§::..Segreto di Sangue..::§

di Gazy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** °Prologo° ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***



Capitolo 1
*** °Prologo° ***


Segreto di Sangue


°Prologo°
Non ho mai pensato di essere speciale.
Ci sono persone che si distinguono per il loro aspetto,
per la loro ambizione, oppure per il loro talento.
Io, invece, mi sono sempre sentita insignificante sotto ogni aspetto.
Poi ho capito che notavo cose che gli altri non vedevano.
Che percepivo sensazioni che non avrei dovuto percepire.
Questo per via del mio sangue…
In qualche modo, la ninfa che mi scorreva nelle vene attirava a sé esseri soprannaturali.
Ho iniziato a sentirmi tormentata nel momento in cui ho capito che sarebbe stato meglio se fossi rimasta insignificante.
Perché gli esseri soprannaturali possono essere pericolosi…
…quando da te vogliono la vita.



Nota dell'autrice: Salve!! ^.^ Avevo promesso ad alcune mie lettrici che sarei tornata con una nuova storia dopo i miei esami....
ebbene, agli esami manca un mesetto, però non sono riuscita resistere! =) Questa è storia particolare, incontrerete dettagli che potrebbero suscitare il vostro disaccordo. Il rating è Arancione perchè verranno trattati temi scottanti, ma solo nei capitoli cruciali.
Spero di ritrovare alcune delle miei vecchie lettrici e di ricere tanti commenti, sia negativi che positivi ^.^ A me stà bene tutto!!
E ora, vi auguro una buona lettura ^-^

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


(Lesson n.1): Il passato prima o poi torna a tormentarti
Ieri…

“Ti amo”
Due parole dall’immenso significato, sottovalutato quando non si conosce, trascurato dal mio modo convinto di vivere. Non avrei mai immaginato di poter essere manipolata così, come cera calda, malleabile tra le mani di quel sentimento crudele. Mi parve improvvisamente di aver lottato una vita intera una guerra contro di esso, di aver resistito fino all’ultimo, fino a quel momento, che mi vedeva vinta.
Avevo perso. Ed ora, eccomi qui… che offrivo il mio cuore e la mia anima ad una persona che credevo di conoscere. Il suo aspetto – soprattutto i tratti del suo viso e i suoi splendidi occhi – l’avrei potuto riportare su tela con la minuzia di un esperto pittore, per quanto allungo l’avevo studiato.
Mi sentivo una stupida ragazzina. Irrazionale e tremendamente fragile come non ero mai stata. In contemporanea, il mio orgoglio mi chiedeva come potevo farmi questo: umiliarmi in un modo che normalmente non avrei mai concepito, se non fossi stata accecata dalla luce di quell’opprimente emozione. C’era dunque  una parte di me che aveva minacciato di implodere ed era stata quella ad obbligarmi! Mi ero esposta per non uccidere il mio cuore in quell’implosione. Avevo sentito il bisogno di liberarmi, come se quello fosse stato un peccato mortale da confessare ad un prete.
Lo guardavo. Sapevo che era molto più alto di me , ma in quel momento mi sembrò un gigante. Probabilmente era lo scalino sul quale rimaneva a farlo tanto imponente. Io avrei voluto portarlo in giardino - l’intenzione di passeggiare mi calmava - però lui si era fermato lì, deciso a non andare oltre.
Pareva avere addosso una gran fretta. Avevo letto preoccupazione nei suoi occhi quando l’avevo chiamato da parte.
“Allora…” non avevo idea di cosa fosse più giusto dire in quelle occasioni.
Mi sembrava di recitare in un film, solo che il mio personaggio era più autentico di tutte le parti mai recitate dalle Star del Cinema. Mentre aspettavo, nel mio petto il cuore pulsava di dolore come la spia di un macchinario guasto. Com’era possibile? Forse era la mia immaginazione! Un dolore generato dalla mia fantasia, tanto vivo e reale da farmi ansimare. Martellava… mi suggeriva di gridare, di piangere, di farmi male. La maschera di cordiale apparenza si era alla fine sgretolata sotto i colpo di un martello fatto di sensazioni. Ero rimasta solo io, nuda, bersaglio facile di prede e predatori.
“Stai calma, respira Bella” mi incitò, con la sua voce squisita, bassa e densa come crema.
Non era rimasto impassibile di fronte alla mia dichiarazione. L’avevo visto accennare un sorriso, nato da chissà quale sentimento, mi chiesi. Forse mi credeva pazza… forse aveva ragione.
 “Non l’ho mai fatto prima, non so cosa mi succede” sussurrai.
In tutta sincerità, ero convinta di essere preda di un incantesimo. Quella non potevo essere io!
Può una persona del tutto razionare impazzire d’amore nell’arco di pochi istanti?
“Calmati” incitò ancora. Voleva rassicurami, tuttavia rimaneva su quello scalino, senza avvicinarsi. Era diverso dalle altre volte, da quei pomeriggi trascorsi insieme.
Pensai che avesse paura, che ci fosse qualcosa che gli impediva di togliere distanza tra noi. Che cosa stupida… Era come vedere un lupo impaurito dal belato di un agnellino.
Ma poi mi venne in mente qualcosa di infinitamente peggiore…
“Io non ti sto chiedendo nulla, sai?!” mi affrettai a dire “Mi basta rimanerti accanto, come sempre. Se tu decidi di restare, sarebbe il massimo per me!”.
Lo stavo pregando! Patetica. L’avevo mai fatto? Cercai di ricordare un momento della mia vita nel quale avessi pregato una persona, anziché il mio Dio. No, era una cosa che mi ero vantata di non aver mai fatto.
“Cosa dici?” gli chiesi fremente.
Mi fissava, lo sguardo fermo e quelle benedette dita appoggiate al corrimano; sembravano pronte ad afferrarlo, per poi aiutare il resto del corpo a risalire la rampa il più velocemente possibile.
“Mi dispiace, ma devo andare” rispose, per poi aggiungere a mezza voce: “Sei così piccola…”
“Non è vero! Farò sedici anni tra qualche mese!”
Insufficiente. Tra me e lui c’era un divario di anni che il mio imminente compleanno non avrebbe risanato. Lo sapevo… ma ora che mi ero buttata, valeva la pena sbattere le ali per provare a volare.
“Mi dispiace” disse di nuovo. Osservai come scuoteva piano la testa, con un’espressione rammaricata, ma non troppo. Gli occhi tristi, ma non abbastanza. Il corpo rigido, ma non immobile.Era il secondo protagonista di quel dramma, però non emotivamente coinvolto quanto il primo.
“Dispiace più a me, credimi” parlai con amarezza.
Lo sguardo mi era scivolato per un attimo altrove, puntando le scale che mancavano per arrivare al secondo piano. Incredibile come il caso mi avesse suggerito il momento giusto: i corridoi erano del tutto deserti.
Tornai a fissarlo. I miei occhi erano liquidi, tuttavia non avrebbero versato neppure una lacrima di fronte a lui. Mi era rimasta una briciola di dignità da difendere, così sopportai il bruciore in silenzio.
“Stai bene?”
Domanda stupida: non avrei mai pensato che Edward sarebbe caduto in queste banalità.
Comunque annuii, per assecondarlo.
Con la coda dell’occhio vidi le sue dita staccarsi dal legno scadente del corrimano, indugiare verso di me e…  tornare indietro. Per una frazione di secondo avevo sperato che quelle dita incontrassero la mia guancia, che mi dessero un po’ di conforto. Lui lo faceva! L’aveva sempre fatto quando ero triste! Perché ora era diverso?
“Adesso torniamo dagli altri. Ci staranno cercando” disse, sorridendomi.
Non era l’Edward che avevo conosciuto. Si era allontanato da me.
…era colpa mia.
 “Si”.
Salii le scale come un automa, tanto da non percepire nulla se non il mio respiro.
Mi sentivo pietra.
“Non ti sei offesa, vero Bella?” mi chiese.
Le scale erano finite. Davanti a noi c’era la sala gremita di gente; festosa, rideva e ballava, scherzava e beveva. Tutta quella vita mi sembrava lontana… irraggiungibile.
“No” mentii ancora una volta. “Infondo, un giorno potresti sempre cambiare idea”.
Silenzio.
Le urla allegre erano svanite, non esistevano nella mia testa.
Lui mi fissò con sguardo profondo, nero e senza speranze, si scontrava col mio…
… vivo, nonostante tutto.
“Già”.

Oggi…
Quella mattina il mondo sembrava avere una strana consistenza lattiginosa, luminoso e sfavillante come il bosco delle fate. Non era spiacevole tuttavia, anzi lo trovavo davvero… bello. Mi guardai attorno con un sorriso largo. Camminai sicura verso le scalinate della scuola: i miei piedi galleggiavano su un paio di tacchi altissimi come se non avessero fatto altro per tutta la vita.
Ero felicissima. Non avevo idea del motivo… ma lo ero davvero.
Guardandomi attorno potevo vedere solo persone che mi fissavano: ammiravano la mia bellezza e la mia eleganza. Si capiva che le ragazze erano gelose del mio raffinato portamento, delle miei gambe perfette messe in bella mostra dalla gonna corta, e della magliettina griffata dalla tinta sgargiante. I miei capelli non erano mai stati tanto curati, svolazzavano leggeri nell’aria e buttavano bagliori accecanti color mogano.
“Bella, posso portarti i libri?” mi chiese improvvisamente un ragazzo. Era basso e portava un paio di occhiali che gli scendevano sul naso.
“No Bella, lascia che sia io a portarti i libri!” si oppose un altro, sbucato dal nulla e decisamente più affascinante.
“Ignora questi mocciosi Bella, sarò io a portarti i libri!”
Questo ragazzo era ancora più bello degli altri due, che aveva spostato bruscamente con uno spintone. Io invece continuavo a sorridere. Il mio era un sorriso abbagliante, che produceva sfavilli sui loro visi adoranti.
“Non litigate per me. Potete sempre dividervi la giornata! Uno mi porterà i libri nelle prime due ore, uno nella terza e quarta, e l’altro alla quinta e sesta.” Dissi soddisfatta, gesticolando con un dito dall’unghia laccata da un brillante rosa confetto.
“Oh certo! Tu sì che sei intelligente Bella!” elogiarono in coro.
Mi guardavano come se fossi stata una Dea scesa in terra…
Ero popolare… e bellissima.
… bellissima.
… lissima.
… issima.
“NOOOOOO!!!” gridai senza ritegno nella quiete della mia disordinata stanza.
Per fortuna era stato solo un brutto sogno! Cercai di riprendere il controllo del mio cuore, posando la mano sul petto per consolarlo. Dopo alcuni minuti smise di bussare contro la cassa toracica, così tornai distesa tra i cuscini con un tuffo sgraziato.
“Tutto ok Bella… non è niente” dissi a me stessa. Se qualcuno avesse potuto vedermi in quel momento, mi avrebbe facilmente scambiata per una sopravvissuta ad un disastro aereo. Ero fradicia di sudore, pallida come se avessi visto un fantasma, e le lenzuola si erano avvolte attorno al mio corpo con la tenacia che solo un polipo assassino potrebbe avere.
“BELLA!” sentii gridare di sotto il mio nome.
Sospirai.
“Arrivo papà!”
Strisciai fuori dal bozzolo di coperte e poi ci rovistai dentro per trovare il pantalone del mio pigiama. Si era accartocciato nell’angolo più remoto del materasso, sfuggito dalle mie gambe perché l’elastico si era rotto qualche settimana fa. Primo o poi avrei dovuto sostituirlo…
Recuperati i pantaloni, li indossai prima di correre in bagno.

“Cosa succede? Ti ho sentita gridare…”
“Solo un incubo papà”.
Non lo guardavo: il mio sguardo scrutava i meandri del frigo, alla disperata ricerca di qualcosa di commestibile.
“Hai sognato di nuovo quel chiwawa con i baffi?” mi chiese. Anche con tutto l’impegno possibile, non sarebbe riuscito a nascondere il suo divertimento. Si stava prendendo gioco di me! E dell’incubo terrificante che avevo fatto tre notti prima.
“No, peggio” risposi burbera.
Ora sapevo che un topo-cane con baffi alla cowboy non era più terribile della Bella che avevo sognato. Affascinante, aggraziata, popolare, bellissima, una sorta di alter-ego, quello che non ero e che non avrei mai voluto essere.
“Vuoi uno strappo a scuola?”
“No grazie. Viene Alice a prendermi”.
Chiusi il frigo. Niente colazione. Avrei rimediato a scuola.

