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Autore: Gazy    18/01/2010    15 recensioni
Questa storia è per tutti, ma sono sicura che pochi l'apprezzeranno. Dimenticate l'Edward dolce e premuroso della Meyer. Il mio è un'Edward oscuro... un'Edward dannato. Bella vi sembrerà la solita imbranata, ma scoprirete quanto sia diversa dall'originale solo se mi seguirete. Non parlo di sfacciataggine, di malizia o aggressività... la mia Bella ha la chiave di questa storia. Ci saranno nuovi personaggi e totali stravolgimenti. Se siete sicuri che questo possa piacervi, allora leggete! ^.^ ...[Improvvisamente sentii lo schiocco metallico di un accendino a benzina e, subito dopo, una fiammella galleggiò nel buio. Alla mia destra, infondo al bancone, una bocca espirò un soffio di fumo. Smisi di respirare, il corpo indurito dall’aspettativa mentre distinguevo una sagoma nera seduta su uno sgabello, perfettamente mitizzata dalle tenebre. Mi resi conto che, se avesse voluto, avrebbe potuto farmi credere che il locale fosse deserto restando semplicemente immobile]...
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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(Lesson n.27): I guai non vengono mai da soli
Il clan Quilente aveva dei problemi. E belli grossi. Grazie a quello che Edward mi aveva raccontato, avevo capito quanta responsabilità quei mutaforma reggevano sulle loro spalle abbronzate. Non l’avrei mai immaginato, e per questo mi sentii un pizzico in colpa per aver sottovalutato il loro ruolo.
“Gradiresti dei biscotti, Bella? Sono usciti dal forno appena due ore fa!” mi annunciò con entusiasmo Esme. Lei continuava ad essere una vampira strana, come testimoniava il fatto che aveva cucinato dei biscotti nonostante la sua impossibilità di mangiarli. Per cortesia le sorrisi e accettai l’offerta, un po’ preoccupata perché non avevo mai mangiato qualcosa preparato da una creatura esente di gusto. Quei biscotti potevano benissimo essere stati preparati con un quintale di zucchero, o una decina di uova, e il suo palato ne avrebbe ignorato comunque la differenza.   
“Non ci intratteniamo molto, Esme.”
“Oh su Edward, Bella sarà affamata!” intervenne Alice.
Edward ebbe la decenza di non ribattere mentre io arrossivo senza ritegno di fronte al suo occhiolino, un gesto di complicità che sottointese troppi significati e una sola certezza: Alice, ovviamente, aveva visto come avevamo trascorso la notte – e forse anche la mattinata.
“Allora ti preparo anche un tè” aggiunse Esme. Al contrario della figlia, non fu invadente e sorvolò con indifferenza sull’evidente insinuazione di Alice. Una vampira strana, ma educata.
“Ti ringrazio Esme, sei troppo buona.”
Sorrise con dolcezza scomparendo poi qualche secondo dopo, e io supposi fosse in cucina come ogni perfetta padrona di casa. In effetti le ero davvero grata, poiché nonostante non l’avrei mai ammesso, ero affamata. L’attività alla quale ci eravamo dedicati io e il mio vampiro quella mattina si era prolungata sino ai miei limiti umani, come aveva avuto cura di sottolineare Edward. Lui avrebbe continuato a darmi piacere ancora per molte ore, aveva detto, ma io ero tanto stremata che quella mi era parsa una minaccia di tortura piuttosto che un’allettante promessa. Così avevamo deciso di trascorre la nostra ultima ora senza Jacob a casa Cullen, dove Alice avrebbe avuto cura di spiegarmi i dettagli della storia che Edward mi aveva fornito solo in grandi linee. Sospirando mi sistemai meglio affianco a lui, che mi stringeva a sé con un braccio. Il divano sul quale eravamo seduti, ero lo stesso che aveva visto consumarsi il nostro ‘quasi’ rapporto ancor prima di iniziare per davvero. Lì Jacob ci aveva sorpresi e fermati per la prima volta.   
