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Autore: Afaneia    15/04/2024    1 recensioni
Link viene condannato ingiustamente per alto tradimento.
Impa e i Campioni escogitano l'unico, folle piano possibile per salvarlo.
Succedono cose.
La mattina del terzo giorno Zelda è stata confinata nei suoi appartamenti dalle guardie e a Link è stato ricordato senza mezzi termini che, rifiutando un ordine diretto del re, rischiava la corte marziale. Senza scomporsi, Link ha pranzato con calma, ha indossato la divisa della guardia reale, ha congedato il suo attendente e si è seduto nei suoi alloggi ad aspettare che venissero ad arrestarlo; ha scritto qualche lettera, nel frattempo, e ha annotato delle idee sulle mappe che campeggiano da mesi sul suo tavolo da lavoro. Quando i soldati mortificati si sono presentati con l’ordine d’arresto, ha chiesto solo la cortesia di non essere ammanettato, ha deposto la Spada sul tavolo e li ha seguiti senza opporre resistenza.
Revalink, ovviamente.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Impa, Link, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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 Capitolo XI – (Ri)Conquista
 
Impreparato, sì; - non ci riesco; mi manca l’indispensabile
rapporto con il paesaggio, col tempo, con le cose
e con gli eventi; - non è per viltà – impreparato
di fronte alla soglia dell’azione, completamente estraneo
di fronte alla missione che gli altri mi assegnarono. Come avviene
che gli altri stabiliscano a poco a poco la nostra sorte, che ce la impongano
e che noi l’accettiamo?
Ghiannis Ritsos, Oreste.
 
Link avanza nella neve dei monti di Hebra senza vedere né sentire nulla.
Ha le orecchie che gli ronzano, la vista appannata. Ha promesso a Revali che avrebbe aiutato a evacuare la loro gente: è questo tutto quello che riesce a capire. Sente i bambini urlare e piangere, i genitori tentare di calmarli. Continua a camminare nella neve che talora gli arriva alle anche: ha le cosce piene di geloni. Vorrebbe riuscire a sentirne il dolore; ma non sente niente.
Quando Kagan ha dato l’ordine di evacuare il borgo perché nugoli di mostri erano stati avvistati nella gola Vapone e alle frontiere di Colbacco subito dopo il terremoto di Hyrule centrale, Link è rientrato a casa, alla cieca, e ha preso le prime cose che gli è venuto in mente di prendere: del resto, non possedeva molto. Avrebbe dovuto tenere dei bagagli pronti, per qualsiasi evenienza, forse: quel pensiero lo ha sfiorato per un istante, scioccamente, privo di senso, ed è scomparso così com’è arrivato. Del resto, non è più neppure abituato a farsi i bagagli senza Lelek: s’è allacciato in vita la Spada che esorcizza il male, ha preso l’arco che gli ha fatto Revali e che ora gli appare privo di senso e doloroso come un rimorso; s’è caricato sulla schiena una faretra piena di frecce, poi ha frugato ovunque in casa per vedere se ci fosse qualcosa da prendere, così, senza sapere, senza capire. C’erano le mappe di Revali, gli strumenti di Revali, gli abiti di Revali, tutto era doloroso e terrificante come in un incubo. Sotto le mappe, nascosto come un segreto, c’era il certificato di matrimonio. Lo ha guardato con attenzione per la prima volta: la firma sembra quasi la sua. Lo ha piegato e se lo è messo in petto, sotto la tunica, sforzandosi di non chiedersene il motivo né il senso; poi è uscito senza guardarsi indietro. Guardare gli avrebbe fatto troppo male: è uscito ed è andato a dare una mano a condurre la sua gente sulle montagne.
S’è caricato addosso il bambino più piccolo di Kagan, quello che ancora non sa camminare né volare, malgrado le proteste sue e di Tara, e contro l’altro fianco se n’è caricato un altro, ancora più piccolo, di una coppia che non conosce. Kagan protesta, ma Link risponde immancabilmente: «Se sono stanco, ti chiedo il cambio. Per ora ce la faccio.» La sua voce è dura e sorda, distante. Tara si scambia uno sguardo con Kagan e non dice nulla; avanza vicino a lui nella neve per tutto il tempo. Non lo perde mai di vista. Kagan plana avanti e indietro per sorvegliare la carovana di famiglie Rito che si spostano lentamente. Il suo bambino più grande è molto coraggioso, e rimane di fianco a Tara per tutto il tempo senza protestare né far domande: a volte guarda verso Medoh con una domanda muta negli occhi, ma non serve neppure che sua madre lo fulmini con gli occhi. Sa da solo di non dover chiedere.