Al contrario del mio sogno, quella era una mattinata che rientrava perfettamente negli standard di Forks. Nuvolosa, umida, portava un sentore di pioggia familiare e quasi confortevole. Mi ritrovai per la prima volta ad apprezzare la normalità della mia routine. A pieni polmoni respirai la sottile nebbiolina che galleggiava nell’aria e scesi le scale; arrivata all’ultimo gradino, sentii il rumore di pneumatici sul selciato e un ringhio metallico. Sorrisi. La Porsche gialla di Alice frenò in una nuvola fumosa di terra, per piegare di lato e fermarsi a pochi passi da me. La sua guida, così come la sua precisione, mi sorprendevano sempre.  
“Buongiorno!” mi augurò appena entrai in macchina.
“Giorno”.
Fui abbagliata dalla spontaneità del suo sorriso, talmente aperto da mostrare per intero la sua perfetta dentatura e tanto tirato da raggiungere gli angoli dei suoi incredibili occhi. A renderli incredibili era il color ambra che li riempiva. Un colore formidabile, che contrassegnava lo sguardo di tutta la sua famiglia. Bè… non tutta. C’era un solo membro che vantava una sfumatura leggermente diversa…
“Che succede? Hai avuto un’incontro ravvicinato con BigFoot? Hai due occhiaie spaventose Bella!”
“Mille grazie Alice”. Prima di uscire ero stata tentata di coprirle con un velo di correttore, ma poi la voglia era scemata via via che mi ero avvicinata alla porta.  
“Non ho dormito bene. Dev’essere stato il panino imbottito di ieri sera”.
“Dovresti finirla di ingozzarti con quella roba. Sembra che tu lo faccia per farti del male!” protestò come un’apprensiva sorella maggiore.
Non aveva tutti i torti. Spesso ero mossa da strani impulsi suicidi, che svanivano non appena sentivo di aver fatto qualcosa di abbastanza distruttivo. Questo a volte mi spaventava, mi chiedevo fino a che punto sarei mai potuta arrivare. Ma ero migliorata! Tre anni fa, in un periodo della mia vita durato dodici mesi, ero stata capace di cose peggiori.
“Tu invece sembri felice. E’ successo qualcosa?”
Ricordavo ancora il sorriso enorme con il quale mi aveva accolta. Solitamente ne sfoggiava uno simile quando indossava un abito nuovo, oppure quando c’erano imminenti feste di compleanno.
“Bè, non so se posso dirtelo”.
Aveva un’espressione strana, di chi si è appena ricordata di un particolare non poco rilevante.
Iniziai ad agitarmi e così risi nervosamente, senza che avessi ordinato alla mia bocca di farlo.
“Cosa significa?”
“Quello che ho detto!” rispose, aggrottando le perfette sopraciglia.
“Ho paura di rovinarti la giornata…” mi confessò.
La macchina svoltò con una manovra temeraria, entrando nel parcheggio della scuola in un slalom che evitò le altre vetture con una precisione chirurgica.
Io mi tenni saldamente al cruscotto – come al solito avevo dimenticato di mettere la cintura – e continuai a mantenere lo sguardo fisso su Alice.
“Scherzi? Questa cosa non può essere tanto brutta!” protestai scettica.
Con due botte secche del manubrio Alice parcheggiò la Porsche; il movimento fu tanto improvviso da scaraventarmi contro il finestrino.
“Ahuc!”
Che male!
E fu così che, proprio mentre avevo il naso spiaccicato contro il gelido vetro, mi resi conto di aver parlato troppo presto. Affianco a noi c’era parcheggiata una scintillante Aston Martin. Non ero un’esperta, tuttavia avrei riconosciuto quella macchina tra mille…
In tutta Fronks, c’era solo una persona che poteva permettersi un mezzo tanto sofisticato.
“E’ tornato?”
“Scusami tanto Bella, ma non sapevo proprio come dirtelo”.

“Com’è possibile? Credevo che non sarebbe tornato mai più!” esclamai agitata.
Gli interni in pelle bianca della Porsche mi parvero improvvisamente insopportabili alla vista.
Desideravo trovarmi in un ambiente più spazioso, magari affollato di verde.
“Mai più è davvero molto tempo Bella, però le persone sono diverse e così il significato di una sola parola può risultare polivalente, di conseguenza il Mai Più diventa un lasso di tempo puramente soggettivo”.
La guardai così come si può guardare un malato di mente, non riuscendo proprio ad immaginare cosa volesse significare quel giro di parole. In testa avevo un matassa di ansia e nervosismo che, con infima lentezza, stava intaccando il mio stomaco; ero sicura che, se ci fosse stato qualcosa a riempirlo, non avrei esitato a svuotarlo in pochi istanti.
“Riaccompagnami a casa” dissi. Mi accorsi di aver preso quella decisione solo quando pronunciai l’ultima lettera della parola ‘casa’. Alla Bella codarda piacque tanto quell’idea, così come il suono della parola ‘casa’, che sembrava senza alcun dubbio confortante.
“Cosa?! Hai intenzione di saltarti l’anno per evitarlo?”
La voce acuta di Alice rimbalzò sui finestrini e quando arrivò alle mie orecchie mi sembrò moltiplicata per dieci. Aveva tutta l’aria di essere parecchio sconcertata. Io non trovavo quella conclusione così assurda… se questo significava salvaguardare me stessa, mi risultava molto sensata.
“Ci penserò domani, ma adesso portami a casa”.
“No” rispose.
“No?”
“No!”
La minacciai con il mio sguardo più minaccioso, ma lei sfoderò la sua arma segreta: la faccia-da-muro, che era molto più impressionante della faccia-delle-cose-serie.
Mi sentii il panico alla gola. Non riuscivo a pensare di doverlo rivedere. Era stato via, quanti anni?
Tre? Quattro? Il calendario che tenevo sopra il comodino aveva tutti i giorni segnati da una crocetta rossa, sommato agli altri tre calendari che avevo conservato nell’ultimo cassetto del comò… bè, si… erano quattro anni.
Era passato così tanto tempo? A me sembrava che neppure ventiquattro ore fossero trascorse dalla fatidica e indimenticabile frase di Alice.
“Oh, dimenticavo! Bella, lui è il mio fratello maggiore, Edward”.
L’esatto momento in cui mi girai fu per me un rintocco di campane, una valanga di emozioni che segnarono la mia fine.
Lui era… incredibile. Bellissimo e affascinante così come la Bella che quella notte avevo sognato, però con una marcia in più. Non sapevo per quale motivo, ma la magica bellezza dei Cullen non poteva paragonarsi a nessuna super star, a nessun modello, a nessun essere umano su questa terra.
Edward era il maschio più aitante della famiglia, esattamente come Rosalie, che al contrario, occupava il posto della donna più sensuale. Alto, dalle spalle larghe e la muscolatura accentuata, dotato di uno straordinario charm e buono gusto nel vestire, un viso dai lineamenti gentili, una capigliatura disordinata quanto intrigante, di un mogano speciale e inimitabile, due occhi color caramello… caldi e profondi, tanto da bucarti l’anima. Edward Cullen era tutto ciò che una donna poteva desiderare. Non esisteva sguardo femminile che non si girasse al suo passaggio, catturato dalla sua bellezza. Stranamente però, quegli sguardi resistevano pochi istanti e poi volgevano altrove. Sembrava che Edward portasse su di sé una sorta di scudo repellente, qualcosa che allontanava ogni tipo di attenzione da lui. Infatti, mi ero chiesta spesso come fosse possibile che nessun manager avesse mai notato il suo straordinario aspetto. Quel tipo di bellezza era tutta da ammirare in TV o sulla passerella di un famoso stilista. Eppure... questa fortuna sembrava non essere interessata alla famiglia Cullen, che di fortune ne aveva già troppe.
“Potresti fingere almeno di ascoltarmi Bella?”
La voce indignata di Alice mi riportò al presente. Il flashback che aveva colto la mia mente era stato come uno scoppio, violento e inevitabile.
“E’ inutile scappare! Dovresti imparare questa importante lezione di vita, mia cara”.
Ecco il tono saccente che tanto odiavo. Ma cosa ne sapeva lei? C’era stata una volta nella quale Bella Swan non era scappata, e da quella tragica esperienza ne aveva ricavato solo un cuore spezzato. Alice poteva conoscere quella storia, ma non sapeva cosa era stato per me buttarmi a capofitto nell’amore.
“Stanno per iniziare le lezioni… allora? Cosa vuoi fare? Scappare con la coda tra le gambe, oppure affrontare la situazione a testa alta?”
Fissai la mia amica come una qualunque disperata, mettendo a fuoco la strada dietro di lei, l’ingresso della scuola e i pochi studenti che si attardavano davanti ad esso.
Così presi la mia decisione.
Bella Swan avrebbe camminato a testa alta quel giorno.  

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


(Lesson n.2): Non si è mai abbastanza innamorati
Il segreto stava tutto nella scioltezza, essere disinvolti, ecco qual’era il trucco.
Comportarsi come se non fosse successo nulla, come se quella fosse una giornata come un’altra, come se fosse normale rincontrare, nel mezzo del tuo processo di ‘metabolizzazione del dolore’, l’uomo del quale mi ero perdutamente innamorata da ragazzina. D'altronde, erano trascorsi solo quattro anni…
“Posso lasciarti qui o devo accompagnarti alla tua lezione?” mi chiese Alice.
La domanda era stata fatta con una certa preoccupazione, si sentiva. Per arrivare al punto di pormela con quel tono, significava che avevo tutta l’aria di una persona sull’orlo di una crisi di nervi.
Stressata, ma disinvolta.
“Si, non ti preoccupare. Non ne ho bisogno. Vai pure” le diedi uno dei miei migliori sorrisi di circostanza, sforzandomi di bloccare la sudorazione fredda che ungeva la mia fronte.
Alice si accigliò, guardò fisso qualcosa alle mie spalle per alcuni secondi, poi sembrò sbloccarsi tutt’assieme con un sorriso. Dieci volte più sincero del mio.
“Andrà bene, vedrai!”
Se lo diceva lei, allora ci credevo. Il suo intuito non sbagliava mai! Era infallibile quando si trattava di tirare le somme delle più disperate situazioni. Sentii i miei nervi sciogliere un tantino la loro pressione e sospirai di sollievo.
“Grazie” risposi.
“Immagino che non potrai venire a casa per studiare questo pomeriggio, vero?”
“Immagini bene”.
“Bene, allora ti chiamo più tardi per metterci d’accordo! Ciao!”
Concluse con un bacio freddo sulla mia guancia accaldata, un piroetta vivace e un corsa elegante verso la sua lezione. Io ispirai tutta l’aria attorno a me, sperando di assorbire da essa una parte della spensieratezza che magari la mia amica si era lasciata dietro. Avrebbe lenito senza alcuna ombra di dubbio la mia pesante apprensione.
“Bella!”
“AAH!” saltai dallo spavento.
Mentre mi giravo per vedere chi fosse il responsabile, mi tenevo il petto con una mano nel tentativo di frenare i battiti frenetici del mio cuore. Avevo gli occhi spalancati quando guardai Mike Newton, che probabilmente si spaventò più di me a vedermi in quello stato, pallida e con lo sguardo allucinato.
“C’è qualcosa che non va? Sembri terrorizzata!” esclamò.
“No! Che dici?” protestai, con gli occhi guardinghi che si spostavano prima a destra poi a sinistra.
“Sarà...”
“Senti Mike, mi accompagneresti a lezione?”

