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Autore: Terre_del_Nord    23/10/2009    29 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Mirzam - MS.006 - Black Butterfly

MS.006


Mirzam Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - merc. 13 marzo 1968

Era molto tardi quando avevo finito il giro di perlustrazione dei corridoi: avevo saltato la cena e la serata era andata in fumo, perché un Grifone del primo anno si era perso dopo la lezione di Pozioni e aveva vagato per ore alla ricerca dell’uscita, ritrovandosi invece negli scantinati più profondi. L’avevo recuperato solo grazie alle indicazioni del Barone Sanguinario: non potevo credere che ci fossero idioti di quel calibro, era eccessivo persino per i Grifoni, ma alla fine, osservando lo sguardo spaventato e grato di quel ragazzino poco più grande di mio fratello, avevo sorriso per rassicurarlo e gli avevo offerto un paio di Gelatine che avevo preso per me. Era stata una giornata piena, avevo studiato come un pazzo per i MAGO ed ora ero talmente distrutto, che non sarei riuscito nemmeno a dormire: avrei potuto ritentare la ricerca per conto di Rodolphus nella Stanza delle Necessità, ma ero sfinito; se non altro, non perdevo più il mio tempo con quelle stupide ochette e mi sentivo più utile, peccato non avessi ancora ottenuto alcun risultato e il tempo della mia permanenza nel castello, inesorabilmente, si stesse riducendo sempre di più. Appena entrai, nonostante fosse passata mezzanotte da un pezzo, notai che non ero solo: un bagliore riluceva prossimo al caminetto, sospettai che ci fosse una coppia imboscata dietro al divano. Mi avvicinai lentamente, facendo un po’ di rumore così da permettere ai due di ricomporsi, ma mi trovai di fronte solo una figura a terra, china sui libri, a poca distanza dal caminetto. All’inizio vidi appena una cascata di morbidi riccioli castani, raccolti sul capo con un piccolo pettine d’argento, poi delle spalle esili, curve sul tavolo basso, strette nella camicia bianca della divisa, la figura nervosa ed esausta di chi cerca di finire un lavoro e sa che non potrà farcela. Evocai un semplice “Lumos”, per aumentare la luminosità intorno a lei. La ragazza sussultò, il viso pallido appena rosato dal classico moto d’imbarazzo, mi sbirciò attraverso i riccioli, senza staccarsi dal suo compito e mi strappò un sorriso.

    “E’ tardi, Black… rischi di rovinarti gli occhi su quella pergamena…”
    “Non posso, Mirzam, non ho ancora finito Pozioni per domattina… e…”
    “Se vuoi, posso aiutarti… Non me la cavo male con Pozioni…”

Mi sedetti al suo fianco, tolsi la giacca, la ripiegai e la sistemai sul divano dietro di noi, allentai il cravattino, e sbirciai la mole di libri polverosi che aveva disposto a raggiera attorno a sé, poi mi allungai sul famigerato tomo del 1646 di Messer Arcibaldo Elfwood e iniziai a sfogliarlo.

    “Quale pozione ti serve?”
    “Quella per infoltire il pelo di Carduchia… ma lascia stare quel libro, è incomprensibile…”
    “Fidati di me, qui c’è tutto quello che ti serve, alcuni chiamano questo libro “La Bibbia di Slughorn”… Hai detto Carduchia vero? Era la pozione dei GUFO di Rodolphus, se non sbaglio…”

Iniziai a studiare l’indice, simboli e rimandi incisi da generazioni e generazioni di studenti arricchivano il testo, nonostante il lavoro di guardiano severamente svolto dall’austera bibliotecaria.

    “Eccola qua… Ti detto gli ingredienti, controlla che siano scritti in questo preciso ordine, perché se metti l’Essenza di Garofano prima dei Petali di Rosa Canina, non si ottiene il risultato ottimale…”

Era una pozione difficile per quelli del quarto anno, ma Andromeda non ebbe bisogno di apporre troppe correzioni, il suo testo era già sufficientemente ricco e ben sviluppato.

    “Ti ringrazio, Mirzam, erano ore che cercavo di dare un senso agli appunti di mia sorella…”
    “Tieni sempre presente questo testo, Meda, e se non lo comprendi, chiamami: mia madre ne ha fatto una copia magica e a casa ci insegna Pozioni con quella. Vedi questi codici ai margini? Li ha fatti un certo Tom, studiava a Hogwarts all’epoca dei nostri genitori, non era ricco ma era molto portato: basta comprendere la sua legenda per avere la chiave del corso di Pozioni…”
    “Non ne sapevo nulla… Anche perché i miei non parlerebbero mai di persone povere…”
    “A volte la ricchezza materiale non è tutto e sarebbe meglio non fermarsi mai alle apparenze…”
    “Hai ragione… E ti ringrazio… Non so che cos’avrei fatto senza il tuo aiuto, stasera…”
    “Non ti preoccupare… Ora vai a dormire, Andromeda, o avrai la testa nel pallone tutto il giorno…”
    “Non ancora, devo finire Incantesimi e…”

La guardai, non immaginavo fosse il tipo di ragazza che metteva le stupidaggini prima dello studio, riducendosi poi all’ultimo. Non era proprio da lei… che stesse uscendo con un ragazzo? Mi colse alla sprovvista un sentimento strano, indecifrabile.

    “E’ che… sai, sto in camera con le mie sorelle… E con Bella in giro… Mi capisci?”
    “Non ti devi giustificare con me… Se vuoi, ti aiuto, così ti fai almeno un paio di ore di sonno…”

Rimasi al suo fianco cercando di aiutarla a sistemare quegli ultimi compiti: nonostante la stanchezza e la noia di quelle odiose formule, mi sentivo rilassato e in pace. E sollevato, quando avevo capito che il problema non era un ragazzo, ma la solita Bellatrix. Era tanto che non passavo del tempo con Meda, da quel giorno nell’infermeria: da allora ero cambiato molto, mi chiedevo se avesse ancora un’opinione decente su di me, o avessi rovinato tutto. Per la prima volta, pensando a come mi ero comportato nelle ultime settimane e a come avrebbero potuto giudicarmi le persone cui tenevo, mi vergognai. Avevo quasi scordato la capacità terapeutica di quella sua voce dolce, capace di rasserenare, e di quello sguardo che era sempre stato un caldo abbraccio di vero affetto. La guardai e rividi in lei la mia amica, ma anche qualcosa di nuovo: era cresciuta, non era più solo la sorella più giovane e gentile di Bellatrix; così vicina, ne percepivo la bellezza, molto simile a quella di Bella, certo, ma con quel tocco di fragilità e dolcezza che faceva venir voglia di baciarla, non di scappare a gambe levate; e quel rossore sul suo viso, quel parlare e muoversi senza malizia, con la naturalezza e il candore che ricordavo di lei.

    “Spero che la tua giornata non sia pesante, mi sento in colpa, non hai dormito per aiutarmi... ”
    “Non ti preoccupare: ci sono alcuni vantaggi nell’essere un Caposcuola… E conosci Slughorn: basta il regalo giusto per ottenere da lui una momentanea immunità…”

Le sorrisi, mi piaceva il suo modo di guardarmi, semplice e diretto, era lo stesso di quando giocavamo insieme nel salotto a casa di suo zio, a Grimmauld Place: provavo nostalgia per quel passato, per quell’innocenza, per quell’epoca in cui non ero ancora stato graffiato e corrotto.

    “Ti auguro una giornata ricca di soddisfazioni, Andromeda Black… E… Buon Compleanno…”

Con un tocco di galanteria, mi alzai per inchinarmi subito dopo a prendere la sua mano e baciarla, sfruttai la mia capacità di far magia senza bacchetta per sorprenderla, trasfigurando una piuma in una rosa per lei; infine mi allontanai, deliziandomi del rossore che le imporporava a tradimento il viso.

***

Mirzam Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - aprile 1968

Il profumo di primavera saliva dal prato sotto le serre di Erbologia; era quasi caldo, il cravattino di Serpeverde era un fastidioso cappio, con gli altri stavo parlando della partita contro i Corvi, ormai prossima: volevo vincere la coppa per superare le gesta di mio padre prima di lasciare Hogwarts. Parlavamo anche delle solite lezioni, della paura dei MAGO, del futuro, di sogni d’amore infranti da regole e convenienze: Rookwood aveva saputo che suo padre aveva concordato a sua insaputa per lui il matrimonio con Sybille Parkinson, figlia di Mr. “Carlino”, da celebrarsi entro l’anno. Io mi sentivo insofferente e insoddisfatto, la ricerca per i corridoi era fallita e nel “magazzino” della Stanza delle Necessità non riuscivo ad orientarmi; dubitavo che quella fatica sarebbe stata premiata, che sarei riuscito a mettere in atto quello che mi ero prefisso e farla franca. Fu allora che la vidi passare, di ritorno dalla Guferia, insieme alle amiche e a Narcissa, la voce e la risata cristallina riempivano l’aria, il castano dei capelli s’infiammava sotto un sole ancora timido. E mi scaldava dentro, da tempo e non me ne ero ancora mai reso conto: avevo imparato giorno per giorno, senza volerlo, a riconoscere tra mille la sua voce, l’unica capace di farmi lasciare i miei pensieri turbinosi, di farmi solo sognare, come un ragazzo qualunque di quasi diciotto anni. La riconoscevo nella confusione della Sala Grande, passavo ore intere, trasognato, ad ascoltare la sua risata al tempo stesso timida e sicura, ad osservarla muoversi in Sala Comune, con una grazia e un’eleganza, superiori perfino a quello che ci si aspettava da qualcuno col suo nome. Anche se sapevo in cuore mio che non era giusto.
Di notte, la mia stanza era tornata a essere vuota e solitaria, ero tornato in me dopo la vergogna che avevo provato; ed ora, quasi senza accorgermene, appuntavo il suo nome sui libri, lo pronunciavo in segreto, quando non mi sentiva nessuno, nell’incoscienza del sogno, o in pieno volo su una scopa, come fosse una perla, un fiore prezioso, da curare e proteggere, contro le insidie del nostro mondo.

