(Lesson n.27): I guai non vengono mai da soli
Il clan Quilente aveva dei problemi. E belli grossi. Grazie a quello
che Edward mi aveva raccontato, avevo capito quanta
responsabilità quei mutaforma reggevano sulle loro spalle
abbronzate. Non l’avrei mai immaginato, e per questo mi
sentii un pizzico in colpa per aver sottovalutato il loro ruolo.
“Gradiresti dei biscotti, Bella? Sono usciti dal forno appena
due ore fa!” mi annunciò con entusiasmo Esme. Lei
continuava ad essere una vampira strana, come testimoniava il fatto che
aveva cucinato dei biscotti nonostante la sua impossibilità
di mangiarli. Per cortesia le sorrisi e accettai l’offerta,
un po’ preoccupata perché non avevo mai mangiato
qualcosa preparato da una creatura esente di gusto. Quei biscotti
potevano benissimo essere stati preparati con un quintale di zucchero,
o una decina di uova, e il suo palato ne avrebbe ignorato comunque la
differenza.
“Non ci intratteniamo molto, Esme.”
“Oh su Edward, Bella sarà affamata!”
intervenne Alice.
Edward ebbe la decenza di non ribattere mentre io arrossivo senza
ritegno di fronte al suo occhiolino, un gesto di complicità
che sottointese troppi significati e una sola certezza: Alice,
ovviamente, aveva visto come avevamo trascorso la notte – e
forse anche la mattinata.
“Allora ti preparo anche un tè” aggiunse
Esme. Al contrario della figlia, non fu invadente e sorvolò
con indifferenza sull’evidente insinuazione di Alice. Una
vampira strana, ma educata.
“Ti ringrazio Esme, sei troppo buona.”
Sorrise con dolcezza scomparendo poi qualche secondo dopo, e io supposi
fosse in cucina come ogni perfetta padrona di casa. In effetti le ero
davvero grata, poiché nonostante non l’avrei mai
ammesso, ero affamata. L’attività alla quale ci
eravamo dedicati io e il mio vampiro quella mattina si era prolungata
sino ai miei limiti umani, come aveva avuto cura di sottolineare
Edward. Lui avrebbe continuato a darmi piacere ancora per molte ore,
aveva detto, ma io ero tanto stremata che quella mi era parsa una
minaccia di tortura piuttosto che un’allettante promessa.
Così avevamo deciso di trascorre la nostra ultima ora senza
Jacob a casa Cullen, dove Alice avrebbe avuto cura di spiegarmi i
dettagli della storia che Edward mi aveva fornito solo in grandi linee.
Sospirando mi sistemai meglio affianco a lui, che mi stringeva a
sé con un braccio. Il divano sul quale eravamo seduti, ero
lo stesso che aveva visto consumarsi il nostro
‘quasi’ rapporto ancor prima di iniziare per
davvero. Lì Jacob ci aveva sorpresi e fermati per la prima
volta.
“Era più che consenziente, credimi”
disse ad un tratto Edward, guardando la sorella con sguardo torvo. Di
certo aveva letto una domanda nel suo cervello, una di quelle che a
voce è difficile pronunciare.
“Che lo fosse non fa differenza” rispose lei, e con
una mano protesa in un gesto di altri tempi, lo apostrofò
altezzosa. “Tu l’hai sedotta, perciò
è come se l’avessi obbligata a farlo. Una brava
ragazza non fa certe cose. Non alla prima notte, almeno!”
Iniziai seriamente a preoccuparmi; Alice si stava riferendo alla notte
trascorsa insieme e, più che altro, a come
l’avevamo trascorsa.
“Cosa stai dicendo Alice?”
“Rilassati Bella, sono convinta che non è colpa
tua.”
“M-ma i-io…tu non dovresti impicciarti!”
“Mi sento in dovere di farlo, se ti vedo in procinto di usare
la bocca in quel modo su mio fratello!”
Avvampai di un colpo, tanto violentemente che la vista mi si
offuscò e la stanza girò così forte da
farmi pensare fossi piombata al centro di una giostra. Ebbi paura di
svenire per la vergogna e di sicuro non c’era nulla che
avessi potuto dire, anche volendo. Così, piuttosto che
svanire sotto forma di uno sbuffo di fumo come avrei voluto, mi nascosi
tra la spalla e il collo di Edward. Lui mi cinse forte la vita e
accarezzò teneramente i miei capelli, mentre – ne
ero certa – scoccava un’occhiata assassina alla
sorella. Mi aspettavo che la rimproverasse o che la minacciasse di non
giudicare mai più cose tanto intime, promettendole magari
atroci sofferenze se l’avesse fatto, invece ad Alice non
disse nulla. Però a me sussurrò
all’orecchio…
“Qualunque cosa lei dica, la tua bocca rimarrà
comunque la cosa che più mi ha fatto impazzire.”
