That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Mirzam - MS.006
- Black Butterfly
Mirzam
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - merc. 13 marzo
1968
Era molto tardi quando avevo finito il giro di
perlustrazione dei corridoi: avevo saltato la cena e la serata era
andata in fumo, perché un Grifone del primo anno si era
perso dopo la lezione di Pozioni e aveva vagato per ore alla ricerca
dell’uscita, ritrovandosi invece negli scantinati
più profondi. L’avevo recuperato solo grazie alle
indicazioni del Barone Sanguinario: non potevo credere che ci fossero
idioti di quel calibro, era eccessivo persino per i Grifoni, ma alla
fine, osservando lo sguardo spaventato e grato di quel ragazzino poco
più grande di mio fratello, avevo sorriso per rassicurarlo e
gli avevo offerto un paio di Gelatine che avevo preso per me. Era stata
una giornata piena, avevo studiato come un pazzo per i MAGO ed ora ero
talmente distrutto, che non sarei riuscito nemmeno a dormire: avrei
potuto ritentare la ricerca per conto di Rodolphus nella Stanza delle
Necessità, ma ero sfinito; se non altro, non perdevo
più il mio tempo con quelle stupide ochette e mi sentivo
più utile, peccato non avessi ancora ottenuto alcun
risultato e il tempo della mia permanenza nel castello,
inesorabilmente, si stesse riducendo sempre di più. Appena
entrai, nonostante fosse passata mezzanotte da un pezzo, notai che non
ero solo: un bagliore riluceva prossimo al caminetto, sospettai che ci
fosse una coppia imboscata dietro al divano. Mi avvicinai lentamente,
facendo un po’ di rumore così da permettere ai due
di ricomporsi, ma mi trovai di fronte solo una figura a terra, china
sui libri, a poca distanza dal caminetto. All’inizio vidi
appena una cascata di morbidi riccioli castani, raccolti sul capo con
un piccolo pettine d’argento, poi delle spalle esili, curve
sul tavolo basso, strette nella camicia bianca della divisa, la figura
nervosa ed esausta di chi cerca di finire un lavoro e sa che non
potrà farcela. Evocai un semplice
“Lumos”, per aumentare la luminosità
intorno a lei. La ragazza sussultò, il viso pallido appena
rosato dal classico moto d’imbarazzo, mi sbirciò
attraverso i riccioli, senza staccarsi dal suo compito e mi
strappò un sorriso.
“E’ tardi,
Black… rischi di rovinarti gli occhi su quella
pergamena…”
“Non posso, Mirzam, non ho
ancora finito Pozioni per domattina… e…”
“Se vuoi, posso
aiutarti… Non me la cavo male con
Pozioni…”
Mi sedetti al suo fianco, tolsi la giacca, la ripiegai e la sistemai
sul divano dietro di noi, allentai il cravattino, e sbirciai la mole di
libri polverosi che aveva disposto a raggiera attorno a sé,
poi mi allungai sul famigerato tomo del 1646 di Messer Arcibaldo
Elfwood e iniziai a sfogliarlo.
“Quale pozione ti
serve?”
“Quella per infoltire il pelo
di Carduchia… ma lascia stare quel libro, è
incomprensibile…”
“Fidati di me, qui
c’è tutto quello che ti serve, alcuni chiamano
questo libro “La Bibbia di Slughorn”…
Hai detto Carduchia vero? Era la pozione dei GUFO di Rodolphus, se non
sbaglio…”
Iniziai a studiare l’indice, simboli e rimandi incisi da
generazioni e generazioni di studenti arricchivano il testo, nonostante
il lavoro di guardiano severamente svolto dall’austera
bibliotecaria.
“Eccola qua… Ti
detto gli ingredienti, controlla che siano scritti in questo preciso
ordine, perché se metti l’Essenza di Garofano
prima dei Petali di Rosa Canina, non si ottiene il risultato
ottimale…”
Era una pozione difficile per quelli del quarto anno, ma Andromeda non
ebbe bisogno di apporre troppe correzioni, il suo testo era
già sufficientemente ricco e ben sviluppato.
“Ti ringrazio, Mirzam, erano
ore che cercavo di dare un senso agli appunti di mia
sorella…”
“Tieni sempre presente questo
testo, Meda, e se non lo comprendi, chiamami: mia madre ne ha fatto una
copia magica e a casa ci insegna Pozioni con quella. Vedi questi codici
ai margini? Li ha fatti un certo Tom, studiava a Hogwarts
all’epoca dei nostri genitori, non era ricco ma era molto
portato: basta comprendere la sua legenda per avere la chiave del corso
di Pozioni…”
“Non ne sapevo
nulla… Anche perché i miei non parlerebbero mai
di persone povere…”
“A volte la ricchezza
materiale non è tutto e sarebbe meglio non fermarsi mai alle
apparenze…”
“Hai ragione… E ti
ringrazio… Non so che cos’avrei fatto senza il tuo
aiuto, stasera…”
“Non ti
preoccupare… Ora vai a dormire, Andromeda, o avrai la testa
nel pallone tutto il giorno…”
“Non ancora, devo finire
Incantesimi e…”
La guardai, non immaginavo fosse il tipo di ragazza che metteva le
stupidaggini prima dello studio, riducendosi poi all’ultimo.
Non era proprio da lei… che stesse uscendo con un ragazzo?
Mi colse alla sprovvista un sentimento strano, indecifrabile.
“E’ che…
sai, sto in camera con le mie sorelle… E con Bella in
giro… Mi capisci?”
“Non ti devi giustificare con
me… Se vuoi, ti aiuto, così ti fai almeno un paio
di ore di sonno…”
Rimasi al suo fianco cercando di aiutarla a sistemare quegli ultimi
compiti: nonostante la stanchezza e la noia di quelle odiose formule,
mi sentivo rilassato e in pace. E sollevato, quando avevo capito che il
problema non era un ragazzo, ma la solita Bellatrix. Era tanto che non
passavo del tempo con Meda, da quel giorno nell’infermeria:
da allora ero cambiato molto, mi chiedevo se avesse ancora
un’opinione decente su di me, o avessi rovinato tutto. Per la
prima volta, pensando a come mi ero comportato nelle ultime settimane e
a come avrebbero potuto giudicarmi le persone cui tenevo, mi vergognai.
Avevo quasi scordato la capacità terapeutica di quella sua
voce dolce, capace di rasserenare, e di quello sguardo che era sempre
stato un caldo abbraccio di vero affetto. La guardai e rividi in lei la
mia amica, ma anche qualcosa di nuovo: era cresciuta, non era
più solo la sorella più giovane e gentile di
Bellatrix; così vicina, ne percepivo la bellezza, molto
simile a quella di Bella, certo, ma con quel tocco di
fragilità e dolcezza che faceva venir voglia di baciarla,
non di scappare a gambe levate; e quel rossore sul suo viso, quel
parlare e muoversi senza malizia, con la naturalezza e il candore che
ricordavo di lei.
“Spero che la tua giornata non
sia pesante, mi sento in colpa, non hai dormito per aiutarmi...
”
“Non ti preoccupare: ci sono
alcuni vantaggi nell’essere un Caposcuola… E
conosci Slughorn: basta il regalo giusto per ottenere da lui una
momentanea immunità…”
Le sorrisi, mi piaceva il suo modo di guardarmi, semplice e diretto,
era lo stesso di quando giocavamo insieme nel salotto a casa di suo
zio, a Grimmauld Place: provavo nostalgia per quel passato, per
quell’innocenza, per quell’epoca in cui non ero
ancora stato graffiato e corrotto.
“Ti auguro una giornata ricca
di soddisfazioni, Andromeda Black… E… Buon
Compleanno…”
Con un tocco di galanteria, mi alzai per inchinarmi subito dopo a
prendere la sua mano e baciarla, sfruttai la mia capacità di
far magia senza bacchetta per sorprenderla, trasfigurando una piuma in
una rosa per lei; infine mi allontanai, deliziandomi del rossore che le
imporporava a tradimento il viso.
***
Mirzam
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - aprile 1968
Il profumo di primavera saliva dal prato sotto le serre di Erbologia;
era quasi caldo, il cravattino di Serpeverde era un fastidioso cappio,
con gli altri stavo parlando della partita contro i Corvi, ormai
prossima: volevo vincere la coppa per superare le gesta di mio padre
prima di lasciare Hogwarts. Parlavamo anche delle solite lezioni, della
paura dei MAGO, del futuro, di sogni d’amore infranti da
regole e convenienze: Rookwood aveva saputo che suo padre aveva
concordato a sua insaputa per lui il matrimonio con Sybille Parkinson,
figlia di Mr. “Carlino”, da celebrarsi entro
l’anno. Io mi sentivo insofferente e insoddisfatto, la
ricerca per i corridoi era fallita e nel
“magazzino” della Stanza delle Necessità
non riuscivo ad orientarmi; dubitavo che quella fatica sarebbe stata
premiata, che sarei riuscito a mettere in atto quello che mi ero
prefisso e farla franca. Fu allora che la vidi passare, di ritorno
dalla Guferia, insieme alle amiche e a Narcissa, la voce e la risata
cristallina riempivano l’aria, il castano dei capelli
s’infiammava sotto un sole ancora timido. E mi scaldava
dentro, da tempo e non me ne ero ancora mai reso conto: avevo imparato
giorno per giorno, senza volerlo, a riconoscere tra mille la sua voce,
l’unica capace di farmi lasciare i miei pensieri turbinosi,
di farmi solo sognare, come un ragazzo qualunque di quasi diciotto
anni. La riconoscevo nella confusione della Sala Grande, passavo ore
intere, trasognato, ad ascoltare la sua risata al tempo stesso timida e
sicura, ad osservarla muoversi in Sala Comune, con una grazia e
un’eleganza, superiori perfino a quello che ci si aspettava
da qualcuno col suo nome. Anche se sapevo in cuore mio che non era
giusto.
Di notte, la mia stanza era tornata a essere vuota e solitaria, ero
tornato in me dopo la vergogna che avevo provato; ed ora, quasi senza
accorgermene, appuntavo il suo nome sui libri, lo pronunciavo in
segreto, quando non mi sentiva nessuno, nell’incoscienza del
sogno, o in pieno volo su una scopa, come fosse una perla, un fiore
prezioso, da curare e proteggere, contro le insidie del nostro mondo.
Andromeda…
***
Mirzam
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 6 aprile
1968
“SERPE-VERDE, SERPE-VERDE!”