    Andromeda…

***

Mirzam Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 6 aprile 1968

    “SERPE-VERDE, SERPE-VERDE!”

La Sala Comune riluceva di mille festoni luminosi: ovunque c’erano verde e argento, i miei compagni mi trattavano da eroe, mi festeggiavano ed io ero felice più per loro che per me stesso. Mancava solo una partita, ce l’avrei messa tutta per realizzare il loro sogno e il mio. L’ultima partita, gli ultimi mesi a Hogwarts, l’inizio della mia vita: mi percorse un brivido fatto di eccitazione e paura, di aspettativa e rimpianto.

    “Dai, Jeremy, ripeti la parte finale della telecronaca… è stata bellissimo!”
    “Allora… buoni, buoni dai… mi devo concentrare… ecco… il Cercatore di Serpeverde scarta a destra e anticipa Jeffrey Buttons di Corvonero, incredibile, dopo una lotta all’ultimo sangue, Sherton gli prende il boccino, proprio sotto il naso… Ragazzi non voglio gufare, ma, di fatto, è appena stata assegnata la Coppa di Quidditch 1967/68. I Grifondoro dovrebbero fare un vero miracolo contro i Corvonero per superare questa favolosa squadra… Ora Sherton è portato in trionfo dai suoi compagni! Ragazzi, se prenderà il boccino anche a giugno contro i Tassi, avrà battuto persino il record di suo padre! E noi saremo tutti qui per vederlo e raccontarlo!”

Mi sollevarono di nuovo e mi portarono in festa per tutto il sotterraneo, con canti e schiamazzi di cui Slughorn evidentemente fingeva di non accorgersi, impegnato com’era a sbevazzare e canticchiare vecchi motivetti irridenti ai danni dei nostri cari amici Corvonero.

    “Dai ragazzi, mettetemi giù! Basta! Prendete Rookwood e agli altri! Prendete Malfoy, forza!”

La folla afferrò Rookwood e Malfoy, li lanciò per aria sotto l’incitamento dell’intera Casa di Salazar, io risi e fischiai con gli altri, mi presi un’altra bella dose di pacche sulla schiena e mi feci andare di traverso il Whisky che mi stavo godendo. Erano passati sette anni e questa forse era l’ultima occasione per assaporare in pace la mia “famiglia”, poi sarebbe stata una corsa a sfinirsi, con la pressione dello studio, l’ultima partita, gli esami dei MAGO, la festa di fine anno… E infine partire… Non avevo più molto tempo per respirare quell’atmosfera, quella magia che non avrei più ritrovato da nessuna parte, sapevo che un giorno mi sarei risvegliato fuori dal castello, in mezzo alla vita vera, senza nemmeno accorgermi che di colpo era tutto finito; c’era stato un tempo, i primi anni, in cui avrei voluto fuggire, intraprendere la mia vita, e ora che mancava poco, appena una manciata di settimane, mi spaventava quello scorrere così veloce e furioso del tempo. Sapevo che era per quelle vecchie pietre che mi ricordavano un amore finito prima ancora che l’assaporassi, per lei, per lei che non c’era più, per lei che contro la ragione continuava a essere presente nei miei pensieri e nelle mie speranze, benché m’imponessi di dimenticarla, per lei che mi faceva sentire in colpa, quando non riuscivo più negare a me stesso che stava nascendo qualcosa di nuovo nel mio cuore. Uscii nel corridoio, per riprendere fiato, dietro di me i muri sembravano urlare di gioia e vittoria. Non capivo perché quella sera sembrasse regalare solo a me una strana malinconia, ovunque mi voltassi c’era un ricordo, un’immagine, un momento, che non avrei ritrovato più. Attraverso la porta semiaperta, vedevo invece i miei compagni danzare e divertirsi, bere e mangiare, mentre io mi compiacevo di quell’insana voglia di piangere, lacrime fatte di gioia e nostalgia per un’età che mi lasciavo per sempre alle spalle; solo in quel momento mi rendevo conto di aver sempre vissuto al massimo, senza concedermi un solo istante, avevo bruciato mille vite, in pochi anni. Ero scivolato lungo il muro, incurante della divisa ridotta a un indecente spiegazzo, del cravattino perso chissà dove e quando e di quel Whisky che non andava giù, per il nodo che sentivo stringermi la gola, gli occhi persi su una ragazza dal nome di cielo, che avrei voluto legare al mio nome di stella. Una mano si appoggiò sulla mia, costringendomi a ritornare in me…

    “Il festeggiato se ne sta solo soletto lontano dalla festa? Non va mica bene… Dai torna dentro, Sherton, questo è solo l’inizio, la sbronza vera arriva adesso, non puoi disertare!”

Rientrai con Rookwood, più scarmigliato e rosso in viso di me, mi lasciai investire dal rumore, dalle risate e dalle luci, ma dentro, appena la rividi, si riaccese violenta quella consapevolezza chiara e inconfessabile: dovevo accettare l’onda che mi travolgeva, non potevo più resisterle. Se fossi stato libero da me stesso, sarei andato da lei, là presso il divano del caminetto da dove mi salutava e sorrideva timidamente dall’inizio della festa, ogni volta che i nostri sguardi s’incrociavano, l’avrei presa per mano e le avrei svelato quello che provavo per lei….

    “Dai, Sherton, brinda con noi… Sei stato fortissimo…”
    “Ragazzi, contegno… Aspettiamo giugno per far crollare il castello con le nostre urla di giubilo… e intanto, Fire Whisky e un Colpo Gobbo di Morgana per tutti, vediamo chi regge fino alla fine!”

Mi feci travolgere dai miei amici, poi mi voltai: Meda era ancora lì, mi osservava, l’espressione un po’ intimidita, quella sua dolcezza che prometteva felicità, a chi fosse stato tanto coraggioso da tendere la mano e amarla, non per il nome e il sangue che portava in dote, ma per il suo cuore. Trangugiai d’un sorso il mio Morgana, ormai avevo lo stato d’animo perfetto per battere Rookwood al suo stesso gioco. E cancellare la mia mente, fino a non ricordare nemmeno il mio nome.

***

Mirzam Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 21 aprile 1968

Daily Prophet
Edizione del 21 aprile 1968

NOTTE DI PAURA PER IL MINISTRO NOBBY LEACH
Notte di paura, a Londra, per Nobby Leach, Ministro della Magia: la sua abitazione è stata devastata da un incendio che ha distrutto l’intero edificio. Fortunatamente il Ministro e la sua famiglia si trovavano alla festa tenuta al Ministero per l’ottavo anniversario della sua elezione. Ancora ignote le cause del rogo, che alle prime analisi appare non accidentale ma probabilmente doloso.
Da alcune indiscrezione, a conferma di queste prime ipotesi, tra le macerie sarebbero state trovate alcune monete tristemente note come le “Monete dell’Iscariota”, di cui si era persa ufficialmente qualsiasi traccia da alcuni decenni. Secondo la leggenda, queste monete… (servizi a pagina 2-3-4-5-6-7-8)

SVALIGIATO ESERCIZIO COMMERCIALE A NOCTURNE ALLEY
Mr. Borgin di “Borgin and Burkes” è stato attaccato alla chiusura del suo esercizio ieri sera e sottoposto a Confundus, per cui è nell’impossibilità di descrivere i suoi aggressori. Ancora ignoto è anche l’elenco degli articoli sottratti. Vista la natura degli oggetti generalmente trattati nel negozio, le indagini saranno svolte anche da una squadra per il controllo dei Manufatti Oscuri… (segue a pag. 12 e seguenti)

Sorrisi: certo, leggere dell’atroce morte del Ministro della Magia nel rogo sarebbe stato molto più soddisfacente, ma non mi potevo lamentare, quel bastardo la doveva pagare e questo era l’inizio. Richiusi la mia copia del Daily, fermandomi a fumare sul muretto del ponte che portava alla Guferia, lontano da sguardi che potevano restare sconvolti, nel vedermi con una sigaretta babbana. Era una magnifica giornata di sole ed io mi sentivo pervaso da una strana pace: avevo appena spedito una lettera a Rodolphus, in cui mi scusavo ma la ricerca non aveva ancora portato a niente. Come mi ero promesso fin dall’inizio, se fossi venuto a capo della faccenda, ne avrei approfittato personalmente, assicurandomi poi di affatturare il “giocattolo”, così che né Rodolphus, né i suoi amici potessero ritrovarlo, riconoscerlo o utilizzarlo, per lo meno finché ci fosse stato qualcuno dei miei fratelli in quella scuola: la mia famiglia veniva prima di tutto. Ora la questione era risolta, avevo svelato il mistero, avevo ricavato i miei vantaggi e nessuno ne sapeva niente.

    “Ehi, Sherton, ti godi il sole? Hai letto il Daily?… Pare che abbiano quasi arrostito il porco…”
    “Gli è andata bene per stavolta, Jarvis, ma vedrai, prima o poi, salterà per aria anche lui…”
    “Non vedo l’ora! Sarei persino capace di festeggiare sposando subito mia cugina, se quel bastardo schiattasse… E di Borgin che ne pensi? Secondo te le due storie sono collegate?”
    “No, non credo, forse è stato qualcuno che non era d’accordo con i suoi prezzi da usuraio…”

Ghignai e gli offrii una sigaretta, tirai a fondo l’ultima boccata, per poi schiacciare la mia cicca a terra, infine ci avviammo al castello insieme, chiacchierando dell’allenamento di quel pomeriggio: per ora il mio unico progetto era vincere contro i Tassorosso.

