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Autore: Terre_del_Nord    14/11/2009    15 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Mirzam - MS.007 - Jealousy

MS.007


Mirzam Sherton
King's Cross, Londra - dom. 1 settembre 1968

Ero intirizzito, grondante pioggia, diedi il mantello a Doimòs e mi affrettai in camera per un bagno caldo. L’estate era finita, Meda era appena partita per Hogwarts; quella mattina ero andato alla stazione, incapace di resistere lontano da lei, il viso nascosto dal cappuccio, per non dover rispondere a imbarazzanti domande. Quando i suoi genitori si erano fermati con Cissa a salutare Abraxas Malfoy e Bellatrix si era allontanata con i suoi amici, l’avevo urtata casualmente lungo il binario, facendomi riconoscere solo da lei. Il tempo di sfiorarle la mano, come un ladro, e poi scorrere via. Il tempo di percepire il suo sorriso e le sue guance che arrossivano per me. Il tempo di sentir ripartire il mio cuore per un suo sguardo innamorato. Poi il treno se l’era portata via, ed io ero tornato indietro, fingendo che quella per me fosse una giornata qualunque.
Erano state settimane piene, fatte di allenamenti e fughe improvvise a Diagon Alley, nella speranza di incrociare Andromeda e parlarle ancora. Stenton non era per niente felice della mia aria distratta e della mia incostanza, io gli avevo assicurato che a settembre sarei ritornato con la testa sulle spalle, allora mi aveva guardato severo, gli si era stampato un sorriso malizioso in faccia e borbottando qualcosa che suonava “… sei tutto tuo padre…” aveva deciso di lasciarmi fare. Sapevamo entrambi che non avrei mantenuto quella promessa. Quel mese di agosto, a Londra, ero perciò riuscito a vedere spesso Meda, seppur in maniera fortuita, all’uscita da "Madame O" o al "Ghirigoro": di solito era in compagnia della madre e delle sorelle, allora dovevamo limitarci a un sorriso e un saluto formale, per poi andare ognuno per la propria strada. A volte però Meda si fermava con qualche sua amica ed io ne approfittavo per salutarla e restare a parlare con lei. Andromeda mandava avanti le amiche con una scusa e si tratteneva con me al Ghirigoro per scambiarci qualche innocente consiglio su un libro, oppure chiacchieravamo davanti a un gelato da Florian: le mani presto finivano con l’intrecciarsi imbarazzate sotto il tavolo e gli sguardi nutrivano i nostri silenzi. Entrambi desideravamo di nuovo quel bacio, quel fondersi di sospiri e di sguardi, ma sapevamo che non era ancora possibile.
Forse era sciocco comportarsi così, ma non riuscivo a evitare quelle opportunità. Anche Meda sembrava più felice quando eravamo insieme, diventando ancora più bella ai miei occhi. Sapevo che, visto da fuori, il mio modo di fare poteva sembrare poco serio, ma per me era necessario agire con calma e aspettare prima di parlare alla sua famiglia. Suo padre e suo nonno erano noti per essersi sposati ad appena dodici anni ed io non volevo che, a causa mia, le fosse impedito di continuare a studiare a Hogwarts e scherzare con le sue amiche, com’era appena avvenuto a Sheena Hollow, obbligata a pensare come un’adulta, a una casa e a dei figli, a nemmeno quindici anni. Desideravo un futuro felice per entrambi, da vivere insieme, non spezzarle la vita, in quel modo, per mere questioni di Sangue: se il prezzo di un bacio era far finire di colpo la sua adolescenza, il tempo delle risate e della spensieratezza, preferivo vivere quel sentimento di nascosto. Le avevo promesso che l’avrei protetta, che avrei impedito a chiunque di farla soffrire.
Tra gli altri, avevo incluso me stesso.

***

Mirzam Sherton
Hogsmeade, Highlands - sab. 14 dicembre 1968

In quell’autunno piovoso e lento, lontano dalla routine scolastica e dai miei amici, infastidito da quel moccioso di mio fratello, sempre più abile nel farmi perdere la pazienza e tirar fuori il peggio di me, mi maceravo nel desiderio di scriverle e rivederla. Mi ero informato per vie traverse sui calendari delle visite a Hogsmeade e avevo fatto in modo di liberarmi preventivamente da Stenton in quelle occasioni, ma all’ultimo rimandavo, per evitare di metterla in difficoltà. Bella aveva l’opportunità di intercettare la corrispondenza e la cattiveria necessaria per sfruttarla contro di noi, perciò, avevo scritto a Meda solo all’inizio di ottobre, dicendole che ci saremmo rivisti al matrimonio di Augustus, dopo Natale. Mi mancava e sapevo di deluderla, ma era la cosa giusta da fare: doveva studiare, non poteva distrarsi. In fondo mancavano solo pochi mesi, poi Bellatrix si sarebbe diplomata e a Meda sarebbe mancato un solo anno per diventare maggiorenne. Alla fine, però, andando contro le mie buone intenzioni, avevo ceduto e mi ero fatto trovare a Hogsmeade durante l’ultima uscita prima di Natale, per parlarle davanti a una tazza di cioccolato fumante da madama Hockbilden e consegnarle in anticipo il mio regalo.
Meda era felice almeno quanto me, sorpresa ed emozionata nel vedermi all’improvviso. Quanto a Cissa, sembrò non trovare nulla di strano nel nostro fortuito incontro, mi salutò con la solita gentilezza, senza curarsi a lungo di me, tutta presa dall’algida figura di Lucius Malfoy: le fui molto grato quando ci lasciò per andare a contemplarlo con le sue amiche un paio di tavoli lontano da noi. Io mi deliziai, ammirando Meda: era bellissima, il suo sguardo splendeva della lucente felicità che mi riservava a ogni nostro incontro. M’informai su come stava, su come procedevano gli studi, la rassicurai sui GUFO e le raccontai della mia vita e dei progressi nel Quidditch. Tra le chiacchiere le diedi il regalo ufficiale, il prezioso codice che le avevo promesso per facilitarle la vita con il libro di Pozioni, e un libretto più piccolo, che l’avrebbe di sicuro sorpresa: una raccolta di poesie babbane.

    “So che è un regalo strano, sia per me che te lo dono, sia per te che lo ricevi, ma sono versi molto belli… se deciderai di non buttarlo via, dovresti fargli un piccolo incanto di Trasfigurazione, forse le tue sorelle non apprezzerebbero certi oggetti, nelle stanze delle “Toujours Pur””.

Meda sorrise, accarezzando la copertina di pelle rossa del libretto, il cui titolo, dalle eleganti lettere dorate, richiamava sogni d’amore appassionati.

Les enfants qui s'aiment s'embrassent debout
Contre les portes de la nuit
Et les passants qui passent les désignent du doigt
Mais les enfants qui s'aiment
Ne sont là pour personne
Et c'est seulement leur ombre
Qui tremble dans la nuit
Excitant la rage des passants
Leur rage, leur mépris, leurs rires et leur envie
Les enfants qui s'aiment ne sont là pour personne
Ils sont ailleurs bien plus loin que la nuit
Bien plus haut que le jour
Dans l'éblouissante clarté de leur premier amour
J.Prevert

    “Allora non avevo sbagliato, era veramente il tuo… lo strano libro di poesie ritrovato da Carrow nella sua stanza da Caposcuola: stava per distruggerlo, ma io avevo il sospetto che fosse tuo, perché ti vedevo spesso con dei libri che non sembravano di scuola… così sono riuscita a nasconderlo e…”

Avevo cercato di disfarmi di quel libro, foriero di pensieri penosi, ma evidentemente non era possibile: tutto ciò che riguardava Sile trovava il modo di ritornare da me. Cercai di non pensarci: quella ferita doveva rimanere nascosta nel profondo della mia anima, dove, prima o poi, sarebbe guarita.

     “Puoi tenere anche quello, se ti piace, ma…”

Mi misi a ridere, lei mi guardò interdetta. Meda doveva considerarmi un pazzo: non solo leggevo rime sdolcinate, ma addirittura poesie babbane. C’era di che giocarsi la reputazione per sempre. In realtà, però, già lo sapevo... Il suo Cuore batteva molto più forte di quanto urlasse il suo Sangue.

