Videogiochi > Tekken
Segui la storia  |       
Autore: depy91    01/11/2009    2 recensioni
Le origini di KingI, le ragioni della rivalita con Armour King: il mistero che si cela dietro la maschera. "Un rivolo di sangue scorreva lungo il suo labbro inferiore, estese macchie ematiche gli incorniciavano l’occhio sinistro: gli ultimi segni dell’ennesimo colpo infertogli dalla sorte e da pugni ben assestati. Vivere nelle zone più malfamate dei bassifondi di Città del Messico, popolati da criminali e disadattati di ogni sorta, è dura per tutti, figuriamoci per un orfano, che ha perso i genitori in un triste giorno ben più lontano di quanto la sua memoria potesse conservare in ricordo."
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: King
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il Ruggito del Giaguaro'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Mentre fuori proseguivano le celebrazioni, Nagual il saggio trascorreva lunghe ore all’interno della propria capanna immerso nelle sue meditazioni. Un emissario avvisò Gory, con suo grande stupore, che il vecchio capo desiderava incontrarlo in privato. L’accompagnatore guidò il Messicano all’ingesso dell’abitazione, dentro la quale Nagual lo stava aspettando da qualche minuto, Totec era presente in qualità di interprete. Nonostante la magnifica maschera, Nagual lasciava trasparire dai suoi gesti e dalla sua voce l’importanza della ragione per cui il forestiero era stato condotto al suo cospetto. L’anziana guida di Onca iniziò dunque il suo solenne discorso, intervallato dalle spiegazioni del medico, che lo rendeva comprensibile all’orecchio di Gory. Questo fu quanto aveva da dire: “Ti ho convocato qui per un motivo preciso. Il coraggio, la perseveranza e l’impegno sono qualità che appartengono ai grandi uomini, ma tu hai dimostrato un valore ben più profondo. Tu hai anteposto alla tua stessa vita il benessere del nostro villaggio, sebbene non ne avessi motivazione alcuna. Questo è ciò che distingue i veri eroi, i veri guerrieri, i veri Yaguarhua. Pertanto ho deciso di eleggerti membro onorario di Onca, che da oggi, qualora lo vorrai, è la tua casa, dove ognuno ti riconoscerà come un qualsiasi figlio della madre terra”. Gory fu pervaso da viva emozione, seguita da un piacevole senso d’orgoglio. Naturalmente on poté che accettare la generosa offerta del suo interlocutore, ringraziandolo di tutto cuore, ma a quanto sembrava non terminava lì la causa della sua venuta. Lieto della risposta del nuovo Yaguarhua, Nagual si issò dallo sgabello su cui sedeva, si avvicinò al Messicano e fissando il suo sguardo in quello di Gory, proseguì quanto aveva solo incominciato: “Soltanto ora che appartieni a questi luoghi sacri, posso annunciarti la vera ragione che mi ha spinto a così difficili riflessioni durante questi giorni di gloria. Mio valoroso amico, in te ho scorto lo spirito del leggendario prescelto e nonostante gli antichi scritti degli avi, abbiano già indicato chi costui debba essere, con cui io mi trovo certamente d’accordo, voglio estendere anche a te l’opportunità di conoscere i segreti della somma arte, attraverso i quali il guerriero che giace in te scopra le sue reali potenzialità. E’ questo un dono che intendo farti per ringraziarti del grande apporto offertoci dalla tua presenza ad Onca, sei libero di rifiutare, ma son certo che l’animo combattivo che rintraccio nei tuoi occhi non potrà resistere a destare i suoi poteri sopiti”. Ponendo la destra sul cuore, il ritrovato lottatore, un tempo conosciuto come “il Re”, promise eterna gratitudine per l’onore concessogli, del quale non intendeva certo privarsi, sarebbe diventato un allievo fedele ed appassionato, poiché comprendeva l’importanza di una così rara occasione, offertagli