Mentre fuori
proseguivano le celebrazioni, Nagual il
saggio trascorreva lunghe ore all’interno della propria
capanna immerso nelle sue
meditazioni. Un emissario avvisò Gory, con suo grande
stupore, che il vecchio
capo desiderava incontrarlo in privato. L’accompagnatore
guidò il Messicano
all’ingesso dell’abitazione, dentro la quale Nagual
lo stava aspettando da
qualche minuto, Totec era presente in qualità di interprete.
Nonostante la
magnifica maschera, Nagual lasciava trasparire dai suoi gesti e dalla
sua voce
l’importanza della ragione per cui il forestiero era stato
condotto al suo
cospetto. L’anziana guida di Onca iniziò dunque il
suo solenne discorso,
intervallato dalle spiegazioni del medico, che lo rendeva comprensibile
all’orecchio di Gory. Questo fu quanto aveva da dire:
“Ti ho convocato qui per
un motivo preciso. Il coraggio, la perseveranza e l’impegno
sono qualità che
appartengono ai grandi uomini, ma tu hai dimostrato un valore ben
più profondo.
Tu hai anteposto alla tua stessa vita il benessere del nostro
villaggio,
sebbene non ne avessi motivazione alcuna. Questo è
ciò che distingue i veri
eroi, i veri guerrieri, i veri Yaguarhua. Pertanto ho deciso di
eleggerti
membro onorario di Onca, che da oggi, qualora lo vorrai, è
la tua casa, dove
ognuno ti riconoscerà come un qualsiasi figlio della madre
terra”. Gory fu
pervaso da viva emozione, seguita da un piacevole senso
d’orgoglio.
Naturalmente on poté che accettare la generosa offerta del
suo interlocutore,
ringraziandolo di tutto cuore, ma a quanto sembrava non terminava
lì la causa
della sua venuta. Lieto della risposta del nuovo Yaguarhua, Nagual si
issò
dallo sgabello su cui sedeva, si avvicinò al Messicano e
fissando il suo
sguardo in quello di Gory, proseguì quanto aveva solo
incominciato: “Soltanto ora
che appartieni a questi luoghi sacri, posso annunciarti la vera ragione
che mi
ha spinto a così difficili riflessioni durante questi giorni
di gloria. Mio
valoroso amico, in te ho scorto lo spirito del leggendario prescelto e
nonostante gli antichi scritti degli avi, abbiano già
indicato chi costui debba
essere, con cui io mi trovo certamente d’accordo, voglio
estendere anche a te
l’opportunità di conoscere i segreti della somma
arte, attraverso i quali il
guerriero che giace in te scopra le sue reali potenzialità.
E’ questo un dono
che intendo farti per ringraziarti del grande apporto offertoci dalla
tua
presenza ad Onca, sei libero di rifiutare, ma son certo che
l’animo combattivo
che rintraccio nei tuoi occhi non potrà resistere a destare
i suoi poteri
sopiti”. Ponendo la destra sul cuore, il ritrovato lottatore,
un tempo
conosciuto come “il Re”, promise eterna gratitudine
per l’onore concessogli,
del quale non intendeva certo privarsi, sarebbe diventato un allievo
fedele ed
appassionato, poiché comprendeva l’importanza di
una così rara occasione,
offertagli dallo stesso destino che gli aveva voltato le spalle sin
dalla nascita.
Avrebbe finalmente ottenuto la tanto agognata rivincita. La sua
esistenza stava
per mutare completamente ed egli ne era assolutamente consapevole.
Nagual
ufficializzò l’evento, conducendo l’eroe
davanti all’effige di Ocelotl,
affinché anche la divinità assistesse al rito. Il
popolo accorse numeroso e il
loro capo intinse due dita in un composto purpureo, poi, con tale
pigmento,
raffigurò sul petto spoglio di Gory un simbolo arcaico, che
tutti riconobbero
come lo stemma del dio. A questo punto un ragazzino porse al saggio
Nagual
quella che da allora sarebbe divenuta la maschera votiva del nuovo
discepolo.