La guarnigione di Hebra è a una giornata di marcia dal borgo dei Rito. Link cammina per tutto il giorno senza alzare gli occhi verso Medoh: guarda dritto di fronte a sé, nella neve alta, e si sforza di andare avanti, ancora avanti. Non vuole concedere a se stesso di pensare né di sentire. Quando Kagan dà l’ordine di fermarsi per far riposare il gruppo e dar da mangiare ai bambini, Link scarica i suoi ai rispettivi genitori, poi torna indietro, verso il gruppo più lento che è rimasto indietro, si carica addosso i bagagli che trova e li porta per un po’. Quando il gruppo è pronto a ripartire, torna a prendere i bambini, ma Tara lo scuote quasi con violenza. Gli ripete qualcosa molte volte per costringerlo ad ascoltarla. Finché non alza la voce, Link non riesce a distinguere le sue parole.
«Link, devi mangiare. Non ripartiremo finché non hai mangiato qualcosa, sono stata chiara?»
«Allora non ripartiamo» risponde Link con più durezza di quanta vorrebbe e soprattutto di quanto Tara meriti, perché sta cercando di aiutarlo; ma non può farci niente. La pietà negli occhi di Tara è grande abbastanza perché lei possa perdonarlo per questa risposta.
«Va bene» dice tristemente. Avrebbe voluto poterlo aiutare meglio. «Dammi almeno il bambino, però. Lo porto io da qui in poi.»
«Ce la faccio» risponde Link alla cieca, ostinatamente; vorrebbe caricarsi addosso tutto il peso del mondo, vorrebbe camminare, come i cavalli, con nient’altro che la strada di fronte a sé, e avere paraocchi che lo proteggano dal dolore e da tutto quello che non vuole vedere; ma non ha paraocchi né peso a sufficienza. Tara prende in braccio il bambino.
«Lo so che ce la fai» mormora. «Ma io non ho perduto quello che hai perduto tu.»
Link vorrebbe che non l’avesse detto. Non può arrabbiarsi con lei per avergli detto ad alta voce la verità, per avere il coraggio di dire quello che nessuno ha ancora osato ammettere neppure nella propria mente: che Revali è morto, che il suo corpo rimarrà prigioniero per sempre di Medoh e della nera vischiosa melma della Calamità. Link riprende a camminare senza guardarla né ascoltarla perché se si soffermasse sulle sue parole resterebbe fermo nella neve e nel dolore senza poter guardare avanti né indietro. Non può permetterselo adesso. Ha promesso che avrebbe aiutato a evacuare la loro gente.
La guarnigione di Hebra è attestata in una roccaforte di legno circondata da palizzate e da metri e metri di filo spinato. I soldati e gli arcieri di guardia si precipitano ad accogliere i fuggitivi: tra di loro ci sono anche i loro genitori e le loro mogli, i loro figli. Sono tutti salvi, almeno per ora.
Kagan viene a cercarlo in mezzo alla folla, lo afferra per le braccia per costringerlo a guardarlo, come ha fatto sua moglie poche ore fa: Link deve concentrarsi sul suo volto per sforzarsi di comprendere le sue parole attraverso il ronzio che gli copre le orecchie. Lo fissa a lungo senza capire.
«Derdran vuole parlarci» dice Kagan. Link ha bisogno di frugare nella propria memoria per un tempo assurdamente lungo per ricordare chi sia Derdran: tutto gli pare provenire attraverso una grande distanza, i suoi sensi sono ovattati, attutiti come dalla neve. «La principessa Zelda è salva. La consigliera Impa è riuscita a portarla qui con quella sua tavoletta Sheikah.»
Link segue Kagan attraverso il forte di guardia senza capire né comprendere: Zelda è salva, ripete a lungo dentro di sé. Non riesce quasi a ricordare perché sia così importante.