“Era più che consenziente, credimi” disse ad un tratto Edward, guardando la sorella con sguardo torvo. Di certo aveva letto una domanda nel suo cervello, una di quelle che a voce è difficile pronunciare.
“Che lo fosse non fa differenza” rispose lei, e con una mano protesa in un gesto di altri tempi, lo apostrofò altezzosa. “Tu l’hai sedotta, perciò è come se l’avessi obbligata a farlo. Una brava ragazza non fa certe cose. Non alla prima notte, almeno!”
Iniziai seriamente a preoccuparmi; Alice si stava riferendo alla notte trascorsa insieme e, più che altro, a come l’avevamo trascorsa.
“Cosa stai dicendo Alice?”
“Rilassati Bella, sono convinta che non è colpa tua.”
“M-ma i-io…tu non dovresti impicciarti!”
“Mi sento in dovere di farlo, se ti vedo in procinto di usare la bocca in quel modo su mio fratello!”
Avvampai di un colpo, tanto violentemente che la vista mi si offuscò e la stanza girò così forte da farmi pensare fossi piombata al centro di una giostra. Ebbi paura di svenire per la vergogna e di sicuro non c’era nulla che avessi potuto dire, anche volendo. Così, piuttosto che svanire sotto forma di uno sbuffo di fumo come avrei voluto, mi nascosi tra la spalla e il collo di Edward. Lui mi cinse forte la vita e accarezzò teneramente i miei capelli, mentre – ne ero certa – scoccava un’occhiata assassina alla sorella. Mi aspettavo che la rimproverasse o che la minacciasse di non giudicare mai più cose tanto intime, promettendole magari atroci sofferenze se l’avesse fatto, invece ad Alice non disse nulla. Però a me sussurrò all’orecchio…
“Qualunque cosa lei dica, la tua bocca rimarrà comunque la cosa che più mi ha fatto impazzire.”
Allora sorrisi, perché a dispetto di tutto, mi era piaciuto avere quel potere su di lui. Solo io riuscivo a farlo impazzire. Era una soddisfazione che andava oltre l’imbarazzo, oltre ciò che era ritenuto lecito, oltre la definizione d’indecenza che la società esprimeva. Quello che avevo fatto, l’avrei rifatto comunque se fossi tornata indietro.
Alice sbuffò, quasi indignata, ma non andò avanti a snocciolare quel discorso.
“Tutto sommato, sono contenta che abbiate avuto modo di sfogarvi” disse, “perché Jacob vi rimarrà alle calcagna per molto tempo prima che un altro impegno lo porti fuori città.”
Mi intristii a sentire quella profezia. La continenza che ci aspettava sarebbe parsa infinita, me lo sentivo.
“I nuovi arrivati non saranno così furbi.”
“Ti sbagli Edward. Questa mattina, mentre eri impegnato, ho avuto un’altra visione.”
Vidi il mio vampiro accigliarsi, come se fosse contraddetto dal fatto che un’esperienza sessuale gli avesse precluso essenziali informazioni.
“I nuovi arrivati si terranno ben nascosti per circa cinque o sei mesi. I Quilente sono riusciti ad ucciderne tre, perciò sono rimasti in cinque. Rimangono una famiglia piuttosto numerosa, ma non rischieranno di avere nuove perdite. Aspetteranno, facendo credere ai mutaforma di non essere più una minaccia. Jacob ha deciso che interverrà solo quando sarà strettamente necessario, perché si fida poco a lasciarvi di nuovo senza una balia.”
“Cosa l’ha spinto questa volta a lasciarci soli?” chiesi.
Alice mi sorrise in modo furbesco e dalla sua gola proruppe un risolino sottile tuttavia elegante.
“Era convinto che nulla sarebbe successo tra noi” spiegò Edward.
