Derdran…
nemmeno per Revali, per quanto sia il migliore tra noi. Dovranno essere
volontari. Siamo d’accordo?»
Derdran
annuisce. A un suo cenno, uno dei suoi
attendenti fa per slanciarsi fuori, ma Kagan lo richiama prima che
esca.
«Aspetta un momento. Derdran, sappiamo entrambi che vorranno
venire tutti con
te per salvarlo. Non più di trenta, siamo intesi? Non
possiamo rischiare di
più. Mi pare già un rischio sufficiente mettere a
rischio la tua vita e quella
di Link. E fammi consegnare un arco, prima di partire»
aggiunge alzandosi
stancamente. «Non credo che verremo attaccati nel corso della
notte, ma almeno,
se dovesse accadere, potrò rendermi utile
anch’io.»
«Ma,
Kagan» protesta Link. Kagan ha tutto fuori che
l’aria di un guerriero, e l’idea di saperlo
combattere lo preoccupa. «Ieri
sera, Revali ha detto…»
«Che
non colpirei neanche una roccia ferma?»
Malgrado la stanchezza, l’angoscia, malgrado il dolore e la
responsabilità che
grava su di lui come colonne posate sulle sue spalle, Kagan trova
ancora
sufficiente ironia, dentro di sé, da strizzargli
l’occhio. «Se non sbaglio,
Revali diceva anche che tu sei un guerriero piuttosto mediocre, quando
ha
accettato di pilotare Medoh. Davvero non hai ancora imparato a non
credere
ciecamente a tutto quello che dice quel borioso di tuo
marito?»
Kagan
riuscirebbe a farlo sorridere ovunque,
persino in questo momento. Chissà perché sono le
sue parole, più delle
supposizioni di Impa, più dei piani di Derdran, che gli
fanno sentire in fondo
al suo petto che forse c’è ancora speranza, e a
Kagan non sfugge l’ombra del
suo sorriso. S’inchina in direzione di Zelda, ma poi, proprio
prima di uscire,
si sofferma un momento. Sembra cercare le parole.
«Se
è vivo, so che ce lo riporterai» dice.
«Buona
fortuna.»
Avanzano
nella neve in cui affondano fino alle
cosce col vento che sferza loro gli occhi, alla luce delle fiaccole:
arcieri
Rito planano sopra di loro portando torce accese; la lunga notte di
Hebra si
spalanca attorno a loro sconfinata. Si inerpicano attraverso la valle
quasi
alla cieca: il vento ulula rimbombando contro le creste rocciose,
spolverando
neve tutta addosso a loro. Derdran lo guida nel buio come se li
conducesse in
piena luce, sembra conoscere persino le rocce, i punti in cui la neve
è infida e
cedevole.
«Mi
pare d’intuire che non è solo per principio che
hai rifiutato la grazia, quindi» dice Impa a un tratto
porgendogli la mano per
aiutarlo a salire. Ha risparmiato fiato per tutto questo tempo per
riuscire a
chiedergli questo.
«Che
cosa intendi dire?» chiede Link afferrando la
sua mano senza incontrare i suoi occhi.
«Hai
davvero bisogno che te lo dica?» Link non
risponde, allora Impa parla ancora mentre scivolano lungo un crinale
sulla neve
fresca. «Lo prenderò come una conferma, comunque.
Tutto sommato ho sempre
pensato che sareste stati bene insieme.»
Se ci
fosse tempo per fermarsi, adesso Link si
fermerebbe ed esclamerebbe: «Anche tu?» Ma tempo
non ce n’è, e Link deve
accontentarsi di fare la stessa domanda arrancando in avanti, ancora
avanti,
col vento freddo che gli fustiga il viso.
«Anche
io?» chiede Impa. «Perché, chi
altri?»
«Lelek»
risponde Link sentendosi avvampare fino
alle orecchie. «Ma tu, da cosa…?»
Per un
po’ Impa cammina soltanto, ansimando, e non
risponde. Riprende fiato.
«Diciamo
che era molto difficile venirti a trovare
nella tua tenda in quei giorni a Hebra senza imbattersi in Revali. E
poi,
quando si è parlato di chi avrebbe dovuto sposarti, quel
giorno… mi è sembrato
piuttosto pronto a offrirsi volontario. Ho reso
l’idea?»
Poiché
non è sicuro di cosa potrebbe dirle, Link
non risponde. Senza fermarsi, Impa gli batte sulla spalla e indica
qualcosa al
di sopra di loro. È l’enorme sagoma di Medoh,
luminosissima sotto la luna e
nell’albedo della neve, avviluppata nei viticci neri e
vischiosi della
Calamità; Link non vorrebbe guardarla perché
è troppo dolorosa, ma segue
ugualmente la direzione della mano di Impa, perché lei sta
attraversando Hebra
a piedi per lui.