Lo aiutò ad indossarla. Tra le urla gioiose del popolo
chiamato a testimoniare,
era nato un altro Yaguarhua. Su richiesta del vecchio prescelto, Gory
fu
invitato a scegliere quale sarebbe stato il suo nuovo nome da
guerriero-giaguaro ed egli non aveva alcun dubbio a riguardo: di
lì in avanti
si sarebbe chiamato King. All’ombra di una sequoia, Jagha
assisteva da lontano.
In lui germinava un odio profondo verso il secondo allievo di Nagual,
si
sentiva tradito, messo da parte, insultato e ferito. Il giaguaro nero
sparì penetrando
nel fogliame della foresta.
Il giorno seguente, con
il suo carico di aspettative,
arrivò puntuale come ogni altro. King fu risvegliato dalle
strofe cantilenanti
delle preghiere al dio Ocelotl provenienti dal vicino tempietto.
Uscì
all’aperto, le donne si apprestavano a partire alla volta del
fiume,
chiacchierando tra loro animatamente, il mercante piazzava le proprie
merci in
cambio di chicchi di cacao, secondo un’antichissima usanza
azteca, la vita
scorreva di nuovo tranquilla ad Onca. Come stabilito la sera prima, un
inviato
di Nagual si presentò a King per accompagnarlo nel luogo,
dove egli avrebbe
incominciato il suo cammino verso i misteri dell’arte degli
Yaguarhua. La
strada da percorrere fu piuttosto breve. Sul posto il vecchio
capo-villaggio
stava già allenando il suo discepolo da ore. Alla vista di
King Jagha fu invaso
da un radicato furore, in un lampo si parò davanti al rivale
e con una mano gli
strinse il collo con vigore. Stavolta nemmeno Nagual poteva calmare la
reazione
del giaguaro nero, il quale ringhiando ferocemente fissava gli occhi di
King,
finché mollando d’un tratto la presa,
voltò le spalle, si portò al centro
dell’area riservata all’addestramento e rivolgendo
nuovamente lo sguardo al
Messicano disse: “E così tu pensi di poter
piombare qui dal nulla, abusare della
nostra ospitalità ed impossessarti dei principi alla base
della nostra nobile
cultura? Hai dimostrato del fegato, lo ammetto, ma la suprema arte
degli
Yaguarhua da secoli viene rivelata ad uno ed uno soltanto degli
abitanti di
Onca per ogni generazione, affinché egli la custodisca in
attesa del nuovo
prescelto. Quel predestinato sono io e per giungere preparato ad
affrontare i
sacri insegnamenti, ho dovuto superare estenuanti prove per dimostrare
di
meritare quanto gli antenati avevano già deciso negli
antichi scritti. Per
ragioni che a me appaiono oscure, il maestro ha reputato che tu, uno
sconosciuto venuto da chissà dove, abbia conquistato il
diritto di accedere ai
preziosi segreti degli avi. Beh, sappi che non lo
permetterò, poiché esiste un
solo prescelto e quello sono sono io, senza dubbio alcuno.
Mostrerò a Nagual la
realtà dei fatti, cioè che si sbagliava sul tuo
conto e che tu sei soltanto un
debole, perciò preparati… King, preparati ad
assaporare il tuo stesso sangue!”.