E la sorella aggiunse:
“Vi ha seguiti nel tragitto che avete fatto da qui a casa a tua. Vi ha sentiti litigare, e poi ti ha vista uscire dalla macchina di Edward e Edward rimanere lì, senza seguirti. Ha supposto che foste troppo arrabbiati l’un con l’altra per aver voglia di provare nuove esperienze, sottovalutando chiaramente la passione che vi unisce.”
Strabuzzai gli occhi: povero Jacob! Lo avevamo aggirato e messo nel sacco – in senso metaforico, ovvio – quando lui non aveva fatto altro che adempiere al suo dovere di mutaforma. Avevo da poco appreso, infatti, che i Quilente avevano l’obbligo morale di scacciare tutti i vampiri pericolosi e non solo quelli entrati in Fronks. Per questo si erano spostati in massa verso l’Alaska, per via di un clan assortito di vampiri giovani, i quali si erano fatti notare a tal punto che la voce dello scompiglio era arrivata fino alle orecchie tese dei mutaforma.
“E questo avvale l’opinione che ho su di lui” borbottò Edward crucciato.
Lo ignorai, e osservando l’assenso sul volto di Alice, mi venne spontanea una domanda.
“Ma credevo che i tuoi poteri fossero incapaci di vedere il futuro dei mutaforma!”
“E’ così. Ho lavorato sul futuro tuo e di Edward per seguire le sue mosse, il resto non è altro che l’insieme di logiche intuizioni” chiarì.
Mi venne naturale annuire, un po’ colpita dal suo modo pragmatico di agire, e ringraziai per i biscotti e il tè che Esme mi porse in una deliziosa tazza di finissima porcellana. Lei mi sorrise dolce come lo zucchero e poi scomparve di nuovo. Allora presi a sorseggiare il liquido caldo con gusto, sovrappensiero, e proprio quando ero sul punto di provare ad assaggiare i biscotti fatti in casa di Esme, Edward disse alla sorella:
“Sei dannatamente esagerata, Alice!”
Ecco, doveva aver letto qualcos’altro nella sua mente; sperai fosse un pensiero meno imbarazzante del precedente. Poi guardai il biscotto… chissà se sarei morta dopo il primo morso? In quel caso sarebbe stata una fine rapida.
“Mi dispiace per te, Edward, ma il mio ragionamento è privo di ogni esagerazione” ribatté Alice.
Nel frattempo, stavo annusando il biscotto per cercare di capire dall’odore se sarei morta o meno tra atroci sofferenze. Il suo aspetto non incuteva timore – era perfettamente tondo e giallo, liscio e privo di bozzi sulla superficie dorata – però sapevo grazie all’esperienza quanto le apparenze potesse ingannare.
“Dimentichi che sono stato nel suo cervello. So come ragiona.”
“Ora sei tu a sottovalutare la situazione! Non fare il suo stesso errore, fratello. Il suo fiuto è abbastanza forte da percepire il tuo profumo su di lei!”
Alice si stava infervorando parecchio, notai, intanto che spezzavo l’impasto friabile per studiarlo anche all’interno.
“Su di lei c’è sempre il mio odore. Quello che è successo non ha cambiato le cose” rispose Edward, solo apparentemente calmo. Sotto la superficie bronzea dei suoi occhi si intravedeva una briciola di irritazione, che pian piano andava ingigantendosi. Queste informazioni le carpii mentre tenevo in mano le due metà del biscotto spezzato e decidevo quale delle due avrei provato per prima.
“Stupido! Tu non riesci a sentirlo perché sei assuefatto dal suo profumo, ma ogni parte di lei emana il tuo odore. E non parlo di quello della tua traccia! Quando Jacob lo sentirà, così come l’ho sentito io, scoppierà una guerra!” quasi urlò la sorella. Al che, smisi di analizzare la composizione molecolare della creazione di Esme, e prestai più attenzione alla loro discussione.