La Sala Comune riluceva di mille festoni luminosi: ovunque
c’erano verde e argento, i miei compagni mi trattavano da
eroe, mi festeggiavano ed io ero felice più per loro che per
me stesso. Mancava solo una partita, ce l’avrei messa tutta
per realizzare il loro sogno e il mio. L’ultima partita, gli
ultimi mesi a Hogwarts, l’inizio della mia vita: mi percorse
un brivido fatto di eccitazione e paura, di aspettativa e rimpianto.
“Dai, Jeremy, ripeti la parte
finale della telecronaca… è stata
bellissimo!”
“Allora… buoni,
buoni dai… mi devo concentrare… ecco…
il Cercatore di Serpeverde scarta a destra e anticipa Jeffrey Buttons
di Corvonero, incredibile, dopo una lotta all’ultimo sangue,
Sherton gli prende il boccino, proprio sotto il naso…
Ragazzi non voglio gufare, ma, di fatto, è appena stata
assegnata la Coppa di Quidditch 1967/68. I Grifondoro dovrebbero fare
un vero miracolo contro i Corvonero per superare questa favolosa
squadra… Ora Sherton è portato in trionfo dai
suoi compagni! Ragazzi, se prenderà il boccino anche a
giugno contro i Tassi, avrà battuto persino il record di suo
padre! E noi saremo tutti qui per vederlo e raccontarlo!”
Mi sollevarono di nuovo e mi portarono in festa per tutto il
sotterraneo, con canti e schiamazzi di cui Slughorn evidentemente
fingeva di non accorgersi, impegnato com’era a sbevazzare e
canticchiare vecchi motivetti irridenti ai danni dei nostri cari amici
Corvonero.
“Dai ragazzi, mettetemi
giù! Basta! Prendete Rookwood e agli altri! Prendete Malfoy,
forza!”
La folla afferrò Rookwood e Malfoy, li lanciò per
aria sotto l’incitamento dell’intera Casa di
Salazar, io risi e fischiai con gli altri, mi presi un’altra
bella dose di pacche sulla schiena e mi feci andare di traverso il
Whisky che mi stavo godendo. Erano passati sette anni e questa forse
era l’ultima occasione per assaporare in pace la mia
“famiglia”, poi sarebbe stata una corsa a sfinirsi,
con la pressione dello studio, l’ultima partita, gli esami
dei MAGO, la festa di fine anno… E infine
partire… Non avevo più molto tempo per respirare
quell’atmosfera, quella magia che non avrei più
ritrovato da nessuna parte, sapevo che un giorno mi sarei risvegliato
fuori dal castello, in mezzo alla vita vera, senza nemmeno accorgermi
che di colpo era tutto finito; c’era stato un tempo, i primi
anni, in cui avrei voluto fuggire, intraprendere la mia vita, e ora che
mancava poco, appena una manciata di settimane, mi spaventava quello
scorrere così veloce e furioso del tempo. Sapevo che era per
quelle vecchie pietre che mi ricordavano un amore finito prima ancora
che l’assaporassi, per lei, per lei che non c’era
più, per lei che contro la ragione continuava a essere
presente nei miei pensieri e nelle mie speranze, benché
m’imponessi di dimenticarla, per lei che mi faceva sentire in
colpa, quando non riuscivo più negare a me stesso che stava
nascendo qualcosa di nuovo nel mio cuore. Uscii nel corridoio,
per riprendere fiato, dietro di me i muri sembravano urlare di gioia e
vittoria. Non capivo perché quella sera sembrasse regalare
solo a me una strana malinconia, ovunque mi voltassi c’era un
ricordo, un’immagine, un momento, che non avrei ritrovato
più. Attraverso la porta semiaperta, vedevo invece i miei
compagni danzare e divertirsi, bere e mangiare, mentre io mi compiacevo
di quell’insana voglia di piangere, lacrime fatte di gioia e
nostalgia per un’età che mi lasciavo per sempre
alle spalle; solo in quel momento mi rendevo conto di aver sempre
vissuto al massimo, senza concedermi un solo istante, avevo bruciato
mille vite, in pochi anni. Ero scivolato lungo il muro, incurante della
divisa ridotta a un indecente spiegazzo, del cravattino perso
chissà dove e quando e di quel Whisky che non andava
giù, per il nodo che sentivo stringermi la gola, gli occhi
persi su una ragazza dal nome di cielo, che avrei voluto legare al mio
nome di stella. Una mano si appoggiò sulla mia,
costringendomi a ritornare in me…
“Il festeggiato se ne sta solo
soletto lontano dalla festa? Non va mica bene… Dai torna
dentro, Sherton, questo è solo l’inizio, la
sbronza vera arriva adesso, non puoi disertare!”
Rientrai con Rookwood, più scarmigliato e rosso in viso di
me, mi lasciai investire dal rumore, dalle risate e dalle luci, ma
dentro, appena la rividi, si riaccese violenta quella consapevolezza
chiara e inconfessabile: dovevo accettare l’onda che mi
travolgeva, non potevo più resisterle. Se fossi stato libero
da me stesso, sarei andato da lei, là presso il divano del
caminetto da dove mi salutava e sorrideva timidamente
dall’inizio della festa, ogni volta che i nostri sguardi
s’incrociavano, l’avrei presa per mano e le avrei
svelato quello che provavo per lei….
“Dai, Sherton, brinda con
noi… Sei stato fortissimo…”
“Ragazzi, contegno…
Aspettiamo giugno per far crollare il castello con le nostre urla di
giubilo… e intanto, Fire Whisky e un Colpo Gobbo di Morgana
per tutti, vediamo chi regge fino alla fine!”
Mi feci travolgere dai miei amici, poi mi voltai: Meda era ancora
lì, mi osservava, l’espressione un po’
intimidita, quella sua dolcezza che prometteva felicità, a
chi fosse stato tanto coraggioso da tendere la mano e amarla, non per
il nome e il sangue che portava in dote, ma per il suo cuore.
Trangugiai d’un sorso il mio Morgana, ormai avevo lo stato
d’animo perfetto per battere Rookwood al suo stesso gioco. E
cancellare la mia mente, fino a non ricordare nemmeno il mio nome.
***
Mirzam
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 21 aprile
1968
Daily Prophet
Edizione del 21 aprile 1968
NOTTE DI PAURA PER IL MINISTRO NOBBY LEACH
Notte di paura, a Londra, per Nobby Leach,
Ministro della Magia: la sua abitazione è stata devastata da
un incendio che ha distrutto l’intero edificio.
Fortunatamente il Ministro e la sua famiglia si trovavano alla festa
tenuta al Ministero per l’ottavo anniversario della sua
elezione. Ancora ignote le cause del rogo, che alle prime analisi
appare non accidentale ma probabilmente doloso.
Da alcune indiscrezione, a conferma di queste
prime ipotesi, tra le macerie sarebbero state trovate alcune monete
tristemente note come le “Monete
dell’Iscariota”, di cui si era persa ufficialmente
qualsiasi traccia da alcuni decenni. Secondo la leggenda, queste
monete… (servizi a pagina 2-3-4-5-6-7-8)
SVALIGIATO ESERCIZIO COMMERCIALE A NOCTURNE ALLEY
Mr. Borgin di “Borgin and
Burkes” è stato attaccato alla chiusura del suo
esercizio ieri sera e sottoposto a Confundus, per cui è
nell’impossibilità di descrivere i suoi
aggressori. Ancora ignoto è anche l’elenco degli
articoli sottratti. Vista la natura degli oggetti generalmente trattati
nel negozio, le indagini saranno svolte anche da una squadra per il
controllo dei Manufatti Oscuri… (segue a pag. 12 e seguenti)
Sorrisi: certo, leggere dell’atroce morte del Ministro della
Magia nel rogo sarebbe stato molto più soddisfacente, ma non
mi potevo lamentare, quel bastardo la doveva pagare e questo era
l’inizio. Richiusi la mia copia del Daily, fermandomi a
fumare sul muretto del
ponte che portava alla Guferia, lontano da sguardi che potevano restare
sconvolti, nel vedermi con una sigaretta babbana. Era una magnifica
giornata di sole ed io mi sentivo pervaso da una
strana pace: avevo appena spedito una lettera a Rodolphus, in cui mi
scusavo ma la ricerca non aveva ancora portato a niente. Come mi ero
promesso fin dall’inizio, se fossi venuto a capo
della faccenda, ne avrei approfittato personalmente, assicurandomi poi
di affatturare il “giocattolo”, così che
né Rodolphus, né i suoi amici potessero
ritrovarlo, riconoscerlo o utilizzarlo, per lo meno finché
ci fosse stato qualcuno dei miei fratelli in quella scuola: la mia
famiglia veniva prima di tutto. Ora la questione era risolta, avevo
svelato il mistero, avevo ricavato
i miei vantaggi e nessuno ne sapeva niente.
“Ehi, Sherton, ti godi il
sole? Hai letto il
Daily?… Pare che abbiano quasi arrostito il
porco…”
“Gli è andata bene
per stavolta, Jarvis, ma
vedrai, prima o poi, salterà per aria anche
lui…”
“Non vedo l’ora!
Sarei persino capace di
festeggiare sposando subito mia cugina, se quel bastardo
schiattasse… E di Borgin che ne pensi? Secondo te le due
storie sono collegate?”
“No, non credo, forse
è stato qualcuno che non era
d’accordo con i suoi prezzi da usuraio…”
Ghignai e gli offrii una sigaretta, tirai a fondo l’ultima
boccata, per poi schiacciare la mia cicca a terra, infine ci avviammo
al castello insieme, chiacchierando dell’allenamento di quel
pomeriggio: per ora il mio unico progetto era vincere contro i
Tassorosso.
***
Mirzam
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - ven. 17 maggio
1968
Se solo ci fossi tu, accanto a me,
tutto il resto non avrebbe più importanza…
Ti vedo danzare ma non ho la forza
di muovere un passo
Perché lo so…
sarei una stella troppo oscura per te,
La stella più oscura,
Potrei imprigionare il tuo futuro,
{ se solo volessi }
Potrei non darti scelta
{ se solo volessi }
E tu ne saresti persino felice,
perché sarei una meravigliosa prigione,
Perché potrei darti ciò che
nessun altro ti offrirebbe mai…
{ il mio cuore }
Sei l’unica fiamma pura della mia vita
{ io non offuscherò la tua luce }
Sei la mia farfalla
{ meriti di volare, ancora e ancora }
Puoi amarmi
{ non permetterò che tu m odi }
Posso amarti
{ non sarò io la tua prigione }.