Senza neppure concedere il tempo di riflettere su ciò che
aveva appena
annunciato, Jagha si lanciò all’attacco, ma King
non mancò nel prevedere tale
mossa. Il giaguaro nero era spinto dall’ostilità e
dall’odio, che offuscavano
la sua mente, impedendogli di assestare colpi precisi ed accuratamente
studiati. King dal canto suo, conosceva l’abilità
dell’avversario, ma, come
aveva avuto modo di imparare suo malgrado sulle strade di
Città del Messico, un
combattente non lucido è simile ad un toro cieco. Jagha
continuava senza sosta
il suo assalto, ma il Re schivava rapidamente, lungi
dall’offrire un bersaglio
fisso a quelle tecniche imprecise quanto potenti. Tuttavia
l’attacco è la
miglior difesa, dunque, approfittando dell’ennesimo colpo a
vuoto, King sferrò
un poderoso calcio alla caviglia di Jagha, che sbilancito,
finì a terra per un
istante, ma subito si riprese, ancora più furioso, ancora
più cieco. Balzando
su un tronco, il prescelto si scagliò
sull’avversario, che rotolando sulla
schiena evitò prontamente. Fu la volta di King, che
avvalendosi dela maggior
quantità di fiato risparmiato, eseguì una serie
di attacchi ben calcolati che
fecero echeggiare tra le ampie volte alberate della foresta il suono
della
sacra armatura. Il giaguaro nero mostrava i primi segnali di cedimento,
ma arrendersi
era per lui un’ipotesi nemmeno da contemplare, pertanto
rimessosi in sesto
tentò la mossa decisiva. Ancora una volta King, aiutato dai
suoi mirabili
riflessi, si scansò appena in tempo, roteò sul
posto e, come pervaso dallo
spirito dell’agile felino di cui portava la maschera,
imitò i gesti del
giaguaro, aprendo con le unghie, sul volto del rivale, un profondo
squarcio, da
cui copioso zampillò il fluido purpureo. Finalmente Jagha
sospese la sua foga e
portò una mano sull’occhio sinistro, rimasto gravemente
ferito. “Non credere
che sia finita, King, ci rivedremo presto, te
l’assicuro!”, queste furono le
sue ultime parole prima di dileguarsi, ancora grondante di sangue, nei
labirintici meandri della grande foresta. King, ansimante e confuso,
rivolgendo
lo sguardo a Nagual, che aveva assistito ad ogni cosa senza poter
intervenire
in alcun modo, con un cenno della testa volle intendere che lasciarlo
andare
fosse la cosa più giusta al momento. L’allievo
obbedì, ma era assolutamente
certo che quella non sarebbe stata l’ultima occasione di
affrontare il giaguaro
nero, suo degno rivale. Stranamente la cosa non lo turbava affatto, ma
anzi, si
sentiva elettrizzato all’idea.
Giorno e notte le
estenuanti esercitazioni andarono
avanti per mesi. King imparò ad amalgamarsi con il suo lato
primordiale,
divenne vento, acqua e terra, per un attimo fu la natura stessa. Questo
viaggio
trascendente all’interno del suo spirito fu monitorato passo
passo dall’attento
Nagual, che amorevolmente indicava all’adepto ai misteri
della somma arte la
giusta via da seguire. Quando combatteva King non era più il
ragazzino che
faceva a pugni per denaro o per sopravvivere, egli era divenuto un
cacciatore,
i cui sensi finissimi carpivano le debolezze della preda per affondare
il colpo
fatale. Ora il guerriero sapeva controllare il suo animo combattivo e
quando si
metteva in contatto con esso, né grida, né
parole, ma veri ruggiti provenivano
dalle fauci della sua maschera. Nagual apprezzando i grandi e rapidi
progressi
ottenuti dal discepolo, un giorno gli strinse la mano e con orgoglio
affermò
che l’addestramento era concluso poiché egli era
ormai pronto. Un fruscio
s’alzò dalle piante del bosco, King si
offrì per andare a dare un’occhiata.
Appostatosi celato dalla fitta vegetazione amazzonica, scorse a poca
distanza
un gruppo di uomini con l’aria di chi stava cercando
qualcosa… o qualcuno. Ad
uno sguardo più attento, King riconobbe in colui che guidava
la compagnia
l’anziano capitano O’Brian, che, a quanto sembrava,
non aveva mai perso la speranza
di ritrovare l’amico scomparso. King si sfilò la
maschera e gli andò incontro.
La loro spedizione si era conclusa a buon fine. Era quello il momento
degli
addii. Nottetempo King abbandonò la tenda della squadra
esplorativa e raggiunse
in segreto con l’ausilio delle tenebre l villaggio di Onca.