Edward si era crucciato profondamente e dopo aver guardato torvo Alice, spostò i suoi occhi arrabbiati su di me. Mi sentii a disagio, perché entrambi mi stavano studiando con morbosa attenzione. Ora sapevo come si era sentito il biscotto fino a pochi secondi prima. Non era una bella sensazione, in effetti.
“Cosa?” chiesi, rossa in viso.
“Hai fatto una doccia prima di scendere?”
La domanda me la lanciò Edward, con una disinvoltura tipica di un arrogante faccia da schiaffi.
“Certo!” affermai, sentendomi accusata. “Non ti ricordi? Ti sei persino offerto di lavarmi la schiena!”
“Allora il tuo odore è più forte di quanto immaginassi” ragionò Alice.
“Cosa diamine succede?”
Mi era sfuggito qualcosa, ovvio. Tutta colpa del biscotto! Maledetto!
Dal petto di Edward proruppe un ringhio burbero, di chi è momentaneamente indisposto e poco incline a dare spiegazioni, così fu la mia cara amica a parlare per lui.
“Il vostro approccio è stato troppo intimo Bella. Quello che ha fatto Edward ha lasciato sul tuo corpo un odore particolare, di maschio, di possessione e accoppiamento. Immagino che sia colpa del tuo sangue. Probabilmente esalta l’odore del vampiro che ti marchia con la sua traccia, oppure dipende esclusivamente da Edward… o entrambe le cose!”
“Oh, cielo.”
Ero allibita. Perché la nostra vita sentimentale doveva implicare tutte quelle complicazioni?
“E cosa succederà quando Jacob…?”
Non riuscii a concludere la mia domanda, già presa dall’immaginazione: nella mia mente c’era un lupo rossiccio molto incazzato che chiamava a raccolta la sua tribù, con l’unico intento di farci a pezzetti.
“Presumerà che abbiate avuto un rapporto completo. A quel punto riterrà il patto violato e si sentirà in dovere di intervenire con la sua gente. Saresti in pericolo, perché non correrebbero mai il rischio di lasciarti libera sapendo che potresti essere incinta di un mostro.”
Alice si rese conto del suo errore troppo tardi. La parola ‘mostro’ fece scattare Edward, che ruggendo alla sorella le si parò davanti con la velocità di una saetta.
“Edward!” lo chiamai allarmata. Non avrei mai voluto che Alice venisse di nuovo punita, anche se, dovevo ammettere che la sua pessima scelta di parole aveva colpito pure me. Mai avrei creduto che la mia amica considerasse malato ciò che sarebbe potuto nascere da me e suo fratello.
“Edward, ti prego calmati!”
Ma lui continuava a ringhiare contro Alice, del tutto immobile e un po’ intimidita, finché non entrò Carlisle nella stanza. Un attimo prima era sull’uscio del salotto, un attimo dopo era vicino al figlio, con una mano posata sulla sua spalla per intimargli di indietreggiare. Carlisle, biondo e bello come un Dio greco, era sempre stato il mio idolo; in quel momento il mio livello di stima nei suoi confronti arrivò a livelli inimmaginabili.
“Avrete modo di chiarire civilmente il punto di vista di Alice più tardi” disse in tono diplomatico il dottore. “Ora riaccompagna Bella a casa.”
Edward annuì in segno di assenso, sebbene fosse ancora nero dalla rabbia. Il ‘punto di vista di Alice’ – come l’aveva chiamato Carlisle – doveva avergli recato una delusione tale da ferirlo. Se era così, allora preferivo ignorare i reali pensieri della mia amica, perché altrimenti non l’avrei più considerata come ora facevo.
“Bella?”
“Si Carlisle!”
“Ti dispiacerebbe fare un’altra doccia una volta arrivata a casa? Sono sicuro che la tua igiene personale sia impeccabile, ma dobbiamo cercare di togliere quell’odore dal tuo corpo.”  