***

Mirzam Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - ven. 17 maggio 1968

Se solo ci fossi tu, accanto a me,
tutto il resto non avrebbe più importanza…
Ti vedo danzare ma non ho la forza
di muovere un passo
Perché lo so…
sarei una stella troppo oscura per te,
La stella più oscura,
Potrei imprigionare il tuo futuro,
{ se solo volessi }
Potrei non darti scelta
{ se solo volessi }
E tu ne saresti persino felice,
perché sarei una meravigliosa prigione,
Perché potrei darti ciò che
nessun altro ti offrirebbe mai…
{ il mio cuore }
Sei l’unica fiamma pura della mia vita
{ io non offuscherò la tua luce }
Sei la mia farfalla
{ meriti di volare, ancora e ancora }
Puoi amarmi
{ non permetterò che tu m odi }
Posso amarti
{ non sarò io la tua prigione }.

M.A.S. °§° A.D.B.

Oggi Storia è più micidiale che mai…
ma Lei era bellissima nel cortile di Trasfigurazione…

***

Mirzam Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - 19/20 giugno 1968

Era finita, era tutto finito. Mancavano solo la festa di fine anno e la cerimonia di consegna dei diplomi. Avevo raccolto tutte le mie cose, avevo fatto le valigie, l’indomani avrei dovuto metterci solo il pigiama della notte e i vestiti che avrei dismesso dopo la festa; avevo già sistemato i libri e la divisa da Quidditch, la collezione di boccini conquistati, la pergamena con le firme di tutti i miei amici, la foto della squadra e quella della Casa di Serpeverde, anno 1967/68. Ero già passato alla teca dei trofei del sotterraneo e avevo lasciato il mio guanto accanto a quello di mio padre: alla fine l’avevo battuto. E questo aveva portato un’inaspettata pace nel mio cuore: quando avevo preso quel boccino e avevo visto i suoi occhi pieni di lacrime in tribuna, quando mi aveva abbracciato e festeggiato, era stato come chiudere col passato, perché con quel gesto simbolico io non ero più solo un figlio che camminava sulle orme troppo profonde di suo padre. Avevo dimostrato di poter dire qualcosa di più, di diverso. Avevo dimostrato di sapere lasciare anch’io delle orme profonde. Mi trattenni ancora nella mia stanza, prima di salire di sopra, mi rimirai di nuovo allo specchio, nel mio elegante abito da cerimonia verde scuro, con i cappelli legati in una coda e i baffi opportunamente curati. Non avevo invitato ufficialmente nessuna, non mi sembrava proprio il caso. Mi avvicinai allo scrittoio e aprii il cassetto: era lì, che aspettava da mesi di essere di nuovo sfogliato, lo presi in mano, il vecchio libro che Sile aveva trovato a Londra girando i mercatini di cianfrusaglie babbane, quel lontano giorno di agosto. Lei conosceva a memoria quei versi, ed io ero innamorato delle parole d’amore che mi dedicava, seduti sotto l’albero in riva al lago. Per questo me l’aveva donato. Forse nella mia precedente vita. Aprii una pagina a caso e iniziai a leggere:

That love is all there is,
Is all we know of Love;
It is enough, the freight should be
Proportioned to the groove.

Lo richiusi: avrei voluto sentire il cuore freddo di un dolore ormai antico, invece era sempre lì, una ferita aperta e pulsante che non si sanava mai… Ormai sapevo che non si sarebbe sanata mai. Lo lasciai sul cuscino. E salii, pronto a dire addio alla prima parte della mia vita.

*

Quella sera tutti mi cercavano, chi mi offriva da bere, chi m’intratteneva con discorsi più o meno curiosi, chi mi faceva una corte spietata; ma il mio sguardo, alla fine, cadeva sempre lì, al tavolo da cui due sorelle guardavano il resto del mondo con superiorità giustificata dalla purezza del loro nobile sangue, e la terza faceva brillare il mio mondo di un pericoloso senso di possibilità. Alla fine presi coraggio, avevo quell’ultima, sola occasione; avanzai, quasi le mie gambe non rispondessero ai miei ordini, pieno di una rinnovata fermezza, Bellatrix era girata verso di me, vidi che mi guardava avvicinarsi e la sua espressione rapidamente sembrava passare dallo stupito, al preoccupato, al beffardo: sicuramente stava pensando a quello che mi aveva detto quel giorno sul treno, “sarai tu a tornare a cercarmi, supplicandomi in ginocchio”. Mi avvicinai, mi chinai verso il tavolo e con tutta la calma che ero riuscito a mettere insieme, pronunciai le poche parole che volevo dire da tanto tempo.

    “Posso chiederti di ballare con me, signorina Black?”

Non mi curai di verificare se Bellatrix, terribile e meravigliosa nel suo abito provocante, rosso come le sue labbra, fosse impallidita o stesse per cruciarmi, né se Narcissa, una leggiadra ninfa eterea e meravigliosa già a soli tredici anni, avesse un sorriso sorpreso stampato in faccia, l’unica cosa che contava era quel sì, che volevo partisse dagli occhi profondi di Meda, prima ancora che dalle sue labbra: ora che le vedevo così da vicino, desideravo solo baciarle! Mi diede la mano incerta e mi seguì, nel suo elegante abito simile a una soffice nuvola di sete indaco, evidentemente intimidita e imbarazzata dagli occhi di tutti su di noi: li avevo sorpresi, mi ero guardato bene dal far capire chi rubava i miei pensieri ormai da mesi… Intuivo le congetture e le scommesse che si sarebbero fatte su di noi, ma m’imposi di non pensarci. Non m’interessava niente che non fossero quei meravigliosi occhi azzurri che cercavano invano di sfuggire ai miei.

    “Mi sento in imbarazzo… Pensavo ti stessi avvicinando per invitare mia sorella… Io…”
    “No, Meda, ti assicuro che Bella non c’entra: ho invitato te, perché mi piacerebbe ballare con te, non con tua sorella… E tu, se vuoi, dovresti accettare l’invito per te stessa, non per quello che potrebbe pensare il resto del mondo…”

Arrossì, mentre la musica rallentava e le luci si abbassavano a creare atmosfera. L’abbracciai, e sentii che s’irrigidiva imbarazzata, poi alzò gli occhi su di me, quasi a chiedere conferma che era tutto giusto e mi sorrise rossa in volto, per poi rilassarsi tra le mie braccia…

    “E’ come tanti anni fa, Meda, quando da piccoli ballavamo dai tuoi zii a Grimmauld Place…”

Lei rise, riconoscendo che era così, poi non ci curammo più di niente e ballammo insieme per tutta la serata: non mi resi nemmeno conto che la musica cambiava e che le ore passavano, chiacchieravamo come non succedeva da troppo tempo, dei suoi progetti futuri, dei miei, della comune passione per le Pozioni e l’Erbologia, dei nostri ricordi, senza curarci dello sguardo accigliato di Bella o delle facce stupite e interessate dei miei amici. Quando l’accompagnai a riprendere fiato sulla terrazza, ammirammo lo spettacolo di luci e colori che, come ogni anno, Dumbledore ci offriva in segno di saluto e buone vacanze; intercettai un elfo e gli chiesi qualcosa da bere che fosse fresco e piacevole e soprattutto non alcolico.

    “Sei emozionato? Da domani tornerai ad essere libero, niente più compiti e interrogazioni!”
    “Ti dico la verità, Meda, mi sento soprattutto triste…”
    “Perché? Non sei felice di tornare a casa?”
    “Perché solo ora che è finita, ho capito che questo periodo non tornerà più… che non rivedrò più così facilmente delle persone che mi sono care… Molti dei miei amici si sposeranno presto e… non sarà più niente come prima…”
    “Ma ora rivedrai Sile…”

La fissai, c’eravamo spostati in un punto più riparato da cui era possibile ammirare la notte di fine primavera illuminata da un tappeto di rilucenti stelle, mai belle quanto i suoi occhi; accanto a noi luci fatate impreziosivano l’aria, il parco si apriva sotto la terrazza, punteggiato da sculture di luce… Era una semplice domanda la sua, o c’erano speranza e aspettativa?

    “Sile ed io ci siamo lasciati lo scorso Yule, Meda… Il mio mondo per ora è fatto solamente dal Quidditch, dai miei amici… e… dalla speranza di trovare una ragazza da amare sinceramente… ”

Avrei voluto dirle che forse l’avevo già trovata e poi chinarmi su di lei, per stringerla e rubarle quel bacio che volevo darle probabilmente da sempre. Ma riuscii a trattenermi, non volevo mi considerasse un pazzo, o peggio ancora, un mascalzone.

    “So quello che si dice su di te, Mirzam Sherton… ma a me sembri molto diverso dalle chiacchiere, e da tutti gli altri ragazzi della nostra Casa: tu parli d’amore, di amicizia, non solo di potere e di sangue e di quegli odiosi calcoli su… Perché stai ridendo?”
    “Nulla, davvero… Stavo pensando che anche mia madre, alla tua età, disse parole molto simili alle tue e, come forse sai, è ancora felice accanto a mio padre… Quanto alle chiacchiere, nel mio caso, Meda, temo che siano frutto dell’invidia certo, ma anche di una buona parte di verità, so da me che non mi sono comportato sempre in maniera opportuna, ma ho anche pagato per quello che posso aver combinato finora, benché non sembri…”

Forse intuì il senso profondo di quello che avevo appena detto, perché mi guardò leggermente più rossa in viso, voleva dire qualcosa ma era indecisa: sapevamo entrambi che era forte in tutti e due la voglia di restare, per studiarci e capire, ma era meglio rientrare o io avrei finito davvero col baciarla e lei forse non mi avrebbe parlato mai più… No, non potevo permettere che accadesse questo…

    “Che cosa vorresti dire?”
    “Nulla… Ora spero soltanto di avere una vita felice come quella dei miei, e spero che la abbia anche tu, Meda... Adesso però è il momento di rientrare… prima che Narcissa si preoccupi e Bellatrix abbia il pretesto per tagliarmi la testa…”
    “Sì, forse hai ragione, Mirzam, credo sia meglio rientrare…”

La riaccompagnai dentro, la maggior parte dei ragazzi della scuola era ormai esausta, non ballava quasi più nessuno, alcune coppie si erano ritirate a festeggiare in privato, altri erano andati a finire i bagagli, c’era ormai ovunque quel senso di epilogo, di fine dei giochi, che non avrei mai voluto vedere, e lo affrontavo nel peggiore dei modi… Meda si allontanò da me, per raggiungere le sue sorelle, dopo avermi salutato con una stretta di mano e un bacio sulla guancia: la vidi borbottare a lungo con Bellatrix, particolarmente risentita, speravo solo di non averla messa in difficoltà. Stavo ormai per andarmene da solo, nei sotterranei, per l’ultima volta, quando all’improvviso si voltò, mi guardò a lungo e mi sorrise, felice e un po’ dubbiosa, come me, dei nostri reali desideri e di quello che c’eravamo detti sotto la luna.

