That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Mirzam - MS.007
- Jealousy
Mirzam
Sherton
King's Cross, Londra - dom. 1 settembre 1968
Ero intirizzito, grondante pioggia, diedi il
mantello a Doimòs e mi affrettai in camera per un bagno
caldo. L’estate era finita, Meda era appena partita per
Hogwarts; quella mattina ero andato alla stazione, incapace di
resistere lontano da lei, il viso nascosto dal cappuccio, per non dover
rispondere a imbarazzanti domande. Quando i suoi genitori si erano
fermati con Cissa a salutare Abraxas Malfoy e Bellatrix si era
allontanata con i suoi amici, l’avevo urtata casualmente
lungo il binario, facendomi riconoscere solo da lei. Il tempo di
sfiorarle la mano, come un ladro, e poi scorrere via. Il tempo
di percepire il suo sorriso e le sue guance che arrossivano per me. Il
tempo di sentir ripartire il mio cuore per un suo sguardo innamorato.
Poi il treno se l’era portata via, ed io ero tornato
indietro, fingendo che quella per me fosse una giornata qualunque.
Erano state settimane piene, fatte di allenamenti e fughe improvvise a
Diagon Alley, nella speranza di incrociare Andromeda e parlarle ancora.
Stenton non era per niente felice della mia aria distratta e della mia
incostanza, io gli avevo assicurato che a settembre sarei ritornato con
la testa sulle spalle, allora mi aveva guardato severo, gli si era
stampato un sorriso malizioso in faccia e borbottando qualcosa che
suonava “… sei tutto tuo
padre…” aveva deciso di lasciarmi fare. Sapevamo
entrambi che non avrei mantenuto quella promessa. Quel mese di agosto,
a Londra, ero perciò riuscito a vedere spesso Meda, seppur
in maniera fortuita, all’uscita da "Madame O" o al
"Ghirigoro": di solito era in compagnia della madre e delle sorelle,
allora dovevamo limitarci a un sorriso e un saluto formale, per poi
andare ognuno per la propria strada. A volte però Meda si
fermava con qualche sua amica ed io ne approfittavo per salutarla e
restare a parlare con lei. Andromeda mandava avanti le amiche con una
scusa e si tratteneva con me al Ghirigoro per scambiarci qualche
innocente consiglio su un libro, oppure chiacchieravamo davanti a un
gelato da Florian: le mani presto finivano con l’intrecciarsi
imbarazzate sotto il tavolo e gli sguardi nutrivano i nostri silenzi.
Entrambi desideravamo di nuovo quel bacio, quel fondersi di sospiri e
di sguardi, ma sapevamo che non era ancora possibile.
Forse era sciocco comportarsi così, ma non riuscivo a
evitare quelle opportunità. Anche Meda sembrava
più felice quando eravamo insieme, diventando ancora
più bella ai miei occhi. Sapevo che, visto da fuori, il mio
modo di fare poteva sembrare poco serio, ma per me era necessario agire
con calma e aspettare prima di parlare alla sua famiglia. Suo padre e
suo nonno erano noti per essersi sposati ad appena dodici anni ed io
non volevo che, a causa mia, le fosse impedito di continuare a studiare
a Hogwarts e scherzare con le sue amiche, com’era appena
avvenuto a Sheena Hollow, obbligata a pensare come un’adulta,
a una casa e a dei figli, a nemmeno quindici anni. Desideravo un futuro
felice per entrambi, da vivere insieme, non spezzarle la vita, in quel
modo, per mere questioni di Sangue: se il prezzo di un bacio era far
finire di colpo la sua adolescenza, il tempo delle risate e della
spensieratezza, preferivo vivere quel sentimento di nascosto. Le avevo
promesso che l’avrei protetta, che avrei impedito a chiunque
di farla soffrire.
Tra gli altri, avevo incluso me stesso.
***
Mirzam
Sherton
Hogsmeade, Highlands - sab. 14 dicembre 1968
In quell’autunno piovoso e lento, lontano dalla routine
scolastica e dai miei amici, infastidito da quel moccioso di mio
fratello, sempre più abile nel farmi perdere la pazienza e
tirar fuori il peggio di me, mi maceravo nel desiderio di scriverle e
rivederla. Mi ero informato per vie traverse sui calendari delle visite
a Hogsmeade e avevo fatto in modo di liberarmi preventivamente da
Stenton in quelle occasioni, ma all’ultimo rimandavo, per
evitare di metterla in difficoltà. Bella aveva
l’opportunità di intercettare la corrispondenza e
la cattiveria necessaria per sfruttarla contro di noi,
perciò, avevo scritto a Meda solo all’inizio di
ottobre, dicendole che ci saremmo rivisti al matrimonio di Augustus,
dopo Natale. Mi mancava e sapevo di deluderla, ma era la cosa giusta da
fare: doveva studiare, non poteva distrarsi. In fondo mancavano solo
pochi mesi, poi Bellatrix si sarebbe diplomata e a Meda sarebbe mancato
un solo anno per diventare maggiorenne. Alla fine, però,
andando contro le mie buone intenzioni, avevo ceduto e mi ero fatto
trovare a Hogsmeade durante l’ultima uscita prima di Natale,
per parlarle davanti a una tazza di cioccolato fumante da madama
Hockbilden e consegnarle in anticipo il mio regalo.
Meda era felice almeno quanto me, sorpresa ed emozionata nel vedermi
all’improvviso. Quanto a Cissa, sembrò non trovare
nulla di strano nel nostro fortuito incontro, mi salutò con
la solita gentilezza, senza curarsi a lungo di me, tutta presa
dall’algida figura di Lucius Malfoy: le fui molto grato
quando ci lasciò per andare a contemplarlo con le sue amiche
un paio di tavoli lontano da noi. Io mi deliziai, ammirando Meda: era
bellissima, il suo sguardo splendeva della lucente felicità
che mi riservava a ogni nostro incontro. M’informai
su come stava, su come procedevano gli studi, la rassicurai sui GUFO e
le raccontai della mia vita e dei progressi nel Quidditch. Tra le
chiacchiere le diedi il regalo ufficiale, il prezioso codice che le
avevo promesso per facilitarle la vita con il libro di Pozioni, e un
libretto più piccolo, che l’avrebbe di sicuro
sorpresa: una raccolta di poesie babbane.
“So che è un regalo
strano, sia per me che te lo dono, sia per te che lo ricevi, ma sono
versi molto belli… se deciderai di non buttarlo via,
dovresti fargli un piccolo incanto di Trasfigurazione, forse le tue
sorelle non apprezzerebbero certi oggetti, nelle stanze delle
“Toujours Pur””.
Meda sorrise, accarezzando la copertina di pelle rossa del libretto, il
cui titolo, dalle eleganti lettere dorate, richiamava sogni
d’amore appassionati.
Les enfants qui s'aiment s'embrassent debout
Contre les portes de la nuit
Et les passants qui passent les
désignent du doigt
Mais les enfants qui s'aiment
Ne sont là pour personne
Et c'est seulement leur ombre
Qui tremble dans la nuit
Excitant la rage des passants
Leur rage, leur mépris, leurs rires et
leur envie
Les enfants qui s'aiment ne sont là
pour personne
Ils sont ailleurs bien plus loin que la nuit
Bien plus haut que le jour
Dans l'éblouissante clarté
de leur premier amour
J.Prevert
“Allora non avevo sbagliato,
era veramente il tuo… lo strano libro di poesie ritrovato da
Carrow nella sua stanza da Caposcuola: stava per distruggerlo, ma io
avevo il sospetto che fosse tuo, perché ti vedevo spesso con
dei libri che non sembravano di scuola… così sono
riuscita a nasconderlo e…”
Avevo cercato di disfarmi di quel libro, foriero di pensieri penosi, ma
evidentemente non era possibile: tutto ciò che riguardava
Sile trovava il modo di ritornare da me. Cercai di non pensarci: quella
ferita doveva rimanere nascosta nel profondo della mia anima, dove,
prima o poi, sarebbe guarita.
“Puoi tenere anche
quello, se ti piace, ma…”
Mi misi a ridere, lei mi guardò interdetta. Meda doveva
considerarmi un pazzo: non solo leggevo rime sdolcinate, ma addirittura
poesie babbane. C’era di che giocarsi la reputazione per
sempre. In realtà, però, già lo
sapevo... Il suo Cuore batteva molto più forte di quanto
urlasse il suo Sangue.
“Ora penserai che io sia un
mollaccione, con tendenze filobabbane, come dice tua
sorella…”
“A me, di Bella, non importa
nulla. Tutto questo è piuttosto l’ennesima prova
che sei diverso e migliore di tanti che ho la sfortuna di dover
frequentare: Troll senza anima e sentimenti, capaci solo di
pavoneggiarsi dei soldi e del nome dei loro padri e di maltrattare
gente che non gli ha fatto niente… A volte credo di essere
finita nella Casa sbagliata, sai?”