“Certo.”
Appena prima di girarmi per prendere il mio impermeabile, mi spuntò Jasper davanti. Era impeccabile e impassibile come sempre, ma mi rivolse un microscopico sorriso di incoraggiamento prima di annunciare a tutti i presenti che aveva percepito una bolla di malumore avvicinarsi.
Doveva essere Jacob, disse, perché la sua andatura era più veloce di un qualsiasi umano tuttavia più lenta di un normale vampiro.
“Il suo arrivo era previsto tra mezz’ora!” esclamò Alice, che odiava essere colta di sorpresa.
Non avrebbe mai potuto prevedere quell’improvviso cambio di programma, considerata la sua incapacità di vedere il futuro dei mutaforma. Carlisle invece si dimostrò preparato e senza farsi prendere dall’ansia, disse:
“Ti conviene trasportarla, Edward. Non sareste altrettanto veloci con la macchina.”
Vidi la mascella di Edward serrarsi e ad un tratto i suoi lineamenti parvero farsi duri. Era ovvio che stesse implodendo dalla rabbia, così evitai di lamentarmi quando mi prese bruscamente sulle spalle per trasportarmi fuori. Non mi aveva neppure dato il tempo di allacciare le braccia e le gambe al suo corpo, per cui la mia posizione era quella di un sacco di patate, issato sulla spalla come un peso morto.
Sfrecciamo nella foreste e fui tanto intrepida da cercare di fare due cose contemporaneamente: trovare un appiglio saldo e tenere così alta la testa, e stringere bene gli occhi in modo da ignorare la velocità con la quale viaggiavamo. Alla fine trovai i passanti dei jeans e mi aggrappai a quelli.
“Sarà meglio che tu non insista troppo, amore. Non vorrei trovarmi privo di pantaloni quando saremo arrivati” disse sarcastico il mio vampiro. Potevo immaginare il ghigno sfrontato sulle sue labbra. Come poteva scherzare in un momento simile?!
“Eppure sono certa che ne non ti dispiacerebbe!”
Lui rise di gusto alla mia battuta, perciò la rabbia che aveva dimostrato pochi minuti fa doveva essere del tutto scemata.
Il viaggio finì dopo pochi istanti e, aperti gli occhi, fui sorpresa nel constatare che eravamo nel mio bagno. Era entrato in casa senza che mi accorgessi di nulla!
“Spogliati” mi intimò, quasi che il suo fosse un ordine.
“Risolveremo ben poco se hai intenzione di fare quello che penso tu voglia fare.”
Contro ogni mia aspettativa, rimase serio.
“Hai cinque minuti per toglierti di dosso il mio odore. Strofina forte i punti dove più ti ho toccata” disse e, nonostante il momento fosse critico, fallì nel nascondere la lussuria negli occhi e nella voce. Sicuramente il ricordo di come mi aveva toccata aveva risvegliato il suo lato selvaggio così come quelle stesse immagini stavano ora invadendo la mia mente. Il modo con il quale mi fissava poi, mi scoraggiava a tornare coerente, portandomi sulla rotta della perdizione. Troppo intensi, troppo vicini erano i ricordi delle ore trascorse insieme. E nel rendermi conto che avrei potuto mandare all’aria ogni precauzione per cedere al piacere di stare con lui, giunsi alla conclusione che urgeva un cambiamento radicale.
Una decisione che ci avrebbe tolto da quegli impicci, che non mi avrebbe costretta a fare docce riparatrici o a preoccuparmi del mio odore, che avrebbe reso invalicabile il nostro legame e privata la nostra intimità. A quel punto non avrei dovuto vergognarmi per quello che mi sembrava giusto fare per dargli piacere, e nessuno avrebbe potuto criticare qualcosa.
“Bella?”
Mi ero dilungata troppo con le mie riflessioni.
“Mhm, si.”
“Quattro minuti” puntualizzò Edward.