    “Ora penserai che io sia un mollaccione, con tendenze filobabbane, come dice tua sorella…”
    “A me, di Bella, non importa nulla. Tutto questo è piuttosto l’ennesima prova che sei diverso e migliore di tanti che ho la sfortuna di dover frequentare: Troll senza anima e sentimenti, capaci solo di pavoneggiarsi dei soldi e del nome dei loro padri e di maltrattare gente che non gli ha fatto niente… A volte credo di essere finita nella Casa sbagliata, sai?”
    “Sei finita nella Casa giusta, Andromeda Black... Quello che è sbagliato, è credere che i Serpeverde siano tutti uguali: si può essere seguaci di Salazar e avere una propria opinione sul mondo. Per maggiori dettagli, però, t’invito a parlare con mio padre, su certi argomenti potrebbe tenere un intero corso di lezioni: da parte mia, ammetto di non essere stato sempre molto attento e di non aver capito ancora bene tutti i “passaggi”... ”

Sorrise, ma forse non mi capì del tutto: d’altra parte, avevo notato, nel corso degli anni, che mio padre non amava frequentare Black che non fossero Orion, sua moglie e i suoi figli, ma non mi ero mai azzardato a chiedergliene i motivi. Questo faceva sì che per Meda, benché ci fossimo frequentati fin da piccoli a Grimmauld Place, mio padre fosse poco più di un estraneo.
 
    “Sono sicuro che gli piaceresti così come sei, piena di dubbi e pronta a contestare… A mio padre piacciono le persone che si mettono in discussione e ragionano con la propria testa… persone che non si scandalizzerebbero per un libro come questo, per intenderci…”
    “Da come ne parli, tuo padre sembrerebbe mille volte migliore del mio…”

Risi. Anch’io avrei potuto tenere un intero corso di lezioni con oggetto mio padre, ma non era il caso di continuare con quelle storie, avevo deciso di chiudere con il passato e ora avevo vicino la mia Meda, l’unico desiderio era stare con lei, avere anche solo pochi minuti, da soli, così da baciarla e stringerla di nuovo tra le mie braccia.

    “So che è inopportuno, ma sono onesto e te lo dico: ti vorrei riaccompagnare al castello, facendo il tragitto più lungo, da soli, per baciarti in pace… Credi sia possibile o tua sorella farebbe la spia?”
    “Con questa storia di Malfoy? Cissa è in debito con Bellatrix… Forse è meglio rimandare e….”
    “… approfittare della maggiore confusione al matrimonio di Augustus?”

Le strizzai l’occhio malizioso, Meda arrossì, io intrecciai le mie dita alle sue, accarezzandole il palmo aperto. Andromeda osservò le Rune sulla mia mano, mi chiesi se sapesse quanto fossero tremendamente intime per un Mago del Nord anche carezze apparentemente tanto innocenti. Qualcosa nel suo sguardo mi disse di sì, perciò decisi di smetterla per non imbarazzarla oltre.

    “Puoi fidarti di me, conosco il valore della pazienza… ma da parte tua preparati, perché saranno molti più di uno i baci che ti strapperò al matrimonio di Augustus…”

Risi, mentre Meda ormai aveva raggiunto una tonalità di rosso degna di un pomodoro maturo; con mio disappunto, però, si era già fatto tardi, Cissa e le sue amiche si alzarono e si avvicinarono, io salutai le ragazze, provocando quell’abituale entusiasmo femminile, di cui ero spesso stato oggetto nel corso degli anni, nei sotterranei di Serpeverde. Vedere un lampo di genuina gelosia negli occhi di Meda non fece che aumentare la mia divertita soddisfazione. A quel punto fummo costretti a salutarci, in maniera troppo formale per i miei gusti, ma mi sentivo ugualmente ritemprato: ero felice di averla rivista, aveva fatto bene a entrambi.
Mi alzai, pagai le ordinazioni, e solo allora mi resi conto di essere osservato: alzai lo sguardo e lo feci scorrere per la sala fino a scorgerla, era seduta nel punto più nascosto del locale e non mi staccava gli occhi di dosso. Mi chiesi da quanto fosse lì, da quanto stesse studiando le mie risate e i miei sguardi rivolti a Meda. Uscii senza rivolgerle un cenno di saluto, fingendo di non averla notata, diretto con largo anticipo all’ incontro con Lestrange, alla Testa di Porco. Ero già in strada, in mezzo alla neve e alla gente impegnata con le compere, i canti natalizi e i saluti festosi e ancora mi sentivo i suoi occhi taglienti puntati addosso. Rannicchiata nel suo angolo, oscura come la notte, Bellatrix Black sembrava una belva, pronta ad attaccare alle spalle.

***

Mirzam Sherton
Diagon Alley, Londra - mar. 24 dicembre 1968

Era la vigilia di Natale, una bella mattina di sole e di ghiaccio, l’aria pungente mi sferzava il viso e mi caricava di energia. Ero appena passato alla Gringott, mi trovavo a Londra per ritirare l’abito nuovo per il matrimonio di Rookwood e lì, nel negozio di "Madame O", avevo incontrato Narcissa con sua madre: anche loro dovevano ritirare gli abiti per non so quale delle tante feste a cui erano invitate, mentre le altre due figlie erano in giro per comprare gli ultimi regali di Natale. Mi fermai a chiacchierare con loro e finii con l’invitare le quattro streghe da “Etienne”, uno dei ristoranti più rinomati di Diagon Alley, per sfruttare appieno l’occasione che mi si era presentata. Nel ristorante, Druella e Meda si erano sistemate di fronte a me, Cissa e Bella ai miei lati: chiacchierammo di numerose facezie, della cerimonia a Loch Shin, delle nostre famiglie, dello sfavillante matrimonio che i Rookwood preparavano per il loro unico figlio. Lady Black m’invitò a far loro visita ed io promisi che avrei accettato subito dopo le feste, facendo da cavaliere a mia madre, ma la donna sorrise enigmatica, ricordandomi che, dopo le feste riprendevano subito i corsi a scuola ed io capii le sue vere intenzioni: non ero riuscito a staccare gli occhi da Meda per tutto il tempo e a mia volta ero sempre rimasto sotto lo strenuo controllo di Bellatrix. A Druella non era sfuggito nulla e probabilmente iniziava a pensare che presto avrebbe avuto anche lei un ricco matrimonio da organizzare.

    “A proposito di matrimoni, Sherton… tra quanto riceveremo l’invito per venire al tuo?”

Bellatrix aveva un pericoloso sorriso stampato in faccia e uno sguardo che non prometteva nulla di buono. Già mi aspettavo di essere denunciato come losco approfittatore lì al tavolo, davanti a sua madre. E sapevo di non avere argomentazioni convincenti per difendermi. Forse potevo salvarmi facendomi scudo dietro la mia proverbiale timidezza: tutti sapevamo che, fuori dai campi di Quidditch, non amavo mettermi in mostra e, da sempre, ero molto schivo e riservato.

    “… Ho saputo che Sile Kelly tornerà a studiare qui in Inghilterra, ho pensato che tu e lei… dovevi avere delle ottime ragioni per essere sempre qui, pur tanto impegnato, durante l’estate… Dico bene Andromeda?”

Il sorriso affettuoso di Druella Black si spense, insieme alle speranze di poter sistemare con me una delle sue figlie: pur non essendoci mai stato un fidanzamento ufficiale tra me e Sile, erano circolate voci sulla nostra storia d’amore e sull’inspiegabile separazione. La Strega fulminò Bellatrix con un’occhiata gelida e cercò di mantenere la voce più carezzevole che possedeva. Si capiva, però, che doveva indagare anche lei.

    “Che maniere, Bella! Ti comporti come una pettegola! Scusala tanto, mio caro…”
    “Non preoccupatevi, Milady, queste scaramucce tra me e Bella sono la norma ormai da tempo. Quanto a Sile, non so che cosa dire, non la vedo da quando ha lasciato Hogwarts... ”
    “Amycus Carrow sostiene che alla gioielleria in cui si servono gli Sherton rifiutano tutti gli ordini, perché impegnati sul tuo anello per lei: deve essere meraviglioso, se ci lavorano da oltre un anno!”

Percepii lo sguardo sconvolto di Meda e il ghigno di trionfo di Bella, mentre la pallida speranza di Druella sfioriva definitivamente: non era possibile che quella faina si fosse informata dai folletti, erano troppo discreti per raccontare gli affari dei loro clienti, ma in qualche modo era al corrente di certe informazioni e soprattutto, sapeva di me e Andromeda. Ed ora stava giocando nel modo peggiore possibile, perché non potevo spiegarmi con Meda senza metterla nei guai con sua madre.

    “Questi gioielli sono fatti con argento elfico della Madre Scozia, Bella, e sarebbe un sacrilegio, per noi, sprecarlo, per questo gli anelli del Nord una volta iniziati vanno sempre completati, anche se poi restano chiusi alla Gringott… ma non voglio annoiarvi con discorsi di leghe e superstizioni…”
    “Soprattutto è ora che io metta fine alla maleducazione di mia figlia… scusala ancora, Mirzam, non so che cosa abbia oggi…”

Annuii: lo sapevo io che cosa aveva sua figlia! Druella le rivolse un altro dei suoi gelidi sguardi: conoscevo abbastanza il nostro mondo da capirne il significato, se c’era ancora una possibilità di rifilarmi una figlia, non era certo comportandosi in quella maniera che si poteva sfruttare. Bellatrix però parve non curarsene; non sapevo come, ma avrei dovuto trovare il modo di restare solo con Meda, spiegarle che non aveva nulla da temere da me. Lei fingeva curiosità per il mio racconto, con la stessa espressione rapita di Narcissa e di sua madre, ma sapevo che c’era rimasta male.