“Sei finita nella Casa giusta,
Andromeda Black... Quello che è sbagliato, è
credere che i Serpeverde siano tutti uguali: si può essere
seguaci di Salazar e avere una propria opinione sul mondo. Per maggiori
dettagli, però, t’invito a parlare con mio padre,
su certi argomenti potrebbe tenere un intero corso di lezioni: da parte
mia, ammetto di non essere stato sempre molto attento e di non aver
capito ancora bene tutti i “passaggi”... ”
Sorrise, ma forse non mi capì del tutto: d’altra
parte, avevo notato, nel corso degli anni, che mio padre non amava
frequentare Black che non fossero Orion, sua moglie e i suoi figli, ma
non mi ero mai azzardato a chiedergliene i motivi. Questo faceva
sì che per Meda, benché ci fossimo frequentati
fin da piccoli a Grimmauld Place, mio padre fosse poco più
di un estraneo.
“Sono sicuro che gli
piaceresti così come sei, piena di dubbi e pronta a
contestare… A mio padre piacciono le persone che si mettono
in discussione e ragionano con la propria testa… persone che
non si scandalizzerebbero per un libro come questo, per
intenderci…”
“Da come ne parli, tuo padre
sembrerebbe mille volte migliore del mio…”
Risi. Anch’io avrei potuto tenere un intero corso di lezioni
con oggetto mio padre, ma non era il caso di continuare con quelle
storie, avevo deciso di chiudere con il passato e ora avevo vicino la
mia Meda, l’unico desiderio era stare con lei, avere anche
solo pochi minuti, da soli, così da baciarla e stringerla di
nuovo tra le mie braccia.
“So che è
inopportuno, ma sono onesto e te lo dico: ti vorrei riaccompagnare al
castello, facendo il tragitto più lungo, da soli, per
baciarti in pace… Credi sia possibile o tua sorella farebbe
la spia?”
“Con questa storia di Malfoy?
Cissa è in debito con Bellatrix… Forse
è meglio rimandare e….”
“… approfittare
della maggiore confusione al matrimonio di Augustus?”
Le strizzai l’occhio malizioso, Meda arrossì, io
intrecciai le mie dita alle sue, accarezzandole il palmo aperto.
Andromeda osservò le Rune sulla mia mano, mi chiesi se
sapesse quanto fossero tremendamente intime per un Mago del Nord anche
carezze apparentemente tanto innocenti. Qualcosa nel suo sguardo mi
disse di sì, perciò decisi di smetterla per non
imbarazzarla oltre.
“Puoi fidarti di me, conosco
il valore della pazienza… ma da parte tua preparati,
perché saranno molti più di uno i baci che ti
strapperò al matrimonio di Augustus…”
Risi, mentre Meda ormai aveva raggiunto una tonalità di
rosso degna di un pomodoro maturo; con mio disappunto, però,
si era già fatto tardi, Cissa e le sue amiche si alzarono e
si avvicinarono, io salutai le ragazze, provocando
quell’abituale entusiasmo femminile, di cui ero spesso stato
oggetto nel corso degli anni, nei sotterranei di Serpeverde. Vedere un
lampo di genuina gelosia negli occhi di Meda non fece che aumentare la
mia divertita soddisfazione. A quel punto fummo costretti a salutarci,
in maniera troppo formale per i miei gusti, ma mi sentivo ugualmente
ritemprato: ero felice di averla rivista, aveva fatto bene a entrambi.
Mi alzai, pagai le ordinazioni, e solo allora mi resi conto di essere
osservato: alzai lo sguardo e lo feci scorrere per la sala fino a
scorgerla, era seduta nel punto più nascosto del locale e
non mi staccava gli occhi di dosso. Mi chiesi da quanto fosse
lì, da quanto stesse studiando le mie risate e i miei
sguardi rivolti a Meda. Uscii senza rivolgerle un cenno di saluto,
fingendo di non averla notata, diretto con largo anticipo
all’ incontro con Lestrange, alla Testa di Porco. Ero
già in strada, in mezzo alla neve e alla gente impegnata con
le compere, i canti natalizi e i saluti festosi e ancora mi sentivo i
suoi occhi taglienti puntati addosso. Rannicchiata nel suo angolo,
oscura come la notte, Bellatrix Black sembrava una belva, pronta ad
attaccare alle spalle.
***
Mirzam
Sherton
Diagon Alley, Londra - mar. 24 dicembre 1968
Era la vigilia di Natale, una bella mattina di sole e di ghiaccio,
l’aria pungente mi sferzava il viso e mi caricava di energia.
Ero appena passato alla Gringott, mi trovavo a Londra per ritirare
l’abito nuovo per il matrimonio di Rookwood e lì,
nel negozio di "Madame O", avevo incontrato Narcissa con sua madre:
anche loro dovevano ritirare gli abiti per non so quale delle tante
feste a cui erano invitate, mentre le altre due figlie erano in giro
per comprare gli ultimi regali di Natale. Mi fermai a chiacchierare con
loro e finii con l’invitare le quattro streghe da
“Etienne”, uno dei ristoranti più
rinomati di Diagon Alley, per sfruttare appieno l’occasione
che mi si era presentata. Nel ristorante, Druella e Meda si erano
sistemate di fronte a me, Cissa e Bella ai miei lati: chiacchierammo di
numerose facezie, della cerimonia a Loch Shin, delle nostre famiglie,
dello sfavillante matrimonio che i Rookwood preparavano per il loro
unico figlio. Lady Black m’invitò a far loro
visita ed io promisi che avrei accettato subito dopo le feste, facendo
da cavaliere a mia madre, ma la donna sorrise enigmatica, ricordandomi
che, dopo le feste riprendevano subito i corsi a scuola ed io capii le
sue vere intenzioni: non ero riuscito a staccare gli occhi da Meda per
tutto il tempo e a mia volta ero sempre rimasto sotto lo strenuo
controllo di Bellatrix. A Druella non era sfuggito nulla e
probabilmente iniziava a pensare che presto avrebbe avuto anche lei un
ricco matrimonio da organizzare.
“A proposito di matrimoni,
Sherton… tra quanto riceveremo l’invito per venire
al tuo?”
Bellatrix aveva un pericoloso sorriso stampato in faccia e uno sguardo
che non prometteva nulla di buono. Già mi aspettavo di
essere denunciato come losco approfittatore lì al tavolo,
davanti a sua madre. E sapevo di non avere argomentazioni convincenti
per difendermi. Forse potevo salvarmi facendomi scudo dietro la mia
proverbiale timidezza: tutti sapevamo che, fuori dai campi di
Quidditch, non amavo mettermi in mostra e, da sempre, ero molto schivo
e riservato.
“… Ho saputo che
Sile Kelly tornerà a studiare qui in Inghilterra, ho pensato
che tu e lei… dovevi avere delle ottime ragioni per essere
sempre qui, pur tanto impegnato, durante l’estate…
Dico bene Andromeda?”
Il sorriso affettuoso di Druella Black si spense, insieme alle speranze
di poter sistemare con me una delle sue figlie: pur non essendoci mai
stato un fidanzamento ufficiale tra me e Sile, erano circolate voci
sulla nostra storia d’amore e sull’inspiegabile
separazione. La Strega fulminò Bellatrix con
un’occhiata gelida e cercò di mantenere la voce
più carezzevole che possedeva. Si capiva, però,
che doveva indagare anche lei.
“Che maniere, Bella! Ti
comporti come una pettegola! Scusala tanto, mio
caro…”
“Non preoccupatevi, Milady,
queste scaramucce tra me e Bella sono la norma ormai da tempo. Quanto a
Sile, non so che cosa dire, non la vedo da quando ha lasciato
Hogwarts... ”
“Amycus Carrow sostiene che
alla gioielleria in cui si servono gli Sherton rifiutano tutti gli
ordini, perché impegnati sul tuo anello per lei: deve essere
meraviglioso, se ci lavorano da oltre un anno!”
Percepii lo sguardo sconvolto di Meda e il ghigno di trionfo di Bella,
mentre la pallida speranza di Druella sfioriva definitivamente: non era
possibile che quella faina si fosse informata dai folletti, erano
troppo discreti per raccontare gli affari dei loro clienti, ma in
qualche modo era al corrente di certe informazioni e soprattutto,
sapeva di me e Andromeda. Ed ora stava giocando nel modo peggiore
possibile, perché non potevo spiegarmi con Meda senza
metterla nei guai con sua madre.
“Questi gioielli sono fatti
con argento elfico della Madre Scozia, Bella, e sarebbe un sacrilegio,
per noi, sprecarlo, per questo gli anelli del Nord una volta iniziati
vanno sempre completati, anche se poi restano chiusi alla
Gringott… ma non voglio annoiarvi con discorsi di leghe e
superstizioni…”
“Soprattutto è ora
che io metta fine alla maleducazione di mia figlia… scusala
ancora, Mirzam, non so che cosa abbia oggi…”
Annuii: lo sapevo io che cosa aveva sua figlia! Druella le rivolse un
altro dei suoi gelidi sguardi: conoscevo abbastanza il nostro mondo da
capirne il significato, se c’era ancora una
possibilità di rifilarmi una figlia, non era certo
comportandosi in quella maniera che si poteva sfruttare. Bellatrix
però parve non curarsene; non sapevo come, ma avrei dovuto
trovare il modo di restare solo con Meda, spiegarle che non aveva nulla
da temere da me. Lei fingeva curiosità per il mio racconto,
con la stessa espressione rapita di Narcissa e di sua madre, ma sapevo
che c’era rimasta male.