M.A.S. °§° A.D.B.
Oggi
Storia è più micidiale che mai…
ma Lei era bellissima nel cortile di Trasfigurazione…
***
Mirzam
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - 19/20 giugno 1968
Era finita, era tutto finito. Mancavano solo la festa di fine anno e la
cerimonia di consegna dei
diplomi. Avevo raccolto tutte le mie cose, avevo fatto le valigie,
l’indomani avrei dovuto metterci solo il pigiama della notte
e i vestiti che avrei dismesso dopo la festa; avevo già
sistemato i libri e la divisa da Quidditch, la collezione di boccini
conquistati, la pergamena con le firme di tutti i miei amici, la foto
della squadra e quella della Casa di Serpeverde, anno 1967/68. Ero
già passato alla teca dei trofei del sotterraneo e avevo
lasciato il mio guanto accanto a quello di mio padre: alla fine
l’avevo battuto. E questo aveva portato
un’inaspettata pace
nel mio cuore:
quando avevo preso quel boccino e avevo visto i suoi occhi pieni di
lacrime in tribuna, quando mi aveva abbracciato e festeggiato, era
stato come chiudere col passato, perché con quel gesto
simbolico io non ero più solo un figlio che camminava sulle
orme troppo profonde di suo padre. Avevo dimostrato di poter dire
qualcosa di più, di diverso.
Avevo dimostrato di sapere lasciare anch’io delle orme
profonde. Mi trattenni ancora nella mia stanza, prima di salire di
sopra, mi
rimirai di nuovo allo specchio, nel mio elegante abito da cerimonia
verde scuro, con i cappelli legati in una coda e i baffi opportunamente
curati. Non avevo invitato ufficialmente nessuna, non mi sembrava
proprio il
caso. Mi avvicinai allo scrittoio e aprii il cassetto: era
lì,
che
aspettava da mesi di essere di nuovo sfogliato, lo presi in mano, il
vecchio libro che Sile aveva trovato a Londra girando i mercatini di
cianfrusaglie babbane, quel lontano giorno di agosto. Lei conosceva a
memoria quei versi, ed io ero innamorato delle parole
d’amore che mi dedicava, seduti sotto l’albero in
riva al lago. Per questo me l’aveva donato. Forse nella mia
precedente vita. Aprii una pagina a caso e iniziai a leggere:
That love is all there is,
Is all we know of Love;
It is enough, the freight should be
Proportioned to the groove.
Lo richiusi: avrei voluto sentire il cuore freddo di un dolore ormai
antico, invece era sempre lì, una ferita aperta e pulsante
che non si sanava mai… Ormai sapevo che non si sarebbe
sanata
mai. Lo lasciai sul cuscino. E salii, pronto a dire addio alla prima
parte della mia vita.
*
Quella sera tutti mi cercavano, chi mi offriva da bere, chi
m’intratteneva con discorsi più o meno curiosi,
chi mi faceva una corte spietata; ma il mio sguardo, alla fine, cadeva
sempre lì, al tavolo da cui due sorelle guardavano il resto
del mondo con superiorità giustificata dalla purezza del
loro nobile sangue, e la terza faceva brillare il mio mondo di un
pericoloso senso di possibilità. Alla fine presi coraggio,
avevo quell’ultima, sola occasione;
avanzai, quasi le mie gambe non rispondessero ai miei ordini, pieno di
una rinnovata fermezza, Bellatrix era girata verso di me, vidi che mi
guardava avvicinarsi e la sua espressione rapidamente sembrava passare
dallo stupito, al preoccupato, al beffardo: sicuramente stava pensando
a quello che mi aveva detto quel giorno sul treno, “sarai tu
a tornare a cercarmi, supplicandomi in ginocchio”. Mi
avvicinai, mi chinai verso il tavolo e con tutta la calma che ero
riuscito a mettere insieme, pronunciai le poche parole che volevo dire
da tanto tempo.
“Posso chiederti di ballare
con me, signorina
Black?”
Non mi curai di verificare se Bellatrix, terribile e meravigliosa nel
suo abito provocante, rosso come le sue labbra, fosse impallidita o
stesse per cruciarmi, né se Narcissa, una leggiadra ninfa
eterea e meravigliosa già a soli tredici anni, avesse un
sorriso sorpreso stampato in faccia, l’unica cosa che contava
era quel sì, che volevo partisse dagli occhi profondi di
Meda, prima ancora che dalle sue labbra: ora che le vedevo
così da vicino, desideravo solo baciarle! Mi diede la mano
incerta e mi seguì, nel suo elegante abito
simile a una soffice nuvola di sete indaco, evidentemente intimidita e
imbarazzata dagli occhi di tutti su di noi: li avevo sorpresi, mi ero
guardato bene dal far capire chi rubava i miei pensieri ormai da
mesi… Intuivo le congetture e le scommesse che si sarebbero
fatte su di noi,
ma m’imposi di non pensarci. Non m’interessava
niente che non fossero quei meravigliosi
occhi azzurri che cercavano invano di sfuggire ai miei.
“Mi sento in
imbarazzo… Pensavo ti stessi
avvicinando per invitare mia sorella…
Io…”
“No, Meda, ti assicuro che
Bella non c’entra: ho
invitato te, perché mi piacerebbe ballare con te, non con
tua sorella… E tu, se vuoi, dovresti accettare
l’invito per te stessa, non per quello che potrebbe pensare
il resto del mondo…”
Arrossì, mentre la musica rallentava e le luci si
abbassavano a creare atmosfera. L’abbracciai, e sentii che
s’irrigidiva
imbarazzata, poi alzò gli occhi su di me, quasi a chiedere
conferma che era tutto giusto e mi sorrise rossa in volto, per poi
rilassarsi tra le mie braccia…
“E’ come tanti anni
fa, Meda, quando da piccoli
ballavamo dai tuoi zii a Grimmauld Place…”
Lei rise, riconoscendo che era così, poi non ci curammo
più di niente e ballammo insieme per tutta la serata: non mi
resi nemmeno conto che la musica cambiava e che le ore passavano,
chiacchieravamo come non succedeva da troppo tempo, dei suoi progetti
futuri, dei miei, della comune passione per le Pozioni e
l’Erbologia, dei nostri ricordi, senza curarci dello sguardo
accigliato di Bella o delle facce stupite e interessate dei miei amici.
Quando l’accompagnai a riprendere fiato sulla terrazza,
ammirammo lo spettacolo di luci e colori che, come ogni anno,
Dumbledore ci offriva in segno di saluto e buone vacanze; intercettai
un elfo e gli chiesi qualcosa da bere che fosse fresco e piacevole e
soprattutto non alcolico.
“Sei emozionato? Da domani
tornerai ad essere libero, niente
più compiti e interrogazioni!”
“Ti dico la verità,
Meda, mi sento soprattutto
triste…”
“Perché? Non sei
felice di tornare a
casa?”
“Perché solo ora
che è finita, ho
capito che questo periodo non tornerà
più… che non rivedrò più
così facilmente delle persone che mi sono care…
Molti dei miei amici si sposeranno presto e… non
sarà più niente come prima…”
“Ma ora rivedrai
Sile…”
La fissai, c’eravamo spostati in un punto più
riparato da cui era possibile ammirare la notte di fine primavera
illuminata da un tappeto di rilucenti stelle, mai belle quanto i suoi
occhi; accanto a noi luci fatate impreziosivano l’aria, il
parco si apriva sotto la terrazza, punteggiato da sculture di
luce… Era una semplice domanda la sua, o c’erano
speranza e
aspettativa?
“Sile ed io ci siamo lasciati
lo scorso Yule,
Meda… Il mio mondo per ora è fatto solamente dal
Quidditch, dai miei amici… e… dalla speranza di
trovare una ragazza da amare sinceramente… ”
Avrei voluto dirle che forse l’avevo già trovata e
poi chinarmi su di lei, per stringerla e rubarle quel bacio che volevo
darle probabilmente da sempre. Ma riuscii a trattenermi, non volevo mi
considerasse un pazzo, o peggio
ancora, un mascalzone.
“So quello che si dice su di
te, Mirzam Sherton…
ma a me sembri molto diverso dalle chiacchiere, e da tutti gli altri
ragazzi della nostra Casa: tu parli d’amore, di amicizia, non
solo di potere e di sangue e di quegli odiosi calcoli su…
Perché stai ridendo?”
“Nulla, davvero…
Stavo pensando che anche mia
madre, alla tua età, disse parole molto simili alle tue e,
come forse sai, è ancora felice accanto a mio
padre… Quanto alle chiacchiere, nel mio caso, Meda, temo che
siano frutto dell’invidia certo, ma anche di una buona parte
di verità, so da me che non mi sono comportato sempre in
maniera opportuna, ma ho anche pagato per quello che posso aver
combinato finora, benché non sembri…”
Forse intuì il senso profondo di quello che avevo appena
detto, perché mi guardò leggermente
più rossa in viso, voleva dire qualcosa ma era indecisa:
sapevamo entrambi che era forte in tutti e due la voglia di restare,
per studiarci e capire, ma era meglio rientrare o io avrei finito
davvero col baciarla e lei forse non mi avrebbe parlato mai
più… No, non potevo permettere che accadesse
questo…
“Che cosa vorresti
dire?”
“Nulla… Ora spero
soltanto di avere una vita
felice come quella dei miei, e spero che la abbia anche tu, Meda...
Adesso però è il momento di rientrare…
prima che Narcissa si preoccupi e Bellatrix abbia il pretesto per
tagliarmi la testa…”
“Sì, forse hai
ragione, Mirzam, credo sia meglio
rientrare…”
La riaccompagnai dentro, la maggior parte dei ragazzi della scuola era
ormai esausta, non ballava quasi più nessuno, alcune coppie
si erano ritirate a festeggiare in privato, altri erano andati a finire
i bagagli, c’era ormai ovunque quel senso di epilogo, di fine
dei giochi, che non avrei mai voluto vedere, e lo affrontavo nel
peggiore dei modi… Meda si allontanò da me, per
raggiungere le sue sorelle,
dopo avermi salutato con una stretta di mano e un bacio sulla guancia:
la vidi borbottare a lungo con Bellatrix, particolarmente risentita,
speravo solo di non averla messa in difficoltà. Stavo ormai
per andarmene da solo, nei sotterranei, per
l’ultima volta, quando all’improvviso si
voltò, mi guardò a lungo e mi sorrise, felice e
un po’ dubbiosa, come me, dei nostri reali desideri e di
quello che c’eravamo detti sotto la luna.