Furono saluti
sofferti ma necessari, la vecchia vita in Messico lo attendeva, ma gli
insegnamenti di Nagual non sarebbero certo finiti nell’oblio.
Tornato a casa,
il primo pensiero di King fu quello di accertarsi delle condizioni di
salute
dell’amato padre adottivo, ma purtroppo il nuovo parroco
della piccola
chiesetta, dove egli aveva conosciuto l’affetto familiare,
col capo chino
indicò da una finestra, che dava sul retro della sacrestia,
un lapide piantata
nel giardino adiacente la chiesetta. Con gli occhi traboccanti di
lacrime King
si avvicinò alla lastra marmorea, lesse le iscrizioni
funebri ed ancora una
volta, forse più della prima, si sentì orfano.
Giurò sulla tomba di Padre Elias
che avrebbe realizzato il suo progetto di costruire un orfanotrofio, in
cui
proseguire il sogno di redimere il quartiere iniziato dal defunto
prelato. King
aveva bisogno di denaro, ma gli fu facile rintracciare la soluzione:
divenne un
lottatore di wrestling professionista, vinse uno dopo l’altro
numerosi campionati,
i cui proventi vennero impegnati nella realizzazione della casa di
accoglienza
per bambini privi di genitori. In poco tempo l’orfanotrofio
diventò una realtà
e King, conosciuto ormai ovunque come un grande wrestler, di giorno si
interessava alla cura dei trovatelli sfortunati, ma di notte sfogava il
giaguaro che viveva in lui sui ring di tutto il mondo. Aveva ormai
compiuto
trentadue anni e la sua fama di combattente lo precedeva ad ogni suo
viaggio. Si
trovava in Giappone, quando giunse al suo orecchio la notizia di un
importante
torneo organizzato da colui che in Oriente era conosciuto come il
più grande
esperto di arti marziali di tutti i tempi, Heihachi Mishima,
proprietario di
immense ricchezze e delle industrie omonime. Il Tekken, tale era il
nome del
torneo, metteva in palio un’enorme quantità di
denaro, indispensabile per la
sopravvivenza dell’orfanotrofio, e ad esso avrebbero preso
parte i più famosi
lottatori al mondo. King doveva assolutamente partecipare
all’evento, ma
l’iscrizione era troppo dispendiosa per le sue tasche. Dopo
diverse settimane
di riflessioni decise di chiedere un prestito al suo ordine
sacerdotale,
spiegando le ragioni e gli scopi della richiesta. Il consiglio comprese
i buoni
propositi del prete combattente, ma la notizia avrebbe di certo
indignato
l’opinione pubblica, reputando disdicevole che un membro del
clero facesse uso
della violenza, seppur in ambito sportivo. Dunque, dopo aver esaminato
attentamente la buona fede del missionario, si giunse ad assecondarla
concedendo il prestito, ma alla sola condizione che King fosse espulso
dall’ordine. Lacerato dal dissidio, il Messicano
accettò la proposta.
Tuttavia King non fu
l’unico venuto a conoscenza dell’Iron
Fist tournament. Parallelamente a lui, infatti, un altro wrestler aveva
dato
un’ottima prova di sé nei campionati
professionistici. I suoi avversari
giuravano di non aver mai visto nulla del genere, il lottatore
indossava
un’armatura e aveva il volto coperto dalla maschera di un
giaguaro nero, si faceva
chiamare Armour King. Il potente Yaguarhua aveva dunque seguito
l’esempio del
rivale ed aveva avuto notizia, frequentando i loschi ambienti degli
scommettitori, che anche King si era iscritto al torneo, lo sfondo
perfetto per
la sua rivalsa.
Il
gong di Tekken stava per vibrare, tutti i
combattenti erano pronti a schierarsi, la resa dei conti era ormai
vicina. Il
ruggito del giaguaro risuonava all’orizzonte.
|