“Madre…
più tardi andremo a Grimmauld Place, ed io vorrei comprare
qualcosa per i miei cugini… Sirius e Regulus adorano il
Quidditch, ma io non ci capisco nulla… così
vorrei… col vostro permesso… chiedere a
Mirzam… se può accompagnarmi e suggerirmi, se non
è disturbo …”
“Tutt’altro, Meda,
lo farei con piacere… dovevo già andare per un
paio di guanti nuovi e…”
“Potremmo andare tutte, o
potrei andare io con loro, madre, mentre tu e Cissa finite gli
acquisti…”
Bellatrix guardava sua sorella trionfante, Meda aveva trovato
un’ottima scusa, di cui l’avevo ringraziata con
un’occhiata eloquente, ma era stato inutile. Lo scopo
dell’arpia non era tradirci, ma mettermi in
difficoltà, rovinare quello che stava nascendo tra me e sua
sorella: tremavo all’idea di quali altre nefandezze avrebbe
potuto inventarsi per ferire lei e colpire me.
“Non oggi, voi tre andrete da
Dulcitus… se per te, Mirzam, non è un disturbo,
verrò io, così faremo più in fretta,
è stata una bellissima giornata con una compagnia piacevole,
ma ci aspettano a Grimmauld Place alle 16, e le mie figlie oggi
farebbero perdere la pazienza a un santo!”
“Non preoccupatevi, Milady, ci
vorrà meno di mezzora, ho già un’idea
per i vostri nipoti…”
Sorrisi a Druella; Bella mi trapassò con lo sguardo, un
ghigno di soddisfazione malevola stampato addosso. Dovevo trovare un
modo per liberarmi di lei o mi avrebbe reso la vita un inferno, ne ero
certo. Uscimmo insieme dal ristorante e ci dividemmo, quando salutai
Meda, baciandole innocente la guancia, le sussurrai
all’orecchio “Ti spiegherò
tutto…” poi mi finsi sereno, mentre lei se ne
andava con le sorelle, chiusa in un silenzio che non prometteva nulla
di buono.
***
Mirzam
Sherton
Rookwood Manor, Lancashire - mar. 31 dicembre 1968
Il matrimonio di Augustus si celebrò la sera
dell’ultimo dell’anno a Rookwood Manor, nel
Lancashire, in una vecchia villa del 1700, sfarzosa e aristocratica,
“abbellita” da teorie infinite di quadri di
antenati imparruccati che facevano invidia persino alle gallerie del
maniero degli Sherton. Tra gli invitati c’erano tutta la
“nobiltà” inglese e diverse famiglie
provenienti da altri stati europei, variamente imparentati o legati da
affari e commerci ai Rookwood e ai Parkinson. Al termine di una
cerimonia molto ricercata e consona alla tradizione
“inglese”, Augustus, stretto nel suo abito da
cerimonia verde scuro, i capelli raccolti in una coda fulva che lo
faceva assomigliare a uno di quei lord ritratti lungo le pareti,
sembrava deciso a fare buon viso a cattiva sorte e, cordiale,
affiancava il vecchio padre nell’intrattenersi con gli
invitati. La nuova Lady Rookwood, Sybille Parkinson, fresca di
benedizione, aveva al contrario l’aria molto crucciata e si
muoveva tra di noi, circondata dalle sorelle e dalle damigelle, nel suo
ricco abito slytherin pieno di pizzi e merletti, con la sufficienza di
chi considera la propria nuova sistemazione appena sufficiente a
ripagarla del suo sacrificio, ma in realtà si compiace,
abbracciando ogni cosa con uno sguardo carico di cupidigia. Mi trovavo
lì come amico dello sposo, in compagnia di Rodolphus e
Jarvis e fingevo di ascoltare i loro stupidi discorsi, in
realtà fremevo per avere, il prima possibile, una scusa per
dileguarmi e raggiungere Meda: da quando i Black erano apparsi e mi ero
fatto avanti per salutarli, non vedevo l’ora di avvicinarla
da sola, aspettavo con impazienza il ballo per avere una scusa per
parlarle senza metterla in imbarazzo. Quando Rodolphus era partito di
nuovo alla vana conquista di Bellatrix, invece di dissuaderlo per
evitargli una delle solite figure miserrime, lo avevo incoraggiato:
sarebbe stato un ottimo, inconsapevole alleato, perché Bella
aveva sempre più difficoltà nel cercare di
respingere i suoi assalti, ora che Roland Lestrange frequentava Black
Manor per promuovere la causa del figlio maggiore. Quanto a Jarvis,
stretto dall’assedio della giovane moglie, gelosa di
qualsiasi ragazza provasse anche solo a rivolgergli la parola, aveva
troppi problemi cui pensare per costituire un pericolo. Tutto questo
garantiva a me campo libero.
Avanzai sicuro nella sala: non avevo alcuna intenzione di sottomettermi
al teatrino di saluti e riverenze tipiche dell’alta
società, quella sera ero da solo, mio padre era confinato in
Scozia anche a causa di molti dei “parrucconi” del
Ministero lì presenti. Fatto il mio dovere,
perciò, ovvero porgere i saluti dei miei a Orion e sua
moglie e salutare Cygnus con la sua famiglia, me la filai, presi un
calice di champagne elfico da uno dei domestici e mi godetti quello
sfavillio di eleganza e nobiltà da un punto esterno alla
mischia: mi piaceva mantenere il distacco, studiare la scena da fuori.
Speravo soltanto che, prima o poi, Meda mi avrebbe raggiunto e si
sarebbe concretizzata un’occasione propizia per chiarirsi e
poi baciarla. Fu allora che la vidi.
Sile era dall’altra parte della sala, la figura minuta e
sinuosa, stretta in un bell’abito turchese, che le lasciava
scoperte le spalle e parte della schiena, i capelli raccolti e
intrecciati alla nuca. Era arrivata, come molti altri invitati, solo
per partecipare al rinfresco, insieme a una ragazza bionda e un giovane
alto dai capelli fulvi e il sorriso aperto: anche Liam Kelly si era
fidanzato e immaginai che quella fosse la sua donna; con un certo
disagio e molta apprensione mi ritrovai a fissare il terzetto,
scoprendomi intimorito al pensiero che un’ignota figura
maschile potesse comparire da un momento all’altro e
avvicinarsi a Sile, con modi amorevoli e possessivi. Anche lei mi aveva
notato, vedevo che ogni tanto mi lanciava uno sguardo di soppiatto poi,
quando fu sicura che mi fossi accorto di lei, mi aveva salutato
radiosa, anche se non accennava a volersi avvicinare, probabilmente
attendeva che lo facessi io. Mi sentii mancare l’aria e mi
diressi verso la terrazza: di colpo avevo perso ogni entusiasmo per
quello che avevo intorno, avevo smarrito i motivi che mi avevano
animato fino a quel momento. Fuori era tutto innevato ma io non sentivo
nemmeno freddo, non sapevo quello che volevo, forse fingere che non
fosse cambiato niente, forse raggiungerla… ma temevo il
momento della verità: quando le avessi parlato, quando
avessi saputo che ne era della sua vita, per quale motivo fosse sparita
a quel modo, quali fossero i suoi progetti, non avrei più
potuto illudermi che esistesse per noi ancora una speranza.
O forse sì? Questo è ciò che voglio?
Spero che ci sia ancora una possibilità? E Meda
allora?
“Non vai da lei? Credo ti stia
aspettando…”
La voce tremante di Andromeda mi raggiunse
nell’oscurità, mettendomi all’angolo e
ricordandomi che avevo dei precisi obblighi, che dovevo fare chiarezza
con Sile, anche e soprattutto per lei.
“Che cosa ci fai qui?
È freddissimo… E non sta bene vederci, qui, al
buio, come due ladri…”
“Le hai dato appuntamento qui,
vero? Stai aspettando lei?”
C’era un tono triste e supplice in quella voce, la muta
preghiera che fosse tutto uno sbaglio, un equivoco, ma c’era
anche tutto l’orgoglio tipico dei Black, quello che non
ammette dubbi, che divide il mondo in bianco e nero, che racchiude
tutte le risposte in un sì o un no. Dovevo prendere una
decisione definitiva tra presente e passato, lì e subito.
Era questa la vera, tacita domanda.
“Nulla di tutto questo, Meda.