*
Il preside Dumbledore aveva fatto allestire il palco in riva al Lago
Oscuro, perché gli ospiti godessero di una vista
incantevole: accanto a lui, con i professori che si dispiegavano ai
suoi lati come due ali ricurve, c’erano il Ministro, i dodici
Consiglieri e vari altri esponenti importanti della nostra
società. I genitori e gli amici di noi ragazzi erano
disposti
sul prato, in file
regolari e ordinate di sedie, sotto archi di rose e veli dai colori
pastello sistemati in modo tale da proteggere gli ospiti dal sole
appena caldo: la luce arrivava come filtrata da un arcobaleno colorato,
così che non sembrava una cerimonia per la consegna dei
diplomi, ma un matrimonio. I nostri compagni erano in parte seduti sui
prati tutti intono, gli
altri assistevano alla cerimonia dai cortili e dalle antiche finestre
della scuola, le valigie pronte per il viaggio di ritorno. Noi eravamo
disposti in fila in attesa di essere chiamati:
l’unica differenza rispetto alla cerimonia di smistamento di
sette anni prima, oltre al fatto di essere all’aperto e alla
presenza dei nostri cari e delle Autorità, era che
avanzavamo divisi per Case. E mancava Sile. Sospirai e
m’imposi
di non lasciarmi andare anche quel
giorno: c’era una leggera brezza che si levava dal lago e mi
accarezzava il viso, socchiudevo gli occhi per il riverbero del sole
sull’acqua, in attesa del mio nome, uno degli ultimi. Vedevo
la
tensione degli amici, la commozione molto spesso finta dei
parenti, la soddisfazione dei professori e del preside, che
s’intratteneva con ciascuno di noi per augurarci ogni bene
per il futuro e incoraggiarci sulle vie già intraprese.
Accanto
a Dumbledore, Nobby Leach ci guardava borioso e viscido come
sempre.
“Rookwood Augustus!”
Sospinsi appena il mio amico, alto e forte come una divinità
nordica, i capelli fulvi che rilucevano al sole. Mancava ormai poco,
ancora così poco… Posai gli
occhi sulla folla di studenti, alla ricerca di qualcuno, una figura
tenera e forte, un dolce sapore che agognavo sentire sulle labbra, un
sospiro represso, colpa e desiderio che non potevano evitare di
fondersi e farmi girare la testa… Alla fine
l’intercettai, accanto alle sorelle, meravigliose e
irraggiungibili: lei no, lei, delicata eppure terrena, mi appariva
vicina e umana. Mi sorrideva, sembrava anzi avere una luce nuova nello
sguardo.
“Sherton Mirzam!”
“E vai, stupido! Non vorrai
farci restare ancora
qui!”
Stavolta fu Warrington a spingere me, sorrise, un’espressione
strana nello sguardo, chissà se aveva mai capito che volevo
farlo fuori, per una donna che alla fine non contava niente per nessuno
dei due? Gli sorrisi e avanzai. Mi resi conto del tempo passato
perché non sentivo nessuna
emozione particolare, al contrario del terrore di quando ero arrivato
al castello per la prima volta e soprattutto perché, quando
mi avvicinai alla McGonagall per darle la mano, notai che ormai mi
arrivava appena sotto il mento: la prima volta che l’avevo
vista mi era sembrata imponente e pericolosa. Mi sorrise, era stata
un’ottima insegnante ed io uno
studente, se pur non proprio modello, migliore di tanti
altri… Rischiai poi di vedermi stritolare la mano dal
professore mezzo cieco di Difesa, Rufus Selmoore, opportunamente
ripreso da Slughorn.
“Che fai Rufus? Non vorrai
rovinare la promessa del Quidditch
nazionale con quelle tue zampacce?”
Il vecchio tricheco mi abbracciò con le sue corte e cicciute
braccine e non poté fare a meno di raccomandarsi e
raccomandarmi: era un po’ fissato e spesso era inutile e
fastidioso, ma era una brava persona in fondo. Infine giunsi davanti a
lui, al vecchio pazzo, Dumbledore, a colui che,
insieme a mio padre, probabilmente mi aveva salvato da Azkaban, non
permettendo al Ministero di fare le verifiche alle nostre bacchette: mi
guardava con la sua solita espressione strana, di chi vede attraverso i
veli del tempo ed è padrone del destino. Mi chiedevo spesso
cosa vedesse nel futuro di tutti noi.
“Complimenti, Mirzam, hai
ottenuto pieni voti in tutti i
MAGO…”
Fece cenno al Ministro, il quale mi mostrò la pergamena, ma
mi tendeva la mano poco convinto; io, da parte mia, lo guardavo quasi
sfidandolo, in una specie di prova di forza: sapevamo entrambi che non
avrei mai stretto la mano all’uomo che, per una vecchia
disputa personale con mio nonno, approfittava della sua posizione di
potere per vendicarsi su tutta la mia gente e chiudeva entrambi gli
occhi sulla corruzione che serpeggiava nel suo Ministero.
“Ma che diavolo sta
succedendo?”
Dall’alto risuonò un suono cupo di qualcosa che
cadeva e si srotolava al vento, tutto intorno a noi, dagli ospiti e
dagli studenti sui prati, si levò un
“Ohh” stupito: tutti alzarono il viso verso la
Torre di Corvonero che ci sovrastava, una gigantesca bandiera del
Puddlemere si gonfiava nel vento e a poco a poco si trasformava nei
colori e nel disegno. Alla fine un immenso stendardo della
Confraternita del Nord si librava
nel cielo terso della Madre Scozia, seguito da altri vessilli
più piccoli esposti dalle balconate e dalle finestre del
castello di Hogwarts, unendo in un abbraccio unico i Maghi del Nord
presenti nelle varie case.
“Che cosa diavolo significa
tutto questo? Dumbledore, questa
è forse una rivolta?”
Vidi il Ministro impallidire, stupito, intimidito, furioso, tra i
presenti si levò un applauso che all’inizio era
rivolto a me, ma che presto interessò tutti noi ragazzi che
venivamo dal Nord e i nostri genitori presenti. Il Ministro non
l’aveva previsto, una semplice consegna di
diplomi si stava trasformando in una protesta contro i suoi metodi poco
ortodossi. Guardai il preside, qualcosa mi diceva che
c’entrasse anche
lui, vidi il Ministro sempre più nervoso e quando mi voltai
verso gli ospiti, intercettai l’espressione stupita e
commossa di mio padre.
“Andiamo Nobby, quale rivolta?
Salutano i loro compagni, i
loro amici, lasciali festeggiare…”
Il Ministro era nero di rabbia, io gongolavo, vedendo che il vegliardo
era dalla mia parte, quindi me ne approfittai ulteriormente.
“Signore… Posso
avere il permesso di
ringraziarli?”
Dumbledore mi rivolse un’occhiata strana e annuì,
il Ministro ormai si tratteneva appena dal saltarmi addosso. E allora,
quasi senza volerlo, mi uscirono le parole che ci si
aspettava da colui che un giorno avrebbe guidato la Confraternita:
parlai del valore del Cammino del Nord e del potere della Conoscenza e
di quanto Hogwarts fosse fondamentale in quel progetto comune. Non era
previsto che uno studente facesse qualcosa del genere e il
Ministro cercò di riprendere le redini della situazione il
prima possibile, dicendo che si stava facendo tardi, ma intanto dalle
torri, dalle finestre e dal parco, si erano levati alti i nostri canti
in gaelico. Guardai mio padre, sembrava esplodere d’orgoglio
per
me: dopo
anni di lotte, d’incomprensioni e di passi falsi, eravamo
lì, a far fronte comune contro chi voleva la nostra rovina,
testimoniando davanti a tutti la solidità del nostro legame
e della nostra famiglia. E sapevamo entrambi che non era stato previsto
o ragionato, la mia
strada l’avevo scelta, alla fine, da me, proprio con il cuore.
Presi la pergamena che riportava i miei MAGO e salutai Dumbledore,
lasciando il palchetto e i suoi minuti di ovazione anche a Warrington,
chiamato subito dopo di me.
***
Mirzam
Sherton
Herrengton Hill, Highlands - merc. 3 luglio 1968
“Nobby Leach si sta impiccando
con la corda
che si è preparato da solo e la cosa divertente è
che a
mettergliela al collo è stato un ragazzo di appena diciotto
anni: tu…”
Presi il giornale che mio padre, soddisfatto come un gatto, mi tendeva
e lessi delle ultime trovate del Ministro ai danni della Confraternita:
non capivo cosa ci fosse da ridere.
“Questo significa che non
potrò
più giocare nel Puddlemere… Non potrò
mai lavorare
al Ministero, né tornare a Londra o Amesbury…
Come fai a
ridere di tutto questo? Leggi qua: non possiamo sposarci con ragazze
che non siano del Nord… Al tempo stesso, le nostre Streghe
dovrebbero sposarsi lontano da qui, per disperdere il nostro
potere… Quell’uomo vuole forse farci
estinguere?”
“Il caro Abraxas…
immagino sia stata
una delle sue brillanti idee… povero
illuso…”
“Che cosa diavolo stai
dicendo? Che cosa c’entra Malfoy?”
“Il caro cugino
c’entra sempre,
fidati… ma non devi perdere la calma, questo è
solo uno
dei suoi tanti ambiziosi piani, tutti andati in fumo. Se vuoi farti
delle sane risate alle sue spalle, parla con Orion, ne ha di racconti
edificanti sul suo conto…”
“Non m’importa di
Malfoy, in questo momento… Questa è una
tragedia…”
Mio padre si gustava soddisfatto il suo sigaro babbano accanto alla
finestra, lo sguardo perso all’orizzonte, verso il cielo
fiammeggiante del tramonto: se le cose fossero andate come temevo,
quella distesa di acqua color sangue e mercurio sarebbe stata
l’unica cosa che avrei visto per tutto il resto della mia
vita.
Strinsi i pugni, già mi sentivo esplodere.