    “Madre… più tardi andremo a Grimmauld Place, ed io vorrei comprare qualcosa per i miei cugini… Sirius e Regulus adorano il Quidditch, ma io non ci capisco nulla… così vorrei… col vostro permesso… chiedere a Mirzam… se può accompagnarmi e suggerirmi, se non è disturbo …”
    “Tutt’altro, Meda, lo farei con piacere… dovevo già andare per un paio di guanti nuovi e…”
    “Potremmo andare tutte, o potrei andare io con loro, madre, mentre tu e Cissa finite gli acquisti…”

Bellatrix guardava sua sorella trionfante, Meda aveva trovato un’ottima scusa, di cui l’avevo ringraziata con un’occhiata eloquente, ma era stato inutile. Lo scopo dell’arpia non era tradirci, ma mettermi in difficoltà, rovinare quello che stava nascendo tra me e sua sorella: tremavo all’idea di quali altre nefandezze avrebbe potuto inventarsi per ferire lei e colpire me.

    “Non oggi, voi tre andrete da Dulcitus… se per te, Mirzam, non è un disturbo, verrò io, così faremo più in fretta, è stata una bellissima giornata con una compagnia piacevole, ma ci aspettano a Grimmauld Place alle 16, e le mie figlie oggi farebbero perdere la pazienza a un santo!”
    “Non preoccupatevi, Milady, ci vorrà meno di mezzora, ho già un’idea per i vostri nipoti…”

Sorrisi a Druella; Bella mi trapassò con lo sguardo, un ghigno di soddisfazione malevola stampato addosso. Dovevo trovare un modo per liberarmi di lei o mi avrebbe reso la vita un inferno, ne ero certo. Uscimmo insieme dal ristorante e ci dividemmo, quando salutai Meda, baciandole innocente la guancia, le sussurrai all’orecchio “Ti spiegherò tutto…” poi mi finsi sereno, mentre lei se ne andava con le sorelle, chiusa in un silenzio che non prometteva nulla di buono.

***

Mirzam Sherton
Rookwood Manor, Lancashire - mar. 31 dicembre 1968

Il matrimonio di Augustus si celebrò la sera dell’ultimo dell’anno a Rookwood Manor, nel Lancashire, in una vecchia villa del 1700, sfarzosa e aristocratica, “abbellita” da teorie infinite di quadri di antenati imparruccati che facevano invidia persino alle gallerie del maniero degli Sherton. Tra gli invitati c’erano tutta la “nobiltà” inglese e diverse famiglie provenienti da altri stati europei, variamente imparentati o legati da affari e commerci ai Rookwood e ai Parkinson. Al termine di una cerimonia molto ricercata e consona alla tradizione “inglese”, Augustus, stretto nel suo abito da cerimonia verde scuro, i capelli raccolti in una coda fulva che lo faceva assomigliare a uno di quei lord ritratti lungo le pareti, sembrava deciso a fare buon viso a cattiva sorte e, cordiale, affiancava il vecchio padre nell’intrattenersi con gli invitati. La nuova Lady Rookwood, Sybille Parkinson, fresca di benedizione, aveva al contrario l’aria molto crucciata e si muoveva tra di noi, circondata dalle sorelle e dalle damigelle, nel suo ricco abito slytherin pieno di pizzi e merletti, con la sufficienza di chi considera la propria nuova sistemazione appena sufficiente a ripagarla del suo sacrificio, ma in realtà si compiace, abbracciando ogni cosa con uno sguardo carico di cupidigia. Mi trovavo lì come amico dello sposo, in compagnia di Rodolphus e Jarvis e fingevo di ascoltare i loro stupidi discorsi, in realtà fremevo per avere, il prima possibile, una scusa per dileguarmi e raggiungere Meda: da quando i Black erano apparsi e mi ero fatto avanti per salutarli, non vedevo l’ora di avvicinarla da sola, aspettavo con impazienza il ballo per avere una scusa per parlarle senza metterla in imbarazzo. Quando Rodolphus era partito di nuovo alla vana conquista di Bellatrix, invece di dissuaderlo per evitargli una delle solite figure miserrime, lo avevo incoraggiato: sarebbe stato un ottimo, inconsapevole alleato, perché Bella aveva sempre più difficoltà nel cercare di respingere i suoi assalti, ora che Roland Lestrange frequentava Black Manor per promuovere la causa del figlio maggiore. Quanto a Jarvis, stretto dall’assedio della giovane moglie, gelosa di qualsiasi ragazza provasse anche solo a rivolgergli la parola, aveva troppi problemi cui pensare per costituire un pericolo. Tutto questo garantiva a me campo libero.
Avanzai sicuro nella sala: non avevo alcuna intenzione di sottomettermi al teatrino di saluti e riverenze tipiche dell’alta società, quella sera ero da solo, mio padre era confinato in Scozia anche a causa di molti dei “parrucconi” del Ministero lì presenti. Fatto il mio dovere, perciò, ovvero porgere i saluti dei miei a Orion e sua moglie e salutare Cygnus con la sua famiglia, me la filai, presi un calice di champagne elfico da uno dei domestici e mi godetti quello sfavillio di eleganza e nobiltà da un punto esterno alla mischia: mi piaceva mantenere il distacco, studiare la scena da fuori. Speravo soltanto che, prima o poi, Meda mi avrebbe raggiunto e si sarebbe concretizzata un’occasione propizia per chiarirsi e poi baciarla. Fu allora che la vidi.
Sile era dall’altra parte della sala, la figura minuta e sinuosa, stretta in un bell’abito turchese, che le lasciava scoperte le spalle e parte della schiena, i capelli raccolti e intrecciati alla nuca. Era arrivata, come molti altri invitati, solo per partecipare al rinfresco, insieme a una ragazza bionda e un giovane alto dai capelli fulvi e il sorriso aperto: anche Liam Kelly si era fidanzato e immaginai che quella fosse la sua donna; con un certo disagio e molta apprensione mi ritrovai a fissare il terzetto, scoprendomi intimorito al pensiero che un’ignota figura maschile potesse comparire da un momento all’altro e avvicinarsi a Sile, con modi amorevoli e possessivi. Anche lei mi aveva notato, vedevo che ogni tanto mi lanciava uno sguardo di soppiatto poi, quando fu sicura che mi fossi accorto di lei, mi aveva salutato radiosa, anche se non accennava a volersi avvicinare, probabilmente attendeva che lo facessi io. Mi sentii mancare l’aria e mi diressi verso la terrazza: di colpo avevo perso ogni entusiasmo per quello che avevo intorno, avevo smarrito i motivi che mi avevano animato fino a quel momento. Fuori era tutto innevato ma io non sentivo nemmeno freddo, non sapevo quello che volevo, forse fingere che non fosse cambiato niente, forse raggiungerla… ma temevo il momento della verità: quando le avessi parlato, quando avessi saputo che ne era della sua vita, per quale motivo fosse sparita a quel modo, quali fossero i suoi progetti, non avrei più potuto illudermi che esistesse per noi ancora una speranza.

    O forse sì? Questo è ciò che voglio? Spero che ci sia ancora una possibilità? E Meda allora?

    “Non vai da lei? Credo ti stia aspettando…”

La voce tremante di Andromeda mi raggiunse nell’oscurità, mettendomi all’angolo e ricordandomi che avevo dei precisi obblighi, che dovevo fare chiarezza con Sile, anche e soprattutto per lei.

    “Che cosa ci fai qui? È freddissimo… E non sta bene vederci, qui, al buio, come due ladri…”
    “Le hai dato appuntamento qui, vero? Stai aspettando lei?”

C’era un tono triste e supplice in quella voce, la muta preghiera che fosse tutto uno sbaglio, un equivoco, ma c’era anche tutto l’orgoglio tipico dei Black, quello che non ammette dubbi, che divide il mondo in bianco e nero, che racchiude tutte le risposte in un sì o un no. Dovevo prendere una decisione definitiva tra presente e passato, lì e subito. Era questa la vera, tacita domanda.