Per favore, vai dentro, è freddo e non è
conveniente che…”
“Nemmeno a Loch Shin era
conveniente, ma non mi hai mandato via… Ti prego…
fallo di nuovo… portami via con te…
ora… ti prego…”
La sua voce sembrava sul punto di incrinarsi: Meda si
avvicinò, stupenda sotto la luce della luna, nel suo abito
color malva, i capelli che scendevano in morbidi ricci sulla schiena,
gli occhi di un blu tanto profondo da sentirmi morire, le labbra che
desideravano solo essere baciate. La strinsi a me e mi
dissetai del desiderio che mi ossessionava da settimane, senza curarmi
se fosse ingiusto, se il nostro in quel momento non fosse un bacio
d’amore ma il disperato tentativo di dimostrare qualcosa a
noi stessi e al mondo. Me ne resi conto quando appoggiò la
mano sul mio petto e si allungò verso di me, per baciarmi
sulla Runa del collo, negli occhi una supplica. Capii che era
tutto sbagliato.
“No, Meda… per
favore… Il modo e il motivo sono sbagliati, te ne pentiresti
dopo due secondi…”
“Bellatrix dice che
è impossibile resistere a un desiderio profondo, se si
è innamorati…”
“Bellatrix sa di noi, Meda, ci
ha visto da Madame Hockbilden e si sta inventando di tutto per farti
soffrire… Per favore… rientriamo…
verrò a Hogsmeade e parleremo di tutto… possiamo
farlo anche ora, là dentro, al caldo, senza più
nasconderci…”
“No... io… Io non
voglio parlare… Io …”
“Ti ho promesso di
proteggerti, Meda, anche da me stesso… ed è
questo che sto facendo ora… non è ciò
che davvero vuoi, lo so… Non così… non
per dimostrare se Bella ha ragione o
meno…”
“Io voglio essere amata da te,
Mirzam… non protetta… io… per
favore… dimmelo…”
Le accarezzai il viso, raccolsi le sue lacrime e la baciai,
stringendola di nuovo nel mio abbraccio. Avevo un tumulto di sentimenti
nel cuore, ma anche la terribile consapevolezza che avevamo compreso
entrambi la verità: io la sentivo come un tesoro da
proteggere, una dea da venerare, ma non le avevo mai detto
“ti amo”, e sapevo di non riuscire a dirglielo. Non
ci riuscivo e mi dannavo intuendone fin troppo bene il motivo; ero
attratto da lei, desideravo averla accanto, eppure sentivo che mancava
qualcosa, sentivo di non desiderarla come sapevo di poter bramare una
donna, con quella passione cieca e assoluta che mi aveva sempre
ottenebrato la mente. Era una sensazione che non riuscivo a spiegarmi,
se non in un unico, terribile modo, che in quel momento diventava una
certezza: anche Meda era solo una raffinata distrazione mentale per
dimenticare Sile; solo l’amicizia che ci univa da sempre era
riuscita a trattenermi dal fare stupidaggini imperdonabili di cui ci
saremmo pentiti entrambi. Per quanto me ne volessi convincere, il mio
passato non era chiuso e dimenticato, ma una realtà potente,
viva e devastante, a cui io, come uno stupido, cercavo di sottrarmi,
nemmeno io sapevo il perchè, forse per semplice masochismo o
per sfiducia nella possibilità di essere finalmente felice.
Qualsiasi fosse il motivo, era però ingiusto mettere in
imbarazzo e far soffrire Meda, farle delle promesse, se ancora provavo
dei sentimenti per un’altra. All’improvviso la luce
di una bacchetta ci illuminò e la voce che odiavo di
più interruppe i miei pensieri e quell’ultimo
momento di dolore e amore che il destino aveva deciso di concederci.
“Guarda un po’ chi
c’è! Soli soletti, al buio, ancora un
po’ e potevo trovarvi senza nemmeno i vestiti
addosso… Sarebbe stato un modo interessante per spezzare la
noia di questa festa pallosa…”
“Bella!”
“Che c’è sorellina?
Ti ho forse rotto le uova nel paniere? Non sarei una brava sorella
maggiore se ti avessi lasciata cadere nelle trappole di questo
bellimbusto: non appena ha visto che quell’altro imbecille
parlava con me, si è dato da fare per metterti nei guai: che
uomo! Avevo capito che ti stavi facendo ingannare da lui, conosco
ragazze che ci son già cadute e non lascerò che
tu, una Black, ti faccia mettere in ridicolo… Noi non siamo
ragazze da una notte, come piacciono a lui…”
“Tua sorella non lo
è di sicuro, quanto a te… se qualcuno
può mettere in imbarazzo i Black, quella sei solo tu,
Bellatrix…”
“Attento, Sherton…
Non sei nelle condizioni di poter replicare: se non fosse per lei, ti
sputtanerei davanti a tutti proprio qui, adesso… E potresti
dire addio alla tua Sile, all’unico vero amore della tua
vita… Che ne dici? Posso andarla a chiamare anche adesso se
vuoi… Un discorso tutto tra noi…”
Bella sibilava come una serpe, Meda era sconvolta per le sue parole.
“Meda ti chiedo scusa per
quello che sta succedendo, avrò presto modo di
spiegarmi…”
“Se credi di poterti
avvicinare ancora a mia sorella dopo che vi ho trovato qui, al buio, a
disonorare la mia famiglia, sei un illuso, Sherton! O sparisci o dici
che intenzioni hai davanti a tutti, altrimenti lo dirò io ai
miei, ora!”
“Bella! Smettila!”
“E tu? Ti credi tanto
intelligente, invece ti comporti come una stupida oca, sorellina:
è venuto a chiedere a nostro padre il permesso di parlarti,
come si conviene al nostro nome? No! Ti ha trascinato di soppiatto in
giro per Diagon Alley, alla mercé delle chiacchiere e
ora… è questo il suo grande amore per te? Vuoi
che ti porti in qualche buio sottoscala, come una sgualdrina? Era
questo che gli imploravi di farti?”
Meda non si trattenne e la colpì con uno schiaffo: volevo
confortarla, ma ero impietrito da quelle accuse, così
lontane dalla mia volontà, ma anche così
tremendamente logiche, agli occhi di un estraneo. Mal interpretando il
mio silenzio, Meda ormai guardava anche me con occhi offesi e feriti:
si era abbassata a supplicarmi, era stata respinta e qualcuno, sua
sorella, aveva persino visto tutto.
“Meda, ti riaccompagno dentro,
giuro che si sistemerà tutto… Quanto a
te… sei solo patetica!”
“Sarei io patetica? Le hai mai
detto “ti amo”, Sherton? No! Non puoi dirglielo!
Tutti sanno che non puoi! Sei diventato pallido come un morto quando
hai visto Sile Kelly! Perché, Sherton, perché?
Vai, corri da lei! E’ questo che vuoi! Era lei che aspettavi
al buio, poi è arrivata Meda e ti saresti accontentato di
lei! E hai ancora il coraggio di voler parlare da solo con mia sorella?
Vattene!”
Meda, sconvolta, non aveva retto a quelle ultime accuse, troppo simili
ai suoi stessi sospetti, si era messa a piangere, rientrò e
scivolò via tra la folla, seguita da Bellatrix; io non
riuscii a trattenerla. Rimasi come uno stupido sulla porta, non sapevo
che cosa fare: se avessi seguito il mio istinto, pur di non vederla in
lacrime, sarei corso da lei, le avrei detto che volevo lei davanti a
tutti, senza remore, senza dubbi e ci saremmo ritrovati legati per
sempre, che fosse giusto o sbagliato. Bellatrix, però, aveva
detto anche la verità: rivedere Sile mi aveva
sconvolto… E Sile adesso era lì, a pochi metri da
me, forse per cercarmi, forse per parlarmi, ma mi aveva visto
riapparire trafelato dalla terrazza subito dopo Bellatrix e
probabilmente anche lei aveva mal interpretato… Ed io non
potevo avvicinarmi nemmeno a lei, non potevo parlarle per
giustificarmi, non potevo fare nulla, o avrei confermato agli occhi di
Meda quello che Bella aveva detto di me.
Che cosa voglio?
Aveva iniziato a nevicare e, mentre la gente continuava a ridere e
festeggiare incurante e ignara di tutto, ero rimasto a guardarmi
attorno, come un naufrago. La mia inettitudine mi teneva fermo
lì, incapace di fare quei pochi, onesti gesti che
rimettessero nelle mie mani le vite e i sogni di tutti noi. Alla fine,
distrutto e confuso, mi ero smaterializzato alla maniera del Nord, per
essere a Herrengton in tutta fretta, lasciando tutto in sospeso; mi ero
diretto nel sotterraneo, mi ero steso sul divano davanti al caminetto e
avevo lasciato scorrere i pensieri, ascoltando musica classica babbana,
l’unica capace di rilassarmi. Mi alzai, andai alla scrivania,
presi una pergamena e iniziai a scrivere: era giusto spiegare a Meda
quello che avevo nel cuore; avevo promesso di proteggerla, da chiunque,
e dovevo farlo. Anche a costo di perderla per sempre.