Derdran li aspetta dentro una costruzione nuda, essenziale, al centro del forte. È in piedi di fronte al grande braciere centrale, costruito alla maniera dei Rito, colle braccia incrociate sul petto. È lì anche Zelda: è seduta vicino al fuoco, con una coperta sulle spalle nude, ma si affretta ad alzarsi al suo ingresso; quando è scappata dal Castello non indossava che i suoi leggeri paramenti sacri, evidentemente. Vederla lo riscuote un poco dal torpore della sua mente: forse è quel senso di dovere, di sacrificio e abnegazione in nome del quale è stato cresciuto e continua a vivere, malgrado tutto, e che per una volta lo richiama a se stesso. C’è anche il piccolo guardiano, schierato di fronte alla principessa come se avesse il potere di difenderla dal mondo.
Impa è in piedi alle spalle di Zelda, con le braccia conserte sul petto: ha il volto esangue, estenuato, e forse il peso del regno sulle spalle. Alza lo sguardo dal fuoco quando lo sente entrare, ma non perde tempo in saluti.
«Il re è morto» dice. La sua voce sembra rimbombare nella stanza, improvvisa: Link esita sulla soglia. Qualcosa nello sguardo di Zelda sembra vacillare a quelle parole. «Si è sacrificato per darci il tempo di fuggire dal Castello. I Colossi Sacri sono stati conquistati da emanazioni della Calamità.»
Link cerca lo sguardo di Impa al di là del fuoco e di Zelda, e lei, in modo appena percettibile e unicamente per lui, scuote il capo in silenzio. Il potere del sigillo non si è risvegliato, dicono i suoi occhi senza bisogno di parole. Sono totalmente soli, perduti, dunque; eppure Impa sembra pronta a combattere, e Zelda, seppur cogli occhi rossi di pianto, è più ferrea e determinata che mai.
Chinando appena il capo di fronte a lei, Kagan prende la parola. «Principessa Zelda, vi porgo le mie condoglianze per la vostra perdita. Voi e la consigliera Impa potrete restare con noi per tutto il tempo necessario.»
Quando Zelda parla, la sua voce è più dignitosa e calma di quanto Link ricordi d’averla sentita mai.
«Vi ringrazio, capo Kagan» dice. «Vi ringrazio della vostra ospitalità e dell’aiuto che state dando alla Corona, ma né io né Impa siamo qui per nasconderci. Siamo venute qui a chiedervi il vostro aiuto per liberare i Colossi Sacri.»
Link sente le sue parole come una lama che scava nel suo petto ancora e ancora. Non finirà mai, dunque, questa rincorsa ai Colossi, questa lotta destinata a esser perduta sempre, ancora e ancora, e questo sacrificio eterno, come quello di Revali…?
Posando una mano sulla sua schiena, Kagan pare quasi volerlo sostenere. Link s’accorge d’aver stretto i pugni fino a farsene sanguinare i palmi, deve aver cambiato espressione, forse tremato; guarda Kagan sperando che parli anche in sua vece.
«No, principessa.» Le parole di Kagan sono dure e chiare, la sua voce gentile ma inflessibile. «I Colossi ci hanno già tradito una volta. Noi Rito abbiamo perduto il nostro guerriero più amato e più nobile, e da quello che avete detto mi pare di capire che anche le altre genti di Hyrule abbiano sacrificato a sufficienza. Revali era quanto di più simile a un fratello io abbia mai avuto, e anche voi avete perduto vostro padre. La strategia era sbagliata. Non vi pare abbastanza?»
«È proprio questo il punto» risponde Zelda. Questa volta, forse per la prima volta da quando Link la conosce, il suo sguardo non vacilla. «Noi pensiamo che i campioni sui Colossi siano ancora vivi. E intendiamo riprenderceli.»
 
Gli attendenti di Derdran porgono loro tazze di tè bollente che rimangono a fumigare lentamente e poi a raffreddarsi tra le loro mani. Sui Colossi, sostiene Impa, i campioni stanno ancora combattendo. Devono provare a salvarli.