    “Nulla di tutto questo, Meda. Per favore, vai dentro, è freddo e non è conveniente che…”
    “Nemmeno a Loch Shin era conveniente, ma non mi hai mandato via… Ti prego… fallo di nuovo… portami via con te… ora… ti prego…”

La sua voce sembrava sul punto di incrinarsi: Meda si avvicinò, stupenda sotto la luce della luna, nel suo abito color malva, i capelli che scendevano in morbidi ricci sulla schiena, gli occhi di un blu tanto profondo da sentirmi morire, le labbra che desideravano solo essere baciate. La strinsi a me e mi dissetai del desiderio che mi ossessionava da settimane, senza curarmi se fosse ingiusto, se il nostro in quel momento non fosse un bacio d’amore ma il disperato tentativo di dimostrare qualcosa a noi stessi e al mondo. Me ne resi conto quando appoggiò la mano sul mio petto e si allungò verso di me, per baciarmi sulla Runa del collo, negli occhi una supplica. Capii che era tutto sbagliato.

    “No, Meda… per favore… Il modo e il motivo sono sbagliati, te ne pentiresti dopo due secondi…”
    “Bellatrix dice che è impossibile resistere a un desiderio profondo, se si è innamorati…”
    “Bellatrix sa di noi, Meda, ci ha visto da Madame Hockbilden e si sta inventando di tutto per farti soffrire… Per favore… rientriamo… verrò a Hogsmeade e parleremo di tutto… possiamo farlo anche ora, là dentro, al caldo, senza più nasconderci…”
    “No... io… Io non voglio parlare… Io …”
    “Ti ho promesso di proteggerti, Meda, anche da me stesso… ed è questo che sto facendo ora… non è ciò che davvero vuoi, lo so… Non così… non per dimostrare se Bella ha ragione o  meno…”
    “Io voglio essere amata da te, Mirzam… non protetta… io… per favore… dimmelo…”

Le accarezzai il viso, raccolsi le sue lacrime e la baciai, stringendola di nuovo nel mio abbraccio. Avevo un tumulto di sentimenti nel cuore, ma anche la terribile consapevolezza che avevamo compreso entrambi la verità: io la sentivo come un tesoro da proteggere, una dea da venerare, ma non le avevo mai detto “ti amo”, e sapevo di non riuscire a dirglielo. Non ci riuscivo e mi dannavo intuendone fin troppo bene il motivo; ero attratto da lei, desideravo averla accanto, eppure sentivo che mancava qualcosa, sentivo di non desiderarla come sapevo di poter bramare una donna, con quella passione cieca e assoluta che mi aveva sempre ottenebrato la mente. Era una sensazione che non riuscivo a spiegarmi, se non in un unico, terribile modo, che in quel momento diventava una certezza: anche Meda era solo una raffinata distrazione mentale per dimenticare Sile; solo l’amicizia che ci univa da sempre era riuscita a trattenermi dal fare stupidaggini imperdonabili di cui ci saremmo pentiti entrambi. Per quanto me ne volessi convincere, il mio passato non era chiuso e dimenticato, ma una realtà potente, viva e devastante, a cui io, come uno stupido, cercavo di sottrarmi, nemmeno io sapevo il perchè, forse per semplice masochismo o per sfiducia nella possibilità di essere finalmente felice. Qualsiasi fosse il motivo, era però ingiusto mettere in imbarazzo e far soffrire Meda, farle delle promesse, se ancora provavo dei sentimenti per un’altra. All’improvviso la luce di una bacchetta ci illuminò e la voce che odiavo di più interruppe i miei pensieri e quell’ultimo momento di dolore e amore che il destino aveva deciso di concederci.
 
    “Guarda un po’ chi c’è! Soli soletti, al buio, ancora un po’ e potevo trovarvi senza nemmeno i vestiti addosso… Sarebbe stato un modo interessante per spezzare la noia di questa festa pallosa…”
    “Bella!”
   “Che c’è sorellina? Ti ho forse rotto le uova nel paniere? Non sarei una brava sorella maggiore se ti avessi lasciata cadere nelle trappole di questo bellimbusto: non appena ha visto che quell’altro imbecille parlava con me, si è dato da fare per metterti nei guai: che uomo! Avevo capito che ti stavi facendo ingannare da lui, conosco ragazze che ci son già cadute e non lascerò che tu, una Black, ti faccia mettere in ridicolo… Noi non siamo ragazze da una notte, come piacciono a lui…”
    “Tua sorella non lo è di sicuro, quanto a te… se qualcuno può mettere in imbarazzo i Black, quella sei solo tu, Bellatrix…”
    “Attento, Sherton… Non sei nelle condizioni di poter replicare: se non fosse per lei, ti sputtanerei davanti a tutti proprio qui, adesso… E potresti dire addio alla tua Sile, all’unico vero amore della tua vita… Che ne dici? Posso andarla a chiamare anche adesso se vuoi… Un discorso tutto tra noi…”

Bella sibilava come una serpe, Meda era sconvolta per le sue parole.

    “Meda ti chiedo scusa per quello che sta succedendo, avrò presto modo di spiegarmi…”
    “Se credi di poterti avvicinare ancora a mia sorella dopo che vi ho trovato qui, al buio, a disonorare la mia famiglia, sei un illuso, Sherton! O sparisci o dici che intenzioni hai davanti a tutti, altrimenti lo dirò io ai miei, ora!”
    “Bella! Smettila!”
    “E tu? Ti credi tanto intelligente, invece ti comporti come una stupida oca, sorellina: è venuto a chiedere a nostro padre il permesso di parlarti, come si conviene al nostro nome? No! Ti ha trascinato di soppiatto in giro per Diagon Alley, alla mercé delle chiacchiere e ora… è questo il suo grande amore per te? Vuoi che ti porti in qualche buio sottoscala, come una sgualdrina? Era questo che gli imploravi di farti?”

Meda non si trattenne e la colpì con uno schiaffo: volevo confortarla, ma ero impietrito da quelle accuse, così lontane dalla mia volontà, ma anche così tremendamente logiche, agli occhi di un estraneo. Mal interpretando il mio silenzio, Meda ormai guardava anche me con occhi offesi e feriti: si era abbassata a supplicarmi, era stata respinta e qualcuno, sua sorella, aveva persino visto tutto.

    “Meda, ti riaccompagno dentro, giuro che si sistemerà tutto… Quanto a te… sei solo patetica!”
    “Sarei io patetica? Le hai mai detto “ti amo”, Sherton? No! Non puoi dirglielo! Tutti sanno che non puoi! Sei diventato pallido come un morto quando hai visto Sile Kelly! Perché, Sherton, perché? Vai, corri da lei! E’ questo che vuoi! Era lei che aspettavi al buio, poi è arrivata Meda e ti saresti accontentato di lei! E hai ancora il coraggio di voler parlare da solo con mia sorella? Vattene!”

Meda, sconvolta, non aveva retto a quelle ultime accuse, troppo simili ai suoi stessi sospetti, si era messa a piangere, rientrò e scivolò via tra la folla, seguita da Bellatrix; io non riuscii a trattenerla. Rimasi come uno stupido sulla porta, non sapevo che cosa fare: se avessi seguito il mio istinto, pur di non vederla in lacrime, sarei corso da lei, le avrei detto che volevo lei davanti a tutti, senza remore, senza dubbi e ci saremmo ritrovati legati per sempre, che fosse giusto o sbagliato. Bellatrix, però, aveva detto anche la verità: rivedere Sile mi aveva sconvolto… E Sile adesso era lì, a pochi metri da me, forse per cercarmi, forse per parlarmi, ma mi aveva visto riapparire trafelato dalla terrazza subito dopo Bellatrix e probabilmente anche lei aveva mal interpretato… Ed io non potevo avvicinarmi nemmeno a lei, non potevo parlarle per giustificarmi, non potevo fare nulla, o avrei confermato agli occhi di Meda quello che Bella aveva detto di me.
  
    Che cosa voglio?

Aveva iniziato a nevicare e, mentre la gente continuava a ridere e festeggiare incurante e ignara di tutto, ero rimasto a guardarmi attorno, come un naufrago. La mia inettitudine mi teneva fermo lì, incapace di fare quei pochi, onesti gesti che rimettessero nelle mie mani le vite e i sogni di tutti noi. Alla fine, distrutto e confuso, mi ero smaterializzato alla maniera del Nord, per essere a Herrengton in tutta fretta, lasciando tutto in sospeso; mi ero diretto nel sotterraneo, mi ero steso sul divano davanti al caminetto e avevo lasciato scorrere i pensieri, ascoltando musica classica babbana, l’unica capace di rilassarmi. Mi alzai, andai alla scrivania, presi una pergamena e iniziai a scrivere: era giusto spiegare a Meda quello che avevo nel cuore; avevo promesso di proteggerla, da chiunque, e dovevo farlo. Anche a costo di perderla per sempre.