*

Il preside Dumbledore aveva fatto allestire il palco in riva al Lago Oscuro, perché gli ospiti godessero di una vista incantevole: accanto a lui, con i professori che si dispiegavano ai suoi lati come due ali ricurve, c’erano il Ministro, i dodici Consiglieri e vari altri esponenti importanti della nostra società. I genitori e gli amici di noi ragazzi erano disposti sul prato, in file regolari e ordinate di sedie, sotto archi di rose e veli dai colori pastello sistemati in modo tale da proteggere gli ospiti dal sole appena caldo: la luce arrivava come filtrata da un arcobaleno colorato, così che non sembrava una cerimonia per la consegna dei diplomi, ma un matrimonio. I nostri compagni erano in parte seduti sui prati tutti intono, gli altri assistevano alla cerimonia dai cortili e dalle antiche finestre della scuola, le valigie pronte per il viaggio di ritorno. Noi eravamo disposti in fila in attesa di essere chiamati: l’unica differenza rispetto alla cerimonia di smistamento di sette anni prima, oltre al fatto di essere all’aperto e alla presenza dei nostri cari e delle Autorità, era che avanzavamo divisi per Case. E mancava Sile. Sospirai e m’imposi di non lasciarmi andare anche quel giorno: c’era una leggera brezza che si levava dal lago e mi accarezzava il viso, socchiudevo gli occhi per il riverbero del sole sull’acqua, in attesa del mio nome, uno degli ultimi. Vedevo la tensione degli amici, la commozione molto spesso finta dei parenti, la soddisfazione dei professori e del preside, che s’intratteneva con ciascuno di noi per augurarci ogni bene per il futuro e incoraggiarci sulle vie già intraprese. Accanto a Dumbledore, Nobby Leach ci guardava borioso e viscido come sempre.

    “Rookwood Augustus!”

Sospinsi appena il mio amico, alto e forte come una divinità nordica, i capelli fulvi che rilucevano al sole. Mancava ormai poco, ancora così poco… Posai gli occhi sulla folla di studenti, alla ricerca di qualcuno, una figura tenera e forte, un dolce sapore che agognavo sentire sulle labbra, un sospiro represso, colpa e desiderio che non potevano evitare di fondersi e farmi girare la testa… Alla fine l’intercettai, accanto alle sorelle, meravigliose e irraggiungibili: lei no, lei, delicata eppure terrena, mi appariva vicina e umana. Mi sorrideva, sembrava anzi avere una luce nuova nello sguardo.

    “Sherton Mirzam!”
    “E vai, stupido! Non vorrai farci restare ancora qui!”

Stavolta fu Warrington a spingere me, sorrise, un’espressione strana nello sguardo, chissà se aveva mai capito che volevo farlo fuori, per una donna che alla fine non contava niente per nessuno dei due? Gli sorrisi e avanzai. Mi resi conto del tempo passato perché non sentivo nessuna emozione particolare, al contrario del terrore di quando ero arrivato al castello per la prima volta e soprattutto perché, quando mi avvicinai alla McGonagall per darle la mano, notai che ormai mi arrivava appena sotto il mento: la prima volta che l’avevo vista mi era sembrata imponente e pericolosa. Mi sorrise, era stata un’ottima insegnante ed io uno studente, se pur non proprio modello, migliore di tanti altri… Rischiai poi di vedermi stritolare la mano dal professore mezzo cieco di Difesa, Rufus Selmoore, opportunamente ripreso da Slughorn.

    “Che fai Rufus? Non vorrai rovinare la promessa del Quidditch nazionale con quelle tue zampacce?”

Il vecchio tricheco mi abbracciò con le sue corte e cicciute braccine e non poté fare a meno di raccomandarsi e raccomandarmi: era un po’ fissato e spesso era inutile e fastidioso, ma era una brava persona in fondo. Infine giunsi davanti a lui, al vecchio pazzo, Dumbledore, a colui che, insieme a mio padre, probabilmente mi aveva salvato da Azkaban, non permettendo al Ministero di fare le verifiche alle nostre bacchette: mi guardava con la sua solita espressione strana, di chi vede attraverso i veli del tempo ed è padrone del destino. Mi chiedevo spesso cosa vedesse nel futuro di tutti noi.

    “Complimenti, Mirzam, hai ottenuto pieni voti in tutti i MAGO…”

Fece cenno al Ministro, il quale mi mostrò la pergamena, ma mi tendeva la mano poco convinto; io, da parte mia, lo guardavo quasi sfidandolo, in una specie di prova di forza: sapevamo entrambi che non avrei mai stretto la mano all’uomo che, per una vecchia disputa personale con mio nonno, approfittava della sua posizione di potere per vendicarsi su tutta la mia gente e chiudeva entrambi gli occhi sulla corruzione che serpeggiava nel suo Ministero.

    “Ma che diavolo sta succedendo?”

Dall’alto risuonò un suono cupo di qualcosa che cadeva e si srotolava al vento, tutto intorno a noi, dagli ospiti e dagli studenti sui prati, si levò un “Ohh” stupito: tutti alzarono il viso verso la Torre di Corvonero che ci sovrastava, una gigantesca bandiera del Puddlemere si gonfiava nel vento e a poco a poco si trasformava nei colori e nel disegno. Alla fine un immenso stendardo della Confraternita del Nord si librava nel cielo terso della Madre Scozia, seguito da altri vessilli più piccoli esposti dalle balconate e dalle finestre del castello di Hogwarts, unendo in un abbraccio unico i Maghi del Nord presenti nelle varie case.

    “Che cosa diavolo significa tutto questo? Dumbledore, questa è forse una rivolta?”

Vidi il Ministro impallidire, stupito, intimidito, furioso, tra i presenti si levò un applauso che all’inizio era rivolto a me, ma che presto interessò tutti noi ragazzi che venivamo dal Nord e i nostri genitori presenti. Il Ministro non l’aveva previsto, una semplice consegna di diplomi si stava trasformando in una protesta contro i suoi metodi poco ortodossi. Guardai il preside, qualcosa mi diceva che c’entrasse anche lui, vidi il Ministro sempre più nervoso e quando mi voltai verso gli ospiti, intercettai l’espressione stupita e commossa di mio padre.

    “Andiamo Nobby, quale rivolta? Salutano i loro compagni, i loro amici, lasciali festeggiare…”

Il Ministro era nero di rabbia, io gongolavo, vedendo che il vegliardo era dalla mia parte, quindi me ne approfittai ulteriormente.

    “Signore… Posso avere il permesso di ringraziarli?”

Dumbledore mi rivolse un’occhiata strana e annuì, il Ministro ormai si tratteneva appena dal saltarmi addosso. E allora, quasi senza volerlo, mi uscirono le parole che ci si aspettava da colui che un giorno avrebbe guidato la Confraternita: parlai del valore del Cammino del Nord e del potere della Conoscenza e di quanto Hogwarts fosse fondamentale in quel progetto comune. Non era previsto che uno studente facesse qualcosa del genere e il Ministro cercò di riprendere le redini della situazione il prima possibile, dicendo che si stava facendo tardi, ma intanto dalle torri, dalle finestre e dal parco, si erano levati alti i nostri canti in gaelico. Guardai mio padre, sembrava esplodere d’orgoglio per me: dopo anni di lotte, d’incomprensioni e di passi falsi, eravamo lì, a far fronte comune contro chi voleva la nostra rovina, testimoniando davanti a tutti la solidità del nostro legame e della nostra famiglia. E sapevamo entrambi che non era stato previsto o ragionato, la mia strada l’avevo scelta, alla fine, da me, proprio con il cuore.
Presi la pergamena che riportava i miei MAGO e salutai Dumbledore, lasciando il palchetto e i suoi minuti di ovazione anche a Warrington, chiamato subito dopo di me.

***

Mirzam Sherton
Herrengton Hill, Highlands - merc. 3 luglio 1968

    “Nobby Leach si sta impiccando con la corda che si è preparato da solo e la cosa divertente è che a mettergliela al collo è stato un ragazzo di appena diciotto anni: tu…”

Presi il giornale che mio padre, soddisfatto come un gatto, mi tendeva e lessi delle ultime trovate del Ministro ai danni della Confraternita: non capivo cosa ci fosse da ridere.

    “Questo significa che non potrò più giocare nel Puddlemere… Non potrò mai lavorare al Ministero, né tornare a Londra o Amesbury… Come fai a ridere di tutto questo? Leggi qua: non possiamo sposarci con ragazze che non siano del Nord… Al tempo stesso, le nostre Streghe dovrebbero sposarsi lontano da qui, per disperdere il nostro potere… Quell’uomo vuole forse farci estinguere?”
    “Il caro Abraxas… immagino sia stata una delle sue brillanti idee… povero illuso…”
    “Che cosa diavolo stai dicendo? Che cosa c’entra Malfoy?”
    “Il caro cugino c’entra sempre, fidati… ma non devi perdere la calma, questo è solo uno dei suoi tanti ambiziosi piani, tutti andati in fumo. Se vuoi farti delle sane risate alle sue spalle, parla con Orion, ne ha di racconti edificanti sul suo conto…”
    “Non m’importa di Malfoy, in questo momento… Questa è una tragedia…”

Mio padre si gustava soddisfatto il suo sigaro babbano accanto alla finestra, lo sguardo perso all’orizzonte, verso il cielo fiammeggiante del tramonto: se le cose fossero andate come temevo, quella distesa di acqua color sangue e mercurio sarebbe stata l’unica cosa che avrei visto per tutto il resto della mia vita. Strinsi i pugni, già mi sentivo esplodere.