Non occorre sentire altro. Non vuole neppure accertarsi che sia vero: forse non vuole neppure saperlo; gli basta poterci credere per il semplice fatto che Impa l’ha detto. Link si alza in piedi, si rivolge a Derdran, perché qui non si parla più di civili ma di guerra, e dice semplicemente: «Quand’è così, io vado.»
«Aspetta, Link» protesta Zelda. «Non puoi andare da solo. Dobbiamo formulare un piano, e…»
Link avrebbe obbedito a Zelda, persino a suo padre, se gli avessero chiesto di lanciarsi alla cieca nella lotta, nella mischia, e di sacrificare la sua vita senza neppure saper per cosa: in verità forse l’ha fatto molte volte, ma non è questo il punto. Non si tratta del re né di Zelda, ora: si tratta di Revali. Sostenendo con calma il suo sguardo, Link scandisce con lentezza: «Perdonatemi, principessa. Non posso aspettare. Non posso chiedere a nessuno di venire con me, ma io andrò su Medoh adesso.»
Zelda annuisce piano. Sa di non poterglisi opporre, forse neppure lo vuole; vorrebbe soltanto che lui fosse al sicuro, Link glielo legge negli occhi; ma, allo stesso modo, anche lei legge nei suoi che non si fermerà. Rimane in silenzio.
«Tutto molto giusto, Link» obietta Impa. «Peccato solo che non abbiamo modo di salire su Medoh. La cosa più sensata, in questo momento, sarebbe liberare Vah Naboris, e poi, col suo aiuto…»
«Impa» dice Link con calma, senza alzare la voce ma neppure chinare lo sguardo. «Io salverò Revali. Sono uno solo, e non posso salvarli tutti, ma se devo scegliere salverò mio marito. Sono stato chiaro?»
Sa di aver detto una cosa orribile, oscena: sa che le sue parole condannano Urbosa, Daruk, persino Mipha che quel giorno a Hebra è venuta a salvarlo, coi medici militari, e gli ha imposto le mani in battaglia decine di volte per guarire le sue ferite; ma è la guerra. Neppure loro, al suo posto, potrebbero salvare tutti; dovrebbero scegliere pure loro, alla fine, e a un certo punto saprebbero di dover dire ad alta voce la stessa cosa orribile e oscena che ha detto lui adesso: che ne sceglierebbero uno solo. Di Urbosa, di Daruk, non sa dire chi sceglierebbero: forse ragionerebbero con freddezza, da buoni militari, come dovrebbe fare lui adesso, e sceglierebbero il Campione che in battaglia potrebbe rivelarsi più utile nei giorni successivi; ma Mipha sceglierebbe lui per nessun altro motivo che questo, che lo ama. Link sceglie Revali per lo stesso motivo egoistico e disperato per cui Mipha sceglierebbe lui sempre.
Impa lo osserva molto più a lungo del normale, e Link ha la sensazione che i suoi occhi vedano e le sue orecchie sentano molto più dei suoi gesti e delle sue parole.
«Tu sai già che io verrò con te ovunque» dice. «Ma, Link… Medoh sta volando, e, almeno fino a quando non siete arrivati qui, stava sbandando sempre più verso nord. A meno che non lo abbattiamo a cannonate, non vedo proprio come potremo salirci. Se ci riuscissimo, poi potremmo usarlo per liberare Vah Naboris.»
Link si volta verso Derdran. Se c’è qualcuno che conosce i monti di Hebra, per quanto possa non piacergli, è proprio lui. «Derdran, tu conosci le montagne del nord. Ti viene in mente un punto da cui possiamo avvicinarci il più possibile? Medoh non stava planando molto in alto, ma…»
Derdran potrebbe dirgli che sono un branco di pazzi e insensati; che, se proprio su Medoh deve andarci qualcuno nella folle speranza di salvare un guerriero che non c’è alcuna garanzia di trovar vivo, avrebbe senso che ci andasse una squadra scelta di arcieri Rito, che siano quantomeno in grado di raggiungere il colosso autonomamente; ma non è questo che dice. Sta riflettendo. Fa un cenno a un attendente, che si precipita a srotolargli di fronte una mappa, e cerca qualcosa di specifico scorrendovi sopra con la punta delle dita.