***

Mirzam Sherton
Hogsmeade, Highlands - sab. 8 marzo 1969

La mia vita si era spenta di colpo, impantanata nel fango ed io, a volte, non trovavo nemmeno una ragione per alzarmi dal letto. La lettera era giunta a destinazione, una lettera dura che avrebbe fatto finire tutto, anche perché le mie parole mancavano dell’unica frase che Meda voleva sentirsi dire e che io non riuscivo a dirle; le avevo chiesto perdono e tempo per chiudere col mio passato, ma intuivamo entrambi che non sarebbe servito a niente. Dopo diversi giorni, Meda mi aveva risposto da scuola: da ogni riga, dalle sue parole gentili eppure fredde, traspariva tutto il dolore e la delusione che le avevo provocato. Mi aveva ringraziato del periodo che avevamo condiviso e mi aveva chiesto, in attesa che Bellatrix si fosse calmata, di non incontrarci e di non scriverci, anche se sapevamo entrambi che dovevamo parlare e chiarirci di persona. Io avevo compreso: mi ero comportato male e avevo messo a rischio la sua reputazione con la mia superficialità, benché i miei intenti fossero innocenti. Dentro di me, le promesse che le avevo fatto erano valide, poteva ancora contare su di me, sarei stato per sempre al suo fianco, pronto a proteggerla tutta la vita. Aspettavo solo il giorno che avrei potuto dirglielo di persona.
Quanto a Sile… la paura di scoprire che era ormai tutto perduto, mi bloccava e m'impediva di affrontarla.
Per evitare altri problemi a Meda, avevo deciso di non andare a Hogsmeade nemmeno per il suo compleanno, poi ci ripensai, volevo sapere se andava tutto bene, così finii col fare un’eccezione all’esilio che c’eravamo imposti, e ci trovammo dopo tanto tempo di nuovo uno di fronte all’altra. La stavo aspettando sulla collina ancora innevata che porta fuori dal villaggio, verso la foresta: volevo fare una passeggiata con lei, ammirare i primi cenni di quella nuova primavera, la stagione che ci aveva fatto innamorare, ricordavo con nostalgia come tutto fosse magnifico e piena di speranza appena pochi mesi prima. La vidi arrivare dal villaggio non con sua sorella, ma in compagnia di un gruppetto che la salutò festoso e poi proseguì verso il castello, un paio di ragazze e un ragazzo alto, biondo e con l’aria innocua: ci misi un po’ a riconoscere in lui un tassorosso a me noto solo perché era un nato babbano, un certo Ted-non-so-cosa. Non mi curai di lui, vivevo in una famiglia in cui non si gridava allo scandalo per certe frequentazioni, anche se per una Black, in effetti, il fatto era piuttosto strano. Probabilmente si erano incontrati per strada e avevano deciso di percorrerla insieme. Quando mi raggiunse, tutte quelle osservazioni persero d’importanza, io non avevo le idee molto più chiare di due mesi prima, sapevo solo che lei mi mancava da morire, ma se non altro, con la lettera avevo rimosso i dubbi e ora mi presentavo a lei più umano, meno perfetto, sicuramente più sincero. Già rivederla era una conquista ed io le ero grato di aver accettato quell’invito.

    “Mi sei mancato Mirzam…”
    “Anche tu… Non ho passato mai mesi tanto brutti quanto gli ultimi due. E’ da molto che voglio parlarti di persona, ho bisogno di dirtelo: io non volevo prendermi gioco di te, anche se mi rendo conto di aver sbagliato lo stesso…”
    “Mirzam… io non credo a nessuna parola, a nessuna cattiveria che Bella dice su di te: lo so, da sempre, lei è cotta di te e non sopporta che tu nemmeno la guardi. Oggi ho potuto raggiungerti solo perché lei è in punizione: pensa, nella sua follia, sta cercando di mettermi contro anche Narcissa…”
    “Se avessi immaginato che sarebbe successo, non… io dovevo tenermi per me i miei pensieri, io…”
    “E lasciarmi vivere nella menzogna come vogliono loro? No, mai più! Io sono felice grazie a te, mi hai parlato col cuore, ti sei mostrato per quello che sei. Se ti fossi nascosto dietro le maschere che tutti vogliono che mettiamo, io non avrei saputo mai… non avrei scoperto mai che persona meravigliosa sei… non avrei mai avuto fiducia e speranza nel futuro…”
    “Ma ho sbagliato Meda: io sono felice quando siamo insieme, vero, ma avrei dovuto essere più responsabile, se non per me stesso, per te. Ti ho messo in imbarazzo, con il mio egoismo… io non volevo farti sentire prigioniera di un rapporto combinato dalle famiglie, almeno finché non fossi stata sicura che io… ma poi ho capito… Chiunque vedrebbe nel mio un atteggiamento ambiguo… sono stato stupido, Meda… io ci tengo davvero a te, a te come persona, non a te perché Black…”
    “Non mi devi chiedere scusa di nulla… Non ho creduto mai che tu volessi solo divertirti con me… non mi hai regalato quello che era conveniente e decoroso per il mio nome, vero, ma quello che desideravo io… Mi hai fatto sentire viva, per la prima volta nella mia vita mi sono sentita una persona, non l’oggetto di un futuro contratto… Io non credevo di poter vivere quell’emozione, alla sola idea che ti avrei rivisto, contando i giorni con ansia… Era questo che volevo dire quel giorno a Herrengton: io temevo che per tutta la vita non avrei sognato mai, che avrei baciato solo per obbligo, mai per amore… che tutta la mia vita sarebbe stata solo una recita… e invece con te…”

Abbassò gli occhi, rossa in viso… Avrei voluto che fosse tutto semplice, chiaro e senza alternative, invece potevo darle tutto tranne la sola cosa che voleva da me: l’assoluta certezza del mio amore.

    “Forse ho approfittato delle tue confidenze per apparirti meglio di come sono, Meda, invece io non sono perfetto, non sono il cavaliere forte e sicuro che tu immagini: sono solo un insicuro che ha combinato un casino dietro l’altro, con la sua confusione… E ho fatto soffrire tutti…”
    “No… L’unica cosa che… sì… l’unica che avrei voluto avere è… più tempo, se avessi avuto più tempo, forse non sarebbe bastato che lei tornasse per… avrebbe dovuto lottare per riprenderti, invece… non ho avuto il tempo di farti innamorare davvero di me…”

La voce si era rotta e anch’io mi sentii una sensazione di dolore dentro: benché sapessi che era tutto finito, non potevo immaginare che sarebbe successo in quel modo, lì, quel giorno… Non ero pronto, nella mia incapacità di fare una scelta coerente, non potevo credere che fosse davvero finita, che lei avrebbe avuto la forza di scegliere e decidere per tutti e due.
 
    “Non è cambiato nulla, Meda, non so cosa ti abbia detto Bellatrix, ma io non parlo con Sile da oltre un anno, l’ho intravista solo quella sera: non ho idea di dove sia, cosa stia facendo e cosa voglia… ma io… io ho il dovere morale di fare chiarezza, sì… per te... è per questo che ho accettato di non vederti, per questo non ti ho cercato… anche se era l’unica cosa che volessi… Ho promesso di proteggerti e lo farò, ti ho danneggiato già a sufficienza…"
    “Voglio essere amata, Mirzam, non essere protetta… non m’interessa quello che può dire mia sorella, la mia famiglia, il mondo intero… La forza di un amore vero spazzerebbe vie le parole, sono solo vento e non contano niente… anch’io ho avuto tempo per pensare e grazie a te, ora so cosa voglio… Tu mi hai fatto capire che io non mi devo rassegnare a quello che ho sempre pensato fosse il mio destino, un destino segnato. Io adesso so che non esiste solo il mondo dei miei, fatto di regole e infelicità, ora so che ha senso sognare, sperare, amare… Io sono viva, e sono felice di esserlo, e non lascerò che mi facciano di nuovo morire dentro… l’unica cosa che avrei voluto, che avrei sognato, era poter condividere quell’amore con te…"
    “Meda… non è cambiato niente…”
    “No, ti prego, lasciami finire, dirtelo mi fa male ed io non ce la farò a ripeterlo… è proprio perché non è cambiato niente, Mirzam… di quanto ha detto Bellatrix c’è solo una cosa che mi ha ferito perché è vera: tu mi hai fatto sentire come mai nella mia vita, tu sei pronto a proteggermi e a sacrificarti per me, ma… Non riesci nemmeno a dirmelo, che mi ami, perché sei troppo onesto per mentirmi: io non so se non l’accetti o ancora non te ne rendi conto, ma è chiaro che il tuo cuore è già promesso e nessuno dei due può farci niente…”
    “Meda… non è così… lascia passare i GUFO, lascia che Bella se ne vada e che tu sia maggiorenne, si sistemerà tutto, manca così poco… potremo vivere come preferisci, saremo solo tu ed io… gli altri non conteranno più niente…”
    “No… questa è solo una bella illusione, Mirzam, e lo sai anche tu, la verità me l'hai scritta nella lettera, non ami me, ami lei… te ne devi rendere conto e agire di conseguenza, prima di perdere lei… sono sicura che possiate risolvere qualsiasi problema vi abbia tenuto lontano… ed io voglio che tu sia felice…”

Scoppiò in lacrime ed io mi trattenni a stento.