Quando
alza lo sguardo, Medoh è illuminato da luci
improvvise come lampi in lontananza.
«Sono
frecce esplosive» dice Impa. «Sta
combattendo, Link. È ancora vivo.»
Derdran
deve aver visto quello che hanno visto
loro, perché cala dall’alto abbassandosi
bruscamente di quota.
«Ci
siamo quasi» annuncia. «Vedo delle esplosioni
su Medoh. C’è ancora qualche speranza. Ancora
pochi minuti e vedremo gli
sfiatatoi di cui vi ho parlato. Può darsi che ci sia bisogno
di far saltare le
rocce con…»
«Capitano!»
urla in quel momento un arciere. C’è
del panico nella sua voce. «Lynel!»
Derdran
non perde tempo. Batte le ali riprendendo
quota per guadagnare visibilità e grida:
«Quanti?»
«Non
siamo sicuri. Almeno una decina. Vediamo solo
le punte delle frecce elettriche nel buio…»
Derdran
osserva qualcosa, oltre la collina, che a
loro non è dato vedere: Link e Impa lo osservano quasi senza
osare respirare.
Un attimo dopo, Derdran plana in silenzio su di loro ed esclama con
voce
soffocata: «Questa non ci voleva, ma non importa. Me lo
aspettavo. Li
tratteniamo noi. Voi andate.»
Non
è una novità, o meglio non dovrebbe esserlo:
è
la guerra, e Derdran li ha accompagnati apposta perché nulla
potesse
rallentarli; ma Link esita ugualmente.
«Derdran…»
«Revali
è lassù da solo. Noi siamo trenta»
ribatte
Derdran. La sua voce è inflessibile e fiera.
«Abbassatevi e correte verso gli
sfiatatoi. Link, porgerai tu le mie scuse a Revali?»
Se
quello vuole essere un ultimo addio, Link non ha
alcuna intenzione di permettergli di farlo. Sostiene il suo sguardo.
«Non
è che stai facendo quello che si sacrifica
perché hai una gran paura di Revali, e non vuoi scusarti di
persona, vero?»
«Non
negherò né confermerò le
insinuazioni» lo
rimbecca Derdran sfoderando il suo arco. «Ora state bassi e
andate.»
Non
c’è tempo per giocare a fare gli eroi e a chi
si sacrifica più degli altri. È la guerra. Impa
lo afferra per mano e scivola
nella neve con la schiena curva, silenziosa come una Sheikah, senza
sollevare
più fruscio del vento. Link la segue camminando nelle sue
impronte.
Non
c’è bisogno di vedere gli sfiatatoi di cui
parlava Derdran per riconoscerli al buio: d’improvviso
all’apertura della valle
li accoglie una ventata gelida che li colpisce in piena faccia mozzando
loro il
respiro. Derdran aveva ipotizzato che una frana potesse averli coperti,
ma non
si direbbe, e l’aria che si leva da terra è
intensa abbastanza da sollevare le
loro paravele: solo di fronte a loro, quasi al centro della distesa di
roccia
friabile e irregolare che ricopre il terreno, si eleva un masso enorme,
gigantesco, crollato forse dalla cima dei monti. Medoh è
ancora visibile: se le
correnti sono abbastanza forti, riusciranno a sollevarsi a sufficienza
da poter
planare fino al suo interno; altrimenti sarà stato tutto
inutile.
Impa
respira affannosamente per riprendere fiato
mentre slega in fretta la paravela che porta legata sulla schiena, alla
maniera
della sue gente, e mormora: «Link, non sappiamo che cosa
troveremo quando
saremo su. Non so cosa stia tenendo prigioniero Revali,
ma…»
La voce
le muore in gola, i suoi occhi si fanno più
larghi d’improvviso: Link non ha neppure bisogno di seguire
il suo sguardo per
capire.
Quello
che hanno di fronte non è un masso. È un
hinox, e si sta alzando in piedi.
Impa
non perde tempo, i suoi riflessi sono più
rapidi della sua voce. Le sue mani scivolano dalle sue spalle ai suoi
fianchi
senza che Link riesca neppure a seguirne i movimenti, quando torna a
vederle
impugnano i suoi pugnali, e spingendolo in direzione del vortice
d’aria che si
leva da terra Impa grida: «Lo trattengo io, tu vai! Salva
Revali e poi
riconquistate Naboris.»