«Qui» dice infine picchiettando su un punto preciso. Link reclina il capo per guardare al di sopra delle sue ali: è un’infossatura tra due montagne, non poi molto più a nord di dove si trova la guarnigione. A occhio sono forse due ore di cammino, anche se in mezzo alle nevi perenni di Hebra. «In questo punto ci sono degli sfiatatoi naturali simili a quelli che si trovano al Volodromo, o quantomeno c’erano fino a un paio di anni fa. Può darsi che siano stati ricoperti dalle frane, ma possiamo farli saltare con le frecce esplosive. Possiamo usarli per prendere quota e issarci fino al Colosso, a meno che non devi dalla direzione che ha preso. L’importante è arrivarci in tempo, ma per ora Medoh sta procedendo molto piano, in balia solo dei venti. Nessuno lo sta pilotando.»
«Il fatto che tu dica possiamo mi fa supporre che in questo piano ti veda coinvolto tu stesso» commenta Kagan guardandolo.
Derdran esita. «Se mi ordini di restare, non posso disobbedirti, ovviamente. Ma tu sai che preferirei andare. In fin dei conti, lo sai… ho qualcosa da farmi perdonare da Revali.»
Kagan alza gli occhi al cielo. «Ah, quindi ora ammetti di avere qualcosa da farti perdonare. Era proprio necessario che arrivasse la Calamità e Revali restasse prigioniero di Medoh per costringerti ad ammettere che tutto sommato non avresti dovuto provarci con suo marito, vero?»
Tanto Impa quanto Zelda non riescono a trattenersi dal guardare verso Link con aria meravigliata. Derdran ha esattamente l’espressione di un bambino che sia stato rimproverato in pubblico dai genitori e sia del tutto consapevole d’aver combinato qualcosa che non avrebbe dovuto.
«Come vuoi, Kagan.» È avvampato di vergogna. «Link, perdonami per averci provato con te a quel matrimonio. Non avrei dovuto, eccetera. Ma se sei d’accordo che io vi accompagni e se ritroviamo Revali vivo, giuro che porgerò le mie scuse anche a lui, va bene?»
Link, che a tutto pensava fuori che al matrimonio, alla scenata di gelosia e alle scuse di Derdran, è interessato soltanto al fatto che li accompagnerà un guerriero che conosce quel territorio. «Grazie, Derdran. Ci sono mostri in quelle zone?»
«Col ritorno della Calamità? Temo che ci siano mostri un po’ dappertutto. Non sarò facile avanzare nemmeno in volo, e non possiamo permetterci di perder tempo.» Derdran esegue a mente un rapido calcolo. Alza gli occhi verso Kagan. «Mi dai il permesso di prendere trenta arcieri?»
Non è una richiesta banale. Trenta arcieri per una missione suicida significa trenta arcieri di meno a difendere la guarnigione, i vecchi, i bambini: per un attimo il volto di Kagan si trasfigura del peso della responsabilità. Sembra troppo giovane per un peso del genere, eppure, come gli ha detto Revali solo la sera prima, ciascuno deve fare la sua parte; e lui deve scegliere.
«Quanti ce ne rimangono?»
«Duecentosessanta tra la guarnigione e le immediate vicinanze. Un altro centinaio può essere richiamato dai presidi di controllo del sud di Hebra e di Colbacco al più tardi in un paio di giorni, e la roccaforte non è in pericolo immediato. Io e i ragazzi abbiamo ripulito le tane dei mostri nel raggio di qualche miglio fino a ieri, in previsione della Calamità. È estremamente improbabile che veniamo attaccati.»
Kagan sospira profondamente coprendosi gli occhi con le mani per qualche istante. «Puoi avere i tuoi trenta arcieri, allora. Ma non possiamo ordinare loro di dare la vita per uno solo di noi, Derdran… nemmeno per Revali, per quanto sia il migliore tra noi. Dovranno essere volontari. Siamo d’accordo?»
Derdran annuisce. A un suo cenno, uno dei suoi attendenti fa per slanciarsi fuori, ma Kagan lo richiama prima che esca. «Aspetta un momento. Derdran, sappiamo entrambi che vorranno venire tutti con te per salvarlo. Non più di trenta, siamo intesi? Non possiamo rischiare di più. Mi pare già un rischio sufficiente mettere a rischio la tua vita e quella di Link. E fammi consegnare un arco, prima di partire» aggiunge alzandosi stancamente. «Non credo che verremo attaccati nel corso della notte, ma almeno, se dovesse accadere, potrò rendermi utile anch’io.»