    “Rifletti: se queste disposizioni fossero approvate, la gente non potrebbe più fare affari con noi e questo si tradurrebbe in forti danni economici per tutti, a cominciare dalla Gringott. Inoltre chi ha figlie, per legge, non potrebbe sposarle con i Maghi del Nord: ovvero denaro sprecato e alleanze sfumate… Credi saranno in molti ad apprezzare le fissazioni di Leach? Quell’uomo è talmente stupido da non rendersi conto che per limitare le nostre vite, renderà un inferno quella di migliaia di altri Maghi che hanno rapporti con noi… E che le sue follie gli costeranno la poltrona…”
    “E se non andasse così? Se i posti liberati da noi al Ministero fossero occupati da Mezzosangue e Sangue sporco a lui devoti e Leach avesse una nuova base su cui poggiarsi? Se invece di ribellarsi a lui, gli altri Maghi se la prendessero con noi? Le ultime leggi non tendono certo a difenderci…”
    “Non stavolta, Mirzam... Molti vedono con sospetto la Confraternita perché da sempre è chiusa al resto del mondo e i più non ci comprendono. Quel giorno, a Hogwarts, però, tu, un ragazzo di diciotto anni, hai mostrato quello che conta per noi: non hai parlato di potere, di sangue, di Serpeverde o di Corvonero, hai spiegato qual è la natura della nostra gente e hai dimostrato che non siamo come i nostri nemici ci descrivono. Ora tutti vedono Leach colpirci duramente come risposta a quel tuo discorso, un discorso puro e onesto: e chi ha a cuore la giustizia non può che ribellarsi...”
    “Spero che il tuo ottimismo sia fondato, perché io non rinuncerò alla mia vita per quel bastardo…”
    “Non succederà… Non arriverà alla fine dell’estate: il matrimonio del tuo amico Jarvis si farà a Lughnasadh come previsto… e per quel giorno ci sarà qualcun altro sulla poltrona di Leach…”
    “I problemi della Confraternita, però, non sono legati solo alla sua persona: l’attentato contro di me e la mamma è avvenuto durante il precedente Governo e con quello che ho scoperto, padre… La verità è che tutto il Ministero è marcio e l’unico modo, per la Confraternita, sarebbe…”

Lo fissai, e lui mi rimandò uno sguardo pieno di parole non dette: sapevamo entrambi cosa era sospeso nel lungo silenzio che seguì, Merlino solo sapeva quante volte, nel corso degli ultimi secoli, in quella precisa stanza, uno Sherton aveva dovuto affrontare quei discorsi e quei pensieri.

    “Tutto a suo tempo, Mirzam: la Confraternita per ora non è pronta. Negli ultimi secoli il suo potere si è troppo offuscato: prima di pensare a guidare gli altri, occorre ridarle autorevolezza e prestigio, deve ritornare a essere ciò che era in origine, un faro cui tutto il mondo magico guardava con speranza, al punto che mille anni fa, Salazar Slytherin affrontò il lungo viaggio dal Norfolk alle Terre del Nord, con il preciso intento di ritrovarci, benché per alcuni fossimo già solo una leggenda. Arriverà quel giorno, però, te lo prometto, e saranno gli altri a volerci, non saremo noi a imporci e finalmente, a guidare e illuminare la mente e i passi degli uomini, sarà di nuovo la vera Magia…”
    “Qualcosa potrebbe andare storto, padre, o potrebbe volerci troppo tempo… Io so di un Mago…”
    “Il Mago che ha spazzato via un’intera squadra di Aurors, dando il via ai guai in cui ci troviamo?”

Mi fissò, con quello sguardo che mi metteva sempre tanti dubbi sulla bontà delle mie scelte: era la prima volta, in quasi un anno, che ci ritrovavamo ad affrontare apertamente quell’argomento. Eravamo passati attraverso tante, troppe battaglie, ed ora, di nuovo, dovevo affrontare mio padre.

    “Io preferisco definirlo il Mago che mi ha salvato la vita…”
    “Quella notte ti ha salvato la vita, vero, ma da quel poco che so, non appare diverso da quanti in passato hanno parlato promettendo il bene di tutti, quando il loro unico vero scopo era costruirsi un potere personale assoluto. Fai attenzione, perciò, Mirzam: sei nato libero, non morire schiavo…”
    “Io intendo ascoltare quello che ha da dire… Vorrei scoprire da me se ci sono i pericoli che tu sospetti, o piuttosto le opportunità che immagino…”
    “Temo che quella persona porterà molti più guai di quelli che potrebbe risolvere… Inoltre, credo saresti più utile come guida della Confraternita, che come uno dei tanti accoliti di quel Mago… La vita però è tua ed io non intendo interferire ancora. Vorrei però pregarti di fare molta attenzione…”
    “Io entrerò a pieno titolo nella Confraternita, come ti chiesi qualche anno fa… Io sono e sarò solo di Habarcat, prenderò le mie Rune e vivrò secondo la Nostra Legge. Non ho alcuna intenzione di cambiare il mio destino e la mia volontà. Vorrei vedere, però, se esiste una strada più breve…”
    “Le strade brevi conducono nei precipizi, Mirzam… Sia nella vita politica, sia nelle scelte personali, le strade più lunghe e tortuose sono anche quelle più sicure. Al tuo posto mi terrei alla larga da quel Mago, le circostanze che ti hanno portato a conoscerlo non sono limpide… ma non sono te e non posso più impedirti di farlo… Posso solo raccomandarmi al tuo giudizio e pregarti di non indugiare e mollare tutto, qualora la situazione si rivelasse dubbia e ti richiedesse azioni e decisioni contrarie ai nostri principi… Tu sai quanto può essere attraente il potere di Habarcat…”
    “Non temere, intendo limitarmi ad ascoltare…”
    “Spero che gli basti…”
    “Basterà, te lo prometto, non devi preoccuparti, perché farò attenzione e seguirò i tuoi consigli...”

Gli diedi le spalle, volevo ritornare nella mia stanza: era silenzioso, assente, preso nei suoi pensieri.

    “Mirzam, aspetta… D’ora in poi, scenderai con me nei sotterranei al tramonto e all’alba. Se seguirai quella strada, devi completare al più presto la tua istruzione, per affrontare al meglio certi pericoli. Non dovresti incontrare quel Mago prima di sapertela cavare appropriatamente con l’Occlumanzia.”
    “D’accordo, sicuramente in questo hai ragione… intendi insegnarmi tu?”
    “No. Non mi fido di quel Mago, è meglio essere prudenti e cercare di non sbagliare alcuna mossa… Voglio che ti segua il mio Maestro, la sua esperienza è di gran lunga superiore alla mia…”

Lo guardai, erano anni che non lo vedevo così preoccupato. Annuii e me ne andai, immergendomi nella notte penetrata nelle sale e nei corridoi del castello, diretto alla torre che ospitava le nostre stanze. Ero turbato: se mio padre, dopo quanto era successo in passato, era disposto a richiamare “Fear” a Herrengton per proteggermi, la situazione doveva essere più seria di quanto immaginassi.

***

Mirzam Sherton
Inverness, Highlands - lun. 15 luglio 1968

Come aveva previsto mio padre, Nobby Leach non arrivò a promulgare le sue leggi perché, intuendo la china pericolosa che il suo governo stava prendendo, quasi tutto il mondo magico lo boicottò e ne richiese le dimissioni. Da parte nostra, a riprova che la Confraternita, al contrario del Ministero, rispettava i patti, mio padre confermò al nuovo Ministro, Margareth O’Connor, che avrebbe continuato a tenersi a disposizione, permettendole di portare avanti i riscontri voluti da Leach, a patto che le genti del Nord potessero tornare a vivere e lavorare serenamente. La O’Connor, come tutti i Ministri che la seguirono nei successivi dodici anni, non ebbe una carriera lunga e fortunata, ma almeno quell’accordo fu rispettato; e a poco a poco, la vita dei membri della Confraternita e di tutti i Maghi del Nord tornò tranquilla e silenziosa, convincendo mio padre dell’utilità del suo esilio volontario, che sarebbe durato fino all’estate del 1970. Anch’io iniziai la mia nuova vita: come da contratto, per diventare un giocatore di Quidditch professionista, mi allenavo quasi tutti i giorni sotto la direzione di Stenton a Inverness. Ero entusiasta, stavo realizzando il sogno della mia vita, conoscevo persone diverse, con esperienze diverse, ma con una passione comune, e riuscivo a staccare la mente dai pensieri nebulosi che potevano rovinarmi le giornate: avevo visto la casetta che Stenton mi aveva procurato, ma l’idea che era lì che avrei già potuto vivere con Sile, se solo non fossi stato un idiota, mi portò a preferire le mie stanze nel maniero di Herrengton. La lontananza da Meda e i dubbi che erano nati sui miei sentimenti per lei negli ultimi mesi a scuola, completavano un quadro non completamente esaltante.
Quel pomeriggio, alla fine d’intensi allenamenti, ero davanti a un Fire Whisky doppio, in uno dei caffè più eleganti di Inverness, “Il drago scarlatto”, e cercavo di dare conforto a Jarvis, oppresso all’idea che la sua vita stesse finendo prima ancora di iniziare. Il nostro inseparabile Augustus non era messo meglio, ma al contrario confidava nel fatto che, una volta espletato l’obbligo di dare un’erede alla sua famiglia, avrebbe poi ripreso la sua tranquilla vita fatta di donne e divertimenti.