Non ricordavo di aver mai sentito Alice parlare di lui, eppure Alice parlava tanto.
Lo guardavo: era  seduto ad un tavolo tre file lontano dal nostro, col viso appoggiato al palmo di una mano incredibilmente grande e bianca, attrezzata di dita lunghe da pianista. L’altra giocava con un grissino; lo spezzava in pezzetti sempre più piccoli, per poi sbriciolarli uno ad uno con una leggera pressione del dito. Aveva l’aria annoiata.
“Che ha tuo fratello?” chiesi ad Alice, un tono sussurrato per non attirare l’attenzione.
“Chi?”
“Edward no?”
Vidi Alice rivolgere uno sguardo di disapprovazione al fratello, che nel frattempo si era bloccato con la perfetta immobilità di una statua. Subito dopo alzò lo sguardo, rivolgendolo dalla nostra parte; osservò la sorella per un millesimo di secondo prima di cogliermi in fragrante nelle mie vesti di guardona. Mi sentii subito a disagio. I suoi occhi color caramello, diversi da tutti i componenti della sua famiglia, erano duri e penetranti. Nessun Cullen faceva quell’effetto quando ti guardava.
“Lascialo perdere Bella. E’ un tipo strano, tutto qui” mi rispose Alice.
Non riuscivo proprio a classificare Edward Cullen come ‘un tipo strano’ e basta. Sentivo che poteva rientrare in mille altre categorie oltre a quella, ma non lo conoscevo abbastanza da poterlo affermare con certezza. Questo mi rattristiva senza che potessi spiegarmelo.
Analizzavo quel pensiero mentre continuavo a fissare il fratello maggiore della mia migliore amica,
quando proprio questa disse:
“Farai meglio a non fare tardi Bella, mio fratello non è quel tipo di professore che tollera i ritardatari”.

Tornai alla realtà con un battito di ciglia, la vista mise a fuoco quello che aveva davanti e il cervello con un salto rientrò nel presente. Brevi scorci del passato continuavano a venire a galla sempre più spesso, costringendomi a rivivere situazione ed emozioni che in quattro anni avevo cercato disperatamente di chiudere in un cassetto. Mi sentivo frastornata a avevo il forte desiderio di tornare a casa.
“Allora signorina Swan?” chiese improvvisamente il professor Vhimmer.
“Cosa scrisse Shakespeare in quel periodo?”
Annaspai per qualche secondo, la mente che si inceppava alla ricerca di una risposta soddisfacente.
Gli occhi inespressivi del mio professore di lettere attendevano impazienti dietro lo spesso vetro degli occhiali, ansiosi di approfittare come un avvoltoio di un mio qualsiasi errore.
“Eemm…”
 Proprio non riuscivo a trovare nulla nella landa desolata del mio cervello, così mi preparai ad alzare bandiera bianca, quando alla porta dell’aula bussò improvvisamente qualcuno. Tutti fissammo l’uscio blu; dal vetro opaco a forma di rettangolo si poteva cogliere una sagoma sbiadita che confondeva. Poi il professor Vhimmer disse burbero:
“Avanti!”
E così la porta si aprì.
In quell’istante mi parve di sentire molti fiati interrompersi insieme al mio. L’aria si fece satura di aspettative, in fremente attesa che lui parlasse.
“Buongiorno” augurò la sua voce. Suadente e vellutata, viaggiò nella stanza con un frullo d’ali che accarezzò i presenti. Il suo fascino non aveva limiti, riusciva ad abbindolare anche gli uomini oltre che le donne. Con la sua presenza, il suo sguardo e la sua voce, sembrava essere capace di tutto.
Il mio cuore incespicò mentre lo fissavo, per poi riprendere i battiti con un ritmo frenetico. Sentii le miei guance infiammarsi.
“Prego, come può intuire stavo tenendo lezione”.
“Ne sono consapevole Signor Vhimmer, ma devo parlarle con urgenza” rispose educatamente Edward.
Era la prima volta che lo vedevo dopo quattro anni, mi resi conto. Studiandolo,  mi accorsi che tuttavia non era cambiato affatto. Il tempo pareva essersi fermato solo per lui, per freddarlo nelle sembianze di un giovane ragazzo.
“Va bene, arrivo arrivo” disse il professor Vhimmer, che sbuffando e borbottando raggiunse la porta con ben poca eleganza.
Io continuavo a fissare Edward. Nel mio cervello c’erano ricordi e pensieri caotici che cercavano di mettersi in fila, ma nessuno sembrava riuscire ad avere la precedenza.
Osservai attentamente come si scostò in un movimento impercettibile per far passare l’insegnate burbero, e il modo con il quale teneva il pomello della porta per accompagnarla a chiudersi.
Prima che toccasse lo stipite, posò lo sguardo su di me. Fu un istante, una banale frazione di secondo, che però bastò a catapultarmi nuovamente nel doloroso passato.
 
“Mi scusi il ritardo!”
Cercai di prendere fiato; avevo corso lungo i corridoi così come non avevo mai fatto sulla pista, nell’ora di Ginnastica.
Il professor Cullen, nuovo insegnante di biologia, nonché fratello maggiore della mia migliore amica, mi guardò appena. Era concentrato sulle formule che con destrezza stava scrivendo alla lavagna, il gessetto che a tratti pareva volare sulla superficie nera.
“Che non si ripeti, più Signorina Swan” disse solamente.
Andai al mio posto – il mio banco era l’ultimo, situato in fondo alla classe – e una volta seduta mi chiesi come avesse fatto a capire chi ero. Forse ero l’unica assente? Mi guardai attorno: c’erano cinque banchi vuoti, per cui cinque assenti. Che avesse tirato a indovinare?   
“Signorina Swan!”
“Ehm, si professore?”
Mi risultava così strano chiamarlo ‘Professore’! Sentivo quella formalità tanto stonata su di lui.
Nonostante non lo conoscessi affatto – non come il resto della famiglia Cullen - lui per me era semplicemente Edward.
Lo osservavo mentre continuava a scrivere alla lavagna con naturalezza, senza prestarmi attenzione. Poi si girò.
Sul suo viso perfetto c’era un accenno di sorriso, qualcosa che mi ricordò molto il lupo di cappuccetto rosso. Era un ghigno perfido, che preannunciava qualcosa di perfido.
“Nella mia ora la voglio al primo banco, di fronte alla cattedra. Ho intenzione di tenerla d’occhio”
Disse, per poi tornare diligente al suo lavoro.

Stavo riflettendo su tutto e niente, mentre le miei gambe percorrevano istintivamente i corridoi per raggiungere la mensa. La giornata scolastica era agli sgoccioli e io sarei presto tornare nella tranquilla intimità di casa mia. Era un pensiero consolante. Riuscivo a figurarmi molto bene sul letto, con un libro tra le mani e una tazza di tè fumante sul comodino.
“Ciao Alice” dissi pacata.
Da dietro la mia spalla sinistra spuntò un faccino bianco da folletto, sorridente mi stampò un bacio sulla guancia con spontaneo affetto. Mi si affiancò, le mani giunte dietro la schiena come un bimba allegra che attende la sua caramella.
“Sei incredibile Bella! Ormai non riesco più a sorprenderti!” esclamò con un sorriso.
C’era stato un tempo nel quale il mio cuore saltava dallo spavento nel vedere Alice Cullen materializzarsi improvvisamente al mio fianco, oppure saltar fuori da improbabili direzioni, ma dopo un lungo lasso di tempo passato con lei, ero riuscita a sviluppare finalmente una sorta di sesto senso. Questo mi avvertiva della sua vicinanza con dei piccoli brividi alla base delle nuca. Era qualcosa che neppure io riuscivo a spiegarmi.
“Non proprio. Ci sono ancora molte cose di te che mi strabiliano” dissi.
“E’ la mia natura Bella!”
Lo diceva spesso. E io spesso mi chiedevo cosa dovesse significare.
“Allora, com’è andata?” mi chiese con un’espressione birichina in volto.
“Avresti potuto avvisarmi”.
“Andiamo Bella! Il mio intuito non è mica una scienza esatta! Come potevo sapere?”
“E adesso come puoi saperlo?”
“Lo so perché ho sentito dire da Vanessa Guilmor, che ha detto a Jessica, che ha riferito a Manuel, che hai avuto un mezzo collasso quando il professor Cullen è entrato in aula, tutto qui.” Si difese con disinvoltura, lo sguardo tranquillo da improbabile mentitrice.
Sbuffai. La gente non mi piaceva per questo motivo: troppo acuta, troppo ficca naso.
“Guilmor può dire e insinuare quello che vuole. Io non ho avuto affatto un collasso”.
 Mentre dicevo questo, mi prendevo a calci mentalmente perché la mia mancanza era stata fin troppo evidente. Mi dicevo che, se l’aveva notato Vanessa Guilmor, allora c’era da essere sicuri che l’avesse fatto anche Edward. Non volevo apparire ai suoi occhi come una disperata in cerca d’amore! Volevo pensasse a Bella come una sicura, spensierata donna cresciuta. Tutte cose che ovviamente non ero – escludendo l’inevitabile ‘cresciuta’- ma questo lui non doveva saperlo.
“Hai intenzione di mangiare?” mi chiese Alice, cambiando amabilmente discorso.
“No” risposi laconica.
“Allora perché ci stiamo dirigendo alla mensa?”
Mi inchiodai al pavimento. Già, perché mi stavo dirigendo alla mensa?
Una vocina nella mia testa suggeriva un motivo, ma io l’azzittì con una pronta decisione.
“Hai perfettamente ragione! Andiamo, facciamo un giro fuori”.
“Io ho un’idea migliore”.
Guardando il sorriso diabolico sul volto perfetto della mia amica, sentii un brivido solcarmi la spina dorsale. Avevo imparato col tempo che quel sorriso, così accattivante quanto malizioso, era un marchio di famiglia. Quando i Cullen sorridevano in quel modo, c’era sempre da aver paura.

“Su avanti Bella, entra!”
Seguii titubante Alice oltre l’uscio. Non ero mai stata così a disagio in casa sua – come avrei potuto? Esme e Carlisle erano persone adorabili e sempre disponibili - ma quel giorno sentivo che c’era qualcosa di sostanzialmente diverso.
La mobilia era sempre la stessa invece, disposta così come l’ultima volta che l’avevo visitata, la casa era vuota e il silenzio sembrava confermarlo. Ma c’era una cosa che avevo notato: a rendere particolari i Cullen era proprio il silenzio, oltre che una impenetrabile riservatezza.
“Ti dispiace aspettarmi qui? Prendo una cosa di sopra e ti raggiungo subito”.
“Ok” annuii.
Così Alice salì i gradini come fosse stata una gazzella, leggera e agile sulle sue scarpe basse, mentre io aspettavo alla base delle scale.
Il senso di disagio che all’inizio mi aveva invaso, stava incominciando a sbiadire man mano che riconoscevo come famigliare ogni elemento della casa. I grandi divani bianchi del salotto, il tappeto finemente ricamato sul quale era adagiato il tavolino di vetro, la televisione ‘ultimo modello’ che Emmett sintonizzava spesso sul canale dello sport. Alla mia sinistra un arco dal quale si entrava in cucina e…
Improvvisamente tornai a guardare l’enorme salotto. C’era un elemento sconosciuto lì nel mezzo!
Un pianoforte nero, elegante, di semplice bellezza. Era sistemato più in là dei divani, in un ampio spazio tutto suo, dove pareva esserci sempre stato.
“E’ bello, vero?”
Sobbalzai. Con occhi spalancati fissavo l’uomo comparso come un ombra dietro di me.
“Si…mo-molto bello” sussurrai con una voce sfibrata dallo spavento.
Passarono alcuni minuti senza che nessuno dei due trovasse parole appropriate da dire.
Ci guardavamo, io incerta mentre lui fissava con ostinazione. Spostavo lo sguardo da una parte all’altra, cercando di non far notare quanto mi colpisse vederlo vestito in quel modo, con una semplice maglietta nera, un po’ aderente sul petto, e un jeans sbiadito. Era un abbigliamento giovanile, qualcosa che si allontanava molto dal suo ‘essere professore’.
“E’ una situazione stravagante” disse ad un tratto, la voce dimezzata da un tono leggermente roco.
“Molto stravagante” confessai io.
Mi torcevo le dita e mi torturavo le labbra chiedendomi che fine avesse fatto Alice.
“Mia sorella scenderà tra qualche istante, non temere”.
Lo guardai improvvisamente allarmata. Avevo espresso i miei pensieri ad alta voce  senza che me ne accorgessi?A volte mi succedeva, però farlo capitare in quel momento sarebbe stato incredibilmente imbarazzante!  
Edward continuava a fissarmi. Nei suoi torbidi occhi vedevo una sorta di curiosità, di quelle che i biologi provano nei confronti di una nuova e misteriosa forma di vita.
“Sembri spaventata” affermò con sottile arroganza,  un ghigno appena accennato spuntò sulle sue labbra.
“No!” esclamai sicura. La sua insolenza mi pareva un affronto, una provocazione.
“Solo, è strano incontrare il proprio professore in ambiti diversi da quelli scolastici” continuai.
“Posso capire” disse “Non sopporto quest’aria tesa. Perciò… ti prego, non vedermi come il tuo insegnante in queste circostanze. E chiamami Edward”.
Sorrideva di un sorriso dolce adesso, che solleticò con naturale spontaneità il mio.
Alice aveva detto quella mattina che suo fratello Edward era un ventiquattrenne. Non l’avrei mai creduto in quel momento: il suo sorriso era tanto sereno da ringiovanirlo di dieci anni.  
 “Ok… Edward” acconsentii, subito trovando quella situazione meno stravagante e più leggera.
Chiamarlo col suo nome era gratificante, mi rendeva felice… ma ancora non sapevo il perché.