dallo stesso destino che gli aveva voltato le spalle sin dalla nascita. Avrebbe finalmente ottenuto la tanto agognata rivincita. La sua esistenza stava per mutare completamente ed egli ne era assolutamente consapevole. Nagual ufficializzò l’evento, conducendo l’eroe davanti all’effige di Ocelotl, affinché anche la divinità assistesse al rito. Il popolo accorse numeroso e il loro capo intinse due dita in un composto purpureo, poi, con tale pigmento, raffigurò sul petto spoglio di Gory un simbolo arcaico, che tutti riconobbero come lo stemma del dio. A questo punto un ragazzino porse al saggio Nagual quella che da allora sarebbe divenuta la maschera votiva del nuovo discepolo. Lo aiutò ad indossarla. Tra le urla gioiose del popolo chiamato a testimoniare, era nato un altro Yaguarhua. Su richiesta del vecchio prescelto, Gory fu invitato a scegliere quale sarebbe stato il suo nuovo nome da guerriero-giaguaro ed egli non aveva alcun dubbio a riguardo: di lì in avanti si sarebbe chiamato King. All’ombra di una sequoia, Jagha assisteva da lontano. In lui germinava un odio profondo verso il secondo allievo di Nagual, si sentiva tradito, messo da parte, insultato e ferito. Il giaguaro nero sparì penetrando nel fogliame della foresta.

Il giorno seguente, con il suo carico di aspettative, arrivò puntuale come ogni altro. King fu risvegliato dalle strofe cantilenanti delle preghiere al dio Ocelotl provenienti dal vicino tempietto. Uscì all’aperto, le donne si apprestavano a partire alla volta del fiume, chiacchierando tra loro animatamente, il mercante piazzava le proprie merci in cambio di chicchi di cacao, secondo un’antichissima usanza azteca, la vita scorreva di nuovo tranquilla ad Onca. Come stabilito la sera prima, un inviato di Nagual si presentò a King per accompagnarlo nel luogo, dove egli avrebbe incominciato il suo cammino verso i misteri dell’arte degli Yaguarhua. La strada da percorrere fu piuttosto breve. Sul posto il vecchio capo-villaggio stava già allenando il suo discepolo da ore. Alla vista di King Jagha fu invaso da un radicato furore, in un lampo si parò davanti al rivale e con una mano gli strinse il collo con vigore. Stavolta nemmeno Nagual poteva calmare la reazione del giaguaro nero, il quale ringhiando ferocemente fissava gli occhi di King, finché mollando d’un tratto la presa, voltò le spalle, si portò al centro dell’area riservata all’addestramento e rivolgendo nuovamente lo sguardo al Messicano disse: “E così tu pensi di poter piombare qui dal nulla, abusare della nostra ospitalità ed impossessarti dei principi alla base della nostra nobile cultura? Hai dimostrato del fegato, lo ammetto, ma la suprema arte degli Yaguarhua da secoli viene rivelata ad uno ed uno soltanto degli abitanti di Onca per ogni generazione, affinché egli la custodisca in attesa del nuovo prescelto. Quel predestinato sono io e per giungere preparato ad affrontare i sacri insegnamenti, ho dovuto superare estenuanti prove per dimostrare di meritare quanto gli antenati avevano già deciso negli antichi scritti. Per ragioni che a me appaiono oscure, il maestro ha reputato che tu, uno sconosciuto venuto da chissà dove, abbia conquistato il diritto di accedere ai preziosi segreti degli avi. Beh, sappi che non lo permetterò, poiché esiste un solo prescelto e quello sono sono io, senza dubbio alcuno. Mostrerò a Nagual la realtà dei fatti, cioè che si sbagliava sul tuo conto e che tu sei soltanto un debole, perciò preparati… King, preparati ad assaporare il tuo stesso sangue!”