«Ma, Kagan» protesta Link. Kagan ha tutto fuori che l’aria di un guerriero, e l’idea di saperlo combattere lo preoccupa. «Ieri sera, Revali ha detto…»
«Che non colpirei neanche una roccia ferma?» Malgrado la stanchezza, l’angoscia, malgrado il dolore e la responsabilità che grava su di lui come colonne posate sulle sue spalle, Kagan trova ancora sufficiente ironia, dentro di sé, da strizzargli l’occhio. «Se non sbaglio, Revali diceva anche che tu sei un guerriero piuttosto mediocre, quando ha accettato di pilotare Medoh. Davvero non hai ancora imparato a non credere ciecamente a tutto quello che dice quel borioso di tuo marito?»
Kagan riuscirebbe a farlo sorridere ovunque, persino in questo momento. Chissà perché sono le sue parole, più delle supposizioni di Impa, più dei piani di Derdran, che gli fanno sentire in fondo al suo petto che forse c’è ancora speranza, e a Kagan non sfugge l’ombra del suo sorriso. S’inchina in direzione di Zelda, ma poi, proprio prima di uscire, si sofferma un momento. Sembra cercare le parole.
«Se è vivo, so che ce lo riporterai» dice. «Buona fortuna.»
 
Avanzano nella neve in cui affondano fino alle cosce col vento che sferza loro gli occhi, alla luce delle fiaccole: arcieri Rito planano sopra di loro portando torce accese; la lunga notte di Hebra si spalanca attorno a loro sconfinata. Si inerpicano attraverso la valle quasi alla cieca: il vento ulula rimbombando contro le creste rocciose, spolverando neve tutta addosso a loro. Derdran lo guida nel buio come se li conducesse in piena luce, sembra conoscere persino le rocce, i punti in cui la neve è infida e cedevole.
«Mi pare d’intuire che non è solo per principio che hai rifiutato la grazia, quindi» dice Impa a un tratto porgendogli la mano per aiutarlo a salire. Ha risparmiato fiato per tutto questo tempo per riuscire a chiedergli questo.
«Che cosa intendi dire?» chiede Link afferrando la sua mano senza incontrare i suoi occhi.
«Hai davvero bisogno che te lo dica?» Link non risponde, allora Impa parla ancora mentre scivolano lungo un crinale sulla neve fresca. «Lo prenderò come una conferma, comunque. Tutto sommato ho sempre pensato che sareste stati bene insieme.»
Se ci fosse tempo per fermarsi, adesso Link si fermerebbe ed esclamerebbe: «Anche tu?» Ma tempo non ce n’è, e Link deve accontentarsi di fare la stessa domanda arrancando in avanti, ancora avanti, col vento freddo che gli fustiga il viso.
«Anche io?» chiede Impa. «Perché, chi altri?»
«Lelek» risponde Link sentendosi avvampare fino alle orecchie. «Ma tu, da cosa…?»
Per un po’ Impa cammina soltanto, ansimando, e non risponde. Riprende fiato.
«Diciamo che era molto difficile venirti a trovare nella tua tenda in quei giorni a Hebra senza imbattersi in Revali. E poi, quando si è parlato di chi avrebbe dovuto sposarti, quel giorno… mi è sembrato piuttosto pronto a offrirsi volontario. Ho reso l’idea?»
Poiché non è sicuro di cosa potrebbe dirle, Link non risponde. Senza fermarsi, Impa gli batte sulla spalla e indica qualcosa al di sopra di loro. È l’enorme sagoma di Medoh, luminosissima sotto la luna e nell’albedo della neve, avviluppata nei viticci neri e vischiosi della Calamità; Link non vorrebbe guardarla perché è troppo dolorosa, ma segue ugualmente la direzione della mano di Impa, perché lei sta attraversando Hebra a piedi per lui.
Quando alza lo sguardo, Medoh è illuminato da luci improvvise come lampi in lontananza.
«Sono frecce esplosive» dice Impa. «Sta combattendo, Link. È ancora vivo.»