    “Ti rendi conto, Sherton, dell’assurdità del destino? Tu sei l’unico tra noi che già a quindici anni andava in giro a comprare anelli di fidanzamento e sei l’unico, ora, libero come il vento…”
    “Jarvis ha ragione, questa la chiami giustizia? Inoltre ora che è finita, potresti anche dirci per chi fosse quel famoso anello di cui parla sempre Rodolphus…”
    “Voi siete gli unici due sciocchi che ancora credono alle cavolate di Lestrange! E di questo se ne approfitteranno presto le vostre care mogliettine…”

Risi e li sbeffeggiai, ma quell’argomento non andava giù nemmeno a me, seppur per motivi opposti. Inoltre di quel dannato anello non volevo più sentir parlare: era anche per colpa di quella storia che avevo perso ogni credibilità davanti alla mia Sile.

    “E la piccola Black? Quella sera ci hai fatto prendere un colpo, pensavamo che volessi andare a sacrificarti volontariamente sull’altare di Bellatrix… E invece, razza di un delinquente, hai messo gli occhi su quel bel bocconcino della dolce Andromeda… e non ci hai mai detto nulla…”
    “Non c’è nulla da dire, Rook… lo sai, siamo amici da quando eravamo bambini…”
    “Sarà, ma questa storia non mi convince…”
    “A proposito… Mia cugina è contenta quanto me di dovermi sposare, al punto che sta rendendo tutto difficile ai suoi genitori. Ultimamente ha imposto, pena la sua fuga e un bello scandalo, di poter invitare anche le sue amiche che non appartengono alla Confraternita, tra cui Meda Black…”
    “Beh, che c’è di male? Augustus, il tuo testimone, non è un Mago del Nord… qual è la difficoltà?”
    “I nostri genitori non hanno rapporti di alcun genere con i Black, Mirzam: per quale motivo Cygnus Black dovrebbe andare alla festa di due perfetti sconosciuti? Per una ragazzina viziata e petulante?”
    “Perché non l’accompagna Bella? Gli invitati ne sarebbero ben felici e non si rischierebbe la noia!”

Ero partecipe dello sconcerto e della desolazione di Warrington, ma non potei evitare di scoppiare a ridere alle insinuazioni di Augustus: tutti sapevamo quanto sarebbe stata devastante la presenza di Bellatrix a quella festa, tenendo conto dei suoi trascorsi col futuro sposo. Eppure, dentro di me, l’idea di rivedere Meda mi faceva vibrare e la mia mente scattò subito alla ricerca di una scusa.

    “Ho io la soluzione, a meno che tu non voglia sfruttare questa storia per non sposarti e far ricadere la colpa su Sheena: con Cygnus Black non c’è alcun rapporto diretto, vero, ma lo zio di Meda è il miglior amico di mio padre, ovvero del capo della Confraternita. Se lo chiedessimo a Orion Black, sono certo che convincerebbe i cognati ad accettare l’invito e avresti le sue nipoti al matrimonio…
    “LA nipote, Mirzam: per favore, non sai quanto potrebbe mettermi in imbarazzo Bellatrix…”

Guardai Jarvis, potevo dirgli “Lo so, ho visto tutto”, ma ero troppo felice per ripensare a quella vecchia storia. Chiamai l’elfo e ordinai vari giri di Whisky per tutti e tre: brindammo alla povera Sheena, che mi avrebbe odiato per sempre, brindammo ai miei amici, che mi canzonavano per Meda, brindammo a noi stessi e a quella strana giornata, mentre intorno a me l’atmosfera si faceva carica di risate, di un singolare calore, di colori più accesi e di un senso di serenità e piacere che mi mancava da un po’. O forse ero solo io che, finalmente, mi sentivo pervaso di un’insolita speranza.

***

Mirzam Sherton
Loch Shin, Highlands - 31 luglio/1 agosto 1968

Il giorno agognato da me e temuto da Jarvis era infine giunto. La cerimonia si sarebbe tenuta all’alba a Loch Shin, dopo una notte di riti e festeggiamenti, in occasione della Levata di Sirio, uno degli otto Sabba dell’anno: l’alba in cui Sirio sorge insieme al Sole era considerata di buon auspicio per una discendenza ricca e forte, almeno quanto Yule, per questo molti matrimoni tra Maghi e Streghe del Nord venivano celebrati durante quella festa, chiamata tradizionalmente Lughnasadh. In virtù della carica rivestita da mio padre nella Confraternita, i miei genitori erano presenti non come semplici invitati, ma come custodi della coppia che si stava unendo, a me fu richiesta solo una breve comparsata ufficiale per salutare i nostri vecchi amici; i miei fratelli, invece, erano stati affidati alle mie zie e tenuti lontano dalla confusione di quelle inutili chiacchiere noiose. In breve mi ritrovai libero, nella piacevole condizione di poter fare quello che volevo, mi godetti la festa, ridendo e scherzando con il povero sposo e con Augustus, come un invitato qualsiasi. Quando apparve il mio padrino, e con lui Cygnus, sua moglie e le due figlie più giovani, era ormai quasi mezzanotte; sentii i battiti del cuore accelerare, quando vidi Meda avvolta in un bell’abito corallo sotto a un lungo mantello scuro, i capelli castani raccolti in una treccia. Dovetti fare un sovrumano sforzo di volontà per non correre dai Black e strappargliela di mano, lei non era lì per me, ed io dovevo mantenere un certo contegno: mi avvicinai richiamato da mio padre, subii i complimenti e le facezie che il nostro rapporto di amicizia comportava, mentre Meda, dopo un rapido saluto emozionato era andata a confortare la sposa, nascosta in lacrime nella tenda. Parlai a lungo con Orion e Cygnus delle ultime novità: libero dalla presenza invadente della moglie, rimasta a Londra con i due figli, il mio padrino sembrava orgoglioso che mi stessi avviando a una carriera carica di soddisfazioni e mi godetti la sua divertente compagnia, ricca di aneddoti su fatti risalenti all’epoca in cui era mio padre a giocare nel Puddlemere. Cygnus non parlava molto, ma sembrava molto interessato a quello che dicevo io, non perdeva alcuna delle mie parole e dei miei gesti, al punto che mi chiesi se avesse dubbi sul vero motivo che mi aveva spinto a farli invitare. Non riuscii però a capire molto delle loro intenzioni, perché presto mi lasciarono per prendere contatto con personaggi utili ai loro affari: tutti infondo sapevano che non erano lì per far contenta una mocciosa sconosciuta, ma piuttosto i loro conti alla Gringott; a loro volta, Druella e Cissa si erano allontanate con mia madre, per conoscere altre importanti Streghe presenti alla festa. Rook, testimone dello sposo, trascinò Jarvis, come una bestia condotta al macello, dentro la tenda, per completare la sua vestizione, così mi ritrovai da solo, ai margini del bosco, sulle rive del lago: avevamo evocato, da oltre una settimana, una perturbazione al limitare delle Terre del Nord che tenesse i Babbani alla larga, così da preservare la festa da occhi indiscreti e presenze indesiderate.
Era una meravigliosa notte stellata, piacevolmente mite grazie agli incantesimi che avevamo prodotto su tutta l’area, i fuochi magici punteggiavano il bosco come timide lucciole e, nella radura, le Streghe e i Maghi si erano raccolti in cerchi, canti e danze riempivano l’aria di allegria. Nel mio abito cerimoniale grigio, le tonalità del verde e il bianco erano riservati, quella notte, solo agli sposi, osservavo quella bellezza e quella sacralità antiche, in disparte, preso nei miei pensieri.

    “Buona sera, Mirzam…”

Mi voltai, Meda, in un abito semplice e leggero, era molto più bella della sposa e delle sue damigelle, una scintilla di luce che riscaldava il cuore: sembrava le fossi mancato anch’io, oltre al solito rossore sul viso, si era accesa di entusiasmo. Le diedi la mano e l’aiutai a superare un tronco che ci separava, così che mi raggiungesse e vedesse la radura ai nostri piedi, un colpo d’occhio di stupefacente potenza su quel mondo, il mio mondo, che solo pochi estranei potevano ammirare.

    “Mi avevano detto che eri invitata, ma non riuscivo a crederci…”
    “Non fingere, lo so che l’idea di coinvolgere zio Orion per farmi accompagnare qui è opera tua…”

Mi misi a ridere: era sempre stato così, fin da ragazzini, Meda era l’unica che mi affrontava a viso aperto, richiamandomi alle mie colpe e responsabilità, senza tergiversare mai.

    “Che cosa dovevo fare, secondo te? Non potevo lasciare che il mio amico Jarvis fosse piantato all’altare davanti ad amici e parenti da una ragazzina di nemmeno quindici anni…”
    “Secondo me Jarvis, proprio come Sheena, voleva evitare questo matrimonio a qualsiasi costo…”
    “E va bene, hai ragione, lo ammetto: quei due si sposeranno solo perché volevo sapere come stai…”
    “Molto bene, grazie, ma… non sai che esistono i gufi a questo scopo?”

Mi guardava divertita, io avrei voluto farle notare che un gufo non permetteva di vedersi, di abbracciarsi, né di… preferii soprassedere, stavo arrossendo e non sapevo più come risponderle. Forse capì, iniziò a emozionarsi anche lei, tornò a osservare la festa, permettendomi di riprendermi.

    “E tu come stai? Ho temuto che per colpa di Leach nessuno vi avrebbe più visto…”
    “Pericolo rientrato, ma ora sono tenuto prigioniero da Stenton: quell’uomo dev’essere imparentato con la McGonagall, è tanto feroce negli allenamenti, quanto la cara Minnie con i compiti…”
    “Ti prego, non me la nominare: se penso che quest’anno ci saranno i Gufo, vorrei nascondermi tra queste tende e non lasciare più le Terre del Nord…”

Questa volta fu lei ad arrossire violentemente, ed io mi trattenni a stento dal dirle che poteva restare al mio fianco per sempre. Ci eravamo seduti su una pietra, ammirando i balli degli altri, sotto un cielo punteggiato di stelle ridenti: avevo trasfigurato delle foglie, creando un plaid sul quale si potesse sedere, avvolti nei nostri mantelli. Cambiò opportunamente discorso ed io gliene fui grato.