Nota dell'autrice: Un ringraziamento speciale ai gentili lettori che mi hanno lasciato un commento ^.^ a quelli che mi hanno aggiunta tra i preferiti, a quelli che invece mi hanno inserita tra i seguiti, e infine, a quelli che hanno letto e basta!! =)

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


  (Lesson n.3): Mai fidarsi delle persone, fossero anche le migliori
“Ma come ti è venuta quest’idea?”
C’era un tocco sgraziato di isteria nella mia voce. Trovarmi in quel posto mi innervosiva, senza contare che non riuscivo proprio a ricordare il motivo per il quale avevo seguito la mia pericolosa amica oltre l’uscio della ‘sala professori’. Era stato per cercare di fermarla dal commettere quella pazzia? Oppure per accertarmi che non finisse nei guai?
“Edward mi ha detto che qui c’è una macchinetta che fa un buon caffè!” esclamò eccitata Alice.
Aveva deliberatamente ignorato la mia domanda, ovvio.
“Non un ottimo, neppure eccellente, ma un buon caffè è sempre meglio di uno schifoso, orrendo caffè, non credi?!”
Si aggirava nella stanza proibita con una disinvoltura quasi irritante per me, che stavo morendo al pensiero di essere scoperta e di beccarmi una punizione colossale.
Ero sconvolta! Volevo uscire da quella stanza mediocremente arredata, fuggire via dal pericolo come naturale che fosse. Non ero mai stata il genere di ragazza amante del rischio: il mio era un mondo fatto tutto di serate pacifiche, silenzio e libri consumati.
“Andiamocene di qui, subito!”
“Bella, santo cielo! In tutti gli anni passati qui dentro non sei mai stata presa dalla curiosità di vedere cosa c’era nella sala professori? Siamo all’ultimo anno, questa pazzia può esserci concessa”.
Disse, esaminando una matita spuntata come fosse stata un reperto storico; una punta di freccia appartenuta ad una civiltà antica avrebbe invidiato tanta devozione.
“Cosa c’è di interessante qui? Ci sono solo delle pulciose poltroncine con delle schifose macchinette del caffè!”
Non mi accorsi di aver alzato la voce, ma quando sentii la porta aprirsi alle miei spalle, pensai immediatamente ai silenzi assoluti: quello che piombò nella stanza era sicuramente il più assoluto dei silenzi. Osservai Alice alzare una mano e sorridere alla persona che in quel momento aveva puntato il suo sguardo sulla mia schiena. Lo sentivo tangibile, concreto quanto una mano posata sulla spalla. Inutile dire che, un qualunque sguardo, non mi avrebbe mai fatto quell’effetto.
“Cosa ci fate qui?” chiese una voce calma, poco minacciosa ma tanto seria.
“Ciao fratellone! Abbiamo pensato di venirti a cercare. Bella voleva salutarti!” esclamò spudoratamente la mia più fidata amica. In quel momento sarei potuta morire di infarto troppo ero sconvolta. La guardavo con i miei occhi scioccati, mentre immaginavo cento modi diversi con i quali vendicarmi.
“Bella?” mi chiamò la magnifica voce.
Santo cielo, NO! Gridava la mia mente: lasciate che il mondo venga distrutto adesso!
Sembrava un incubo, peggiore della ‘Super Bella’ di quella notte, peggiore di una doccia fredda in pieno inverno, peggiore degli scarafaggi morti che avevamo in soffitta!
“Ehm…” dopo essermi girata, guardai il pavimento impolverato e balbettai un formale buongiorno. Mi sentivo le guance andare a fuoco.
“Perché mi guardi così?” chiese a un certo punto Alice.
“Avresti dovuto evitare”.
“Penso sia inutile evitare l’inevitabile”.
“Rimani fuori da questa faccenda, Alice”.
Le loro parole per me non avevano senso. L’unica cosa che mi era chiara invece, era l’irritazione di Edward. Irritazione… no, quel termine non avrebbe reso l’idea. Piuttosto, sarei più concreta se dicessi che tra le sue parole avevo sentito un vero e proprio ringhio di rabbia. Edward era furioso.
Ecco il termine esatto! Furioso…
“Come vuoi tu, ma potresti pentirtene!” replicò piccata la sorella.
Dopodiché volò letteralmente fuori dalla stanza, lasciandomi lì, abbandonata a me stessa e al mio passato. Fissai per qualche istante la porta: non mi ero mai sentita così tradita.
“Sarà meglio che tu vada Bella, potrebbero arrivare i miei colleghi da un momento all’altro”.
La voce di Edward era tornata serena e dolce come una cucchiaiata di zucchero.
Mi sentii abbastanza coraggiosa da alzare lo sguardo - inoltre la tentazione di ammirarlo era sempre troppo forte. Nell’arco di pochi secondi dimenticai le ferite e le barriere costruite; nell’istante in cui i miei occhi toccarono la sua splendida figura, tutto sembrò scomparire per davvero. Edward indossava una semplice camicia di un azzurro chiaro che si abbinava in modo perfetto alla pallida carnagione del suo petto, lasciato in parte scoperto da due bottoni slacciati. Il viso dagli zigomi alti era inclinato sulla sinistra, le labbra piene e dalle linee sensuali erano immobili come quelle di una perfetta scultura. Gli occhi di caramello erano caldi, incredibilmente profondi.
Il tempo si accartocciò per tornare indietro di quattro anni, dodici giorni e quattordici ore.  
Non fu doloroso e in realtà nessun capii nulla, ma sapevo che la sofferenza sarebbe arrivata solo  dopo e solo per me.
“Ciao…” sussurrai come una stupida. Il mio cervello pareva galleggiare in un barattolo di ovatta.
I pensieri faticavano a costruirsi, la coerenza si era scheggiata in una forma dai contorni spezzati.
Vidi Edward sorridermi così come faceva un tempo, quando scherzavamo di cose tanto stupide da risultare banali, a riparo dagli sguardi dei miei compagni di classe, degli altri insegnanti, del preside e del resto del mondo. Tempi belli, che avevano segnato la mia vita…

“Io amo le pause!”
“Già, anch’io”.
Il cielo era di un grigio cupo, perdeva la sua chiarezza man mano che la notte si avvicinava.
Gli alberi formavano un tetto naturale sulle nostre teste, che addensava l’umidità nell’aria, creando una fina nebbiolina bianca e appiccicosa. Anche l’erba ne era ricoperta, così sapevamo che le foglie sulle quali eravamo stese sarebbero rimaste appiccicate ai nostri impermeabili una volta in piedi.
“Pensi che la chimica ne risentirà?” chiesi ad Alice.
In realtà ero davvero poco preoccupata che la chimica si sentisse trascurata, da me non aveva mai ricevuto così tante attenzioni.
“Assolutamente no! E’ stata la chimica stessa a suggermi di staccare. Abbiamo faticato abbastanza per oggi”.
Risi della sua risposta. Alice aveva l’invidiabile qualità di  riuscire a cavarsela in qualunque materia, nonostante le sue ore di studio fossero pari alle miei, prendeva voti alti in tutti i test.
Gli insegnati dicevano che aveva delle ottime capacità, mentre Bella Swan pareva automaticamente associata alla tipica frase ‘potrebbe dare di più’, che tutti gli insegnanti sono costretti a dire almeno diecimila volte nella loro carriera. Non mi azzardavo comunque ad obbiettare. Concedevo davvero poco tempo allo studio.
“Credo di aver sentito qualcosa” annunciò improvvisamente Alice, mettendosi seduta per osservare meglio casa sua.
“Io non ho sentito niente”.
La grande casa Cullen rimaneva salda e pacifica al suo posto, nulla sembrava animarla. Ma dalla convincente apparenza spuntò fuori Emmett, il fratello della mia amica, seguito da Edward. Uscirono dall’ingresso principale, incamminandosi tranquilli verso di noi. Bianchi alla pari della lattea carnagione di Alice, erano tuttavia diversi per corporatura: Edward era più basso di qualche centimetro del fratello, che vantava un corpo massiccio e imponente. Erano entrambi bellissimi, però trovavo che la raffinata bellezza di Edward possedesse un’eleganza insuperabile.
“Da dove arrivate?” chiesi, non appena furono a portata d’orecchio.
“Siamo entrati dal retro” rispose semplicemente Emmett, indicandomi con un pollice il secondario ingresso nascosto. Loro lo usavano spesso e io iniziavo a provare la morbosa curiosità di vederlo, questo fantomatico secondo ingresso.
 “Non dovreste studiare voi due?”
“Eravamo stanche Edward! I nostri cervelli giravano a vuoto” si lamentò Alice.
La sua voce infantile riusciva sempre a convincere.
“Piuttosto, siete riusciti a fare quella commissione per papà?”
“Tutto okay” confermò Edward tranquillo.
Il tono vago non mi insospettii affatto: tutti loro sembravano orientati sul mistero ogni qualvolta si argomentava di questioni famigliari. Era insito nella loro natura e io mi ero adattata piuttosto bene a quell’abitudine. Lo trovavo giusto, che una famiglia fosse gelosa dei propri affari.
Sorrisi spontaneamente a Edward e gli feci spazio mentre si accomodava sull’erba al mio fianco.
Quel giorno non ci eravamo visti per nulla, poiché il mio programma scolastico non includeva alcuna ora di biologia il giovedì.
“Ehi” sussurrò lui, con quel tipico tono di voce, che mi procurava sempre dei fremiti allo stomaco quando in classe rimproverava qualche chiacchierone.
“Ehi” risposi. La gola si era stretta, annodata in un groviglio d’emozione.
Emmett rimaneva in piedi, discuteva con Alice di una questione ingarbugliata che riguardava una macchinetta fotografica presa senza permesso.
“Sono arci-sicuro! Tu sei entrata nella mia stanza e hai preso quella dannata macchinetta!” accusava Emmett concitato.
E Alice ribatteva: “Ti dico che non sono stata io! Perché dovrei prendere quello stupido aggeggio?”
Solitamente mi incuriosivano quelle affettuose liti domestiche, così mi facevo attenta, ascoltavo e ridevo mentre mamma Esme cercava di spegnere il bisticcio con argute mediazioni. Ma in quel momento, con il mio affascinante professore di biologia seduto affianco, nulla mi interessava più del suo magnifico sorriso.
Stringevo le ginocchia al petto, abbracciandole per posarci il viso. Invece lui stava disteso sulla schiena, le braccia piegate dietro la testa per sorreggerla quel tanto che bastava a permettergli di guardarmi. Era sempre così: avevo notato quanto gli piacesse osservare ogni più piccolo mio movimento e magari commentarlo, chiedermene il motivo, la spiegazione. Lo consideravo curioso, come un ragazzo dai tanti talenti come Edward Cullen si interessasse alle banalità della mia esistenza.
“Non mi hai chiesto come è andata a lavoro, né come ho passato il resto della giornata… devo supporre che c’è qualcosa che ti turba?” mi chiese ad un tratto.
 “No, non proprio” risposi. L’acutezza del suo intuito non mi sorprese, Edward ed io avevamo approfondito di molto la nostra conoscenza da quando avevo preso a studiare quasi tutti i pomeriggi a casa di Alice. Oramai mio padre diceva sempre più spesso di aver perso una figlia. Mi accusava di trascurarlo e forse, un tantino, aveva ragione.
Edward non si diede per vinto, così con un accenno di sorriso disse: “E’ successo qualcosa a scuola?”
Sporsi il labbro inferiore, fingendo indifferenza.
“Riguarda forse il professor Vhimmer?” proseguì.
Storsi il naso, in una smorfia che mi vedeva fare spesso quando si nominava il mio odioso professore di lettere. Allora scoppiò in una bassa risata, talmente allegra da suscitare il mio sorriso. Mi piaceva tanto il suo modo di ridere, era caldo e traboccava di fascino.
“Penso che in qualità di docente più giovane dell’istituto dovresti fare qualcosa nei suoi confronti, tipo una petizione per cacciarlo oppure convincerlo ad andare in pensione. E’ possibile? Tu sei Edward Cullen! Ti è concesso tutto, no?!”.
“Mi sopravaluti Bella, mi sopravaluti lungamente” rispose con il suo sorriso più smagliante.
Voltai lo sguardo, accorgendomi solo in quel momento che la lite tra fratelli si era evoluta. Emmett correva dietro ad una Alice al meglio di sé: saltava e schivava gli attacchi del fratello più grande con un’agilità che avrebbe fatto impallidire un qualsiasi atleta.
Emmett tentò un agguato dietro l’albero, ma fallì miseramente quando Alice roteò su se stessa per evitarlo, facendo finire il fratello contro il tronco di un piccolo abete. L’abete tremò tutto sotto il peso esagerato di Emmett, tanto grosso quanto ingombrante. Risi di gusto nel guardare quella deliziosa scenetta. E anche Edward rise…
Farlo insieme a lui era bello, infinitamente bello.