“Rifletti: se queste
disposizioni fossero
approvate, la gente non potrebbe più fare affari con noi e
questo si tradurrebbe in forti danni economici per tutti, a cominciare
dalla Gringott. Inoltre chi ha figlie, per legge, non potrebbe sposarle
con i Maghi del Nord: ovvero denaro sprecato e alleanze
sfumate…
Credi saranno in molti ad apprezzare le fissazioni di Leach?
Quell’uomo è talmente stupido da non rendersi
conto che
per limitare le nostre vite, renderà un inferno quella di
migliaia di altri Maghi che hanno rapporti con noi… E che le
sue
follie gli costeranno la poltrona…”
“E se non andasse
così? Se i posti
liberati da noi al Ministero fossero occupati da Mezzosangue e Sangue
sporco a lui devoti e Leach avesse una nuova base su cui poggiarsi? Se
invece di ribellarsi a lui, gli altri Maghi se la prendessero con noi?
Le ultime leggi non tendono certo a difenderci…”
“Non stavolta, Mirzam... Molti
vedono con
sospetto la Confraternita perché da sempre è
chiusa al
resto del mondo e i più non ci comprendono. Quel giorno, a
Hogwarts, però, tu, un ragazzo di diciotto anni, hai
mostrato
quello che conta per noi: non hai parlato di potere, di sangue, di
Serpeverde o di Corvonero, hai spiegato qual è la natura
della
nostra gente e hai dimostrato che non siamo come i nostri nemici ci
descrivono. Ora tutti vedono Leach colpirci duramente come risposta a
quel tuo discorso, un discorso puro e onesto: e chi ha a cuore la
giustizia non può che ribellarsi...”
“Spero che il tuo ottimismo
sia fondato,
perché io non rinuncerò alla mia vita per quel
bastardo…”
“Non
succederà… Non
arriverà alla fine dell’estate: il matrimonio del
tuo
amico Jarvis si farà a Lughnasadh come previsto…
e per
quel giorno ci sarà qualcun altro sulla poltrona di
Leach…”
“I problemi della
Confraternita, però,
non sono legati solo alla sua persona: l’attentato contro di
me e
la mamma è avvenuto durante il precedente Governo e con
quello
che ho scoperto, padre… La verità è
che tutto il
Ministero è marcio e l’unico modo, per la
Confraternita,
sarebbe…”
Lo fissai, e lui mi rimandò uno sguardo pieno di parole non
dette: sapevamo entrambi cosa era sospeso nel lungo silenzio che
seguì, Merlino solo sapeva quante volte, nel corso degli
ultimi
secoli, in quella precisa stanza, uno Sherton aveva dovuto affrontare
quei discorsi e quei pensieri.
“Tutto a suo tempo, Mirzam: la
Confraternita
per ora non è pronta. Negli ultimi secoli il suo potere si
è troppo offuscato: prima di pensare a guidare gli altri,
occorre ridarle autorevolezza e prestigio, deve ritornare a essere
ciò che era in origine, un faro cui tutto il mondo magico
guardava con speranza, al punto che mille anni fa, Salazar Slytherin
affrontò il lungo viaggio dal Norfolk alle Terre del Nord,
con
il preciso intento di ritrovarci, benché per alcuni fossimo
già solo una leggenda. Arriverà quel giorno,
però,
te lo prometto, e saranno gli altri a volerci, non saremo noi a imporci
e finalmente, a guidare e illuminare la mente e i passi degli uomini,
sarà di nuovo la vera Magia…”
“Qualcosa potrebbe andare
storto, padre, o
potrebbe volerci troppo tempo… Io so di un
Mago…”
“Il Mago che ha spazzato via
un’intera
squadra di Aurors, dando il via ai guai in cui ci troviamo?”
Mi fissò, con quello sguardo che mi metteva sempre tanti
dubbi
sulla bontà delle mie scelte: era la prima volta, in quasi
un
anno, che ci ritrovavamo ad affrontare apertamente
quell’argomento. Eravamo passati attraverso tante, troppe
battaglie, ed ora, di nuovo, dovevo affrontare mio padre.
“Io preferisco definirlo il
Mago che mi ha salvato la vita…”
“Quella notte ti ha salvato la
vita, vero, ma
da quel poco che so, non appare diverso da quanti in passato hanno
parlato promettendo il bene di tutti, quando il loro unico vero scopo
era costruirsi un potere personale assoluto. Fai attenzione,
perciò, Mirzam: sei nato libero, non morire
schiavo…”
“Io intendo ascoltare quello
che ha da
dire… Vorrei scoprire da me se ci sono i pericoli che tu
sospetti, o piuttosto le opportunità che
immagino…”
“Temo che quella persona
porterà molti
più guai di quelli che potrebbe risolvere…
Inoltre, credo
saresti più utile come guida della Confraternita, che come
uno
dei tanti accoliti di quel Mago… La vita però
è
tua ed io non intendo interferire ancora. Vorrei però
pregarti
di fare molta attenzione…”
“Io entrerò a pieno
titolo nella
Confraternita, come ti chiesi qualche anno fa… Io sono e
sarò solo di Habarcat, prenderò le mie Rune e
vivrò secondo la Nostra Legge. Non ho alcuna intenzione di
cambiare il mio destino e la mia volontà. Vorrei vedere,
però, se esiste una strada più
breve…”
“Le strade brevi conducono nei
precipizi,
Mirzam… Sia nella vita politica, sia nelle scelte personali,
le
strade più lunghe e tortuose sono anche quelle
più
sicure. Al tuo posto mi terrei alla larga da quel Mago, le circostanze
che ti hanno portato a conoscerlo non sono limpide… ma non
sono
te e non posso più impedirti di farlo… Posso solo
raccomandarmi al tuo giudizio e pregarti di non indugiare e mollare
tutto, qualora la situazione si rivelasse dubbia e ti richiedesse
azioni e decisioni contrarie ai nostri principi… Tu sai
quanto
può essere attraente il potere di
Habarcat…”
“Non temere, intendo limitarmi
ad ascoltare…”
“Spero che gli
basti…”
“Basterà, te lo
prometto, non devi
preoccuparti, perché farò attenzione e
seguirò i
tuoi consigli...”
Gli diedi le spalle, volevo ritornare nella mia stanza: era silenzioso,
assente, preso nei suoi pensieri.
“Mirzam, aspetta…
D’ora in poi,
scenderai con me nei sotterranei al tramonto e all’alba. Se
seguirai quella strada, devi completare al più presto la tua
istruzione, per affrontare al meglio certi pericoli. Non dovresti
incontrare quel Mago prima di sapertela cavare appropriatamente con
l’Occlumanzia.”
“D’accordo,
sicuramente in questo hai ragione… intendi insegnarmi
tu?”
“No. Non mi fido di quel Mago,
è meglio
essere prudenti e cercare di non sbagliare alcuna mossa…
Voglio
che ti segua il mio Maestro, la sua esperienza è di gran
lunga
superiore alla mia…”
Lo guardai, erano anni che non lo vedevo così preoccupato.
Annuii e me ne andai, immergendomi nella notte penetrata nelle sale e
nei corridoi del castello, diretto alla torre che ospitava le nostre
stanze. Ero turbato: se mio padre, dopo quanto era successo in passato,
era disposto a richiamare “Fear” a Herrengton per
proteggermi, la situazione doveva essere più seria di quanto
immaginassi.
***
Mirzam
Sherton
Inverness, Highlands - lun. 15 luglio 1968
Come aveva previsto mio padre, Nobby Leach non arrivò a
promulgare le sue leggi perché, intuendo la china pericolosa
che
il suo governo stava prendendo, quasi tutto il mondo magico lo
boicottò e ne richiese le dimissioni. Da parte nostra, a
riprova
che la Confraternita, al contrario del Ministero, rispettava i patti,
mio padre confermò al nuovo Ministro, Margareth
O’Connor,
che avrebbe continuato a tenersi a disposizione, permettendole di
portare avanti i riscontri voluti da Leach, a patto che le genti del
Nord potessero tornare a vivere e lavorare serenamente. La
O’Connor, come tutti i Ministri che la seguirono nei
successivi
dodici anni, non ebbe una carriera lunga e fortunata, ma almeno
quell’accordo fu rispettato; e a poco a poco, la vita dei
membri
della Confraternita e di tutti i Maghi del Nord tornò
tranquilla
e silenziosa, convincendo mio padre dell’utilità
del suo
esilio volontario, che sarebbe durato fino all’estate del
1970.
Anch’io iniziai la mia nuova vita: come da contratto, per
diventare un giocatore di Quidditch professionista, mi allenavo quasi
tutti i giorni sotto la direzione di Stenton a Inverness. Ero
entusiasta, stavo realizzando il sogno della mia vita, conoscevo
persone diverse, con esperienze diverse, ma con una passione comune, e
riuscivo a staccare la mente dai pensieri nebulosi che potevano
rovinarmi le giornate: avevo visto la casetta che Stenton mi aveva
procurato, ma l’idea che era lì che avrei
già
potuto vivere con Sile, se solo non fossi stato un idiota, mi
portò a preferire le mie stanze nel maniero di Herrengton.
La
lontananza da Meda e i dubbi che erano nati sui miei sentimenti per lei
negli ultimi mesi a scuola, completavano un quadro non completamente
esaltante.
Quel pomeriggio, alla fine d’intensi allenamenti, ero davanti
a
un Fire Whisky doppio, in uno dei caffè più
eleganti di
Inverness, “Il drago scarlatto”, e cercavo di dare
conforto
a Jarvis, oppresso all’idea che la sua vita stesse finendo
prima
ancora di iniziare. Il nostro inseparabile Augustus non era messo
meglio, ma al contrario confidava nel fatto che, una volta espletato
l’obbligo di dare un’erede alla sua famiglia,
avrebbe poi
ripreso la sua tranquilla vita fatta di donne e divertimenti.
“Ti rendi conto, Sherton,
dell’assurdità del destino? Tu sei
l’unico tra noi
che già a quindici anni andava in giro a comprare anelli di
fidanzamento e sei l’unico, ora, libero come il
vento…”
“Jarvis ha ragione, questa la
chiami
giustizia? Inoltre ora che è finita, potresti anche dirci
per
chi fosse quel famoso anello di cui parla sempre
Rodolphus…”
“Voi siete gli unici due
sciocchi che ancora
credono alle cavolate di Lestrange! E di questo se ne approfitteranno
presto le vostre care mogliettine…”
Risi e li sbeffeggiai, ma quell’argomento non andava
giù
nemmeno a me, seppur per motivi opposti. Inoltre di quel dannato anello
non volevo più sentir parlare: era anche per colpa di quella
storia che avevo perso ogni credibilità davanti alla mia
Sile.