Allora sorrisi, perché a dispetto di tutto, mi era piaciuto
avere quel potere su di lui. Solo io riuscivo a farlo impazzire. Era
una soddisfazione che andava oltre l’imbarazzo, oltre
ciò che era ritenuto lecito, oltre la definizione
d’indecenza che la società esprimeva. Quello che
avevo fatto, l’avrei rifatto comunque se fossi tornata
indietro.
Alice sbuffò, quasi indignata, ma non andò avanti
a snocciolare quel discorso.
“Tutto sommato, sono contenta che abbiate avuto modo di
sfogarvi” disse, “perché Jacob vi
rimarrà alle calcagna per molto tempo prima che un altro
impegno lo porti fuori città.”
Mi intristii a sentire quella profezia. La continenza che ci aspettava
sarebbe parsa infinita, me lo sentivo.
“I nuovi arrivati non saranno così
furbi.”
“Ti sbagli Edward. Questa mattina, mentre eri impegnato, ho
avuto un’altra visione.”
Vidi il mio vampiro accigliarsi, come se fosse contraddetto dal fatto
che un’esperienza sessuale gli avesse precluso essenziali
informazioni.
“I nuovi arrivati si terranno ben nascosti per circa cinque o
sei mesi. I Quilente sono riusciti ad ucciderne tre, perciò
sono rimasti in cinque. Rimangono una famiglia piuttosto numerosa, ma
non rischieranno di avere nuove perdite. Aspetteranno, facendo credere
ai mutaforma di non essere più una minaccia. Jacob ha deciso
che interverrà solo quando sarà strettamente
necessario, perché si fida poco a lasciarvi di nuovo senza
una balia.”
“Cosa l’ha spinto questa volta a lasciarci
soli?” chiesi.
Alice mi sorrise in modo furbesco e dalla sua gola proruppe un risolino
sottile tuttavia elegante.
“Era convinto che nulla sarebbe successo tra noi”
spiegò Edward.
E la sorella aggiunse:
“Vi ha seguiti nel tragitto che avete fatto da qui a casa a
tua. Vi ha sentiti litigare, e poi ti ha vista uscire dalla macchina di
Edward e Edward rimanere lì, senza seguirti. Ha supposto che
foste troppo arrabbiati l’un con l’altra per aver
voglia di provare nuove esperienze, sottovalutando chiaramente la
passione che vi unisce.”
Strabuzzai gli occhi: povero Jacob! Lo avevamo aggirato e messo nel
sacco – in senso metaforico, ovvio – quando lui non
aveva fatto altro che adempiere al suo dovere di mutaforma. Avevo da
poco appreso, infatti, che i Quilente avevano l’obbligo
morale di scacciare tutti i vampiri pericolosi e non solo quelli
entrati in Fronks. Per questo si erano spostati in massa verso
l’Alaska, per via di un clan assortito di vampiri giovani, i
quali si erano fatti notare a tal punto che la voce dello scompiglio
era arrivata fino alle orecchie tese dei mutaforma.
“E questo avvale l’opinione che ho su di
lui” borbottò Edward crucciato.
Lo ignorai, e osservando l’assenso sul volto di Alice, mi
venne spontanea una domanda.
“Ma credevo che i tuoi poteri fossero incapaci di vedere il
futuro dei mutaforma!”
“E’ così. Ho lavorato sul futuro tuo e
di Edward per seguire le sue mosse, il resto non è altro che
l’insieme di logiche intuizioni” chiarì.
Mi venne naturale annuire, un po’ colpita dal suo modo
pragmatico di agire, e ringraziai per i biscotti e il tè che
Esme mi porse in una deliziosa tazza di finissima porcellana. Lei mi
sorrise dolce come lo zucchero e poi scomparve di nuovo. Allora presi a
sorseggiare il liquido caldo con gusto, sovrappensiero, e proprio
quando ero sul punto di provare ad assaggiare i biscotti fatti in casa
di Esme, Edward disse alla sorella:
“Sei dannatamente esagerata, Alice!”
Ecco, doveva aver letto qualcos’altro nella sua mente; sperai
fosse un pensiero meno imbarazzante del precedente. Poi guardai il
biscotto… chissà se sarei morta dopo il primo
morso? In quel caso sarebbe stata una fine rapida.