    “Ma non ti voglio perdere, non sopporterei di perderti… Mirzam…”

L’abbracciai, non avrei voluto lasciarla. Meda aveva ragione, l’avevo trascinata in un bellissimo sogno insieme con me, ma appunto, era irreale, e se io non avevo il coraggio di uscire dalle ombre, non potevo costringere lei a seguirmi. Mi feci forza e cercai di mantenere la voce tesa, ma non mi riuscì molto bene.

    “Meda… Questo non accadrà mai… te l’ho giurato… non mi perderai mai… e…”

Meda annuì, ci saremmo rimessi entrambi nelle mani del destino, entrambi ancora increduli che fosse la fine di tutto e non, piuttosto, una deviazione dalla strada che porta alle felicità.

    “E’ meglio che torni al castello, la cosa importante è che ora Bella non ti dia più fastidio… di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, da un consiglio a una chiacchierata, io ci sarò sempre, lo sai… Spero che mi scriverai per dirmi come vanno le cose… non verrò qua a trovarti, almeno per un po’, devi pensare solo ai GUFO … all’inizio non sarà facile, ma… andrà tutto bene, Meda… In bocca al lupo…”

Le diedi la mano e la salutai, la guardai andarsene, cercando di mantenermi sereno, mentre il sole tramontava dietro le montagne, colorando di rosa le cime ancora innevate dei rilievi e degli alberi: appena fosse sparita nel sentiero, mi sarei smaterializzato, ma dovevo, volevo vederla fino all’ultimo istante. Era quasi arrivata al limitare del bosco, quando si voltò, alzò la bacchetta verso il cielo e disegnò nell’aria alcune delle Rune del Nord che le avevo insegnato a Herrengton la mattina di Lughnasadh: quando lessi, non riuscii a trattenere le lacrime. Appena le lettere si dispersero nell’aria, lei sparì tra gli alberi. Era meglio affrontare la foresta di Herrengton, pregando che una Chimera avesse pietà di me e mettesse fine alla mia inutile vita, che ripensare a tutto quello che era accaduto.

    Per cosa? Per una mia leggerezza? Per l’invidia di una pazza? Bella la pagherà, di questo sono certo.

Forse dovevo partire, dovevo dimenticare tutto, dovevo scordare persino il mio nome… Benché sapessi che ovunque fossi andato, nella mia anima, quel messaggio non sarebbe sparito, come aveva fatto la magia nell’aria. Perché neanche io, come lei, l’avrei dimenticata.
   
    Mai.

***

Mirzam Sherton
Herrengton Hill, Highlands - sab. 31 maggio 1969

Erano passati cinque mesi dal matrimonio di Rookwood, le mie giornate erano diventate tutte uguali, prive di scopi e interesse. A casa il clima non era dei migliori, bisticciavo continuamente con mio padre su faccende di politica, le notizie che gli riportavo dalle mie chiacchierate alla Testa di Porco con Rodolphus non facevano che inquietarlo e il suo livello di preoccupazione l’aveva portato rapidamente dal sarcasmo alle prediche e sapevo che presto l’avrebbe spinto all’azione. Mio padre non capiva, c’era il modo di rendere tutto più semplice, veloce, unendo la forza della Confraternita all’esercito di maghi volenterosi che Milord stava creando: il Ministero sarebbe finito sotto una giusta guida e gli equilibri sarebbero cambiati in nostro favore, finalmente e per sempre. Lui insisteva a non voler ascoltarmi, a dirmi che non avrebbe mai consegnato la Confraternita nelle mani di chi l’avrebbe distrutta, che il potere di Habarcat non poteva essere piegato a scopi personali, e che avrebbe dato alle fiamme Herrengton e distrutto la fiamma di Salazar con le sue stesse mani, prima di permettere un tale scempio. Io non gli chiedevo nulla di tutto questo, volevo solo che mi seguisse alla Testa di Porco e ascoltasse Rodolphus di persona, senza farsi ottenebrare la mente da quel giornale falso e ipocrita del Daily Prophet: avrebbe poi deciso se incontrare il Lord o meno, nemmeno io ancora, avevo avuto il coraggio di farlo.
Erano, però, soprattutto le lezioni di Occlumanzia il peggiore dei miei supplizi, la causa della depressione in cui lentamente stavo scivolando: odiavo Fear e la sua capacità di far emergere i momenti più brutti della mia vita, a volte arrivavo a pensare che fosse una pessima idea, che non valesse la pena perseverare su quella strada, mi faceva sentire sempre più debole ed io non ne potevo più di rivivere e rivedere i miei fallimenti. Quando però la crisi di sconforto passava, comprendevo che era un percorso necessario: il Lord mi attraeva, non tanto per le sue idee che, a causa degli insegnamenti di mio padre, a volte mi lasciavano interdetto, quanto perché ero convinto che una volta superate le sue prove, non avrei più avuto dubbi sulla mia vera forza, non sarei più stato tanto insicuro, avrei saputo quello che volevo. E sarei riuscito a incanalare l’odio che mi sentivo dentro, in una vendetta implacabile e furiosa. Sapevo già su chi si sarebbe abbattuta la mia ira, il mio elenco non era molto lungo, in cima alla lista, il nome non sarebbe mai cambiato, ossessivo come colei che lo portava.

    Bellatrix Black.

In quel clima così teso avevo finito varie volte col prendermela con mio fratello, trattandolo con durezza e giustificandomi poi con me stesso dicendo che era necessario, affinché imparasse a difendersi dalla vita: la prima volta che gli avevo tirato una sberla, una vera sberla, me n’ero vergognato subito dopo, come un ladro, ma non volevo che crescesse con le mie stesse illusioni e che si facesse annientare dalla realtà com’era successo a me. Doveva essere più forte, più sicuro, ed io dovevo aiutarlo a diventarlo, anche a costo di rimetterci quella specie di affetto, di odio-amore, che ci aveva contraddistinto per anni fino a quel momento. Anche da Stenton, spesso, ero nervoso e sbagliavo persino le stupidaggini, al punto che mi aveva preso da parte già diverse volte, chiedendomi cosa avessi e lamentandosi per la scarsa costanza con cui affrontavo i miei impegni e del fatto che vivessi come un obbligo anche la mia unica passione. Era vero, fino a poco tempo prima avrei dato la vita per essere lì, con lui, a fare quello che amavo di più, ma ormai mi sentivo trasportato dagli eventi, incapace di indirizzare il destino come volevo io.
L’unica presenza che mi rallegrava era mia sorella, m’intrigava la sua curiosità e la sua sensibilità magica, molto sviluppata per una bambina di soli nove anni. Era la sola persona con cui mi mostrassi per quello che ero davvero, l’unica che mi strappasse un sorriso. Non ero riuscito a mantenere nessuna delle promesse fatte e a lei avevo promesso addirittura la vita. A volte, pensandoci, tremavo perché non credevo di essere forte abbastanza per una responsabilità del genere, ne avevo timore, mi chiedevo se almeno con lei sarei riuscito a non commettere errori. No, potevo sbagliare tutto, ma lei… lei non potevo deluderla… Era la mia stella: spesso mi raggiungeva nel salone in cui mio padre teneva le sue stranezze, i suoi libri e la sua musica, scivolava sul divano, e si accoccolava accanto a me, ascoltando in silenzio quelle note che mi ricordavano i momenti più felici della mia vita. A volte si addormentava abbracciata a me ed io accarezzando quei capelli corvini vegliavo sul suo sonno, sperando che almeno il suo orizzonte fosse un futuro privo di dolore, accanto alla persona che avrebbe amato e che l’avrebbe resa felice, dimostrando giorno per giorno di meritare il suo amore.

*

Mirzam Sherton
Hogsmeade, Highlands - sab. 31 maggio 1969

Anche quella sera Meissa si era addormentata sul divano accanto a me, ma io, a un certo punto, mi ero alzato senza disturbarla, avevo percorso corridoi e saloni, fino a ritornare nelle mie stanze, avevo indossato il mantello e mi ero calato il cappuccio sul viso per essere irriconoscibile, poi mi ero smaterializzato diretto a Hogsmeade. Una volta arrivato alla Testa di Porco, come succedeva sempre, l’avevo aspettato nascosto nell’angolo più buio, fino a che la sua figura aveva fatto capolino sull’uscio, il volto celato da una maschera argentea. Quella sera però non era come tutte le altre. Dopo un lungo tergiversare, durato mesi, avevo chiesto a Rodolphus di poter assistere a un incontro col suo “Milord” e magari parlargli, bisognoso com’ero di uno scopo nella vita. Lestrange mi aveva guardato poco convinto, in tutti quei mesi, non ero mai riuscito a convincerlo di avergli detto la verità su tante cose, ed ora mi osservava sospettoso: sapevo che stava covando una delle sue solite piazzate, che la mia strana recente docilità lo lasciava perplesso, così chiacchierammo a lungo, come nostro solito, studiandoci, mentre io bevevo il mio whisky, e fingevo di seguire i suoi contorti ragionamenti, osservando annoiato la figura di una bimbetta dipinta nel quadro sopra il caminetto.