“E la piccola Black? Quella
sera ci hai fatto
prendere un colpo, pensavamo che volessi andare a sacrificarti
volontariamente sull’altare di Bellatrix… E
invece, razza
di un delinquente, hai messo gli occhi su quel bel bocconcino della
dolce Andromeda… e non ci hai mai detto
nulla…”
“Non c’è
nulla da dire,
Rook… lo sai, siamo amici da quando eravamo
bambini…”
“Sarà, ma questa
storia non mi convince…”
“A proposito… Mia
cugina è
contenta quanto me di dovermi sposare, al punto che sta rendendo tutto
difficile ai suoi genitori. Ultimamente ha imposto, pena la sua fuga e
un bello scandalo, di poter invitare anche le sue amiche che non
appartengono alla Confraternita, tra cui Meda
Black…”
“Beh, che
c’è di male? Augustus,
il tuo testimone, non è un Mago del Nord… qual
è
la difficoltà?”
“I nostri genitori non hanno
rapporti di alcun
genere con i Black, Mirzam: per quale motivo Cygnus Black dovrebbe
andare alla festa di due perfetti sconosciuti? Per una ragazzina
viziata e petulante?”
“Perché non
l’accompagna Bella?
Gli invitati ne sarebbero ben felici e non si rischierebbe la
noia!”
Ero partecipe dello sconcerto e della desolazione di Warrington, ma non
potei evitare di scoppiare a ridere alle insinuazioni di Augustus:
tutti sapevamo quanto sarebbe stata devastante la presenza di Bellatrix
a quella festa, tenendo conto dei suoi trascorsi col futuro sposo.
Eppure, dentro di me, l’idea di rivedere Meda mi faceva
vibrare e
la mia mente scattò subito alla ricerca di una scusa.
“Ho io la soluzione, a meno
che tu non voglia
sfruttare questa storia per non sposarti e far ricadere la colpa su
Sheena: con Cygnus Black non c’è alcun rapporto
diretto,
vero, ma lo zio di Meda è il miglior amico di mio padre,
ovvero
del capo della Confraternita. Se lo chiedessimo a Orion Black, sono
certo che convincerebbe i cognati ad accettare l’invito e
avresti
le sue nipoti al matrimonio…
“LA nipote, Mirzam: per
favore, non sai quanto potrebbe mettermi in imbarazzo
Bellatrix…”
Guardai Jarvis, potevo dirgli “Lo so, ho visto
tutto”, ma
ero troppo felice per ripensare a quella vecchia storia. Chiamai
l’elfo e ordinai vari giri di Whisky per tutti e tre:
brindammo
alla povera Sheena, che mi avrebbe odiato per sempre, brindammo ai miei
amici, che mi canzonavano per Meda, brindammo a noi stessi e a quella
strana giornata, mentre intorno a me l’atmosfera si faceva
carica
di risate, di un singolare calore, di colori più accesi e di
un
senso di serenità e piacere che mi mancava da un
po’. O
forse ero solo io che, finalmente, mi sentivo pervaso di
un’insolita speranza.
***
Mirzam
Sherton
Loch Shin, Highlands - 31 luglio/1 agosto 1968
Il giorno agognato da me e temuto da Jarvis era infine giunto. La
cerimonia si sarebbe tenuta all’alba a Loch Shin, dopo una
notte
di riti e festeggiamenti, in occasione della Levata di Sirio, uno degli
otto Sabba dell’anno: l’alba in cui Sirio sorge
insieme al
Sole era considerata di buon auspicio per una discendenza ricca e
forte, almeno quanto Yule, per questo molti matrimoni tra Maghi e
Streghe del Nord venivano celebrati durante quella festa, chiamata
tradizionalmente Lughnasadh. In virtù della carica rivestita
da
mio padre nella Confraternita, i miei genitori erano presenti non come
semplici invitati, ma come custodi della coppia che si stava unendo, a
me fu richiesta solo una breve comparsata ufficiale per salutare i
nostri vecchi amici; i miei fratelli, invece, erano stati affidati alle
mie zie e tenuti lontano dalla confusione di quelle inutili chiacchiere
noiose. In breve mi ritrovai libero, nella piacevole condizione di
poter fare quello che volevo, mi godetti la festa, ridendo e scherzando
con il povero sposo e con Augustus, come un invitato qualsiasi. Quando
apparve il mio padrino, e con lui Cygnus, sua moglie e le due figlie
più giovani, era ormai quasi mezzanotte; sentii i battiti
del
cuore accelerare, quando vidi Meda avvolta in un bell’abito
corallo sotto a un lungo mantello scuro, i capelli castani raccolti in
una treccia. Dovetti fare un sovrumano sforzo di volontà per
non
correre dai Black e strappargliela di mano, lei non era lì
per
me, ed io dovevo mantenere un certo contegno: mi avvicinai richiamato
da mio padre, subii i complimenti e le facezie che il nostro rapporto
di amicizia comportava, mentre Meda, dopo un rapido saluto emozionato
era andata a confortare la sposa, nascosta in lacrime nella tenda.
Parlai a lungo con Orion e Cygnus delle ultime novità:
libero
dalla presenza invadente della moglie, rimasta a Londra con i due
figli, il mio padrino sembrava orgoglioso che mi stessi avviando a una
carriera carica di soddisfazioni e mi godetti la sua divertente
compagnia, ricca di aneddoti su fatti risalenti all’epoca in
cui
era mio padre a giocare nel Puddlemere. Cygnus non parlava molto, ma
sembrava molto interessato a quello che dicevo io, non perdeva alcuna
delle mie parole e dei miei gesti, al punto che mi chiesi se avesse
dubbi sul vero motivo che mi aveva spinto a farli invitare. Non riuscii
però a capire molto delle loro intenzioni, perché
presto
mi lasciarono per prendere contatto con personaggi utili ai loro
affari: tutti infondo sapevano che non erano lì per far
contenta
una mocciosa sconosciuta, ma piuttosto i loro conti alla Gringott; a
loro volta, Druella e Cissa si erano allontanate con mia madre, per
conoscere altre importanti Streghe presenti alla festa. Rook, testimone
dello sposo, trascinò Jarvis, come una bestia condotta al
macello, dentro la tenda, per completare la sua vestizione,
così
mi ritrovai da solo, ai margini del bosco, sulle rive del lago: avevamo
evocato, da oltre una settimana, una perturbazione al limitare delle
Terre del Nord che tenesse i Babbani alla larga, così da
preservare la festa da occhi indiscreti e presenze indesiderate.
Era una meravigliosa notte stellata, piacevolmente mite grazie agli
incantesimi che avevamo prodotto su tutta l’area, i fuochi
magici
punteggiavano il bosco come timide lucciole e, nella radura, le Streghe
e i Maghi si erano raccolti in cerchi, canti e danze riempivano
l’aria di allegria. Nel mio abito cerimoniale grigio, le
tonalità del verde e il bianco erano riservati, quella
notte,
solo agli sposi, osservavo quella bellezza e quella
sacralità
antiche, in disparte, preso nei miei pensieri.
“Buona sera,
Mirzam…”
Mi voltai, Meda, in un abito semplice e leggero, era molto
più
bella della sposa e delle sue damigelle, una scintilla di luce che
riscaldava il cuore: sembrava le fossi mancato anch’io, oltre
al
solito rossore sul viso, si era accesa di entusiasmo. Le diedi la mano
e l’aiutai a superare un tronco che ci separava,
così che
mi raggiungesse e vedesse la radura ai nostri piedi, un colpo
d’occhio di stupefacente potenza su quel mondo, il mio mondo,
che
solo pochi estranei potevano ammirare.
“Mi avevano detto che eri
invitata, ma non riuscivo a crederci…”
“Non fingere, lo so che
l’idea di
coinvolgere zio Orion per farmi accompagnare qui è opera
tua…”
Mi misi a ridere: era sempre stato così, fin da ragazzini,
Meda
era l’unica che mi affrontava a viso aperto, richiamandomi
alle
mie colpe e responsabilità, senza tergiversare mai.
“Che cosa dovevo fare, secondo
te? Non potevo
lasciare che il mio amico Jarvis fosse piantato all’altare
davanti ad amici e parenti da una ragazzina di nemmeno quindici
anni…”
“Secondo me Jarvis, proprio
come Sheena,
voleva evitare questo matrimonio a qualsiasi
costo…”
“E va bene, hai ragione, lo
ammetto: quei due
si sposeranno solo perché volevo sapere come
stai…”
“Molto bene, grazie,
ma… non sai che esistono i gufi a questo scopo?”
Mi guardava divertita, io avrei voluto farle notare che un gufo non
permetteva di vedersi, di abbracciarsi, né di…
preferii
soprassedere, stavo arrossendo e non sapevo più come
risponderle. Forse capì, iniziò a emozionarsi
anche lei,
tornò a osservare la festa, permettendomi di riprendermi.
“E tu come stai? Ho temuto che
per colpa di Leach nessuno vi avrebbe più
visto…”
“Pericolo rientrato, ma ora
sono tenuto
prigioniero da Stenton: quell’uomo dev’essere
imparentato
con la McGonagall, è tanto feroce negli allenamenti, quanto
la
cara Minnie con i compiti…”
“Ti prego, non me la nominare:
se penso che
quest’anno ci saranno i Gufo, vorrei nascondermi tra queste
tende
e non lasciare più le Terre del Nord…”
Questa volta fu lei ad arrossire violentemente, ed io mi trattenni a
stento dal dirle che poteva restare al mio fianco per sempre. Ci
eravamo seduti su una pietra, ammirando i balli degli altri, sotto un
cielo punteggiato di stelle ridenti: avevo trasfigurato delle foglie,
creando un plaid sul quale si potesse sedere, avvolti nei nostri
mantelli. Cambiò opportunamente discorso ed io gliene fui
grato.
“… però
nonostante l’impegno mi sembri felice e pieno di
entusiasmo…”
“Sì, è
vero, perché
è la vita che ho sempre sognato: il pensiero di entrare in
un
vero stadio da Quidditch, con la gente che
m’incita… Sento
la paura e l’esaltazione profonda… E’
qualcosa di
più potente di quello che provavo a scuola, e non ho ancora
nemmeno iniziato a fare sul serio!”