Tornata al presente, mi spensi. Tutto mi sembrò crudele, il mondo con le sue regole mi sembrò crudele! Perché aveva permesso che accadesse… perché Io avevo permesso a me stessa di distruggere tutto, di distruggere quello che avevamo. Con quei pensieri mi parve di tornare indietro un’altra volta, al tempo che avevo speso a recriminarmi dopo la sua partenza, quando avevo maledetto me stessa e il mio stupido, inaspettato coraggio.
Edward si accorse del cambiamento, allora vidi il suo viso rabbuiarsi così come il mio.
L’aria divenne improvvisamente pesante, satura di pensieri cattivi, di tristezza e rimorso.
Ispirai ad occhi chiusi, cercando aria nuova, cercando di cacciare via il grigiore per sostituirlo con qualcos’altro. Anche la rabbia mi sarebbe andata bene, purché risollevasse il mio umore.
“E’ passato tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti” parlò. Lo sguardo duro e distaccato, distante da me pochi passi e mille anni luce. “Mi fa piacere rivederti Bella” aggiunse. Ma nelle sue parole non c’era calore, solo rimpianto.
Quella percezione mi disturbò, così come non sarei mai riuscita a credere.
“Il piacere è sicuramente tutto tuo ”.
 Caricai il mio sguardo di rabbia… eccola, la rabbia! Era la benvenuta. L’accolsi a braccia aperte, conscia che avrebbe colmato i buchi della mia sofferenza. Perlomeno, mi avrebbe permesso di reagire.
Edward invece rimase impassibile. Fissava la Bella che non aveva mai conosciuto, tutt’altro che dolce e insicura.
“Sei indubbiamente cresciuta…” decretò dopo un’attenta osservazione, qualcosa che in un’altra occasione mi avrebbe mandata in escandescenza. Sarei senza dubbio arrossita sotto quello sguardo,  trascinato sul mio corpo come una carezza delicata.
“… sei diventata una donna”.
L’ovvia constatazione decretò l’esplosione: sentivo la rabbia cadere su di me a goccia a goccia, una pioggia violenta di frustrazione e ira repressa. “Lieta che tu te ne sia accorto” risposi fredda. “Fortunatamente ho smesso di frequentare biologia, così almeno non dovrò subire queste intelligenti conclusioni ad ogni tuo colpo di genio!”
Sorpresi me stessa con quella frase. Avevo appena insultato un docente? Dove mi aveva portata il desiderio di emergere dal mio dolore? Forse troppo lontano, oltre i limiti del consentito. Una parte di me ebbe paura di subirne le conseguenze, così la mia reazione fu quella di girarmi verso la porta e fuggire. Ma prima che ebbi il tempo di spalancarla, mi sentii afferrata e spinta via da questa con violenza. Mi scontrai contro qualcosa di duro, poi, tutto si mosse con una velocità tale da disorientarmi.
Quando il mio cervello riuscii finalmente a ricollegarsi, percepii prima di tutto la solidità di un muro alle mie spalle, dopodiché una solidità simile che mi pressava contro di questo, e infine, il rumore di una porta che si apriva.  Fui investita da un profumo squisito che mi fece sobbalzare il cuore e attorcigliare lo stomaco. Alzando la testa trovai conferma ai miei sospetti: sopra di me, che mi sovrastava, c’era Edward. Le grandi mani mi strinsero forte i fianchi quando si accorse di essere guardato e la coscienza del momento colpì in pieno la mia mente e il mio sguardo. Vidi la sua mascella stringersi, indurirsi in una forma rigida che quasi mi mise paura. In quell’istante mi parve un animale sul punto di attaccare: mai, mai avrei potuto immaginare un comportamento simile da parte sua.
Nel frattempo l’ometto rotondo - un professore sicuramente – aveva raggiunto ballonzolando il solitario tavolo della stanza, dove vi aveva appoggiato sopra una consunta valigetta di pelle, diretto alla macchinetta del caffè.
Riuscii giusto a intravederlo ma - nascosti nell’angolo tra gli armadietti e la porta – fu comunque facile capire chi fosse. Il grugnito che fece, gutturale e decisamente disgustoso, ricordava quello di un piccolo suino al guinzaglio. Era Begnamino Better, professore di algebra, noto in tutto l’istituto come il peggiore degli individui.
Cercai di sporgermi ma la stretta di Edward si fece tanto serrata da impedirmi ogni movimento.
“Stai. Ferma” mi ringhiò all’orecchio. La vicinanza del suo corpo stava iniziando ad agirmi.
La mente, incitata dall’improvviso scoppio di adrenalina, registrava con struggente esattezza ogni dettaglio di quel contatto. Lo sfregare delle sue cosce sui miei fianchi, la muscolatura accentuata del torace, premuta in parte sul mio petto, in parte sotto il mio naso. Riuscivo solo vagamente ad immaginare cosa sarebbe successo se il professor Bettar ci avesse visti. Probabilmente Edward avrebbe perso il lavoro… e io? La strada più facile per me sarebbe stata quella di cambiare città, di cambiare contea, e forse addirittura stato.
Il cuore iniziò a pompare con brusca frequenza, il respiro si fece sempre più profondo, i muscoli più rigidi mentre arrossivo senza controllo.
Strinsi gli occhi, pregando che la macchinetta fosse veloce a cacciare quel benedetto caffè.
E la mia preghiera fu fortunatamente esaudita. Dopo alcuni secondi, un forte odore di caffeina si diffuse nell’aria e sentii il professore soffiarci sopra tutto soddisfatto. Lo vidi impugnare nuovamente la sua valigetta e imboccare l’uscita. Ma quando la porta si chiuse dietro di lui, la situazione sembrò peggiorare ulteriormente.
Divenni fin troppo consapevole del pesante ansimare che solleticava il mio collo così come delle dita serrate sulla mia carne, e anche l’attrito tra i nostri vestiti cominciò a turbarmi. Mi parvero troppo leggeri, troppo sottili.
I presupposti che la mia mente sopraccitata stava valutando non erano dei migliori: quella vicinanza stava logorando la mia resistenza. Se il tutto non fosse stato cessato all’istante, ne avrei pagato le conseguenze per molti giorni e molte notti.
Così, quando ormai la tentazione pareva sul punto di vincere, avvenne: Edward si spostò. Rigido come il marmo, lasciò i miei fianchi, sollevò il volto e si allontanò da me quel tanto che bastava.
Rimasi incollata al muro per non so quanti minuti. Ero incapace di pensare, parlare e muovermi. Invece, mi riusciva bene ansimare. Al contrario, Edward sembrava non stesse respirando affatto. La sua mascella continuava a rimanere serrata, lo sguardo scioccato fissava altrove, le mani si erano strette in rigidi pugni.
La parte più reattiva del mio cervello prese improvvisamente una decisione.
Quella situazione era insostenibile. Dovevo fuggire.
Ora. In quell’istante.
Le gambe si mossero da sole, driplarono e raggiunsero la porta.
Pochi secondi e stavo già correndo sulla strada verso casa… mentre la mente viaggiava…

“Guarda”.
Girai lo sguardo verso il punto che mi indicava. Poco distante da noi, spuntava un fiore dal tappeto di muschio che ricopriva il terreno. Spiccava per il suo colore - blu intenso - e la forma delicata.
“E’ bellissimo” dissi, avvicinandomi per osservarlo meglio.
I petali erano caratterizzati da contorni frastagliati, la corolla era un cuore di colori che andavano al bianco, passavano dal rosa e si fermavano ad un azzurro indaco meraviglioso.
Lo sfiorai con le punte delle dita, paurosa che potesse morire con un tocco più deciso.
“E’ un fiordalisio” mormorò Edward “Precisamente Centaurea cyanus. Cresce con l’ausilio del sole, perciò è raro trovarla qui… quasi impossibile, a dire il vero”.
Si era avvicinato anche lui, accucciato al mio fianco, osservava il fiore solitario con interesse scientifico. Gli diedi un sorriso, che lui subito ricambiò.
“Sai qual è il significato di questo splendido fiore?” mi chiese.
“No” Cosa potevo saperne io di fiori? Non ne ero una appassionata, però ne apprezzavo certamente la bellezza.
“Simboleggia l’amicizia sincera” disse. Il tono era tranquillo, casuale di conversazione.
Lasciai lentamente di guardare il fiordalisio, spostando lo sguardo su di lui. Esitavo perché i suoi occhi parevano voler trasmettere un messaggio, ma non mi sentivo capace di interpretarne la sostanza. Sul suo viso c’era un piccolo dolce ghigno, espressione di ragazzo e non di uomo.
“Come fai a sapere tutte queste cose?” chiesi infine, quando furono passati pochi secondi di silenzio.
“Diciamo solo, che ho a disposizione abbondante tempo libero” concluse con un gran sorriso, facendo splendere i suoi denti anche nella cuba atmosfera della foresta.   
….....
“Ho corretto i vostri compiti” annunciò la sua voce vellutata. La risposta della classe fu un timoroso sospiro collettivo.
“Non demoralizzatevi. Avete superato certamente le mie aspettative e me ne compiaccio” disse con tono ironico. Iniziò a consegnare i fogli corretti tra le file dei banchi mentre lo osservavo con un sorriso leggero in volto. Sapevo con assoluta certezza di aver guadagnato un buon voto, poiché la settimana prima, Edward stesso mi aveva dato delle ottime ripetizioni a casa sua – naturalmente, nessuno sapeva di questo innocente barare. Così attesi con pazienza il mio turno.
Fui l’ultima.
Sul libro aperto posò il foglio segnato in cima da una vermiglia A+.
Sorrisi soddisfatta prima di aprirlo per controllare la seconda pagina, ma rimasi interdetta nel trovare un elemento insolito. Spostai lo sguardo a destra, a sinistra e poi avanti.
Edward sembrava impegnato nella revisione del registro, però una sua occhiata veloce nella mia direzione mi fece capire tutto. E il ghigno che venne dopo eclissò immediatamente ogni dubbio.
Così sorrisi contenta mentre prendevo il fiordalisio seccato per infilarlo svelta tra le pagine del libro. Quel piccolo e delicato fiore avrebbe avuto un posto speciale quel pomeriggio stesso. Lo immaginavo benissimo in una semplice cornice, dove avrei potuto ammirarlo ogni giorno…

E ogni notte, per quattro anni della mia insignificante vita.