***
Mirzam
Sherton
Hogsmeade, Highlands - sab. 8 marzo 1969
La mia vita si era spenta di colpo, impantanata nel fango ed io, a
volte, non trovavo nemmeno una ragione per alzarmi dal
letto. La lettera era giunta a destinazione, una lettera dura
che avrebbe fatto finire tutto, anche perché le mie parole
mancavano dell’unica frase che Meda voleva sentirsi dire e
che io non riuscivo a dirle; le avevo chiesto perdono e tempo per
chiudere col mio passato, ma intuivamo entrambi che non sarebbe servito
a niente. Dopo diversi giorni, Meda mi aveva risposto da scuola: da
ogni riga, dalle sue parole gentili eppure fredde, traspariva tutto il
dolore e la delusione che le avevo provocato. Mi aveva ringraziato del
periodo che avevamo condiviso e mi aveva chiesto, in attesa che
Bellatrix si fosse calmata, di non incontrarci e di non scriverci,
anche se sapevamo entrambi che dovevamo parlare e chiarirci di persona.
Io avevo compreso: mi ero comportato male e avevo messo a rischio la
sua reputazione con la mia superficialità, benché
i miei intenti fossero innocenti. Dentro di me, le promesse che le
avevo fatto erano valide, poteva ancora contare su di me, sarei stato
per sempre al suo fianco, pronto a proteggerla tutta la
vita. Aspettavo solo il giorno che avrei potuto dirglielo di
persona.
Quanto a Sile… la paura di scoprire che era ormai tutto
perduto, mi bloccava e m'impediva di affrontarla.
Per evitare altri problemi a Meda, avevo deciso di non andare a
Hogsmeade nemmeno per il suo compleanno, poi ci ripensai, volevo sapere
se andava tutto bene, così finii col fare
un’eccezione all’esilio che c’eravamo
imposti, e ci trovammo dopo tanto tempo di nuovo uno di fronte
all’altra. La stavo aspettando sulla collina ancora innevata
che porta fuori dal villaggio, verso la foresta: volevo fare una
passeggiata con lei, ammirare i primi cenni di quella nuova primavera,
la stagione che ci aveva fatto innamorare, ricordavo con nostalgia come
tutto fosse magnifico e piena di speranza appena pochi mesi prima. La
vidi arrivare dal villaggio non con sua sorella, ma in compagnia di un
gruppetto che la salutò festoso e poi proseguì
verso il castello, un paio di ragazze e un ragazzo alto, biondo e con
l’aria innocua: ci misi un po’ a riconoscere in lui
un tassorosso a me noto solo perché era un nato babbano, un
certo Ted-non-so-cosa. Non mi curai di lui, vivevo in una famiglia in
cui non si gridava allo scandalo per certe frequentazioni, anche se per
una Black, in effetti, il fatto era piuttosto strano. Probabilmente si
erano incontrati per strada e avevano deciso di percorrerla insieme.
Quando mi raggiunse, tutte quelle osservazioni persero
d’importanza, io non avevo le idee molto più
chiare di due mesi prima, sapevo solo che lei mi mancava da morire, ma
se non altro, con la lettera avevo rimosso i dubbi e ora mi presentavo
a lei più umano, meno perfetto, sicuramente più
sincero. Già rivederla era una conquista ed io le ero grato
di aver accettato quell’invito.
“Mi sei mancato
Mirzam…”
“Anche tu… Non ho
passato mai mesi tanto brutti quanto gli ultimi due. E’ da
molto che voglio parlarti di persona, ho bisogno di dirtelo: io non
volevo prendermi gioco di te, anche se mi rendo conto di aver sbagliato
lo stesso…”
“Mirzam… io non
credo a nessuna parola, a nessuna cattiveria che Bella dice su di te:
lo so, da sempre, lei è cotta di te e non sopporta che tu
nemmeno la guardi. Oggi ho potuto raggiungerti solo perché
lei è in punizione: pensa, nella sua follia, sta cercando di
mettermi contro anche Narcissa…”
“Se avessi immaginato che
sarebbe successo, non… io dovevo tenermi per me i miei
pensieri, io…”
“E lasciarmi vivere nella
menzogna come vogliono loro? No, mai più! Io sono felice
grazie a te, mi hai parlato col cuore, ti sei mostrato per quello che
sei. Se ti fossi nascosto dietro le maschere che tutti vogliono che
mettiamo, io non avrei saputo mai… non avrei scoperto mai
che persona meravigliosa sei… non avrei mai avuto fiducia e
speranza nel futuro…”
“Ma ho sbagliato Meda: io sono
felice quando siamo insieme, vero, ma avrei dovuto essere
più responsabile, se non per me stesso, per te. Ti ho messo
in imbarazzo, con il mio egoismo… io non volevo farti
sentire prigioniera di un rapporto combinato dalle famiglie, almeno
finché non fossi stata sicura che io… ma poi ho
capito… Chiunque vedrebbe nel mio un atteggiamento
ambiguo… sono stato stupido, Meda… io ci tengo
davvero a te, a te come persona, non a te perché
Black…”
“Non mi devi chiedere scusa di
nulla… Non ho creduto mai che tu volessi solo divertirti con
me… non mi hai regalato quello che era conveniente e
decoroso per il mio nome, vero, ma quello che desideravo io…
Mi hai fatto sentire viva, per la prima volta nella mia vita mi sono
sentita una persona, non l’oggetto di un futuro
contratto… Io non credevo di poter vivere
quell’emozione, alla sola idea che ti avrei rivisto, contando
i giorni con ansia… Era questo che volevo dire quel giorno a
Herrengton: io temevo che per tutta la vita non avrei sognato mai, che
avrei baciato solo per obbligo, mai per amore… che tutta la
mia vita sarebbe stata solo una recita… e invece con
te…”
Abbassò gli occhi, rossa in viso… Avrei voluto
che fosse tutto semplice, chiaro e senza alternative, invece potevo
darle tutto tranne la sola cosa che voleva da me: l’assoluta
certezza del mio amore.
“Forse ho approfittato delle
tue confidenze per apparirti meglio di come sono, Meda, invece io non
sono perfetto, non sono il cavaliere forte e sicuro che tu immagini:
sono solo un insicuro che ha combinato un casino dietro
l’altro, con la sua confusione… E ho fatto
soffrire tutti…”
“No…
L’unica cosa che… sì…
l’unica che avrei voluto avere è…
più tempo, se avessi avuto più tempo, forse non
sarebbe bastato che lei tornasse per… avrebbe dovuto lottare
per riprenderti, invece… non ho avuto il tempo di farti
innamorare davvero di me…”
La voce si era rotta e anch’io mi sentii una sensazione di
dolore dentro: benché sapessi che era tutto finito, non
potevo immaginare che sarebbe successo in quel modo, lì,
quel giorno… Non ero pronto, nella mia incapacità
di fare una scelta coerente, non potevo credere che fosse davvero
finita, che lei avrebbe avuto la forza di scegliere e decidere per
tutti e due.
“Non è cambiato
nulla, Meda, non so cosa ti abbia detto Bellatrix, ma io non parlo con
Sile da oltre un anno, l’ho intravista solo quella sera: non
ho idea di dove sia, cosa stia facendo e cosa voglia… ma
io… io ho il dovere morale di fare chiarezza,
sì… per te... è per questo che ho
accettato di non vederti, per questo non ti ho cercato…
anche se era l’unica cosa che volessi… Ho promesso
di proteggerti e lo farò, ti ho danneggiato già a
sufficienza…"
“Voglio essere amata, Mirzam,
non essere protetta… non m’interessa quello che
può dire mia sorella, la mia famiglia, il mondo
intero… La forza di un amore vero spazzerebbe vie le parole,
sono solo vento e non contano niente… anch’io ho
avuto tempo per pensare e grazie a te, ora so cosa voglio…
Tu mi hai fatto capire che io non mi devo rassegnare a quello che ho
sempre pensato fosse il mio destino, un destino segnato. Io adesso so
che non esiste solo il mondo dei miei, fatto di regole e
infelicità, ora so che ha senso sognare, sperare,
amare… Io sono viva, e sono felice di esserlo, e non
lascerò che mi facciano di nuovo morire dentro…
l’unica cosa che avrei voluto, che avrei sognato, era poter
condividere quell’amore con te…"
“Meda… non
è cambiato niente…”
“No, ti prego, lasciami
finire, dirtelo mi fa male ed io non ce la farò a
ripeterlo… è proprio perché non
è cambiato niente, Mirzam… di quanto ha detto
Bellatrix c’è solo una cosa che mi ha ferito
perché è vera: tu mi hai fatto sentire come mai
nella mia vita, tu sei pronto a proteggermi e a sacrificarti per me,
ma… Non riesci nemmeno a dirmelo, che mi ami,
perché sei troppo onesto per mentirmi: io non so se non
l’accetti o ancora non te ne rendi conto, ma è
chiaro che il tuo cuore è già promesso e nessuno
dei due può farci niente…”
“Meda… non
è così… lascia passare i GUFO, lascia
che Bella se ne vada e che tu sia maggiorenne, si sistemerà
tutto, manca così poco… potremo vivere come
preferisci, saremo solo tu ed io… gli altri non conteranno
più niente…”
“No… questa
è solo una bella illusione, Mirzam, e lo sai anche tu, la
verità me l'hai scritta nella lettera, non ami me, ami
lei… te ne devi rendere conto e agire di conseguenza, prima
di perdere lei… sono sicura che possiate risolvere qualsiasi
problema vi abbia tenuto lontano… ed io voglio che tu sia
felice…”
Scoppiò in lacrime ed io mi trattenni a stento.