“Sono felice che tu stia
realizzando i tuoi
desideri, Mirzam: spero che un giorno potrò venirti a vedere
in
un vero stadio per incitarti anch’io… E spero che
se mi
rivedrai, ti ricorderai di me…”
“Davvero credi che potrei
scordarmi di te?”
La guardai, avevo tutta la sua attenzione, le presi la mano senza
nemmeno accorgermene: eravamo solo noi due, pur vicini a tante persone.
Volevo baciarla incurante di tutto il resto, rendere
quell’istante eterno. Ma sapevo che per tanti motivi quel
gesto
semplice e tanto desiderato era anche profondamente ingiusto. Lasciai
andare la sua mano e trattenni un sospiro troppo eloquente.
“Sarò a Londra
qualche volta, questo
mese. Ora che ho finito gli studi, voglio godermi l’atmosfera
studentesca di Diagon Alley con uno spirito diverso: vi
deriderò, voi pieni di libri e spaventati dalla McGonagall,
ed
io finalmente libero e al sicuro dalle
interrogazioni…”
“Che pensiero gentile, Mr.
Sherton…”
Si mise impettita davanti a me, con un’espressione carica di
rimprovero che non vedevo da tanti anni, da quando le tiravo le trecce
dietro il divano di Orion e lei mi soffiava contro come un gatto
arrabbiato: mi venne da ridere, grato e consapevole che anche lei
trovava sollievo in quelle semplici battute da ragazzini,
perché
sentiva come me la strana tensione che stava crescendo tra noi.
“Hai ragione, non è
gentile deridervi,
anche se è molto divertente. Per farmi perdonare, ti
offrirò un gelato da Florian Fortebraccio…
l’importante è capitarci lo stesso
giorno…”
“Mi farebbe davvero piacere:
potremmo
scriverci… sai… con quei gufi di cui ti parlavo
prima…”
Mi sorrideva canzonatoria, ed io mi beavo all’idea, che,
avendomelo chiesto, avrei potuto davvero scriverle senza sentirmi in
imbarazzo. Anche se forse, scrivendole a casa, avrei messo in
imbarazzo lei. Rimpiangevo gli anni in cui una lettera era considerata
la semplice espressione della nostra infantile amicizia e nulla di
più, ben diverso da quell’assurda partita a
scacchi in cui
la convenienza, le regole sociali e il buon nome delle famiglie
finivano col costringere e nascondere il desiderio autentico di
continuare a frequentarsi con l’abituale
semplicità e
schiettezza.
“… anche se non sei
obbligato a
scrivermi… cioè io sarei felice, ma se tu... Non
ci
saranno problemi a incontrarci: Bellatrix vorrà andare tutti
i
giorni, sai com’è fatta, non è mai
contenta…”
“Poco male, no? Ti
offrirò più
di un gelato e ti porterò nel negozio nuovo vicino alla
Gringott, ci sono idee interessanti per fare dei regali: se non
sbaglio, tra poco è il compleanno di
Cissa…”
“Sarebbe perfetto…
ma davvero tu ricordi tutti i compleanni di casa Black?”
“Ho una buona memoria,
sì… ma
passiamo alle cose serie: ti va di assaggiare il
“Moon’s
tear”? È un infuso simile al te, fatto con i
petali di una
rosa che fiorisce solo qui, la
“Rosa di
Ghiaccio”. Si serve solo durante queste cerimonie e nessuno
che
non sia un Mago del Nord può berlo, se non è uno
di noi a
offrirglielo. E’ tradizione che un invitato lo beva la prima
volta che entra nelle Terre del Nord, perché solo
così
potrà tornare di nuovo…”
Meda mi ascoltava rapita, affascinata e incuriosita dalle
novità
che ci circondavano. Evocai un elfo e mi feci portare due bicchieri
pieni a metà di un nettare dal colore indefinito, che dal
rosa
virava all’ambrato, con dentro una piccola scintilla di luce
che
si muoveva simile a una danza.
“E quella
cos’è?”
“E’ la
“Lacrima della Luna”:
dicono faccia condividere la felicità degli sposi a quanti
sono
presenti alla cerimonia, ma secondo me è solo
un’invenzione scenografica…”
“Il solito maschio pragmatico
e realista, eh?
Invece è una magia bellissima, guarda: sembra di avere una
piccola fata nel bicchiere, si muove così
leggiadra… Le
feste dei Maghi del Nord sono tutte così belle? E piene di
cose
misteriose e affascinanti?”
“Ce ne sono di più
belle, Meda, ma non
dirlo alla tua amia o si rattristerà anche di
più…”
“Perché? I genitori
di Sheena ci
tengono tantissimo a questo matrimonio e sono due delle famiglie
magiche più benestanti della Scozia, perché
avrebbero
fatto un matrimonio al risparmio?”
“No, non sto parlando di
ricchezza o bellezza
materiale, Meda: le feste dei matrimoni d’amore sono molto
più belle, tanto che non serve nessuna bevanda particolare,
per
essere irradiati dalla felicità, vera, degli sposi. Come ben
sai, però, purtroppo, non a tutti capita di avere questa
gioia
nella vita… e quei due sono tra i tanti che non hanno potuto
esprimere la propria volontà…”
Meda si rabbuiò, lo sguardo fisso nel bicchiere in cui la
scintilla sembrava spegnersi a ogni giro.
“C’è
qualcosa che non va, Meda? Ho detto qualcosa che…”
“No, tu non… Stavo
solo pensando che...
anche i Black si sposano sempre per contratto e mai per amore: di certo
i nostri non sono matrimoni in cui il “Moon’s
Tear”
possa considerarsi superfluo…”
Seguì un sorriso triste, mentre il suo sguardo avanzava
sulla
folla degli invitati, presi in duemila conversazioni e poco interessati
al destino di Sheena e Jarvis. Mi stavo sentendo male, avevo la
percezione dell’aria che mi veniva a mancare, stavo
letteralmente
soffocando.
“Tuo padre ha già
trovato un marito per
te e le tue sorelle? È per questo che sei diventata
triste?”
“No, credo di no, non ancora,
almeno: ma
è preoccupato per Bellatrix, per le chiacchiere che provoca
e
teme per l’onore di tutte noi... So che sta valutando un
marito
per lei e… temo che…”
“Capisco…
Però… io penso
che non tutti si legherebbero a una Black solo per sangue o per denaro:
c’è anche chi si avvicinerebbe a te
perché sa
riconoscere la bellezza di quello che hai nel cuore… una
persona
che sarebbe capace di farti felice, che vorrebbe davvero farti felice,
non è detto che…”
“Mio padre ha invitato Roland
Lestrange
già due volte questo mese: quella non è certo una
famiglia che si preoccupa del buon cuore del prossimo… e
quello
che è peggio, è che Lestrange ha due
figli…
Scusami, so che tu e Rodolphus siete amici, ma io… a me quei
due
mettono i brividi… e…”
“E?”
“Anche se non fossero loro, se
anche fosse
qualcuno con un cuore… La verità è che
non sarei
comunque io a scegliere il mio destino, perché io sono solo
una
proprietà della mia famiglia, pronta a passare di mano da
mio
padre a un altro uomo, come un oggetto qualsiasi, al giusto
prezzo…”
Sentivo già da un po’, in testa, una voce che mi
diceva di
intervenire, prima che qualcuno si mettesse in mezzo e me la portasse
via. Quel discorso, però, si rivelava anche peggiore
perché vedevo la mia Meda, la piccola Meda a cui da sempre
volevo bene, protesa verso un futuro crudele, fatto
d’infelicità e dolore, un destino oscuro in una
casa in
cui sarebbe avvizzita insieme alle rose… in una coltre nera
che
non avrei augurato nemmeno a Bella, figurarsi a lei. No, in quel
momento non importava che fosse destinata o meno a me, io non avrei
comunque permesso che cadesse nelle mani di qualcuno indegno di lei,
qualcuno senza un cuore, incapace di amarla come meritava.
“Non è detto che
finisca
così… Potresti accorgerti di volere, ricambiata,
qualcuno
che piacerebbe anche ai tuoi. Potresti unire la loro
felicità
alla tua: perché non dovrebbe andare
così?”
Non avevo il coraggio di guardarla, temevo avesse capito che mi
riferivo a me stesso e che mi rifiutasse, ed io, vigliacco, non ero
pronto a veder morire un altro sogno.
“Come potrebbe coincidere la
mia
volontà con quella della mia famiglia? Ricordi tutti quei
matrimoni tra parenti, celebrati perché i Black considerano
gli
altri non alla loro altezza? E se anche esistesse un Serpeverde
purosangue, gentile, con un cuore, perché dovrebbero volere
proprio me?”
“Dovresti avere più
fiducia in te
stessa, Meda. Ti consideri molto meno di quanto vali, sai?”
“Non mentire per
pietà, per favore… So che cerchi di consolarmi,
ma…”
“Non ti voglio
consolare… Piuttosto
spiegami una cosa: se i tuoi ricevessero una proposta impossibile da
rifiutare, da qualcuno che conosci e a cui vuoi almeno bene, lo
vivresti comunque come una condanna o ti daresti almeno una
possibilità, in virtù di quello che
già provi per
lui? Voglio dire, col tempo, con le sue attenzioni, potresti imparare
ad amarlo anche tu: non è scritto da nessuna parte che tu
debba
essere infelice, Meda, da nessuna parte…”
“Lo so che ti stai sforzando
di farmi
coraggio, Mirzam, lo so che per te, per la tua famiglia, queste storie
sono assurde. Voi siete liberi… Io spero che, quando
sarà
il momento, il destino mi metterà nelle mani di qualcuno
migliore di quanto temo… ma dentro di me lo so che non
sarà così…”
“Se non ci credi
tu… beh… lo
farò io per te, perché ti prometto che
impedirò
che tu sia infelice, dovessi venire a rapirti con la scopa da Quidditch
e portarti in salvo a Herrengton… Tu non soffrirai accanto a
qualcuno che non ti merita, Meda… te lo
prometto…”
“Sei talmente pazzo e
generoso, Mirzam, che
temo lo faresti davvero, sai? Anche a rischio di farti cruciare da mio
padre, temo lo faresti… ma mi chiedo, che direbbe poi la
ragazza
che stai cercando, se tornassi a casa con una ragazzina come me sulla
tua scopa?”