Nota dell'autrice: Salve a tutte! ^.^ Perdonatemi il ritardo! Purtroppo devo ritardare i post perchè non ho tempo di scrivere, con gli esami e tutti il resto... però, nonappena avrò finito, prometto di essere più assidua ^.^
Ringrazio le due commentatrici, in particolare SweetCherry, che ha fornito il commento più lungo da quando ho pubblicato questa ff.
Le recensioni lunghe sono la mia passione!!! ^.^
SweetCherry, grazie per i complimenti e ti mando un bacione interattivo =) ♥kiss♥ =D



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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


(Lesson n.4): Perdonare qualcuno è più facile di perdonare se stessi
 CRACK!!
La cornice sbatté di spigolo contro il muro, il vetro si spaccò subito sotto l’impatto violento, lanciando tutt’attorno una pioggia di schegge. Quando cadde in terra fece solo un leggero tonfo sul tappeto lilla della mia stanza.
Guardai con rabbia il legno spezzato: tra questo e le varie tessere di vetro, c’era un cartoncino giallo, e sul cartoncino giallo giaceva ancora intatto un piccolo fiore sbiadito.
L’avevo conservato per così tanto tempo nel mio cassetto che ormai aveva perso ogni significato.
Era solo un oggetto come un altro!
“Bella? E’ successo qualcosa?”
Non risposi a mio padre e lasciai che parlasse invano alla porta. Se in quel momento avessi aperto bocca, ne sarebbero uscite solo urla e parole irrispettose. Così, per il bene della nostra pace familiare, preferii tacere.
Seduta sul letto, guardavo il mio riflesso allo specchio. C’era una ragazza arrabbiata che mi fissava con sguardo truce, mi incolpava di essere debole, di essere una stupida. Non sopportavo il suo sguardo: mi faceva odiare quello che ero diventata. Alzandomi, girai intorno al letto inquieta.
Avevo in petto un peso e la mente sembrava ristretta in un piccolo spazio troppo angusto.
Immagini di lui continuavano a torturarmi con dettagli colti in ritardo, con sensazioni sempre più intense, con immaginazioni che proponevano squisite varianti.
Avrei voluto spegnere il mio cervello, il suo rumore stava diventando intollerabile.
Nel mio vagare ansioso, l’occhio mi cadde nuovamente allo specchio. Avevo l’aspetto di una pezza, sciupata e di un biancore spaventoso. Mi accorsi improvvisamente di desiderare con ardore un altro aspetto, che trasmettesse sicurezza e non apparisse miserabile come in quel momento mi sembrava. Ero stanca di quella Bella.
Volevo una rivoluzione, la mia anima la pretendeva!
Decisa, mi diressi in bagno. Aprii il cassetto delle spazzole e vi frugai dentro per trovare quello che stavo cercando. Quando le miei dita afferrarono il pezzo di metallo ancora non avevo trovato un motivo per fermarmi. E fu con soddisfazione che iniziai a tagliare…
 
“Che diavolo hai fatto ai tuoi capelli?”
Non ero sicura che l’avrebbe notato e devo ammettere che un po’ confidavo nella sua naturale distrazione di padre. Ma quella mattina mi era andata male, Charlie pareva più reattivo e mattiniero di quanto non fosse mai stata la sua letargica natura.
“Nulla. Sentivo che era arrivato il momento di tagliarli” risposi con stentata indifferenza, mentre mi impegnavo nella ricerca di una colazione soddisfacente. La mia chioma castana ora sfiorava appena le spalle, esaltando le linee sinuose del collo e la rotondità del mio viso.
Ci furono alcuni minuti di silenzio prima che lui tornasse a parlare. Mi aspettavo un giudizio ed ero pronta a tutto.
“Bè, ti stanno bene” decretò infine.
L’avevo immaginato: non avrebbe mai visto la disperazione dietro quell’atto tanto improvviso quanto inaspettato, convinto dell’imperturbabile benessere della mia vita.
Sorrisi nell’enorme tazza di caffè.
Lo ringraziai e lui tornò a nascondersi dietro al suo giornale.
Sapevo che il suo era solo il primo di una lunga serie di giudizi.

Indossavo i miei soliti vestiti, con scarpe sportive e zero trucco, ma mentre attraversavo l’ingresso della mia scuola quella mattina, sentivo sguardi scivolare su di me come se fossi stata un’altra Bella. Come se dei capelli in meno potessero fare la differenza!
Io effettivamente mi sentivo diversa, ma non capivo come potessero saperlo loro, quella marmaglia di ragazzi che neppure mi conosceva. Per un attimo mi sembrò di vivere il mio incubo, solo che non c’era la sincera ammirazione di cui la Feshion-Bella - con i suoi tacchi altissimi e vestiti firmati -  aveva goduto. Negli sguardi curiosi c’era qualcos’altro…
“Bella?”
Preparai un sorriso prima di girarmi verso la voce conosciuta.
“Angela! Ciao, come va?” chiesi con uno scoppio improvviso di allegria.
La mia vecchia amica Angela mi guardò incerta e confusa, io attesi nel frattempo il concludersi delle sue considerazioni, che sentivo chiaramente nonostante fossero mentali.
“Va bene… ma, ti trovo diversa” disse. Probabilmente le sue considerazioni non l’avevano portata molto lontano.
“Però stai bene, sai? Questo taglio ti fa… molto più giovane!” esclamò con un sorriso.
Esaminai quel giudizio, sezionandolo parola per parola.
Quel “molto più giovane” forzò nella testa alcune domande, le quali - mi resi conto – mi turbarono un po’. Una di queste mi chiedeva come appariva il mio aspetto prima di quel giorno. Vecchio? Suggeriva la mia mente. Forse, mi rispondevo.
“Grazie Angela”.
“Figurati! Sono solo contenta di averti dato il mio parere per prima. Scommetto che a Mike verrà un colpo quando ti vedrà!” ciarlò.
Non la stavo ascoltando. Camminavo con occhi che passavano attenti da una testa all’altra, alla ricerca di una persona in particolare, ma nella marea di chiome castane e biondicce, non distinguevo quella che più mi interessava.
“Stai cercando Alice?” chiese ad un tratto Angela.
Mi girai, sorpresa che avesse inteso tanto bene le miei intenzioni.
“L’ho vista passare di lì” e indicò il corridoio che portava agli spogliatoi della palestra “Solo che non ricordo che avesse ginnastica come prima materia” continuò “Non il lunedì, almeno”.
“Ci vediamo più tardi Angela” la salutai frettolosamente. Le miei gambe marciarono rapide tra la folla e quando riuscii con fatica ad infilarmi nel corridoio, mi bloccai di colpo. Cosa stavo facendo?
L’orgoglio impedì al mio piede di buttarsi in avanti e tenne incollato al pavimento l’altro, nel frattempo, nella mia testa avveniva un vero e proprio litigio.
Non spetta a te cercarla! sosteneva la Bella arrabbiata mentre la Bella più diplomatica - quella che dimenticava i torti subiti più velocemente delle formule matematiche - incitava di raggiungere la mia cara amica e di non fare la difficile.
Ero divisa tra il desiderio di rivedere Alice e quello di farle pagare il tiro mancino con alcuni giorni di non curanza. Mi aveva abbandonata al mio crudele passato senza esitare! Doveva pur significare qualcosa per me. Così rimasi dov’ero, ancora rimuginante su l’importante dibattito interiore. Ma poi avvenne che fu la curiosità a decidere per me.
Sentii delle voci alzarsi di tono, provenire dallo spogliatoio maschile. Ero certa che una di queste appartenesse a una ragazza, ed immaginai anche chi fosse. Mi avvicinai allora alla porta - lontana da me pochi passi - notando con soddisfazione che era solo socchiusa.
“Cosa hai intenzione di fare?” gridò la voce cristallina. Dal sottile spiraglio potei vedere Alice lanciare uno sguardo di fuoco al suo interlocutore. Non riuscivo a capire chi avesse il potere di farla infuriare in quel modo e, da quello che ricordavo, non mi era mai capitato di vederla senza un sorriso.
“Farai meglio ad abbassare la voce, sorellina”.
Le palpebre scattarono all’insù, il corpo si cementò. Quella voce era altrettanto riconoscibile anche se leggermente strascicata.
“Il resto di Fronks potrebbe sentirti” aggiunse, con una buona dose di arroganza. Era in assoluto la prima volta che sentivo quella voce atteggiarsi in un tono simile.  
“E poi… dovrei essere io quello arrabbiato”.
“Porta la tua mente stra-confusa da un’altra parte, allora vedrai come sarò più tranquilla!”
Quel discorso non sembrava avere un senso, ma un significato certamente l’aveva. Mi costrinsi a  voltarmi per andar via, invece di sforzarmi di trovare logica in una discussione che stavo spudoratamente origliando. Purtroppo decisi di analizzare il mio senso di colpa in un secondo momento, poiché sentivo di non poter tralasciare nulla di quella piccola lite.  
Rimasi così incollata alla porta, immobile come una statua, persino il respiro si era fermato.
“Nessuno ti sta obbligando a rovistare nel mio futuro Alice” disse a mo’dì accusa la voce di Edward. Ancora, pensai a quanto sembrasse diversa.
Alice cacciò un verso stizzito e portando le mani ai fianchi disse: “Vorrei tanto rimanerne fuori Edward, credimi, ma il tuo cervello mi sta letteralmente bombardando!” Anche la sua sembrava un’accusa.
“Da quando sei tornato non stai facendo altro che innervosirci tutti! Esme e Carlisle ti sopportano solo perché hanno anni di esperienza alle spalle. Si può sapere cosa ti prende?”
La domanda di Alice parve cadere nel vuoto. Aspettai trepidante una risposta da parte di Edward. Quando, nell’attesa, cacciai un respiro lento, un movimento fulmineo stravolse tutto e nell’arco di pochi secondi vidi la porta aprirsi, una figura nera spuntarmi davanti con una velocità impressionante. Squittì dallo spavento mentre, pallida dalla sorpresa, fissavo Edward in volto.
Registrai con precisione il suo sguardo inquisitore e le sue labbra, occupate a reggere mollemente una sigaretta nell’angolo destro. Scioccata mi chiesi chi fosse quell’uomo, così simile all’Edward Cullen che conoscevo, ma così assurdamente lontano dall’esserlo davvero.     

“Bella?!”
La voce di Alice mi riportò sulla terra ferma. Mi voltai in tempo per vederla spuntare da dietro le spalle massicce del fratello. Notai con leggerezza che lui indossava una maglietta aderente, nera, a maniche corte… quando fuori c’erano sei gradi sotto lo zero.
“Bella, cosa stavi facendo?” mi chiese Alice.
Ero del tutto impreparata, non avevo idea di quale risposta darle. Mentire probabilmente sarebbe stata la scelta più appropriata, ma non quella più giusta. Tuttavia non fui costretta a scegliere, poiché Edward intervenne con voce bassa e autorevole.
Era strascicata per via della sigaretta, conclusi.
“E’ molto tardi, voi due dovreste essere a lezione. Andate, prima che decida di avvertire il preside”.
Subito dopo sentii la piccola mano di Alice afferrarmi con forza il braccio e trascinarmi lontano.
Anche usando tutte le mie forze non sarei mai riuscita a sganciarmi dalla sua presa, così mi lasciai portare mentre osservavo la figura di Edward rimpicciolirsi sempre più. Mi fissava con intensità spaventosa, la sigaretta accesa che fumava tra le sue squisite labbra.
Era una presenza inquietante, pensai. Poi mi resi conto che, dell’Edward Cullen di quattro anni fa, non avrei mai detto una cosa simile.
“Cosa hai combinato?”
Cercai di uscire dalle mie torbide riflessioni quando Alice mi pose quella domanda, sforzandomi di mettere da parte una strana tristezza che mi era nata in petto. Era come se il mio cuore stesse piangendo, in lutto per la morte di qualcosa… o qualcuno.
“Ci sono capitata. Non l’ho fatto apposta” mi difesi.
Eravamo ferme adesso. Infilate di straforo nella desolata biblioteca della scuola.
“No, intendevo hai capelli!”
“Ah, quelli”.
 Mi toccai la testa con un gesto distratto e restai stupita dall’insolita sensazione che provavo nel sentire tra le dita quei corti fili di seta.
“Bè, gli ho tagliati. Mi sembra logico” risposi con blanda convinzione.
Avevo immaginato quel momento: nella mia fantasia pronunciavo quella stessa frase, però esaltata da una circostanza più gioiosa, più spensierata.
Guardai allora la mia amica e, dimentica dell’orgoglio e del torto subito, attesi ansiosa il suo parere.
Alice, dopo un giro completo per ammirare i miei capelli da diverse angolazioni, mi rivolse uno dei suoi splendidi sorrisi.
“Sei divina!” esclamò, aggiungendo un saltello al suo esagerato complimento.
Ridendo del suo entusiasmo mi accorsi di sentirmi un tantino più sollevata. Com’è possibile non perdonare Alice? Per me, sarebbe stato più facile sperare di vincere alla lotteria.