“Ma non ti voglio perdere, non
sopporterei di perderti… Mirzam…”
L’abbracciai, non avrei voluto lasciarla. Meda aveva ragione,
l’avevo trascinata in un bellissimo sogno insieme con me, ma
appunto, era irreale, e se io non avevo il coraggio di uscire dalle
ombre, non potevo costringere lei a seguirmi. Mi feci forza e cercai di
mantenere la voce tesa, ma non mi riuscì molto bene.
“Meda… Questo non
accadrà mai… te l’ho
giurato… non mi perderai mai…
e…”
Meda annuì, ci saremmo rimessi entrambi nelle mani del
destino, entrambi ancora increduli che fosse la fine di tutto e non,
piuttosto, una deviazione dalla strada che porta alle
felicità.
“E’ meglio che torni
al castello, la cosa importante è che ora Bella non ti dia
più fastidio… di qualsiasi cosa tu abbia bisogno,
da un consiglio a una chiacchierata, io ci sarò sempre, lo
sai… Spero che mi scriverai per dirmi come vanno le
cose… non verrò qua a trovarti, almeno per un
po’, devi pensare solo ai GUFO …
all’inizio non sarà facile, ma…
andrà tutto bene, Meda… In bocca al
lupo…”
Le diedi la mano e la salutai, la guardai andarsene, cercando di
mantenermi sereno, mentre il sole tramontava dietro le montagne,
colorando di rosa le cime ancora innevate dei rilievi e degli alberi:
appena fosse sparita nel sentiero, mi sarei smaterializzato, ma dovevo,
volevo vederla fino all’ultimo istante. Era quasi arrivata al
limitare del bosco, quando si voltò, alzò la
bacchetta verso il cielo e disegnò nell’aria
alcune delle Rune del Nord che le avevo insegnato a Herrengton la
mattina di Lughnasadh: quando lessi, non riuscii a trattenere le
lacrime. Appena le lettere si dispersero nell’aria, lei
sparì tra gli alberi. Era meglio affrontare la foresta di
Herrengton, pregando che una Chimera avesse pietà di me e
mettesse fine alla mia inutile vita, che ripensare a tutto quello che
era accaduto.
Per cosa? Per una mia leggerezza? Per l’invidia di una pazza?
Bella la pagherà, di questo sono certo.
Forse dovevo partire, dovevo dimenticare tutto, dovevo scordare persino
il mio nome… Benché sapessi che ovunque fossi
andato, nella mia anima, quel messaggio non sarebbe sparito, come aveva
fatto la magia nell’aria. Perché neanche io, come
lei, l’avrei dimenticata.
Mai.
***
Mirzam
Sherton
Herrengton Hill, Highlands - sab. 31 maggio 1969
Erano passati cinque mesi dal matrimonio di Rookwood, le mie giornate
erano diventate tutte uguali, prive di scopi e interesse. A casa il
clima non era dei migliori, bisticciavo continuamente con mio padre su
faccende di politica, le notizie che gli riportavo dalle mie
chiacchierate alla Testa di Porco con Rodolphus non facevano che
inquietarlo e il suo livello di preoccupazione l’aveva
portato rapidamente dal sarcasmo alle prediche e sapevo che presto
l’avrebbe spinto all’azione. Mio padre non capiva,
c’era il modo di rendere tutto più semplice,
veloce, unendo la forza della Confraternita all’esercito di
maghi volenterosi che Milord stava creando: il Ministero sarebbe finito
sotto una giusta guida e gli equilibri sarebbero cambiati in nostro
favore, finalmente e per sempre. Lui insisteva a non voler ascoltarmi,
a dirmi che non avrebbe mai consegnato la Confraternita nelle mani di
chi l’avrebbe distrutta, che il potere di Habarcat non poteva
essere piegato a scopi personali, e che avrebbe dato alle fiamme
Herrengton e distrutto la fiamma di Salazar con le sue stesse mani,
prima di permettere un tale scempio. Io non gli chiedevo nulla di tutto
questo, volevo solo che mi seguisse alla Testa di Porco e ascoltasse
Rodolphus di persona, senza farsi ottenebrare la mente da quel giornale
falso e ipocrita del Daily Prophet: avrebbe poi deciso se incontrare il
Lord o meno, nemmeno io ancora, avevo avuto il coraggio di farlo.
Erano, però, soprattutto le lezioni di Occlumanzia il
peggiore dei miei supplizi, la causa della depressione in cui
lentamente stavo scivolando: odiavo Fear e la sua capacità
di far emergere i momenti più brutti della mia vita, a volte
arrivavo a pensare che fosse una pessima idea, che non valesse la pena
perseverare su quella strada, mi faceva sentire sempre più
debole ed io non ne potevo più di rivivere e rivedere i miei
fallimenti. Quando però la crisi di sconforto passava,
comprendevo che era un percorso necessario: il Lord mi attraeva, non
tanto per le sue idee che, a causa degli insegnamenti di mio padre, a
volte mi lasciavano interdetto, quanto perché ero convinto
che una volta superate le sue prove, non avrei più avuto
dubbi sulla mia vera forza, non sarei più stato tanto
insicuro, avrei saputo quello che volevo. E sarei riuscito a incanalare
l’odio che mi sentivo dentro, in una vendetta implacabile e
furiosa. Sapevo già su chi si sarebbe abbattuta la mia ira,
il mio elenco non era molto lungo, in cima alla lista, il nome non
sarebbe mai cambiato, ossessivo come colei che lo portava.
Bellatrix Black.
In quel clima così teso avevo finito varie volte col
prendermela con mio fratello, trattandolo con durezza e giustificandomi
poi con me stesso dicendo che era necessario, affinché
imparasse a difendersi dalla vita: la prima volta che gli avevo tirato
una sberla, una vera sberla, me n’ero vergognato subito dopo,
come un ladro, ma non volevo che crescesse con le mie stesse illusioni
e che si facesse annientare dalla realtà com’era
successo a me. Doveva essere più forte, più
sicuro, ed io dovevo aiutarlo a diventarlo, anche a costo di rimetterci
quella specie di affetto, di odio-amore, che ci aveva contraddistinto
per anni fino a quel momento. Anche da Stenton, spesso, ero nervoso e
sbagliavo persino le stupidaggini, al punto che mi aveva preso da parte
già diverse volte, chiedendomi cosa avessi e lamentandosi
per la scarsa costanza con cui affrontavo i miei impegni e del fatto
che vivessi come un obbligo anche la mia unica passione. Era vero, fino
a poco tempo prima avrei dato la vita per essere lì, con
lui, a fare quello che amavo di più, ma ormai mi sentivo
trasportato dagli eventi, incapace di indirizzare il destino come
volevo io.
L’unica presenza che mi rallegrava era mia sorella,
m’intrigava la sua curiosità e la sua
sensibilità magica, molto sviluppata per una bambina di soli
nove anni. Era la sola persona con cui mi mostrassi per quello che ero
davvero, l’unica che mi strappasse un sorriso. Non ero
riuscito a mantenere nessuna delle promesse fatte e a lei avevo
promesso addirittura la vita. A volte, pensandoci, tremavo
perché non credevo di essere forte abbastanza per una
responsabilità del genere, ne avevo timore, mi chiedevo se
almeno con lei sarei riuscito a non commettere errori. No, potevo
sbagliare tutto, ma lei… lei non potevo
deluderla… Era la mia stella: spesso mi raggiungeva nel
salone in cui mio padre teneva le sue stranezze, i suoi libri e la sua
musica, scivolava sul divano, e si accoccolava accanto a me, ascoltando
in silenzio quelle note che mi ricordavano i momenti più
felici della mia vita. A volte si addormentava abbracciata a me ed io
accarezzando quei capelli corvini vegliavo sul suo sonno, sperando che
almeno il suo orizzonte fosse un futuro privo di dolore, accanto alla
persona che avrebbe amato e che l’avrebbe resa felice,
dimostrando giorno per giorno di meritare il suo amore.
*
Mirzam
Sherton
Hogsmeade, Highlands - sab. 31 maggio 1969
Anche quella sera Meissa si era addormentata sul divano accanto a me,
ma io, a un certo punto, mi ero alzato senza disturbarla, avevo
percorso corridoi e saloni, fino a ritornare nelle mie stanze, avevo
indossato il mantello e mi ero calato il cappuccio sul viso per essere
irriconoscibile, poi mi ero smaterializzato diretto a Hogsmeade. Una
volta arrivato alla Testa di Porco, come succedeva sempre,
l’avevo aspettato nascosto nell’angolo
più buio, fino a che la sua figura aveva fatto capolino
sull’uscio, il volto celato da una maschera argentea. Quella
sera però non era come tutte le altre. Dopo un lungo
tergiversare, durato mesi, avevo chiesto a Rodolphus di poter assistere
a un incontro col suo “Milord” e magari parlargli,
bisognoso com’ero di uno scopo nella vita. Lestrange mi aveva
guardato poco convinto, in tutti quei mesi, non ero mai riuscito a
convincerlo di avergli detto la verità su tante cose, ed ora
mi osservava sospettoso: sapevo che stava covando una delle sue solite
piazzate, che la mia strana recente docilità lo lasciava
perplesso, così chiacchierammo a lungo, come nostro solito,
studiandoci, mentre io bevevo il mio whisky, e fingevo di seguire i
suoi contorti ragionamenti, osservando annoiato la figura di una
bimbetta dipinta nel quadro sopra il caminetto.