    “… però nonostante l’impegno mi sembri felice e pieno di entusiasmo…”
    “Sì, è vero, perché è la vita che ho sempre sognato: il pensiero di entrare in un vero stadio da Quidditch, con la gente che m’incita… Sento la paura e l’esaltazione profonda… E’ qualcosa di più potente di quello che provavo a scuola, e non ho ancora nemmeno iniziato a fare sul serio!”
    “Sono felice che tu stia realizzando i tuoi desideri, Mirzam: spero che un giorno potrò venirti a vedere in un vero stadio per incitarti anch’io… E spero che se mi rivedrai, ti ricorderai di me…”
    “Davvero credi che potrei scordarmi di te?”

La guardai, avevo tutta la sua attenzione, le presi la mano senza nemmeno accorgermene: eravamo solo noi due, pur vicini a tante persone. Volevo baciarla incurante di tutto il resto, rendere quell’istante eterno. Ma sapevo che per tanti motivi quel gesto semplice e tanto desiderato era anche profondamente ingiusto. Lasciai andare la sua mano e trattenni un sospiro troppo eloquente.

    “Sarò a Londra qualche volta, questo mese. Ora che ho finito gli studi, voglio godermi l’atmosfera studentesca di Diagon Alley con uno spirito diverso: vi deriderò, voi pieni di libri e spaventati dalla McGonagall, ed io finalmente libero e al sicuro dalle interrogazioni…”
    “Che pensiero gentile, Mr. Sherton…”

Si mise impettita davanti a me, con un’espressione carica di rimprovero che non vedevo da tanti anni, da quando le tiravo le trecce dietro il divano di Orion e lei mi soffiava contro come un gatto arrabbiato: mi venne da ridere, grato e consapevole che anche lei trovava sollievo in quelle semplici battute da ragazzini, perché sentiva come me la strana tensione che stava crescendo tra noi.

    “Hai ragione, non è gentile deridervi, anche se è molto divertente. Per farmi perdonare, ti offrirò un gelato da Florian Fortebraccio… l’importante è capitarci lo stesso giorno…”
    “Mi farebbe davvero piacere: potremmo scriverci… sai… con quei gufi di cui ti parlavo prima…”

Mi sorrideva canzonatoria, ed io mi beavo all’idea, che, avendomelo chiesto, avrei potuto davvero scriverle senza sentirmi in imbarazzo. Anche se forse, scrivendole a casa, avrei messo in  imbarazzo lei. Rimpiangevo gli anni in cui una lettera era considerata la semplice espressione della nostra infantile amicizia e nulla di più, ben diverso da quell’assurda partita a scacchi in cui la convenienza, le regole sociali e il buon nome delle famiglie finivano col costringere e nascondere il desiderio autentico di continuare a frequentarsi con l’abituale semplicità e schiettezza.

    “… anche se non sei obbligato a scrivermi… cioè io sarei felice, ma se tu... Non ci saranno problemi a incontrarci: Bellatrix vorrà andare tutti i giorni, sai com’è fatta, non è mai contenta…”
    “Poco male, no? Ti offrirò più di un gelato e ti porterò nel negozio nuovo vicino alla Gringott, ci sono idee interessanti per fare dei regali: se non sbaglio, tra poco è il compleanno di Cissa…”
    “Sarebbe perfetto… ma davvero tu ricordi tutti i compleanni di casa Black?”
    “Ho una buona memoria, sì… ma passiamo alle cose serie: ti va di assaggiare il “Moon’s tear”? È un infuso simile al te, fatto con i petali di una rosa che fiorisce solo qui, la     “Rosa di Ghiaccio”. Si serve solo durante queste cerimonie e nessuno che non sia un Mago del Nord può berlo, se non è uno di noi a offrirglielo. E’ tradizione che un invitato lo beva la prima volta che entra nelle Terre del Nord, perché solo così potrà tornare di nuovo…”

Meda mi ascoltava rapita, affascinata e incuriosita dalle novità che ci circondavano. Evocai un elfo e mi feci portare due bicchieri pieni a metà di un nettare dal colore indefinito, che dal rosa virava all’ambrato, con dentro una piccola scintilla di luce che si muoveva simile a una danza.

    “E quella cos’è?”
    “E’ la “Lacrima della Luna”: dicono faccia condividere la felicità degli sposi a quanti sono presenti alla cerimonia, ma secondo me è solo un’invenzione scenografica…”
    “Il solito maschio pragmatico e realista, eh? Invece è una magia bellissima, guarda: sembra di avere una piccola fata nel bicchiere, si muove così leggiadra… Le feste dei Maghi del Nord sono tutte così belle? E piene di cose misteriose e affascinanti?”
    “Ce ne sono di più belle, Meda, ma non dirlo alla tua amia o si rattristerà anche di più…”
    “Perché? I genitori di Sheena ci tengono tantissimo a questo matrimonio e sono due delle famiglie magiche più benestanti della Scozia, perché avrebbero fatto un matrimonio al risparmio?”
    “No, non sto parlando di ricchezza o bellezza materiale, Meda: le feste dei matrimoni d’amore sono molto più belle, tanto che non serve nessuna bevanda particolare, per essere irradiati dalla felicità, vera, degli sposi. Come ben sai, però, purtroppo, non a tutti capita di avere questa gioia nella vita… e quei due sono tra i tanti che non hanno potuto esprimere la propria volontà…”

Meda si rabbuiò, lo sguardo fisso nel bicchiere in cui la scintilla sembrava spegnersi a ogni giro.

    “C’è qualcosa che non va, Meda? Ho detto qualcosa che…”
    “No, tu non… Stavo solo pensando che... anche i Black si sposano sempre per contratto e mai per amore: di certo i nostri non sono matrimoni in cui il “Moon’s Tear” possa considerarsi superfluo…”

Seguì un sorriso triste, mentre il suo sguardo avanzava sulla folla degli invitati, presi in duemila conversazioni e poco interessati al destino di Sheena e Jarvis. Mi stavo sentendo male, avevo la percezione dell’aria che mi veniva a mancare, stavo letteralmente soffocando.

    “Tuo padre ha già trovato un marito per te e le tue sorelle? È per questo che sei diventata triste?”
    “No, credo di no, non ancora, almeno: ma è preoccupato per Bellatrix, per le chiacchiere che provoca e teme per l’onore di tutte noi... So che sta valutando un marito per lei e… temo che…”
    “Capisco… Però… io penso che non tutti si legherebbero a una Black solo per sangue o per denaro: c’è anche chi si avvicinerebbe a te perché sa riconoscere la bellezza di quello che hai nel cuore… una persona che sarebbe capace di farti felice, che vorrebbe davvero farti felice, non è detto che…”
    “Mio padre ha invitato Roland Lestrange già due volte questo mese: quella non è certo una famiglia che si preoccupa del buon cuore del prossimo… e quello che è peggio, è che Lestrange ha due figli… Scusami, so che tu e Rodolphus siete amici, ma io… a me quei due mettono i brividi… e…”
    “E?”
    “Anche se non fossero loro, se anche fosse qualcuno con un cuore… La verità è che non sarei comunque io a scegliere il mio destino, perché io sono solo una proprietà della mia famiglia, pronta a passare di mano da mio padre a un altro uomo, come un oggetto qualsiasi, al giusto prezzo…”

Sentivo già da un po’, in testa, una voce che mi diceva di intervenire, prima che qualcuno si mettesse in mezzo e me la portasse via. Quel discorso, però, si rivelava anche peggiore perché vedevo la mia Meda, la piccola Meda a cui da sempre volevo bene, protesa verso un futuro crudele, fatto d’infelicità e dolore, un destino oscuro in una casa in cui sarebbe avvizzita insieme alle rose… in una coltre nera che non avrei augurato nemmeno a Bella, figurarsi a lei. No, in quel momento non importava che fosse destinata o meno a me, io non avrei comunque permesso che cadesse nelle mani di qualcuno indegno di lei, qualcuno senza un cuore, incapace di amarla come meritava.

    “Non è detto che finisca così… Potresti accorgerti di volere, ricambiata, qualcuno che piacerebbe anche ai tuoi. Potresti unire la loro felicità alla tua: perché non dovrebbe andare così?”

Non avevo il coraggio di guardarla, temevo avesse capito che mi riferivo a me stesso e che mi rifiutasse, ed io, vigliacco, non ero pronto a veder morire un altro sogno.

    “Come potrebbe coincidere la mia volontà con quella della mia famiglia? Ricordi tutti quei matrimoni tra parenti, celebrati perché i Black considerano gli altri non alla loro altezza? E se anche esistesse un Serpeverde purosangue, gentile, con un cuore, perché dovrebbero volere proprio me?”
    “Dovresti avere più fiducia in te stessa, Meda. Ti consideri molto meno di quanto vali, sai?”
    “Non mentire per pietà, per favore… So che cerchi di consolarmi, ma…”
    “Non ti voglio consolare… Piuttosto spiegami una cosa: se i tuoi ricevessero una proposta impossibile da rifiutare, da qualcuno che conosci e a cui vuoi almeno bene, lo vivresti comunque come una condanna o ti daresti almeno una possibilità, in virtù di quello che già provi per lui? Voglio dire, col tempo, con le sue attenzioni, potresti imparare ad amarlo anche tu: non è scritto da nessuna parte che tu debba essere infelice, Meda, da nessuna parte…”
    “Lo so che ti stai sforzando di farmi coraggio, Mirzam, lo so che per te, per la tua famiglia, queste storie sono assurde. Voi siete liberi… Io spero che, quando sarà il momento, il destino mi metterà nelle mani di qualcuno migliore di quanto temo… ma dentro di me lo so che non sarà così…”
    “Se non ci credi tu… beh… lo farò io per te, perché ti prometto che impedirò che tu sia infelice, dovessi venire a rapirti con la scopa da Quidditch e portarti in salvo a Herrengton… Tu non soffrirai accanto a qualcuno che non ti merita, Meda… te lo prometto…”
    “Sei talmente pazzo e generoso, Mirzam, che temo lo faresti davvero, sai? Anche a rischio di farti cruciare da mio padre, temo lo faresti… ma mi chiedo, che direbbe poi la ragazza che stai cercando, se tornassi a casa con una ragazzina come me sulla tua scopa?”