Derdran deve aver visto quello che hanno visto loro, perché cala dall’alto abbassandosi bruscamente di quota.
«Ci siamo quasi» annuncia. «Vedo delle esplosioni su Medoh. C’è ancora qualche speranza. Ancora pochi minuti e vedremo gli sfiatatoi di cui vi ho parlato. Può darsi che ci sia bisogno di far saltare le rocce con…»
«Capitano!» urla in quel momento un arciere. C’è del panico nella sua voce. «Lynel!»
Derdran non perde tempo. Batte le ali riprendendo quota per guadagnare visibilità e grida: «Quanti?»
«Non siamo sicuri. Almeno una decina. Vediamo solo le punte delle frecce elettriche nel buio…»
Derdran osserva qualcosa, oltre la collina, che a loro non è dato vedere: Link e Impa lo osservano quasi senza osare respirare. Un attimo dopo, Derdran plana in silenzio su di loro ed esclama con voce soffocata: «Questa non ci voleva, ma non importa. Me lo aspettavo. Li tratteniamo noi. Voi andate.»
Non è una novità, o meglio non dovrebbe esserlo: è la guerra, e Derdran li ha accompagnati apposta perché nulla potesse rallentarli; ma Link esita ugualmente. «Derdran…»
«Revali è lassù da solo. Noi siamo trenta» ribatte Derdran. La sua voce è inflessibile e fiera. «Abbassatevi e correte verso gli sfiatatoi. Link, porgerai tu le mie scuse a Revali?»
Se quello vuole essere un ultimo addio, Link non ha alcuna intenzione di permettergli di farlo. Sostiene il suo sguardo.
«Non è che stai facendo quello che si sacrifica perché hai una gran paura di Revali, e non vuoi scusarti di persona, vero?»
«Non negherò né confermerò le insinuazioni» lo rimbecca Derdran sfoderando il suo arco. «Ora state bassi e andate.»
Non c’è tempo per giocare a fare gli eroi e a chi si sacrifica più degli altri. È la guerra. Impa lo afferra per mano e scivola nella neve con la schiena curva, silenziosa come una Sheikah, senza sollevare più fruscio del vento. Link la segue camminando nelle sue impronte.
Non c’è bisogno di vedere gli sfiatatoi di cui parlava Derdran per riconoscerli al buio: d’improvviso all’apertura della valle li accoglie una ventata gelida che li colpisce in piena faccia mozzando loro il respiro. Derdran aveva ipotizzato che una frana potesse averli coperti, ma non si direbbe, e l’aria che si leva da terra è intensa abbastanza da sollevare le loro paravele: solo di fronte a loro, quasi al centro della distesa di roccia friabile e irregolare che ricopre il terreno, si eleva un masso enorme, gigantesco, crollato forse dalla cima dei monti. Medoh è ancora visibile: se le correnti sono abbastanza forti, riusciranno a sollevarsi a sufficienza da poter planare fino al suo interno; altrimenti sarà stato tutto inutile.
Impa respira affannosamente per riprendere fiato mentre slega in fretta la paravela che porta legata sulla schiena, alla maniera della sue gente, e mormora: «Link, non sappiamo che cosa troveremo quando saremo su. Non so cosa stia tenendo prigioniero Revali, ma…»
La voce le muore in gola, i suoi occhi si fanno più larghi d’improvviso: Link non ha neppure bisogno di seguire il suo sguardo per capire.
Quello che hanno di fronte non è un masso. È un hinox, e si sta alzando in piedi.
Impa non perde tempo, i suoi riflessi sono più rapidi della sua voce. Le sue mani scivolano dalle sue spalle ai suoi fianchi senza che Link riesca neppure a seguirne i movimenti, quando torna a vederle impugnano i suoi pugnali, e spingendolo in direzione del vortice d’aria che si leva da terra Impa grida: «Lo trattengo io, tu vai! Salva Revali e poi riconquistate Naboris.»