“Parla chiaro: che cosa
vorresti dire, Rodolphus? Se non ti fidi di me, chiedi a tuo fratello o
a qualcuno dei tuoi amici: c’è Malfoy, sembra
abbastanza sveglio, c’è
Carrow…”
“Mi stai prendendo in giro? A me serve
una persona fidata, non quella faina di mio fratello, quel biondino
slavato o quell’altro idiota! Pensavo fossi un amico,
evidentemente mi sbagliavo…”
“Infatti… ho
raccontato a tutti chi c’era quella sera a
Londra…”
“Al diavolo, Sherton! Ti
ricordo che anche tu sei in debito…”
Feci un gesto di stizza e di disinteresse, guardai il liquido ambrato
che Lestrange faceva muovere con un lento movimento di polso nel suo
bicchiere: Rodolphus si agitava per quei discorsi, quando a me non
importava niente. Dovevo fingere, però, o non mi avrebbe mai
fatto parlare con Lui.
“Immagino che tu mi abbia
chiesto di trovarti quell’Armadio Svanitore per il tuo Lord e
immagino sia per questo che a distanza di tanto tempo tu sia ancora
così sconvolto, ma ti ripeto: io non l’ho trovato.
La stanza delle Necessità è enorme, se
l’avessero portato lì, sarebbe
pressoché introvabile. Forse dovreste provare ad
attraversarlo dalla parte di Sinister e vedere dove vi
porta…”
“Ci abbiamo già
provato tre volte negli ultimi mesi, ma non funziona più,
dall’altra parte sembra bloccato… prima avevamo
fatto qualche tentativo con un gufo, è andato e tornato, per
questo mi sono fidato e ti ho chiesto di provarci, ma ora non ci
riusciamo più… quello che io mi chiedo, adesso,
è: che cos’è successo nel frattempo? E
il furto da Sinister , l’attentato a Leach, le monete di
Giuda… perché è avvenuto tutto in una
notte? C’è qualche legame?”
“Potrebbero averlo spostato e
rovinato, le soluzioni più semplici sono le migliori. E
quella notte, Lestrange, io ero a Hogwarts: c’è
una ragazza che potrebbe testimoniare per me…”
“Come se non sapessi fare un
bel Confundus! Andiamo! Se avessi trovato e usato
quell’armadio…”
“Che diavolo stai dicendo? Che
sono stato io a fare tutto ? Vuoi denunciarmi, forse? Beh…
Fallo, Lestrange! Per quello che m’importa… Io non
ho altro da aggiungere… Ed ora me ne vado!”
“Non dire idiozie, Sherton,
siamo dalla stessa parte, ricordatelo!”
“Ah sì? Da come
parli, non mi sembrava, Rodolphus…”
“A me non interessa sapere se
l’hai usato o no… Io, al tuo posto,
l’avrei fatto, ti capirei… Quello che voglio
è solo potermene servire a mia volta… ma ne
riparleremo, ora andiamo, è tardi, tra poco i ragazzi
arriveranno… Tu dovresti metterti in fondo e tenere le
orecchie aperte: non che preveda problemi, ma… non si sa
mai… Quando Milord ti vedrà, oltre a compiacersi
della tua presenza, proverà quasi sicuramente a leggerti la
mente: lascialo fare, Mirzam ... è meglio…
fidati!”
Annuii poco convinto, lo seguii per le scale, e da lì
entrammo in una stanza mal illuminata che probabilmente serviva da
magazzino, al momento vuoto. Mi fermai nel punto più oscuro,
a ridosso della porta, chiunque fosse entrato mi sarebbe passato
accanto, perciò calai ancor di più il cappuccio
sul viso. Rodolphus scomparve dietro a Pucey, andando a discutere con
lui altri dettagli. Quando la vidi, tra gli ultimi ad entrare, non
rimasi sorpreso e un’onda di puro odio
s’impossessò di me: l’emozione di
trovarmi di fronte Bellatrix Black, in quel luogo già carico
di pensieri negativi, il suo aspetto, sempre più altezzoso e
venefico, scatenarono in me le urla della vendetta, una vendetta che mi
sarei gustato a lungo, arrivando quasi a perdere il senno. Appena il
Lord comparve, si fece silenzio: Bellatrix pendeva completamente dalle
sue labbra, io ascoltavo parola per parola e le confrontavo con quanto
diceva mio padre e mi aveva anticipato Rodolphus. Il mago discusse a
lungo della decadenza del mondo magico, delle responsabilità
del Ministero e dei babbani, delle colpe di Dumbledore, trovando molto
sostegno tra i presenti. Poi puntò gli occhi su tutti noi, a
lungo, uno per volta e quando arrivò su di me, sentii che
provava a forzare i miei pensieri: io mi lasciai andare, nascondendo le
mie verità più importanti, profondamente, sotto
uno strato d’idee sciocche, come mi aveva insegnato il
Maestro. Il Lord scrutò, senza riuscire a rilevare il
doppiofondo della mia mente, vide che i miei ragionamenti erano poco
ambiziosi, divisi tra l’amore inconcludente per due ragazze e
la mia passione per il Quidditch: alla fine, forse, aveva appurato
quanto già sospettava, che fossi inutile anche per la sua
causa. Al termine della riunione, feci un passo per avvicinarmi, ma il
Lord si smaterializzò tra noi, senza che nessuno potesse
parlargli, vidi l’espressione delusa di Bellatrix, mentre
Rodolphus e Pucey, nascosti dietro le loro maschere argentee, che
affascinavano e intimorivano tutti quanti, rispondevano alle domande
dei più esaltati dalle parole del Lord. Io mi voltai verso
la porta, per riprendere l’uscita, prima di tutti gli altri,
deciso a chiudere quanto prima una serata infruttuosa
“Quale incontro
inaspettato… Il ragazzo della Confraternita è
stanco di giocare al santone della pace? Vuole emozioni forti? Non gli
basta portarsi a letto le ragazzine all’insaputa della
famiglia?”
La voce era voluttuosa come le sue labbra e il suo corpo: non mi
capacitavo che la mia vita, quella che avrebbe potuto essere
già piena di soddisfazioni e felicità, fosse
stata devastata a più riprese da quella donna.
Impercettibilmente sentii le mie dita stringersi attorno alla bacchetta
che portavo alla cintola, sotto il mantello. Era da tanto che nessuno
m’ispirava una tale sete di sangue.
“Di certo sono stanco di te,
Black…”
“Ti conviene portarmi
rispetto, Sherton, o potrei dire a tutti di te e Meda e mettere nei
guai la tua cara protetta, è così che
l’hai definita no?”
“Non mi pare ci sia nulla da
dire e tu lo sai… Hai vinto Bellatrix, hai rovinato tutto,
come tuo solito… Non sei soddisfatta? Che
cos’altro vuoi?”
“Lo sapevo che se ti avessi
dato la scusa, saresti scappato come un coniglio, Sherton…
Sei il solito codardo! Per fortuna Meda l’ha capito in
tempo…”
“Ti ho chiesto, che cosa
diavolo vuoi da me, Bellatrix? Non è ora che rientri al
castello?”
“Le ho fatto capire quanto sei
divertente: il ragazzo che crede nella favola dell’amore e
non sa dire “ti amo”. Non è divertente?
Mi chiedo se quella sciocca ti amasse davvero… Io ne
dubito… Si è già messa il cuore in
pace, lo sai? … Ciao Mirzam Sherton!”
Se ne andò, pronunciando il mio nome ad alta voce,
mescolandolo alla sua isterica risata, così che tutti
riconobbero la mia identità e poterono collegarmi
all’incontro col Lord. Non m’importava,
però, nemmeno di un fatto tanto grave… Quel cenno
a Meda mi aveva lasciato addosso un profondo sconforto…
Che cosa vuol dire? Meda è in pericolo? Suo padre ha trovato
un marito a entrambe? O ha già incontrato a scuola qualcuno
più meritevole di me?
***
Mirzam
Sherton
King's Cross, Londra - lun. 1 settembre 1969
Il sole, alla fine, aveva fatto capolino. Sul binario, la folla si
attardava tra chiacchiere, bagagli, animali e pianti: era come al
solito un’umanità varia e chiassosa ed io mi
sentivo strano ad essere lì, per veder partire mio fratello.