La guardai e sorrisi: c’era un tono di speranza nella sua voce? O ero così lontano dai suoi pensieri, che non aveva accarezzato nemmeno per un istante l’idea che non la stessi solo consolando? Fu un pensiero rapido, una pazzia, quello che mi attraversò la mente in quell’istante. C’era l’occasione, mancava pochissimo all’alba: sarebbe stata impartita la benedizione definitiva alla coppia, poi sarebbe iniziato il banchetto, tutti erano impegnati nei discorsi e con le cerimonie che si sarebbero svolte di lì a poco, c’era confusione, nessuno si sarebbe accorto della nostra assenza. Ed io volevo che lei capisse che non stavo scherzando, al di là delle parole che potevano ingannare.

    “Dammi la mano, Meda… voglio farti vedere una cosa…”

Andromeda passò rapidamente dal turbamento dei discorsi precedenti a un’espressione allarmata, forse si rese conto che eravamo lontani da tutti gli altri, al limitare del bosco e che in fondo, di me, si raccontavano storie non del tutto positive. Mi lanciò uno sguardo interdetto. Forse vedeva in me un pericolo o si sentiva debole e vulnerabile, forse era confusa perché doveva decidere in fretta.

    “Non ti voglio fare nulla, Meda… Vorrei solo portarti in un posto… farti vedere un luogo e non posso farlo in altro momento se non questo, perché sei già nelle Terre del Nord…"

Mi fissò, stava cercando nei miei occhi la prova della mia sincerità e la trovò, sorrise, affidandosi a me, consapevole che non l’avrei mai tradita. Mi diede la mano ed io la presi tra le mie, l’abbracciai e lei arrossì un po’, poi ci smaterializzammo, alla maniera del Nord. L’alba era prossima… I gabbiani gridavano intorno a noi, lingue di calcare e mare si fondevano con la sabbia: quella spiaggia era sconosciuta ai più, era la mia Herrengton e solo un forte sentimento poteva consentirmi di portare una persona senza Rune fin lì, senza l’invito di mio padre. Il cielo mercurio si fondeva nel mare placido dello stesso colore, le tenebre erano squarciate dalla luminosità del sole pronto ad emergere. Sirio si sarebbe levato all’orizzonte insieme a lui, in una danza che fondeva le due stelle più luminose del nostro cielo in un abbraccio che fin dall’antichità era salutato con speranza: per Jarvis significava la certezza di una vita nuova, per me, che ancora non potevo pretendere nulla dal destino, era una richiesta, un desiderio. Forse il mio solo desiderio.

    “Benvenuta nella casa di tutti noi, Andromeda Black…”
    “Che cosa? Vuoi dire che siamo a Herrengton?”

Annuii, lasciandola indietro, a pochi passi da me: si guardava attorno, in quel paesaggio quasi irreale, con quegli spazi aperti, quei colori sparati del cielo, in cui fuoco e tenebre si fondevano. Le onde arrivavano a lambirci i piedi, Meda si tolse le scarpe e iniziò ad avanzare libera nell’acqua, come una bambina entusiasta che vede l’oceano per la prima volta. Si voltò, era felice e serena.

    “Hogwarts si trova dietro a quelle montagne laggiù: siamo nel cuore delle Terre del Nord, su queste spiagge Salazar Slytherin fu salvato dalla mia gente e da qui ha ripreso il cammino per raggiungere gli altri fondatori. Herrengton si trova in un punto che non è possibile indicare sulle carte, lo conosciamo solo noi che viviamo queste terre, ma un incantesimo non permette di ricordarlo e ritrovarlo, se non negli otto Sabba. O a meno che non si abbia il sangue di Hifrig nelle vene…”
    “E’ bellissimo, Mirzam… Ti ringrazio di avermi portato qui: quando mi raccontavano le leggende da bambina, immaginavo queste spiagge, ed ora che sono qui, è come essere entrata in una fiaba… Scusami so che sto dicendo solo delle sciocchezze, ma non mi aspettavo nulla del genere…”
    “No, non sono sciocchezze… Anch’io ho provato un’emozione fortissima la prima volta che mio padre mi ha portato qui, da bambino. Vedi quella torre che emerge dal bosco? Sorge sulla caverna in cui Salazar si è rimesso in forze, ed ancora oggi è usata nei giorni sacri per i nostri riti. Aspetta… vuoi che t’insegni a chiamare le farfalle? Ti faccio vedere…”

Presi un mucchietto di sabbia, la strinsi tra le dita e ci soffiai, recitando un incantesimo antico, un centinaio di farfalle uscì dal mio pugno, danzando intorno a lei, davanti ai suoi occhi trasognati. L’avevo già fatto, il giorno del suo compleanno, quando avevo trasformato in rosa la sua piuma, ma forse non si era accorta che non avevo usato la bacchetta: la tradizione diceva che ne eravamo capaci, ma per i più quella era solo una leggenda. Le presi la mano e la guardai, lei fece scivolare il suo sguardo sul mio, poi sul mio collo e sulle mie mani, non ci voleva molto per capire perché fosse così incerta. Quali fossero i suoi dubbi. Sorrisi.

    “Come potrei? Io non ho le Rune, Mirzam… e non ho una bacchetta con me, in questo momento…”
    “C’è chi non vuole che si dica, Meda, ma le Rune sono dentro ognuno di noi. Non esiste un solo Mago che non le abbia incise dentro di sé, l’unica differenza è che noi, attraverso i riti del Nord, siamo ancora in grado di renderle visibili, mentre tutti gli altri, dopo secoli di oblio, hanno perso la capacità di evocarle. Ma è ancora possibile e semplice svelare l’Antica Magia e la nostra natura…”

Le sfiorai la mano con le dita, lei mi guardò sorpresa, quando vide apparire le Rune sotto la pelle pallida del suo palmo, per poi scomparire di nuovo.

    “Non è possibile… Come hai fatto? Ti stai prendendo gioco di me…”
    “No, Meda… se ricordi la leggenda, qui non è possibile mentire sulla nostra natura e su ciò che vogliamo… Ti ho portato qui perché tu sappia quello che ho nel cuore… Guardami: io ti sarò sempre accanto, se lo vorrai… Ti proteggerò… sempre… Quello che ti ho promesso prima a Loch Shin non sono parole vuote, io ci credo davvero e vorrei che ci credessi anche tu…”

L’abbracciai, stringendola; respirai il suo profumo, affondando il viso tra i suoi capelli, la sentivo tremare, io stesso ero preso tra l’emozione e il timore per quello che avrebbe risposto. Il momento della verità era giunto, forse avrei dovuto vivere per sempre di quei soli, pochi attimi. Meda si staccò da me e mi fissò a lungo, all’improvviso si sollevò sulle punte, mi accarezzò il viso con le dita e poggiò, leggera, le labbre sulle mie. Forse era solo un bacio fraterno nelle sue intenzioni, ma non per me: mi chinai su di lei e senza pensare più a niente trasformai quel delicato sfiorarsi di labbra nell’espressione del mio desiderio profondo e appassionato. Ero convinto che il tempo si fosse fermato attorno a noi, mentre Sirio sorgeva sul nostro mondo e sul nostro futuro. Il timido calore del sole del Nord mi scaldò appena le guance, già rosse e vive per ben altri motivi: non sapevo cosa stava accadendo, era ciò che desideravo ed era giusto, eppure una voce nella mia mente urlava che poteva essere il mio ennesimo sbaglio. Ed io non volevo ascoltare. Mi staccai solo quando sentii qualcosa di umido sulle mie guance, ero rimasto a occhi chiusi per assaporare quel momento con la massima intensità e non mi ero accorto delle lacrime, incomprensibili, che rigavano il viso di Andromeda Black. Mi si fermò il cuore…

    “Salazar, ti prego, no… Ti prego, Meda, scusami… io… non volevo mancarti di rispetto… io...”

Meda mi guardò, le dita si posarono sulle mie labbra impedendomi di continuare, io le baciai, in silenzio, una dopo l’altra, gli occhi incatenati al suo sguardo.

    “Io non credevo… è… è stato il mio primo bacio, Mirzam: non credevo che sarebbe stato… che sarebbe stato con te… che sarebbe stato così bello… e che sarei stata così… felice… sì, felice… io credevo che… sarei stata costretta a darlo a qualcuno che non amo e invece… ”

Arrossì, in quell’improvviso silenzio, in quella voce, che si rompeva nel pudore dei suoi veri sentimenti per me, c’era tutto ciò che desideravo. La strinsi di nuovo tra le braccia, incoraggiato dalla sua emozione, la sollevai facilmente, riprendendo a baciarla con passione… Ero felice nel sentirla vibrare di un sentimento che per mesi speravo potesse nascere un giorno in lei, e che non immaginavo coltivasse già dentro di sé, in segreto. Anche lei sognava di noi, come me… La lasciai con molta difficoltà e lei si perse di nuovo, felice, nel mio sguardo…

    “Vorrei continuare a stare da solo con te, Meda, ma temo sia meglio riportarti indietro, non vorrei procurarti dei guai con la tua famiglia… Ma voglio rivederti il prima possibile, ho bisogno anche solo di guardarti da lontano… come ho fatto a scuola per mesi…”
   
Le accarezzai il viso, delicatamente, assaporando la malinconia dell’attesa, che mi avrebbe travolto fino a che non mi sarebbe stato concesso di sfiorarla di nuovo. Meda, sorridendo, annuì e annodò la sua mano alla mia, poi, carichi entrambi di speranze, sogni e progetti, la strinsi a me per smaterializzarci; ritornammo indietro in silenzio, a Loch Shin, tra la gente presa dalla festa e dal banchetto, tra gli amici e i parenti, tutti inconsapevoli della verità e dei sentimenti che miracolosamente e inaspettatamente ci legavano l’uno all’altra.



*continua*



NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, aggiunto a preferiti/seguiti, recensito ecc ecc.

Valeria



Scheda
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