“Arriverà così presto?”
“Anche prima se trova la mia traccia.”
Allora mi attivai come un soldato al quale fosse stato lanciato un ordine e mi spogliai veloce davanti a lui, badando poco alla forma ma più alla praticità. La mia intenzione era lungi dal sembrare sexy ai suoi occhi, così uscii dal maglione e dal reggiseno in un gesto solo e tirai giù i jeans insieme alle mutandine. Quindi entrai nella vasca da bagno e attivai il getto dell’acqua al massimo. Mentre strofinavo la spugna ruvida sulla pelle, sentii Edward consigliarmi di passarla sul ventre e poi una frusta d’aria gelida sulla pelle bagnata mi disse che era sceso di sotto con la sua super velocità. Lo maledissi mentalmente: era evidente che avesse dimenticato cosa significhi avere freddo!
“BELLA?!”
“Cazzo!”
Quello che mi aveva chiamata era mio padre!
“STO IN BAGNO CHARLIE!!” gridai.
Per fortuna Edward aveva pensato di chiudere la porta, perché altrimenti mi sarei uccisa per uscire dalla vasca. Avevo sfidato la morte già una volta e portavo ancora i segni del grosso livido a forma di rubinetto sul sedere. Non chiedetemi come ci ero riuscita; neppure io lo so!
“Bella?”
“Si Charlie!”
La voce di mio padre ora era molto vicina, come se fosse dietro la porta. Il mio cuore prese a battere forte, anche se sapevo benissimo che le capacità di Edward non avrebbero potuto tradirlo e che quindi Charlie avrebbe ignorato la sua presenza fino ad un suo eventuale cambio di idee.
“C’è un cane” mi disse. Dal tono mi sembrò sconcertato, quasi che il pensiero di un cane nei pressi di casa nostra fosse un fatto troppo assurdo da accettare.
“Ah si?! E ora dov’è?” chiesi con aria innocente; nel mentre mi strofinavo più forte la pelle già arrossata.  
“Non ne sono sicuro. Quando sono entrato si era appena sistemato sotto l’albero” borbottò perplesso.
Accidenti! pensai. L’albero di cui stava parlando, l’unico albero nelle immediate vicinanze di casa, si affacciava in corrispondenza della finestra della mia stanza. Jacob aveva forse intenzione di entrarci? E se lì avesse incontrato Edward, cosa sarebbe successo in quel caso? Una lotta tra entità soprannaturali era fuori discussioni… mi distruggerebbero la stanza! Conclusi disperata.
“Forse dovresti cacciarlo” proposi, con la voce più bassa di due o tre toni. Il mutaforma mi aveva sentita comunque?
Mio padre rimase in silenzio, e ciò mi fece credere che stesse realmente considerando quella alternativa. Nel frattempo afferrai un telo e mi ci avvolsi dentro, perché pensavo di aver consumato e irritato abbastanza la mia pelle. Mi stavo raccogliendo i capelli umidi in una pinza viola quando Charlie prese di nuovo a parlare.
“Non sarebbe male avere un cane da guardia.”
COSA? Ero impazzita! Charlie non aveva davvero pronunciato quelle parole!
Mi fiondai alla porta e l’aprii che ero ancora avvolta dal lungo telo di spugna rosa. Vidi mio padre spalancare gli occhi e volgere lo sguardo altrove, imbarazzato.
“Cosa vorresti dire?” chiesi, a metà tra l’essere minacciosa e disperata.
“C-che quello sembra un cane in forze. Potremmo tenerlo come cane da guardia.”
La mascella mi cadde sul pavimento.
Un cane ululò nel mio giardino.
Mi dissi di essere sicuramente impazzita.
L’ululato di un cane poteva sembrare una risata umana? Una risata umana divertita e piena?
Ebbene, dopo tutto quello che avevo visto, sapevo che anche quello era possibile.  
 

 
 

  
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