“Mi dispiace per te, Edward, ma il mio ragionamento
è privo di ogni esagerazione” ribatté
Alice.
Nel frattempo, stavo annusando il biscotto per cercare di capire
dall’odore se sarei morta o meno tra atroci sofferenze. Il
suo aspetto non incuteva timore – era perfettamente tondo e
giallo, liscio e privo di bozzi sulla superficie dorata –
però sapevo grazie all’esperienza quanto le
apparenze potesse ingannare.
“Dimentichi che sono stato nel suo cervello. So come
ragiona.”
“Ora sei tu a sottovalutare la situazione! Non fare il suo
stesso errore, fratello. Il suo fiuto è abbastanza forte da
percepire il tuo profumo su di lei!”
Alice si stava infervorando parecchio, notai, intanto che spezzavo
l’impasto friabile per studiarlo anche all’interno.
“Su di lei c’è sempre il mio odore.
Quello che è successo non ha cambiato le cose”
rispose Edward, solo apparentemente calmo. Sotto la superficie bronzea
dei suoi occhi si intravedeva una briciola di irritazione, che pian
piano andava ingigantendosi. Queste informazioni le carpii mentre
tenevo in mano le due metà del biscotto spezzato e decidevo
quale delle due avrei provato per prima.
“Stupido! Tu non riesci a sentirlo perché sei
assuefatto dal suo profumo, ma ogni parte di lei emana il tuo odore. E
non parlo di quello della tua traccia! Quando Jacob lo
sentirà, così come l’ho sentito io,
scoppierà una guerra!” quasi urlò la
sorella. Al che, smisi di analizzare la composizione molecolare della
creazione di Esme, e prestai più attenzione alla loro
discussione.
Edward si era crucciato profondamente e dopo aver guardato torvo Alice,
spostò i suoi occhi arrabbiati su di me. Mi sentii a
disagio, perché entrambi mi stavano studiando con morbosa
attenzione. Ora sapevo come si era sentito il biscotto fino a pochi
secondi prima. Non era una bella sensazione, in effetti.
“Cosa?” chiesi, rossa in viso.
“Hai fatto una doccia prima di scendere?”
La domanda me la lanciò Edward, con una disinvoltura tipica
di un arrogante faccia da schiaffi.
“Certo!” affermai, sentendomi accusata.
“Non ti ricordi? Ti sei persino offerto di lavarmi la
schiena!”
“Allora il tuo odore è più forte di
quanto immaginassi” ragionò Alice.
“Cosa diamine succede?”
Mi era sfuggito qualcosa, ovvio. Tutta colpa del biscotto! Maledetto!
Dal petto di Edward proruppe un ringhio burbero, di chi è
momentaneamente indisposto e poco incline a dare spiegazioni,
così fu la mia cara amica a parlare per lui.
“Il vostro approccio è stato troppo intimo Bella.
Quello che ha fatto Edward ha lasciato sul tuo corpo un odore
particolare, di maschio, di possessione e accoppiamento. Immagino che
sia colpa del tuo sangue. Probabilmente esalta l’odore del
vampiro che ti marchia con la sua traccia, oppure dipende
esclusivamente da Edward… o entrambe le cose!”
“Oh, cielo.”
Ero allibita. Perché la nostra vita sentimentale doveva
implicare tutte quelle complicazioni?
“E cosa succederà quando
Jacob…?”
Non riuscii a concludere la mia domanda, già presa
dall’immaginazione: nella mia mente c’era un lupo
rossiccio molto incazzato che chiamava a raccolta la sua
tribù, con l’unico intento di farci a pezzetti.
“Presumerà che abbiate avuto un rapporto completo.
A quel punto riterrà il patto violato e si
sentirà in dovere di intervenire con la sua gente. Saresti
in pericolo, perché non correrebbero mai il rischio di
lasciarti libera sapendo che potresti essere incinta di un
mostro.”
Alice si rese conto del suo errore troppo tardi. La parola
‘mostro’ fece scattare Edward, che ruggendo alla
sorella le si parò davanti con la velocità di una
saetta.
“Edward!” lo chiamai allarmata. Non avrei mai
voluto che Alice venisse di nuovo punita, anche se, dovevo ammettere
che la sua pessima scelta di parole aveva colpito pure me. Mai avrei
creduto che la mia amica considerasse malato ciò che sarebbe
potuto nascere da me e suo fratello.
“Edward, ti prego calmati!”