    “Parla chiaro: che cosa vorresti dire, Rodolphus? Se non ti fidi di me, chiedi a tuo fratello o a qualcuno dei tuoi amici: c’è Malfoy, sembra abbastanza sveglio, c’è Carrow…”
   “Mi stai prendendo in giro? A me serve una persona fidata, non quella faina di mio fratello, quel biondino slavato o quell’altro idiota! Pensavo fossi un amico, evidentemente mi sbagliavo…”
    “Infatti… ho raccontato a tutti chi c’era quella sera a Londra…”
    “Al diavolo, Sherton! Ti ricordo che anche tu sei in debito…”

Feci un gesto di stizza e di disinteresse, guardai il liquido ambrato che Lestrange faceva muovere con un lento movimento di polso nel suo bicchiere: Rodolphus si agitava per quei discorsi, quando a me non importava niente. Dovevo fingere, però, o non mi avrebbe mai fatto parlare con Lui.

    “Immagino che tu mi abbia chiesto di trovarti quell’Armadio Svanitore per il tuo Lord e immagino sia per questo che a distanza di tanto tempo tu sia ancora così sconvolto, ma ti ripeto: io non l’ho trovato. La stanza delle Necessità è enorme, se l’avessero portato lì, sarebbe pressoché introvabile. Forse dovreste provare ad attraversarlo dalla parte di Sinister e vedere dove vi porta…”
    “Ci abbiamo già provato tre volte negli ultimi mesi, ma non funziona più, dall’altra parte sembra bloccato… prima avevamo fatto qualche tentativo con un gufo, è andato e tornato, per questo mi sono fidato e ti ho chiesto di provarci, ma ora non ci riusciamo più… quello che io mi chiedo, adesso, è: che cos’è successo nel frattempo? E il furto da Sinister , l’attentato a Leach, le monete di Giuda… perché è avvenuto tutto in una notte? C’è qualche legame?”
    “Potrebbero averlo spostato e rovinato, le soluzioni più semplici sono le migliori. E quella notte, Lestrange, io ero a Hogwarts: c’è una ragazza che potrebbe testimoniare per me…”
    “Come se non sapessi fare un bel Confundus! Andiamo! Se avessi trovato e usato quell’armadio…”
    “Che diavolo stai dicendo? Che sono stato io a fare tutto ? Vuoi denunciarmi, forse? Beh… Fallo, Lestrange! Per quello che m’importa… Io non ho altro da aggiungere… Ed ora me ne vado!”
    “Non dire idiozie, Sherton, siamo dalla stessa parte, ricordatelo!”
    “Ah sì? Da come parli, non mi sembrava, Rodolphus…”
    “A me non interessa sapere se l’hai usato o no… Io, al tuo posto, l’avrei fatto, ti capirei… Quello che voglio è solo potermene servire a mia volta… ma ne riparleremo, ora andiamo, è tardi, tra poco i ragazzi arriveranno… Tu dovresti metterti in fondo e tenere le orecchie aperte: non che preveda problemi, ma… non si sa mai… Quando Milord ti vedrà, oltre a compiacersi della tua presenza, proverà quasi sicuramente a leggerti la mente: lascialo fare, Mirzam ... è meglio… fidati!”

Annuii poco convinto, lo seguii per le scale, e da lì entrammo in una stanza mal illuminata che probabilmente serviva da magazzino, al momento vuoto. Mi fermai nel punto più oscuro, a ridosso della porta, chiunque fosse entrato mi sarebbe passato accanto, perciò calai ancor di più il cappuccio sul viso. Rodolphus scomparve dietro a Pucey, andando a discutere con lui altri dettagli. Quando la vidi, tra gli ultimi ad entrare, non rimasi sorpreso e un’onda di puro odio s’impossessò di me: l’emozione di trovarmi di fronte Bellatrix Black, in quel luogo già carico di pensieri negativi, il suo aspetto, sempre più altezzoso e venefico, scatenarono in me le urla della vendetta, una vendetta che mi sarei gustato a lungo, arrivando quasi a perdere il senno. Appena il Lord comparve, si fece silenzio: Bellatrix pendeva completamente dalle sue labbra, io ascoltavo parola per parola e le confrontavo con quanto diceva mio padre e mi aveva anticipato Rodolphus. Il mago discusse a lungo della decadenza del mondo magico, delle responsabilità del Ministero e dei babbani, delle colpe di Dumbledore, trovando molto sostegno tra i presenti. Poi puntò gli occhi su tutti noi, a lungo, uno per volta e quando arrivò su di me, sentii che provava a forzare i miei pensieri: io mi lasciai andare, nascondendo le mie verità più importanti, profondamente, sotto uno strato d’idee sciocche, come mi aveva insegnato il Maestro. Il Lord scrutò, senza riuscire a rilevare il doppiofondo della mia mente, vide che i miei ragionamenti erano poco ambiziosi, divisi tra l’amore inconcludente per due ragazze e la mia passione per il Quidditch: alla fine, forse, aveva appurato quanto già sospettava, che fossi inutile anche per la sua causa. Al termine della riunione, feci un passo per avvicinarmi, ma il Lord si smaterializzò tra noi, senza che nessuno potesse parlargli, vidi l’espressione delusa di Bellatrix, mentre Rodolphus e Pucey, nascosti dietro le loro maschere argentee, che affascinavano e intimorivano tutti quanti, rispondevano alle domande dei più esaltati dalle parole del Lord. Io mi voltai verso la porta, per riprendere l’uscita, prima di tutti gli altri, deciso a chiudere quanto prima una serata infruttuosa

    “Quale incontro inaspettato… Il ragazzo della Confraternita è stanco di giocare al santone della pace? Vuole emozioni forti? Non gli basta portarsi a letto le ragazzine all’insaputa della famiglia?”

La voce era voluttuosa come le sue labbra e il suo corpo: non mi capacitavo che la mia vita, quella che avrebbe potuto essere già piena di soddisfazioni e felicità, fosse stata devastata a più riprese da quella donna. Impercettibilmente sentii le mie dita stringersi attorno alla bacchetta che portavo alla cintola, sotto il mantello. Era da tanto che nessuno m’ispirava una tale sete di sangue.

    “Di certo sono stanco di te, Black…”
    “Ti conviene portarmi rispetto, Sherton, o potrei dire a tutti di te e Meda e mettere nei guai la tua cara protetta, è così che l’hai definita no?”
    “Non mi pare ci sia nulla da dire e tu lo sai… Hai vinto Bellatrix, hai rovinato tutto, come tuo solito… Non sei soddisfatta? Che cos’altro vuoi?”
    “Lo sapevo che se ti avessi dato la scusa, saresti scappato come un coniglio, Sherton… Sei il solito codardo! Per fortuna Meda l’ha capito in tempo…”
    “Ti ho chiesto, che cosa diavolo vuoi da me, Bellatrix? Non è ora che rientri al castello?”
    “Le ho fatto capire quanto sei divertente: il ragazzo che crede nella favola dell’amore e non sa dire “ti amo”. Non è divertente? Mi chiedo se quella sciocca ti amasse davvero… Io ne dubito… Si è già messa il cuore in pace, lo sai? … Ciao Mirzam Sherton!”

Se ne andò, pronunciando il mio nome ad alta voce, mescolandolo alla sua isterica risata, così che tutti riconobbero la mia identità e poterono collegarmi all’incontro col Lord. Non m’importava, però, nemmeno di un fatto tanto grave… Quel cenno a Meda mi aveva lasciato addosso un profondo sconforto…

    Che cosa vuol dire? Meda è in pericolo? Suo padre ha trovato un marito a entrambe? O ha già incontrato a scuola qualcuno più meritevole di me?