Rigel sembrava aver perso la sua aria spavalda e al passare dei minuti
era sempre più spaventato, per questo mia madre si
disinteressava ai conoscenti per coccolarlo: anche se io e mia sorella
non avevamo di che lamentarci, sapevamo che era il suo figlio preferito
ed io, in particolare, ci avevo messo anni ad imparare a nascondere la
gelosia che provavo nei suoi confronti. E non sempre ancora ci riuscivo
del tutto. Per i ben noti problemi col Ministero, invece, mio padre era
rimasto confinato a Herrengton anche quel giorno, in compagnia di
Meissa, tutt’altro che dispiaciuta per la partenza di nostro
fratello: quella peste passava tutto il suo tempo a infastidirla e
questo mi faceva sentire meno in colpa quando decidevo di intervenire.
Le nubi si addensarono di nuovo, mi guardai attorno finché
non la vidi: i Black erano appena arrivati e già Lestrange,
con il figlio minore, si era avvicinato; Meda, naturalmente, aveva
trovato altrettanto presto una scusa per defilarsi. Ora tutta
la truppa si stava dirigendo verso di noi per salutare Rigel, ed io,
ritenendo di avere cose più importanti che star dietro a mio
fratello, feci un cenno d’intesa a mia madre che
annuì e cercai di raggiungere Andromeda, per salutarla.
“Che bella spilla da
prefetto!”
Meda, tra le sue compagne serpeverde, si voltò, sorpresa e
raggiante. Mi sorrise e dopo esserci allontanati un po’,
salendo sulle punte, mi stampò un bacio sulla guancia appena
sbarbata, inebriandomi del suo profumo dolce e inconfondibile, poi si
allontanò di un passo per ammirarmi.
“Deve essere stato molto bello
il viaggio al sud, guarda come ti sei abbronzato!”
Sorrisi e annuii: alla fine avevo girato il Mediterraneo in lungo e in
largo con i miei, mio padre ed io avevamo anche recuperato alcuni
cimeli persi dalla nostra famiglia da tempo, trovati da un
collezionista italiano e messi al sicuro per noi. Naturalmente il
viaggio era servito soprattutto per sotterrare l’ascia di
guerra e riportare una parvenza di serenità in famiglia,
allontanandomi per un po’ da Rodolphus e dai miei tristi
pensieri. In quei mesi ero anche uscito con diverse ragazze, senza
cercare altro che un po’ di sano e casto divertimento fatto
di balli e chiacchiere, ma guadagnandomi ugualmente il soprannome di
“farfallone” da mia sorella, che mi vedeva
già fidanzato ogni volta che soffermavo lo sguardo su una
strega per più di due secondi. Non era mai successo niente,
ma distrarmi era stato utile: mi aveva dato modo di far chiarezza e
recuperae la serenità perduta, mi sentivo pronto a
riappropriarmi della mia vita, uscendo da quel limbo in cui ero rimasto
sospeso da tanto, troppo tempo. Ero ormai pronto per affrontare Sile a
Doire.
“Sì, e ormai
Stenton mi avrà dato per disperso… credo di
essere stato la peggiore delusione della sua vita… mi ero
presentato come la promessa del Quidditch nazionale, invece ho
dimostrato solo di essere un ragazzino incostante…”
“Sono sicura che
quest’anno ti farai perdonare, ho parlato con Augustus
Rookwood un paio di settimane fa, mi ha detto di averti trovato pieno i
buoni propositi…”
In effetti, avevo visto Augustus al mio ritorno dal viaggio e con lui
avevo parlato di alcune delle mie intenzioni: mi ero guardato intorno,
avevo visto i miei amici, più o meno felici, ma tutti con un
lavoro o una storia seria intorno alla quale costruire il proprio
mondo; solo io, in mano, non avevo concretamente niente. Ero ancora in
tempo, però, per prendere tutto ciò che
desideravo dalla vita.
“Speriamo… E tu
cosa mi racconti? Com’era il maniero di Alphard, in
Normandia?”
“E’ stato
bellissimo, mio zio è magnifico con noi, anche i miei cugini
per una volta si sono divertiti … E’ stata
un’estate molto piacevole…”
“Tu in particolare ne avevi di
cose da festeggiare, hai preso il massimo dei voti in tutte le
materie… Complimenti!”
“Tutto merito della mia arma
segreta! Da quando ho quel tuo libro, la mia vita è
cambiata. E appunto per questo ho scelto di continuare
Pozioni…”
Sorrise e mi fece l’occhietto, era sempre
bellissima… e simpatica… e
coinvolgente… Sospirai e guardai altrove, nella mia
decisione di comportarmi da persona seria, era coinvolta anche Meda, da
quel momento, qualsiasi cosa fosse successa, dovevo tenere conto che
lei era per me solo un’amica a cui avevo promesso di restare
sempre accanto col mio sostegno.
“Anche Bellatrix ha ottenuto
tutti i suoi MAGO e ora…”
“Vieni, dai, salutiamo mia
madre, così ti ripassi nella mente il viso di quella peste
di Rigel e lo tieni d’occhio: ti avverto è un
piantagrane! Se ci saranno guai, stai sicura che ce lo troverai in
mezzo!”
Feci finta di non aver sentito il riferimento a sua sorella, per quanto
mi riguardava, Bellatrix era peggio che morta, e forse era un bene per
lei, perché non sarei riuscito a reprimere per
l’ennesima volta i miei istinti omicidi nei suoi confronti,
se me la fossi ritrovata ancora sulla strada. Così,
soffocando l’ira che già solo il nome mi
procurava, ridendo le indicai Rigel che, tra tutti quei nostri boriosi
conoscenti, sembrava un cucciolo smarrito, non la catastrofe ambulante
che ben conoscevo: facendo un po’ di attenzione,
però, era possibile scorgere nel suo sguardo la luce da
lestofante che prometteva guai a non finire. Appena lo vide, Meda
sorrise e sostenne che ero io un bruto a parlare male di un ragazzino
tanto dolce e grazioso.
“Ti assomiglia da morire,
Mirzam! Sembra che i tuoi abbiano aperto una fabbrica di bei ragazzi a
Herrengton…”
Scoppiai a ridere e ripensai tra me che, in effetti,
quell’estate, complice il clima caldo e solare, i miei erano
stati tra loro ancora più smaccatamente affettuosi del
solito, facendomi temere che rischiassero o forse volessero
volontariamente mettere in cantiere un altro piccolo Sherton. Raggiunti
gli altri, ci lasciamo sommergere dalle chiacchiere
dell’occasione: mi guardai attorno, era una strana
rimpatriata, senza mio padre, e soprattutto senza Bella, rimasta a
Manchester a far danni, e con mio fratello che pareva aver
già legato con Rabastan, facendomi ricordare me stesso tanti
anni prima. Ora che si era aggiunto Malfoy con suo figlio, quattro
delle più importanti famiglie magiche della Gran Bretagna
erano tutte insieme: sapevo che presto quegli incontri fortuiti
sarebbero diventati la norma, che presto il destino del mondo magico
sarebbe stato deciso da pochi e che era assolutamente necessario che
gli Sherton dicessero la loro e facessero la loro parte. Stavamo
chiacchierando tranquillamente delle solite facezie dell’alta
società, dei prossimi incontri mondani e delle ultime idee
geniali del Ministero, quando una voce imbarazzata alle nostre spalle
ci interruppe e Meda, arrossendo un po’, si
congedò da noi seguendo il giovane studente vestito da
prefetto di Tassorosso. Dapprima pensai fosse uno dei soliti problemi
organizzativi da risolvere prima della partenza, quando però
misi a fuoco con più attenzione quel ragazzo, riconobbi di
nuovo il nato babbano che avevo visto intorno a Meda già
alcuni mesi prima, e ricordando le strane parole di Bellatrix, sentii
un brivido d’inquietudine.
“Ecco i bei risultati della
politica del Ministero e di quel pezzente di Dumbledore… Gli
danno pure le spille da Prefetti, così hanno la scusa per
avvicinarsi alle famiglie di gentiluomini, interrompono i nostri
discorsi e siamo persino costretti a rivolgere loro la parola e
giustificare le loro villanie… Salazar… dove
andremo a finire…”
Notai lo sguardo carico di rimprovero e disgusto che Cygnus
stampò sul compagno di studi della figlia, senza
più staccarlo fin che fu visibile e ricordai quanto i Black
fossero più rigidi di noi Sherton su certi argomenti.
Guardai Meda anch’io e mi dissi che la mia inquietudine era
solo gelosia immotivata e inopportuna, tra amici, dovuta al fatto che
anche un essere insignificante come quello poteva godersi senza
problemi la sua compagnia, al contrario di me. Altro non poteva
esserci, o almeno, io non riuscivo nemmeno a immaginarlo. Era
impossibile: una Black poteva fermarsi a parlare con uno
così solo per dovere o per pietà.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, aggiunto a preferiti/seguiti,
recensito ecc ecc. L'immagine scelta per questo capitolo è
una rielaborazione in "Verde Slytherin" di Lonely_Envy
di WillaTree.
Valeria
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