“Così ho detto ‘Ti pare che mi infilo un pantalone qualunque quando ho un armadio stracolmo di vestiti?’ E lui mi guarda con quella faccia tutta scontenta e mi dice che sarebbe carino se per una volta non mostrassi le mie gambe all’intero istituto!”
Stava parlando ininterrottamente da quando avevamo lasciato la scuola.
 “Allora non ci ho visto più, ho detto ‘Jasper! Se non ti rimangi quello che hai detto io ti-”
Forse avrebbe finito quel discorso al concludersi del tragitto, ma sapevo che a quel punto ne avrebbe subito iniziato uno nuovo.
“e così non ha detto più nulla! Ma ti sembra giusto che debba sopportarmi queste sue lamentele?”
Era una domanda retorica. Non voleva davvero una risposta.
“Tutta questa gelosia è irritante. Come quella volta al ristorante, quando-”
Avevo la netta impressione che stesse parlando a vanvera da ore solo per evitare che io aprissi bocca. Era un sospetto di cui avevo tutte le ragioni per considerarlo fondato…
“dopo quella volta infatti non ci siamo più tornati e-”
“Alice?”
Chiuse la bocca per voltarsi a guardarmi, tralasciando del tutto la strada. Aveva un’espressione di artificiosa disinvoltura.
“Cosa sta succedendo?” chiesi. Non avendo idea di quale domanda porre per prima, ne avevo scelta una a caso. Quella, in definitiva, mi sembrava la meno specifica e la più innocua.
Guardai Alice rivolgermi una faccia confusa, quasi sorpresa.
“Di cosa stai parlando Bella?”
“Sto parlando di te e Edward negli spogliatoi, sto parlando di te che urli contro di lui, ecco cosa!”
“I fratelli litigano tutti i giorni Bella, so che può sembrarti strano ma è così” rispose.
Era tornata a guardare la strada e notai che la sua voce era troppo tesa, priva del solito vivido tono.
“E’ normale” aggiunse.
“Non mi sembrava che Edward fosse ‘normale’”.
Quella considerazione fu spontanea, uscita dalla mia bocca con un’assoluta sincerità. Nello stesso istante, ripensavo a lui: al suo tono sarcastico, quasi aspro, al suo sguardo e al modo con il quale mi aveva fissata… come se fossi cibo su due gambe.
Rabbrividì e mi sforzai di ignorare la dolorosa torsione del mio stomaco.
“Cosa vuoi dire?” domando circospetta Alice. Gli occhi sempre fermi sulla strada.
 “Bè, tanto per cominciare, non ricordo di aver mai visto Edward fumare”.
Questo era solo una delle cose che mi avevano sconvolta e contemporaneamente quella più evidente. Alice produsse un sottile sbuffo, un suono che da solo fu capace di sottovalutare le miei parole. Poi disse: “Quello è solo un piccolo vizio che riprende ogni ventina d’anni!”
Calò il silenzio.
Era un modo di dire? Considerai con assoluta serietà la questione prima che Alice tornasse a parlare, strappandomi dal piccolo e difficile calcolo mentale che stavo facendo.    
“Bella, Edward ha fatto degli errori che non riesce a perdonarsi, perciò ti sembra diverso! Io e la mia famiglia l’abbiamo capito e stiamo cercando di riportarlo a essere se stesso. E’ una questione familiare, quindi ti prego… non impicciarti”.
Le sue parole non furono offensive e io non me ne risentii affatto. Osservandola guidare, accolsi quella sua richiesta con una vena di rammarico. Avrei rispettato la preghiera di Alice a costo di non dormirci la notte?
Se Edward non fosse più rientrato nella mia vita, allora, avrei anche potuto accontentarla.


Nota dell'autrice: Allora, prima di tutto voglio avvisare che a breve cambierò il titolo di questa ff... A Tormented History diventerà Segreto di Sangue. Ho riflettuto parecchio su questa svolta... l'ho voluta per una questione puramente tecnica. A quanto pare, Segreto di Sangue è dieci volte più accattivante ^.^ Ho notato quanti pochi lettori ho attirato, perciò ho pensato di scegliere qualcosa di vivido, che attiri l'attenzione... Purtroppo, noi scrittori dobbiamo pensare anche a questo!! =) spero che appreziate il nuovo titolo e che serva a qualcosa ^.^
Poi, voglio ringraziare Glance e SweetCherry =D se mi fornite sempre queste splendide recensioni, prometto che sarò più assidua nei post =D Un bacio!!

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Nota dell'autrice: Salve gente! ^.^ Approfitto di questo momento libero per postarvi il nuovo capitolo! Sono impegnatissimissima!!
Lunedì ho la terza prova, perciò ho ogni centimetro di casa tappezzato di libri e appunti!! =.=" Vabbè... Mi sono resa conto che cambiare il titolo non ha sortito l'effetto desiderato... okay, mi sento un pò avvilita ç_ç Non riesco a trovare l'entusiasmo giusto per continuare se non mi lasciate delle rencezioni!! Perciò, vi prego, non vi risparmiate!! *_____*

Per Eka_ Non penso di affrontare un pov di Edward per il momento... farlo sarebbe come camminare su un campo minato, e poi scoprirei troppe carte che al momento voglio rimangano coperte... non so se mi spiego ;-)
Per Glance_ Apprezzo molto il tuo commento! Fai caso a questi particolari, vuol dire che leggi con attenzione, e questo mi lusinga ^.^
Un beso!! =^-^= E buona lettura!!


(Lesson n.5): Il pericolo si nasconde nelle persone più improbabili

Era già arrivato il nuovo giorno. Mi sembrò assurdo pensarci, in pigiama e ancora affossata tra piumone e lenzuola, mi chiedevo se il tempo avesse schiacciato sul tasto ‘avanti’ per arrivare a quel momento. Ricordavo con precisione il breve attimo che avevo impiegato per dire a me stessa ‘ci penserai domani’ e tutto il pomeriggio che aveva sepolto quel pensiero, fino ad arrivare alla sera.
La notte era volata col sonno e ora… ora mi ritrovavo a ‘domani’, ma nessuna voglia di pensarci.
Contrariamente al mio volere però, avrei dovuto farlo tra poco più di due ore.
“Prima, una doccia” dissi al disordine nella mia stanza.
Così arrancai verso il bagno, sperando che l’acqua fredda avesse il mirabile potere di sbloccarmi la mente.

“Buongiorno”.
“Giorno”.
Il saluto di Charlie mi aiutò a tornare sulla terra per qualche istante, giusto il tempo necessario per ricordarmi che avevo bisogno di nutrirmi con una buona colazione. La sera prima non avevo cenato, perciò pensai di avere diritto a una dose eccezionale di zuccheri, fortemente bisognosa di attaccarmi a qualcosa che compensasse la forte frustrazione che mi attanagliava da un pomeriggio, una sera e una nottata. Se continuavo così, avrei dovuto sopportarla anche tutta questa giornata.
“Ah, Bella?”
“Si papà”
Avevo il viso infilato nella credenza: cercavo di capire dal suono, quale tra le cento scatole di cereali al cioccolato che avevo davanti, ne contenesse effettivamente qualcuno. Era un impresa difficile.
“Questa sera farò il doppio turno, perciò tornerò tardi. Non ti preoccupare per la cena, provvedo in ufficio” disse, il naso sempre nascosto dall’enorme giornale di provincia.
“Come mai?” chiesi, mentre gongolavo trionfante. Di cereali al cioccolato neanche l’ombra, ma avevo trovato le ciambelle al miele che mi piacevano tanto!
“Ci sono dei problemi giù in città. Strane sparizioni. Le autorità vogliono andare infondo a questa faccenda” rispose tutto compito. Senza lasciare lo sguardo al giornale continuava a dialogare come se avesse il potere di leggere e parlare allo stesso tempo.
“Papà, sei tu l’autorità! Dimmi piuttosto che non dormi la notte per questo caso”.
Finalmente guadagnai un suo sguardo. In quello vidi qualcosa che mi scombussolò l’appetito.
 “E’ così grave?” domandai, un po’ preoccupata.
Il sergente Swan in persona cacciò un sospiro prima di chiudere il giornale, posarlo sul tavolo e alzarsi, per poi aggiustarsi la cinta sopra l’accenno di panciotto che aveva accumulato in trenta anni di onorato servizio. Alla fine, parlò.
“Alcune sono state ritrovate dissanguate. Non sappiamo ancora da cosa. Per ora ti basti sapere che ti è vietato spostarti da sola e nelle ore tarde. Voglio che tu tenga sempre qualcuno a tuo fianco, capito Bella?”
Dopo aver acconsentito agli ordini di mio padre misi in archivio quella storia. Le apprensioni di un genitore non vengono mai prese sul serio, così mi annotai l’essenziale della conversazione e salii di corsa le scale per prendere lo zaino.
Ero cerca che quello sarebbe stato un lungo giorno.