. Senza neppure concedere il tempo di riflettere su ciò che aveva appena annunciato, Jagha si lanciò all’attacco, ma King non mancò nel prevedere tale mossa. Il giaguaro nero era spinto dall’ostilità e dall’odio, che offuscavano la sua mente, impedendogli di assestare colpi precisi ed accuratamente studiati. King dal canto suo, conosceva l’abilità dell’avversario, ma, come aveva avuto modo di imparare suo malgrado sulle strade di Città del Messico, un combattente non lucido è simile ad un toro cieco. Jagha continuava senza sosta il suo assalto, ma il Re schivava rapidamente, lungi dall’offrire un bersaglio fisso a quelle tecniche imprecise quanto potenti. Tuttavia l’attacco è la miglior difesa, dunque, approfittando dell’ennesimo colpo a vuoto, King sferrò un poderoso calcio alla caviglia di Jagha, che sbilancito, finì a terra per un istante, ma subito si riprese, ancora più furioso, ancora più cieco. Balzando su un tronco, il prescelto si scagliò sull’avversario, che rotolando sulla schiena evitò prontamente. Fu la volta di King, che avvalendosi dela maggior quantità di fiato risparmiato, eseguì una serie di attacchi ben calcolati che fecero echeggiare tra le ampie volte alberate della foresta il suono della sacra armatura. Il giaguaro nero mostrava i primi segnali di cedimento, ma arrendersi era per lui un’ipotesi nemmeno da contemplare, pertanto rimessosi in sesto tentò la mossa decisiva. Ancora una volta King, aiutato dai suoi mirabili riflessi, si scansò appena in tempo, roteò sul posto e, come pervaso dallo spirito dell’agile felino di cui portava la maschera, imitò i gesti del giaguaro, aprendo con le unghie, sul volto del rivale, un profondo squarcio, da cui copioso zampillò il fluido purpureo. Finalmente Jagha sospese la sua foga e portò una mano sull’occhio sinistro, rimasto gravemente ferito. “Non credere che sia finita, King, ci rivedremo presto, te l’assicuro!”, queste furono le sue ultime parole prima di dileguarsi, ancora grondante di sangue, nei labirintici meandri della grande foresta. King, ansimante e confuso, rivolgendo lo sguardo a Nagual, che aveva assistito ad ogni cosa senza poter intervenire in alcun modo, con un cenno della testa volle intendere che lasciarlo andare fosse la cosa più giusta al momento. L’allievo obbedì, ma era assolutamente certo che quella non sarebbe stata l’ultima occasione di affrontare il giaguaro nero, suo degno rivale. Stranamente la cosa non lo turbava affatto, ma anzi, si sentiva elettrizzato all’idea.

Giorno e notte le estenuanti esercitazioni andarono avanti per mesi. King imparò ad amalgamarsi con il suo lato primordiale, divenne vento, acqua e terra, per un attimo fu la natura stessa. Questo viaggio trascendente all’interno del suo spirito fu monitorato passo passo dall’attento Nagual, che amorevolmente indicava all’adepto ai misteri della somma arte la giusta via da seguire. Quando combatteva King non era più il ragazzino che faceva a pugni per denaro o per sopravvivere, egli era divenuto un cacciatore, i cui sensi finissimi carpivano le debolezze della preda per affondare il colpo fatale. Ora il guerriero sapeva controllare il suo animo combattivo e quando si metteva in contatto con esso, né grida, né parole, ma veri ruggiti provenivano dalle fauci della sua maschera. Nagual apprezzando i grandi e rapidi progressi ottenuti dal discepolo, un giorno gli strinse la mano e con orgoglio affermò che l’addestramento era concluso poiché egli era ormai pronto. Un fruscio s’alzò dalle piante del bosco, King si offrì per andare a dare un’occhiata. Appostatosi celato dalla fitta vegetazione amazzonica, scorse a poca distanza un gruppo di uomini con l’aria di chi stava cercando qualcosa… o qualcuno. Ad uno sguardo più attento, King riconobbe in colui che guidava la compagnia l’anziano capitano O’Brian, che, a quanto sembrava, non aveva mai perso la speranza di ritrovare l’amico scomparso. King si sfilò la maschera e gli andò incontro. La loro spedizione