Ma lui continuava a ringhiare contro Alice, del tutto immobile e un
po’ intimidita, finché non entrò
Carlisle nella stanza. Un attimo prima era sull’uscio del
salotto, un attimo dopo era vicino al figlio, con una mano posata sulla
sua spalla per intimargli di indietreggiare. Carlisle, biondo e bello
come un Dio greco, era sempre stato il mio idolo; in quel momento il
mio livello di stima nei suoi confronti arrivò a livelli
inimmaginabili.
“Avrete modo di chiarire civilmente il punto di vista di
Alice più tardi” disse in tono diplomatico il
dottore. “Ora riaccompagna Bella a casa.”
Edward annuì in segno di assenso, sebbene fosse ancora nero
dalla rabbia. Il ‘punto di vista di Alice’
– come l’aveva chiamato Carlisle – doveva
avergli recato una delusione tale da ferirlo. Se era così,
allora preferivo ignorare i reali pensieri della mia amica,
perché altrimenti non l’avrei più
considerata come ora facevo.
“Bella?”
“Si Carlisle!”
“Ti dispiacerebbe fare un’altra doccia una volta
arrivata a casa? Sono sicuro che la tua igiene personale sia
impeccabile, ma dobbiamo cercare di togliere quell’odore dal
tuo corpo.”
“Certo.”
Appena prima di girarmi per prendere il mio impermeabile, mi
spuntò Jasper davanti. Era impeccabile e impassibile come
sempre, ma mi rivolse un microscopico sorriso di incoraggiamento prima
di annunciare a tutti i presenti che aveva percepito una bolla di
malumore avvicinarsi.
Doveva essere Jacob, disse, perché la sua andatura era
più veloce di un qualsiasi umano tuttavia più
lenta di un normale vampiro.
“Il suo arrivo era previsto tra
mezz’ora!” esclamò Alice, che odiava
essere colta di sorpresa.
Non avrebbe mai potuto prevedere quell’improvviso cambio di
programma, considerata la sua incapacità di vedere il futuro
dei mutaforma. Carlisle invece si dimostrò preparato e senza
farsi prendere dall’ansia, disse:
“Ti conviene trasportarla, Edward. Non sareste altrettanto
veloci con la macchina.”
Vidi la mascella di Edward serrarsi e ad un tratto i suoi lineamenti
parvero farsi duri. Era ovvio che stesse implodendo dalla rabbia,
così evitai di lamentarmi quando mi prese bruscamente sulle
spalle per trasportarmi fuori. Non mi aveva neppure dato il tempo di
allacciare le braccia e le gambe al suo corpo, per cui la mia posizione
era quella di un sacco di patate, issato sulla spalla come un peso
morto.
Sfrecciamo nella foreste e fui tanto intrepida da cercare di fare due
cose contemporaneamente: trovare un appiglio saldo e tenere
così alta la testa, e stringere bene gli occhi in modo da
ignorare la velocità con la quale viaggiavamo. Alla fine
trovai i passanti dei jeans e mi aggrappai a quelli.
“Sarà meglio che tu non insista troppo, amore. Non
vorrei trovarmi privo di pantaloni quando saremo arrivati”
disse sarcastico il mio vampiro. Potevo immaginare il ghigno sfrontato
sulle sue labbra. Come poteva scherzare in un momento simile?!
“Eppure sono certa che ne non ti dispiacerebbe!”
Lui rise di gusto alla mia battuta, perciò la rabbia che
aveva dimostrato pochi minuti fa doveva essere del tutto scemata.
Il viaggio finì dopo pochi istanti e, aperti gli occhi, fui
sorpresa nel constatare che eravamo nel mio bagno. Era entrato in casa
senza che mi accorgessi di nulla!
“Spogliati” mi intimò, quasi che il suo
fosse un ordine.
“Risolveremo ben poco se hai intenzione di fare quello che
penso tu voglia fare.”
Contro ogni mia aspettativa, rimase serio.
“Hai cinque minuti per toglierti di dosso il mio odore.
Strofina forte i punti dove più ti ho toccata”
disse e, nonostante il momento fosse critico, fallì nel
nascondere la lussuria negli occhi e nella voce. Sicuramente il ricordo
di come mi aveva toccata aveva risvegliato il suo lato selvaggio
così come quelle stesse immagini stavano ora invadendo la
mia mente. Il modo con il quale mi fissava poi, mi scoraggiava a
tornare coerente, portandomi sulla rotta della perdizione. Troppo
intensi, troppo vicini erano i ricordi delle ore trascorse insieme. E
nel rendermi conto che avrei potuto mandare all’aria ogni
precauzione per cedere al piacere di stare con lui, giunsi alla
conclusione che urgeva un cambiamento radicale.