Link
incespica sulle rocce friabili con la paravela
in mano e una protesta sulle labbra; non vuole lasciarla sola, usare
anche lei
come un ponte per arrivare a Revali: è questo che costa la
salvezza? L’hinox
torreggia su di loro levando un ruggito, Link porta suo malgrado la
mano
all’elsa della Spada: può aspettare,
può combattere con lei, e questo non
perché creda nella sua forza, ma perché non
è disposto a sacrificarla; ma Impa
si schiera di fronte a lui come se lo proteggesse col suo corpo. Le sue
dita si
muovono già rapidissime a formare complessi simboli Sheikah.
«Link,
vai, o perderai Medoh!»
«Impa…»
Voltandosi
appena verso di lui al di sopra della
spalla, Impa sorride. Il suo volto è serio eppure del tutto
privo di paura. «Quando
mi ricapita di poter rinfacciare a Revali che mi deve la
vita?»
Link
solleva la paravela e l’aria lo strattona
verso l’alto minacciando di slogargli una spalla.
Si
eleva nell’aria gelata a una velocità
vertiginosa. L’occhio enorme dell’hinox segue i
suoi movimenti stupidamente,
pieno di stupore, ma il vento lo porta rapidamente sempre
più in alto: Link
sente il sibilo di un proiettile, forse di un sasso, saettargli accanto
mancandolo di almeno un paio di metri. Un istante dopo, un boato sotto
di lui
lo informa che Impa ha appena fatto ricorso a una delle sue tecniche
Sheikah,
l’hinox ulula sotto la luna e l’onda
d’urto di un’esplosione lo trascina
nell’aria aggrappato alla paravela. Medoh pare avvicinarsi
vertiginosamente
nella brusca accelerata: le sue pareti sono ricoperte da lunghi viluppi
neri,
vischiosi, e Link riesce a evitarli solo contraendo le gambe contro il
petto;
ma non ci sono più esplosioni né luci, si accorge
con orrore. Sente il panico
dentro di lui risalire il suo petto in grandi ondate pulsanti: il
Colosso è
immobile e silenzioso, ora. Non c’è più
segno di combattimento.
Ricade
all’interno di Medoh rotolando più volte sul
pavimento duro e si rialza all’istante guardandosi attorno.
Il suo petto si
alza e si abbassa freneticamente, i suoi occhi si abituano alla strana
luminescenza all’interno del Colosso; vorrebbe gridare,
chiamare il suo nome,
ma l’addestramento è più forte del suo
istinto. Non grida: non ce n’è bisogno.
Revali
è di fronte a lui. È appoggiato contro una
parete, tenendosi con la mano una grande ferita sotto l’ala:
Link sente il
sangue pulsare all’interno delle sue orecchie, ronzare;
Revali è vivo, contro
ogni speranza; ma non è solo.
In
ginocchi accanto a Revali c’è un Rito alto,
dalle piume pallide del colore del marmo, che Link non ha mai visto.
È curvo su
di lui con aria angosciata, ma al suo arrivo si volta bruscamente a
guardarlo.I
suoi occhi si spalancano per lo stupore.
«Link!»
esclama.
Link lo
guarda senza capire. È certo di non averlo
mai visto, allora come fa a conoscere il suo nome?
Col
volto contratto dal dolore, Revali sorride.
«Vedi,
Teba?» domanda. Parlare sembra costargli uno
sforzo enorme, eppure nemmeno in quella circostanza riesce a resistere
al suo
sarcasmo. «Te lo dicevo che mio marito sarebbe venuto a darci
una mano. In
ritardo come al solito, ma non mi aspettavo
diversamente…»
«Marito?»
chiede lo strano misterioso Rito.
Link
decide che avrà tempo dopo per le domande e i
dubbi dello sconosciuto. Si china su Revali e gli allontana
l’ala dal petto con
delicatezza per controllare la ferita: non è eccessivamente
grave, ma c’è da
sperare che non siano stati coinvolti i muscoli del petto e delle ali,
altrimenti, quando dovrà sollevarsi in volo…
«Link,
lascia stare» dice Revali con una certa
urgenza. Fa fatica a parlare. «Ascolta. Al piano di sopra
c’è qualcosa che non
ho mai visto. Crediamo sia una sorta di emanazione della
Calamità. Abbiamo
combattuto finora, ma ci siamo ritirati
perché…»
«Ho
capito» risponde Link a bassa voce scrutando la
ferita. «Me ne occupo io. Tu non ti muovere, siamo
intesi?»
«Assolutamente
no. Non puoi farcela senza di…»
«Oh,
finiscila» sbotta Link, e poiché Revali pare
ancora molto propenso a discutere lo bacia a lungo per metterlo a
tacere.
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