Link incespica sulle rocce friabili con la paravela in mano e una protesta sulle labbra; non vuole lasciarla sola, usare anche lei come un ponte per arrivare a Revali: è questo che costa la salvezza? L’hinox torreggia su di loro levando un ruggito, Link porta suo malgrado la mano all’elsa della Spada: può aspettare, può combattere con lei, e questo non perché creda nella sua forza, ma perché non è disposto a sacrificarla; ma Impa si schiera di fronte a lui come se lo proteggesse col suo corpo. Le sue dita si muovono già rapidissime a formare complessi simboli Sheikah.
«Link, vai, o perderai Medoh!»
«Impa…»
Voltandosi appena verso di lui al di sopra della spalla, Impa sorride. Il suo volto è serio eppure del tutto privo di paura. «Quando mi ricapita di poter rinfacciare a Revali che mi deve la vita?»
Link solleva la paravela e l’aria lo strattona verso l’alto minacciando di slogargli una spalla.
Si eleva nell’aria gelata a una velocità vertiginosa. L’occhio enorme dell’hinox segue i suoi movimenti stupidamente, pieno di stupore, ma il vento lo porta rapidamente sempre più in alto: Link sente il sibilo di un proiettile, forse di un sasso, saettargli accanto mancandolo di almeno un paio di metri. Un istante dopo, un boato sotto di lui lo informa che Impa ha appena fatto ricorso a una delle sue tecniche Sheikah, l’hinox ulula sotto la luna e l’onda d’urto di un’esplosione lo trascina nell’aria aggrappato alla paravela. Medoh pare avvicinarsi vertiginosamente nella brusca accelerata: le sue pareti sono ricoperte da lunghi viluppi neri, vischiosi, e Link riesce a evitarli solo contraendo le gambe contro il petto; ma non ci sono più esplosioni né luci, si accorge con orrore. Sente il panico dentro di lui risalire il suo petto in grandi ondate pulsanti: il Colosso è immobile e silenzioso, ora. Non c’è più segno di combattimento.
Ricade all’interno di Medoh rotolando più volte sul pavimento duro e si rialza all’istante guardandosi attorno. Il suo petto si alza e si abbassa freneticamente, i suoi occhi si abituano alla strana luminescenza all’interno del Colosso; vorrebbe gridare, chiamare il suo nome, ma l’addestramento è più forte del suo istinto. Non grida: non ce n’è bisogno.
Revali è di fronte a lui. È appoggiato contro una parete, tenendosi con la mano una grande ferita sotto l’ala: Link sente il sangue pulsare all’interno delle sue orecchie, ronzare; Revali è vivo, contro ogni speranza; ma non è solo.
In ginocchi accanto a Revali c’è un Rito alto, dalle piume pallide del colore del marmo, che Link non ha mai visto. È curvo su di lui con aria angosciata, ma al suo arrivo si volta bruscamente a guardarlo.I suoi occhi si spalancano per lo stupore.
«Link!» esclama.
Link lo guarda senza capire. È certo di non averlo mai visto, allora come fa a conoscere il suo nome?
Col volto contratto dal dolore, Revali sorride.
«Vedi, Teba?» domanda. Parlare sembra costargli uno sforzo enorme, eppure nemmeno in quella circostanza riesce a resistere al suo sarcasmo. «Te lo dicevo che mio marito sarebbe venuto a darci una mano. In ritardo come al solito, ma non mi aspettavo diversamente…»
«Marito?» chiede lo strano misterioso Rito.
Link decide che avrà tempo dopo per le domande e i dubbi dello sconosciuto. Si china su Revali e gli allontana l’ala dal petto con delicatezza per controllare la ferita: non è eccessivamente grave, ma c’è da sperare che non siano stati coinvolti i muscoli del petto e delle ali, altrimenti, quando dovrà sollevarsi in volo…
«Link, lascia stare» dice Revali con una certa urgenza. Fa fatica a parlare. «Ascolta. Al piano di sopra c’è qualcosa che non ho mai visto. Crediamo sia una sorta di emanazione della Calamità. Abbiamo combattuto finora, ma ci siamo ritirati perché…»
«Ho capito» risponde Link a bassa voce scrutando la ferita. «Me ne occupo io. Tu non ti muovere, siamo intesi?»
«Assolutamente no. Non puoi farcela senza di…»
«Oh, finiscila» sbotta Link, e poiché Revali pare ancora molto propenso a discutere lo bacia a lungo per metterlo a tacere.
   
 
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