La guardai e sorrisi: c’era un tono di speranza nella sua
voce? O
ero così lontano dai suoi pensieri, che non aveva
accarezzato
nemmeno per un istante l’idea che non la stessi solo
consolando?
Fu un pensiero rapido, una pazzia, quello che mi attraversò
la
mente in quell’istante. C’era
l’occasione, mancava
pochissimo all’alba: sarebbe stata impartita la benedizione
definitiva alla coppia, poi sarebbe iniziato il banchetto, tutti erano
impegnati nei discorsi e con le cerimonie che si sarebbero svolte di
lì a poco, c’era confusione, nessuno si sarebbe
accorto
della nostra assenza. Ed io volevo che lei capisse che non stavo
scherzando, al di là delle parole che potevano ingannare.
“Dammi la mano,
Meda… voglio farti vedere una cosa…”
Andromeda passò rapidamente dal turbamento dei discorsi
precedenti a un’espressione allarmata, forse si rese conto
che
eravamo lontani da tutti gli altri, al limitare del bosco e che in
fondo, di me, si raccontavano storie non del tutto positive. Mi
lanciò uno sguardo interdetto. Forse vedeva in me un
pericolo o
si sentiva debole e vulnerabile, forse era confusa perché
doveva
decidere in fretta.
“Non ti voglio fare nulla,
Meda… Vorrei
solo portarti in un posto… farti vedere un luogo e non posso
farlo in altro momento se non questo, perché sei
già
nelle Terre del Nord…"
Mi fissò, stava cercando nei miei occhi la prova della mia
sincerità e la trovò, sorrise, affidandosi a me,
consapevole che non l’avrei mai tradita. Mi diede la mano ed
io
la presi tra le mie, l’abbracciai e lei arrossì un
po’, poi ci smaterializzammo, alla maniera del Nord.
L’alba
era prossima… I gabbiani gridavano intorno a noi, lingue di
calcare e mare si fondevano con la sabbia: quella spiaggia era
sconosciuta ai più, era la mia Herrengton e solo un forte
sentimento poteva consentirmi di portare una persona senza Rune fin
lì, senza l’invito di mio padre. Il cielo mercurio
si
fondeva nel mare placido dello stesso colore, le tenebre erano
squarciate dalla luminosità del sole pronto ad emergere.
Sirio
si sarebbe levato all’orizzonte insieme a lui, in una danza
che
fondeva le due stelle più luminose del nostro cielo in un
abbraccio che fin dall’antichità era salutato con
speranza: per Jarvis significava la certezza di una vita nuova, per me,
che ancora non potevo pretendere nulla dal destino, era una richiesta,
un desiderio. Forse il mio solo desiderio.
“Benvenuta nella casa di tutti
noi, Andromeda Black…”
“Che cosa? Vuoi dire che siamo
a Herrengton?”
Annuii, lasciandola indietro, a pochi passi da me: si guardava attorno,
in quel paesaggio quasi irreale, con quegli spazi aperti, quei colori
sparati del cielo, in cui fuoco e tenebre si fondevano. Le onde
arrivavano a lambirci i piedi, Meda si tolse le scarpe e
iniziò
ad avanzare libera nell’acqua, come una bambina entusiasta
che
vede l’oceano per la prima volta. Si voltò, era
felice e
serena.
“Hogwarts si trova dietro a
quelle montagne
laggiù: siamo nel cuore delle Terre del Nord, su queste
spiagge
Salazar Slytherin fu salvato dalla mia gente e da qui ha ripreso il
cammino per raggiungere gli altri fondatori. Herrengton si trova in un
punto che non è possibile indicare sulle carte, lo
conosciamo
solo noi che viviamo queste terre, ma un incantesimo non permette di
ricordarlo e ritrovarlo, se non negli otto Sabba. O a meno che non si
abbia il sangue di Hifrig nelle vene…”
“E’ bellissimo,
Mirzam… Ti
ringrazio di avermi portato qui: quando mi raccontavano le leggende da
bambina, immaginavo queste spiagge, ed ora che sono qui, è
come
essere entrata in una fiaba… Scusami so che sto dicendo solo
delle sciocchezze, ma non mi aspettavo nulla del
genere…”
“No, non sono
sciocchezze…
Anch’io ho provato un’emozione fortissima la prima
volta
che mio padre mi ha portato qui, da bambino. Vedi quella torre che
emerge dal bosco? Sorge sulla caverna in cui Salazar si è
rimesso in forze, ed ancora oggi è usata nei giorni sacri
per i
nostri riti. Aspetta… vuoi che t’insegni a
chiamare le
farfalle? Ti faccio vedere…”
Presi un mucchietto di sabbia, la strinsi tra le dita e ci soffiai,
recitando un incantesimo antico, un centinaio di farfalle
uscì
dal mio pugno, danzando intorno a lei, davanti ai suoi occhi
trasognati. L’avevo già fatto, il giorno del suo
compleanno, quando avevo trasformato in rosa la sua piuma, ma forse non
si era accorta che non avevo usato la bacchetta: la tradizione diceva
che ne eravamo capaci, ma per i più quella era solo una
leggenda. Le presi la mano e la guardai, lei fece scivolare il suo
sguardo sul mio, poi sul mio collo e sulle mie mani, non ci voleva
molto per capire perché fosse così incerta. Quali
fossero
i suoi dubbi. Sorrisi.
“Come potrei? Io non ho le
Rune,
Mirzam… e non ho una bacchetta con me, in questo
momento…”
“C’è chi
non vuole che si dica,
Meda, ma le Rune sono dentro ognuno di noi. Non esiste un solo Mago che
non le abbia incise dentro di sé, l’unica
differenza
è che noi, attraverso i riti del Nord, siamo ancora in grado
di
renderle visibili, mentre tutti gli altri, dopo secoli di oblio, hanno
perso la capacità di evocarle. Ma è ancora
possibile e
semplice svelare l’Antica Magia e la nostra
natura…”
Le sfiorai la mano con le dita, lei mi guardò sorpresa,
quando
vide apparire le Rune sotto la pelle pallida del suo palmo, per poi
scomparire di nuovo.
“Non è
possibile… Come hai fatto? Ti stai prendendo gioco di
me…”
“No, Meda… se
ricordi la leggenda, qui
non è possibile mentire sulla nostra natura e su
ciò che
vogliamo… Ti ho portato qui perché tu sappia
quello che
ho nel cuore… Guardami: io ti sarò sempre
accanto, se lo
vorrai… Ti proteggerò…
sempre… Quello che
ti ho promesso prima a Loch Shin non sono parole vuote, io ci credo
davvero e vorrei che ci credessi anche tu…”
L’abbracciai, stringendola; respirai il suo profumo,
affondando
il viso tra i suoi capelli, la sentivo tremare, io stesso ero preso tra
l’emozione e il timore per quello che avrebbe risposto. Il
momento della verità era giunto, forse avrei dovuto vivere
per
sempre di quei soli, pochi attimi. Meda si staccò da me e mi
fissò a lungo, all’improvviso si
sollevò sulle
punte, mi accarezzò il viso con le dita e poggiò,
leggera, le labbre sulle mie. Forse era solo un bacio fraterno nelle
sue intenzioni, ma non per me: mi chinai su di lei e senza pensare
più a niente trasformai quel delicato sfiorarsi di labbra
nell’espressione del mio desiderio profondo e appassionato.
Ero
convinto che il tempo si fosse fermato attorno a noi, mentre Sirio
sorgeva sul nostro mondo e sul nostro futuro. Il timido calore del sole
del Nord mi scaldò appena le guance, già rosse e
vive per
ben altri motivi: non sapevo cosa stava accadendo, era ciò
che
desideravo ed era giusto, eppure una voce nella mia mente urlava che
poteva essere il mio ennesimo sbaglio. Ed io non volevo ascoltare. Mi
staccai solo quando sentii qualcosa di umido sulle mie guance, ero
rimasto a occhi chiusi per assaporare quel momento con la massima
intensità e non mi ero accorto delle lacrime,
incomprensibili,
che rigavano il viso di Andromeda Black. Mi si fermò il
cuore…
“Salazar, ti prego,
no… Ti prego, Meda,
scusami… io… non volevo mancarti di
rispetto…
io...”
Meda mi guardò, le dita si posarono sulle mie labbra
impedendomi
di continuare, io le baciai, in silenzio, una dopo l’altra,
gli
occhi incatenati al suo sguardo.
“Io non credevo…
è…
è stato il mio primo bacio, Mirzam: non credevo che sarebbe
stato… che sarebbe stato con te… che sarebbe
stato
così bello… e che sarei stata
così…
felice… sì, felice… io credevo
che… sarei
stata costretta a darlo a qualcuno che non amo e invece…
”
Arrossì, in quell’improvviso silenzio, in quella
voce, che
si rompeva nel pudore dei suoi veri sentimenti per me, c’era
tutto ciò che desideravo. La strinsi di nuovo tra le
braccia,
incoraggiato dalla sua emozione, la sollevai facilmente, riprendendo a
baciarla con passione… Ero felice nel sentirla vibrare di un
sentimento che per mesi speravo potesse nascere un giorno in lei, e che
non immaginavo coltivasse già dentro di sé, in
segreto.
Anche lei sognava di noi, come me… La lasciai con molta
difficoltà e lei si perse di nuovo, felice, nel mio
sguardo…
“Vorrei continuare a stare da
solo con te,
Meda, ma temo sia meglio riportarti indietro, non vorrei procurarti dei
guai con la tua famiglia… Ma voglio rivederti il prima
possibile, ho bisogno anche solo di guardarti da lontano…
come
ho fatto a scuola per mesi…”
Le accarezzai il viso, delicatamente, assaporando la malinconia
dell’attesa, che mi avrebbe travolto fino a che non mi
sarebbe
stato concesso di sfiorarla di nuovo. Meda, sorridendo,
annuì e
annodò la sua mano alla mia, poi, carichi entrambi di
speranze,
sogni e progetti, la strinsi a me per smaterializzarci; ritornammo
indietro in silenzio, a Loch Shin, tra la gente presa dalla festa e dal
banchetto, tra gli amici e i parenti, tutti inconsapevoli della
verità e dei sentimenti che miracolosamente e
inaspettatamente
ci legavano l’uno all’altra.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, aggiunto a preferiti/seguiti,
recensito ecc ecc.
Valeria
Scheda
Immagine: non
sono ancora riuscita a risalire alla fonte di quest'immagine.
|