Una decisione che ci avrebbe tolto da quegli impicci, che non mi
avrebbe costretta a fare docce riparatrici o a preoccuparmi del mio
odore, che avrebbe reso invalicabile il nostro legame e privata la
nostra intimità. A quel punto non avrei dovuto vergognarmi
per quello che mi sembrava giusto fare per dargli piacere, e nessuno
avrebbe potuto criticare qualcosa.
“Bella?”
Mi ero dilungata troppo con le mie riflessioni.
“Mhm, si.”
“Quattro minuti” puntualizzò Edward.
“Arriverà così presto?”
“Anche prima se trova la mia traccia.”
Allora mi attivai come un soldato al quale fosse stato lanciato un
ordine e mi spogliai veloce davanti a lui, badando poco alla forma ma
più alla praticità. La mia intenzione era lungi
dal sembrare sexy ai suoi occhi, così uscii dal maglione e
dal reggiseno in un gesto solo e tirai giù i jeans insieme
alle mutandine. Quindi entrai nella vasca da bagno e attivai il getto
dell’acqua al massimo. Mentre strofinavo la spugna ruvida
sulla pelle, sentii Edward consigliarmi di passarla sul ventre e poi
una frusta d’aria gelida sulla pelle bagnata mi disse che era
sceso di sotto con la sua super velocità. Lo maledissi
mentalmente: era evidente che avesse dimenticato cosa significhi avere
freddo!
“BELLA?!”
“Cazzo!”
Quello che mi aveva chiamata era mio padre!
“STO IN BAGNO CHARLIE!!” gridai.
Per fortuna Edward aveva pensato di chiudere la porta,
perché altrimenti mi sarei uccisa per uscire dalla vasca.
Avevo sfidato la morte già una volta e portavo ancora i
segni del grosso livido a forma di rubinetto sul sedere. Non chiedetemi
come ci ero riuscita; neppure io lo so!
“Bella?”
“Si Charlie!”
La voce di mio padre ora era molto vicina, come se fosse dietro la
porta. Il mio cuore prese a battere forte, anche se sapevo benissimo
che le capacità di Edward non avrebbero potuto tradirlo e
che quindi Charlie avrebbe ignorato la sua presenza fino ad un suo
eventuale cambio di idee.
“C’è un cane” mi disse. Dal
tono mi sembrò sconcertato, quasi che il pensiero di un cane
nei pressi di casa nostra fosse un fatto troppo assurdo da accettare.
“Ah si?! E ora dov’è?” chiesi
con aria innocente; nel mentre mi strofinavo più forte la
pelle già arrossata.
“Non ne sono sicuro. Quando sono entrato si era appena
sistemato sotto l’albero” borbottò
perplesso.
Accidenti! pensai. L’albero di cui stava parlando,
l’unico albero nelle immediate vicinanze di casa, si
affacciava in corrispondenza della finestra della mia stanza. Jacob
aveva forse intenzione di entrarci? E se lì avesse
incontrato Edward, cosa sarebbe successo in quel caso? Una lotta tra
entità soprannaturali era fuori discussioni… mi
distruggerebbero la stanza! Conclusi disperata.
“Forse dovresti cacciarlo” proposi, con la voce
più bassa di due o tre toni. Il mutaforma mi aveva sentita
comunque?
Mio padre rimase in silenzio, e ciò mi fece credere che
stesse realmente considerando quella alternativa. Nel frattempo
afferrai un telo e mi ci avvolsi dentro, perché pensavo di
aver consumato e irritato abbastanza la mia pelle. Mi stavo
raccogliendo i capelli umidi in una pinza viola quando Charlie prese di
nuovo a parlare.
“Non sarebbe male avere un cane da guardia.”
COSA? Ero impazzita! Charlie non aveva davvero pronunciato quelle
parole!
Mi fiondai alla porta e l’aprii che ero ancora avvolta dal
lungo telo di spugna rosa. Vidi mio padre spalancare gli occhi e
volgere lo sguardo altrove, imbarazzato.
“Cosa vorresti dire?” chiesi, a metà tra
l’essere minacciosa e disperata.
“C-che quello sembra un cane in forze. Potremmo tenerlo come
cane da guardia.”
La mascella mi cadde sul pavimento.
Un cane ululò nel mio giardino.
Mi dissi di essere sicuramente impazzita.
L’ululato di un cane poteva sembrare una risata umana? Una
risata umana divertita e piena?
Ebbene, dopo tutto quello che avevo visto, sapevo che anche quello era
possibile.
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