***

Mirzam Sherton
King's Cross, Londra - lun. 1 settembre 1969

Il sole, alla fine, aveva fatto capolino. Sul binario, la folla si attardava tra chiacchiere, bagagli, animali e pianti: era come al solito un’umanità varia e chiassosa ed io mi sentivo strano ad essere lì, per veder partire mio fratello. Rigel sembrava aver perso la sua aria spavalda e al passare dei minuti era sempre più spaventato, per questo mia madre si disinteressava ai conoscenti per coccolarlo: anche se io e mia sorella non avevamo di che lamentarci, sapevamo che era il suo figlio preferito ed io, in particolare, ci avevo messo anni ad imparare a nascondere la gelosia che provavo nei suoi confronti. E non sempre ancora ci riuscivo del tutto. Per i ben noti problemi col Ministero, invece, mio padre era rimasto confinato a Herrengton anche quel giorno, in compagnia di Meissa, tutt’altro che dispiaciuta per la partenza di nostro fratello: quella peste passava tutto il suo tempo a infastidirla e questo mi faceva sentire meno in colpa quando decidevo di intervenire. Le nubi si addensarono di nuovo, mi guardai attorno finché non la vidi: i Black erano appena arrivati e già Lestrange, con il figlio minore, si era avvicinato; Meda, naturalmente, aveva trovato altrettanto presto una scusa per defilarsi. Ora tutta la truppa si stava dirigendo verso di noi per salutare Rigel, ed io, ritenendo di avere cose più importanti che star dietro a mio fratello, feci un cenno d’intesa a mia madre che annuì e cercai di raggiungere Andromeda, per salutarla.

    “Che bella spilla da prefetto!”

Meda, tra le sue compagne serpeverde, si voltò, sorpresa e raggiante. Mi sorrise e dopo esserci allontanati un po’, salendo sulle punte, mi stampò un bacio sulla guancia appena sbarbata, inebriandomi del suo profumo dolce e inconfondibile, poi si allontanò di un passo per ammirarmi.

    “Deve essere stato molto bello il viaggio al sud, guarda come ti sei abbronzato!”

Sorrisi e annuii: alla fine avevo girato il Mediterraneo in lungo e in largo con i miei, mio padre ed io avevamo anche recuperato alcuni cimeli persi dalla nostra famiglia da tempo, trovati da un collezionista italiano e messi al sicuro per noi. Naturalmente il viaggio era servito soprattutto per sotterrare l’ascia di guerra e riportare una parvenza di serenità in famiglia, allontanandomi per un po’ da Rodolphus e dai miei tristi pensieri. In quei mesi ero anche uscito con diverse ragazze, senza cercare altro che un po’ di sano e casto divertimento fatto di balli e chiacchiere, ma guadagnandomi ugualmente il soprannome di “farfallone” da mia sorella, che mi vedeva già fidanzato ogni volta che soffermavo lo sguardo su una strega per più di due secondi. Non era mai successo niente, ma distrarmi era stato utile: mi aveva dato modo di far chiarezza e recuperae la serenità perduta, mi sentivo pronto a riappropriarmi della mia vita, uscendo da quel limbo in cui ero rimasto sospeso da tanto, troppo tempo. Ero ormai pronto per affrontare Sile a Doire.

    “Sì, e ormai Stenton mi avrà dato per disperso… credo di essere stato la peggiore delusione della sua vita… mi ero presentato come la promessa del Quidditch nazionale, invece ho dimostrato solo di essere un ragazzino incostante…”
    “Sono sicura che quest’anno ti farai perdonare, ho parlato con Augustus Rookwood un paio di settimane fa, mi ha detto di averti trovato pieno i buoni propositi…”

In effetti, avevo visto Augustus al mio ritorno dal viaggio e con lui avevo parlato di alcune delle mie intenzioni: mi ero guardato intorno, avevo visto i miei amici, più o meno felici, ma tutti con un lavoro o una storia seria intorno alla quale costruire il proprio mondo; solo io, in mano, non avevo concretamente niente. Ero ancora in tempo, però, per prendere tutto ciò che desideravo dalla vita.

    “Speriamo… E tu cosa mi racconti?  Com’era il maniero di Alphard, in Normandia?”
    “E’ stato bellissimo, mio zio è magnifico con noi, anche i miei cugini per una volta si sono divertiti … E’ stata un’estate molto piacevole…”
    “Tu in particolare ne avevi di cose da festeggiare, hai preso il massimo dei voti in tutte le materie… Complimenti!”
    “Tutto merito della mia arma segreta! Da quando ho quel tuo libro, la mia vita è cambiata. E appunto per questo ho scelto di continuare Pozioni…”

Sorrise e mi fece l’occhietto, era sempre bellissima… e simpatica… e coinvolgente… Sospirai e guardai altrove, nella mia decisione di comportarmi da persona seria, era coinvolta anche Meda, da quel momento, qualsiasi cosa fosse successa, dovevo tenere conto che lei era per me solo un’amica a cui avevo promesso di restare sempre accanto col mio sostegno.

    “Anche Bellatrix ha ottenuto tutti i suoi MAGO e ora…”
    “Vieni, dai, salutiamo mia madre, così ti ripassi nella mente il viso di quella peste di Rigel e lo tieni d’occhio: ti avverto è un piantagrane! Se ci saranno guai, stai sicura che ce lo troverai in mezzo!”

Feci finta di non aver sentito il riferimento a sua sorella, per quanto mi riguardava, Bellatrix era peggio che morta, e forse era un bene per lei, perché non sarei riuscito a reprimere per l’ennesima volta i miei istinti omicidi nei suoi confronti, se me la fossi ritrovata ancora sulla strada. Così, soffocando l’ira che già solo il nome mi procurava, ridendo le indicai Rigel che, tra tutti quei nostri boriosi conoscenti, sembrava un cucciolo smarrito, non la catastrofe ambulante che ben conoscevo: facendo un po’ di attenzione, però, era possibile scorgere nel suo sguardo la luce da lestofante che prometteva guai a non finire. Appena lo vide, Meda sorrise e sostenne che ero io un bruto a parlare male di un ragazzino tanto dolce e grazioso.

    “Ti assomiglia da morire, Mirzam! Sembra che i tuoi abbiano aperto una fabbrica di bei ragazzi a Herrengton…”

Scoppiai a ridere e ripensai tra me che, in effetti, quell’estate, complice il clima caldo e solare, i miei erano stati tra loro ancora più smaccatamente affettuosi del solito, facendomi temere che rischiassero o forse volessero volontariamente mettere in cantiere un altro piccolo Sherton. Raggiunti gli altri, ci lasciamo sommergere dalle chiacchiere dell’occasione: mi guardai attorno, era una strana rimpatriata, senza mio padre, e soprattutto senza Bella, rimasta a Manchester a far danni, e con mio fratello che pareva aver già legato con Rabastan, facendomi ricordare me stesso tanti anni prima. Ora che si era aggiunto Malfoy con suo figlio, quattro delle più importanti famiglie magiche della Gran Bretagna erano tutte insieme: sapevo che presto quegli incontri fortuiti sarebbero diventati la norma, che presto il destino del mondo magico sarebbe stato deciso da pochi e che era assolutamente necessario che gli Sherton dicessero la loro e facessero la loro parte. Stavamo chiacchierando tranquillamente delle solite facezie dell’alta società, dei prossimi incontri mondani e delle ultime idee geniali del Ministero, quando una voce imbarazzata alle nostre spalle ci interruppe e Meda, arrossendo un po’, si congedò da noi seguendo il giovane studente vestito da prefetto di Tassorosso. Dapprima pensai fosse uno dei soliti problemi organizzativi da risolvere prima della partenza, quando però misi a fuoco con più attenzione quel ragazzo, riconobbi di nuovo il nato babbano che avevo visto intorno a Meda già alcuni mesi prima, e ricordando le strane parole di Bellatrix, sentii un brivido d’inquietudine.

    “Ecco i bei risultati della politica del Ministero e di quel pezzente di Dumbledore… Gli danno pure le spille da Prefetti, così hanno la scusa per avvicinarsi alle famiglie di gentiluomini, interrompono i nostri discorsi e siamo persino costretti a rivolgere loro la parola e giustificare le loro villanie… Salazar… dove andremo a finire…”

Notai lo sguardo carico di rimprovero e disgusto che Cygnus stampò sul compagno di studi della figlia, senza più staccarlo fin che fu visibile e ricordai quanto i Black fossero più rigidi di noi Sherton su certi argomenti. Guardai Meda anch’io e mi dissi che la mia inquietudine era solo gelosia immotivata e inopportuna, tra amici, dovuta al fatto che anche un essere insignificante come quello poteva godersi senza problemi la sua compagnia, al contrario di me. Altro non poteva esserci, o almeno, io non riuscivo nemmeno a immaginarlo.  Era impossibile: una Black poteva fermarsi a parlare con uno così solo per dovere o per pietà.


*continua*


NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, aggiunto a preferiti/seguiti, recensito ecc ecc. L'immagine scelta per questo capitolo è una rielaborazione in "Verde Slytherin" di Lonely_Envy di WillaTree.

Valeria



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