si era conclusa a buon fine. Era quello il momento degli addii. Nottetempo King abbandonò la tenda della squadra esplorativa e raggiunse in segreto con l’ausilio delle tenebre l villaggio di Onca. Furono saluti sofferti ma necessari, la vecchia vita in Messico lo attendeva, ma gli insegnamenti di Nagual non sarebbero certo finiti nell’oblio. Tornato a casa, il primo pensiero di King fu quello di accertarsi delle condizioni di salute dell’amato padre adottivo, ma purtroppo il nuovo parroco della piccola chiesetta, dove egli aveva conosciuto l’affetto familiare, col capo chino indicò da una finestra, che dava sul retro della sacrestia, un lapide piantata nel giardino adiacente la chiesetta. Con gli occhi traboccanti di lacrime King si avvicinò alla lastra marmorea, lesse le iscrizioni funebri ed ancora una volta, forse più della prima, si sentì orfano. Giurò sulla tomba di Padre Elias che avrebbe realizzato il suo progetto di costruire un orfanotrofio, in cui proseguire il sogno di redimere il quartiere iniziato dal defunto prelato. King aveva bisogno di denaro, ma gli fu facile rintracciare la soluzione: divenne un lottatore di wrestling professionista, vinse uno dopo l’altro numerosi campionati, i cui proventi vennero impegnati nella realizzazione della casa di accoglienza per bambini privi di genitori. In poco tempo l’orfanotrofio diventò una realtà e King, conosciuto ormai ovunque come un grande wrestler, di giorno si interessava alla cura dei trovatelli sfortunati, ma di notte sfogava il giaguaro che viveva in lui sui ring di tutto il mondo. Aveva ormai compiuto trentadue anni e la sua fama di combattente lo precedeva ad ogni suo viaggio. Si trovava in Giappone, quando giunse al suo orecchio la notizia di un importante torneo organizzato da colui che in Oriente era conosciuto come il più grande esperto di arti marziali di tutti i tempi, Heihachi Mishima, proprietario di immense ricchezze e delle industrie omonime. Il Tekken, tale era il nome del torneo, metteva in palio un’enorme quantità di denaro, indispensabile per la sopravvivenza dell’orfanotrofio, e ad esso avrebbero preso parte i più famosi lottatori al mondo. King doveva assolutamente partecipare all’evento, ma l’iscrizione era troppo dispendiosa per le sue tasche. Dopo diverse settimane di riflessioni decise di chiedere un prestito al suo ordine sacerdotale, spiegando le ragioni e gli scopi della richiesta. Il consiglio comprese i buoni propositi del prete combattente, ma la notizia avrebbe di certo indignato l’opinione pubblica, reputando disdicevole che un membro del clero facesse uso della violenza, seppur in ambito sportivo. Dunque, dopo aver esaminato attentamente la buona fede del missionario, si giunse ad assecondarla concedendo il prestito, ma alla sola condizione che King fosse espulso dall’ordine. Lacerato dal dissidio, il Messicano accettò la proposta.

Tuttavia King non fu l’unico venuto a conoscenza dell’Iron Fist tournament. Parallelamente a lui, infatti, un altro wrestler aveva dato un’ottima prova di sé nei campionati professionistici. I suoi avversari giuravano di non aver mai visto nulla del genere, il lottatore indossava un’armatura e aveva il volto coperto dalla maschera di un giaguaro nero, si faceva chiamare Armour King. Il potente Yaguarhua aveva dunque seguito l’esempio del rivale ed aveva avuto notizia, frequentando i loschi ambienti degli scommettitori, che anche King si era iscritto al torneo, lo sfondo perfetto per la sua rivalsa.

Il gong di Tekken stava per vibrare, tutti i combattenti erano pronti a schierarsi, la resa dei conti era ormai vicina. Il ruggito del giaguaro risuonava all’orizzonte.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Tekken / Vai alla pagina dell'autore: depy91