Arrivai a scuola con un leggero ritardo, dovendomi accontentare del mio ferro vecchio come mezzo di trasporto invece che della fiammante porche di Alice. Quella mattina non si era fatta sentire, né vedere, ma confidavo nella sua capacità di spuntare da un cespuglio o da un armadietto, oppure semplicemente dal nulla. Pensare a lei mi fece tornare rimuginante. Allora ricordai la litigata alla quale avevo assistito e le parole che, con molta probabilità, non avrei mai compreso.
Il look aggressivo del nuovo Edward, che si era automaticamente sostituito al ricordo del dolce professore di biologia, mi disturbava in un modo che non credevo fosse possibile. Nonostante il fascino accattivante che infondeva, sentivo quel cambiamento radicale sbagliato. Un miscuglio di elementi negativi che desideravano essere assorbiti da un chiarimento. Un chiarimento che non potevo ottenere, poiché avevo promesso ad Alice che non mi sarei immischiata in quella faccenda.
E mentre riflettevo su tutte queste cose, non mi accorsi di star attraversando una strada, così come non badai alla macchina che strava sfrecciando su questa, dritta verso di me. Però il ringhio che fece il suo motore mi portò finalmente a notarla; rossa e potente, la vidi frenare con eleganza e svoltare per trovarsi pochi centimetri dal mio corpo impietrito. I libri che portavo in mano minacciarono di cadere dalle mie braccia tremanti mentre osservavo i vetri di quella magnifica automobile riflettere la mia espressione sbigottita. Erano vetri scuri, impossibile vederci attraverso.
A quel particolare la mia mente associò in modo automatico la parola ‘Cullen’, insieme a sette visi conosciuti e bellissimi. Loro erano soliti portare quel tipo di macchine… In una manciata di secondi formai la speranza che si trattasse di Edward. Ma quando alzai lo sguardo per osservare l’uomo uscito dal posto-guidatore, non furono i suoi occhi che incontrai. Quello che avrebbe potuto investirmi e mandarmi senza alcun dubbio al pronto soccorso – se non direttamente al cimitero - era un ragazzo bello al suo pari.
“Tutto apposto bambina?” parlò il ragazzo con un accento straniero.
Io feci scena muta. Ero incantata dalla perfezione che ostentava la sua pallida figura, così simile a quella tipica dei Cullen, da farmi pensare che si trattasse di un parente.
Mentre il mio cervello macinava informazioni dietro informazioni, dalla macchina uscirono altri ‘possibili parenti dei Cullen’. Una ragazza e due ragazzi, segnati da una precisa riproduzione della soprannaturale bellezza che vantava la famiglia a me tanto cara. Mi fissavano e io fissavo loro, come avrebbe fatto un cervo davanti i fari di una macchina.
“Forse non parla” disse uno dei ragazzi, con un sorriso sfrontato in volto e lo stesso strano accento del compagno nella voce.
Il primo ad essere uscito dalla macchina era leggermente più basso di quest’ultimo, con capelli biondi disordinati e una corporatura media. Il ragazzo che invece aveva insinuato una mia incapacità naturale, era di stazza massiccia, superiore a quella di Emmett. I capelli erano neri e legati in uno stretto codino. Non fece in tempo a registrare la fisionomia degli altri quattro che una voce si intromise, pilotando tutta la mia attenzione sulla destra.
“Voi…”
Fissai l’espressione di Edward con stupore. Sul suo viso pallido c’era una maschera spessa di ostilità, lo sguardo minaccioso era terrificante sui suoi delicati lineamenti.
“… dovreste stare attenti. Il vostro modo di guidare potrebbe compromettervi la promozione”.
I miei occhi non si spostarono, rimasero concentrati su Edward anche quando il primo ragazzo rispose con tono soave:
“Oh, questo di certo non lo vogliamo, professore”.
Colsi appena il modo con il quale aveva calcato l’ultima parola, un tono pieno di scherno che poteva insinuare mille cose. A confermare la mia sensazione fu la mascella di Edward, che si serrò in una forma più dura. Gli occhi si assottigliarono e parvero luccicare d’odio.
Mi resi conto di essere una stupida a pensarlo proprio in quel momento, ma nulla mi affascinava più di quello sguardo. Sembrava capace di uccidere.
“Andate, ora” disse, digrignando i denti.
Alle mie orecchie parve una vera e propria imposizione! Pensai a quanto fosse strano vedere Edward esercitare il suo ‘potere’ di insegnate sugli studenti, proprio perché sapevo che non l’aveva mai fatto. Ma, dopotutto, da quel nuovo Edward si ci poteva aspettare di tutto.
Sentii il chiudersi simultaneo di quattro sportelli e così vidi la macchina rossa indietreggiare di qualche metro. Strinsi i pugni e irrigidii i muscoli quando ci venne incontro a tutta velocità, per poi svoltare nell’ultimo istante e sorpassarci sulla sinistra. Cacciai un sospiro, sentendo il cuore battere velocissimo per lo spavento.
“Stai bene?” mi chiese Edward che, rimasto impassibile al mio fianco, era stato momentaneamente trascurato dalla mia attenzione.
“Mh, si. Va bene” risposi in modo instintivo. Volendo avrei potuto approfittare di quel momento, avrei potuto recitare la parte della povera ragazza sconvolta, avrei potuto convincerlo che avevo bisogno di essere accompagnata alla mia lezione, ottenendo così un pretesto per rimanere sola con lui. Ma il passato mi rendeva perfettamente consapevole delle conseguenze che avrei subito. Inoltre, non era una cima in recitazione.
“Ti accompagno” decise.
Il tono perentorio mi spiazzò del tutto. Ero abituata a scegliere con Edward…
Corrucciai la fronte nel ricordarmi che quella era una caratteristica appartenente al vecchio Edward Cullen, rimpiazzata da una sicurezza sfacciata da quello nuovo. La cosa mi irritò immediatamente.
“Non ne ho bisogno, grazie” risposi brusca, iniziando a camminare veloce lungo il parcheggio e verso la scuola. L’ingresso era ormai sgombro, dovevo essere in un mostruoso ritardo.
“Ne dubito” lo sentii dire dietro di me. In una manciata di secondi me lo ritrovai di nuovo accanto.
Riusciva a reggere il mio passo con estrema facilità, nonostante fosse un fumatore da… quanti anni? non lo sapevo, ma le parole di Alice mi lasciavano presumere che fossero molti.
“Dubiti che possa badare a me stessa?” gli domandai indignata.
“Dubito che tu possa riuscirci senza fallire miseramente” rispose.
Mi fermai, piantando i piedi al suolo come se fossero incollati all’asfalto.
Dentro di me ribolliva un mare di parole che premeva per uscire, tuttavia, riuscii a domarlo. Fu così che con voce controllata risposi:
“Sono in ritardo per la lezione, professor Cullen”.
E ripartii pensando di poter raggiungere in tempo la classe, ma una tenaglia si strinse attorno al mio braccio, bloccandomi e poi spingendomi indietro con violenza. Non andai a sbattere contro di lui poiché riuscì ad afferrare l’altro braccio prima che avessi anche solo la possibilità di sfiorare il suo torace. Ero scioccata. L’aggressività di questo Edward mi lasciava senza parole.
“Non chiamarmi così” sussurrò con un miscuglio di tormento e sofferenza nella voce. Al contrario delle sue azioni, la voce esprimeva vulnerabilità. Un sentimento che non avevo mai pensato di poter vedere in lui.
I suoi occhi fondi si addolcirono sotto il mio sguardo sconvolto e il cuore iniziò spontaneamente a galopparmi libero in petto.  
“Per te sono solo Edward. Edward e basta”.
“Non è possibile” dissi. Sentivo la stretta che mi imprigionava farsi meno forte ed immaginai cosa sarebbe successo se mi avesse lasciato in quel momento. Sarei certamente caduta, lo sapevo.
“Perché?” mi chiese, con una nota d’afflizione.
Riflettei per un breve attimo sulla possibilità di dirgli la verità, consapevole che una decisione di questo tipo avrebbe potuto cambiare radicalmente le sorti di questa storia. Ma ci avevo già provato, avevo già vissuto l’esperienza di buttarmi nella verità, e non aveva funzionato…
“Devo andare”.
Ecco, avevo deciso per la scappatoia. Non era capace di affrontarlo, non in quel momento.
Lo vidi raddrizzarsi, le mani lasciarono le miei braccia e seppi che aveva riacquistato il controllo quando lo vidi ghignare. Un sorriso storto, un’espressione che ebbe la capacità di contorcere il mio stomaco.
“Correre non ti servirà. Il professor Vhimmer ti ha assegnato una punizione tre minuti fa”.
“Che cosa?”
“Esattamente. E’ stato di manica larga tuttavia. Se fossi stato ancora il tuo insignente, avrei scelto una pena più severa” disse, sempre con quel perfido sorriso.
Questo era troppo! Mi rifiutavo di continuare a parlare con quella versione sbagliata di Edward.
“Bene” risposi, poi il tono andò crescendo man mano. “Allora sono contenta di aver lasciato biologia! Che tra l’altro, è una materia stupida e altamente sopravalutata!” era una considerazione puerile e molto fuori luogo, lo sapevo, ma non riuscii a trovare parole più taglienti.
Girando sui tacci corsi lontano da lui mentre non potevo impedire che mi arrivassero alle orecchie le sue risa. Erano diverse da quelle che mi avevano resa felice quattro anni prima. Erano torbide, ruvide, amare, cattive. E che Dio mi perdoni, dannatamente sensuali.

“BELLA!”
Stavo uscendo dalla mia ultima lezione, stanca e provata dalla lunga giornata, desideravo con tutte le mie forze tornare a casa.
“BELLA!!”
Smisi di trascinarmi sull’opaco pavimento scolastico e attesi. Sentivo di non avere la forza di girarmi.
“Ehi! Sei uno straccio!”
“Grazie mille Alice”.
Alice non era mai stata una di quelle persone che sanno cosa significa limitare l’uso della parola.
Parlava, parlava e parlava, senza sapere che a volte sarebbe meglio rimanere zitti. Ma, nonostante questa sua insopportabile ‘qualità’, le volevo bene come ad una sorella.
“Dovere. Ho sentito che hai ricevuto una punizione da Vhimmer e che al tuo prossimo ritardo ti beccherai un’ammonizione con i fiocchi!” annunciò. Saltellava di fianco alla mia letargica andatura. Sapevo che se avessi potuto vedere quella scena dall’esterno, avrei riso dell’assurdo divario tra noi.
“Davvero? Questa cosa non la ricordo…” La mia mente faceva già molta fatica a conservare il ricordo del faccione rosso del professore di matematica, alterato mentre condannava la mia riprovevole mancanza di rispetto.
“Bè, così hanno detto!”
“Vorrei tanto sapere chi è che dice tutte queste cose. Sembra essere diventato lo sport del secolo!”
Tutto quello che sapevo di quelle voci è che, in effetti, erano solo voci, senza volti o nomi.
Alice diceva “l’ho sentito dire”, “l’ho saputo”, ma non specificava mai le fonti.
“Allora, vieni da me questo pomeriggio?” proruppe improvvisamente. Rischiai di inciampare sui miei piedi. Pensavo che la mia apatia fosse piuttosto evidente.
“Alice, sono molto stanca”. Era una scusa mediocre, ma efficiente. Sapevo che avrebbe protestato, così come sapevo che aveva del tutto dimenticato il reale motivo per il quale non avrei mai più messo piede in casa sua.
“Oh andiamo!” mi pregò.
“Non insistere ti prego. Piuttosto, che fine hai fatto questa mattina?”
Era scomparsa come non faceva da parecchio tempo. E il suo glissare sull’avvenimento mi portava a impressionanti livelli di curiosità.
La osservai camminare leggera e d’un tratto mi accorsi di come la sua vivacità si fosse come velata di importanti pensieri.
“E’ successo qualcosa Alice?” chiesi preoccupata. Vederla seria era un eccezione, quasi un avvenimento, non bisognava sottovalutare la questione.
“Ho sentito che hai incontrato i nuovi arrivati questa mattina” disse pacata.
Fissava il corridoio con grande intensità. Scrutava come se vedesse qualcosa oltre le mattonelle ingiallite e gli armadietti trascurati.
Tornai alle sue parole e velocemente feci il reso conto della mattinata; si, potevo dire di aver incontrato delle facce nuove, ma non che fosse stato piacevole.
“Ti riferisci a quel gruppo di ragazzi?! Sono strani” stranissimi, pensai. Almeno quanto voi Cullen, avrei voluto dire.
“Questo te l’ha raccontato Edward?” chiesi, ma lei non sembrò prestare attenzione a quello che dissi, perché invece rispose: “Devi tenerti lontana da loro. Sono tipi pericolosi”.
Non avevo intenzione di sottovalutare quell’avvertimento e non feci domande. Il tono truce e severo con il quale Alice aveva parlato riuscii a sortire l’effetto desiderato, tanto che,  tenermi alla larga dagli stranieri, sarebbe stato mio unico e solo scopo da quel preciso momento.

Non chiamarmi così…
I suoi occhi…
Per te sono solo Edward. Edward e basta…
La sua voce…
Come poteva pretendere di essere ‘solo’ Edward per me? Come?
Il dolore che c’era sul suo viso, la sofferenza, poteva convincermi a credere che ci fosse una speranza. Una speranza che se frantumata avrebbe lasciato un ulteriore segno sul mio già fragile cuore.
Era per me? Era per me che stava provando tutto quel dolore? Eppure… le parole crudeli che mi avevano fatta scappare… quelle mi ferivano, quelle mi convincevano del contrario.
Stavo stressando il mio cervello con milioni di quesiti, uno più inconcludente dell’altro, mentre finivo di prepararmi per la notte. Mi rendevo conto che solo con un potere speciale avrei potuto arrivare alla fatidica soluzione, qualcosa come nei film più fantasiosi, mi sarei servita di una magica telepatia per entrare nella mente delle persone. Sarebbe stato divertente, per non dire utile.
Sospirai di frustrazione, conscia di quanto fosse irrealizzabile il mio desiderio.
Ero stanca, ma stranamente non avevo sonno; la mia mente era sovraccarica di informazioni e avvenimenti che si ostinava ad elaborare in modi sempre più fantasiosi.
Rivedevo i volti bellissimi degli stranieri e mi chiedevo come fossero arrivati inosservati nella piccola Fronks. Mi sarei aspettata di sentire voci di paese precedere il loro arrivo. La loro presenza mi metteva a disagio, mi rendeva ansiosa. L’avvertimento di Alice poi, non faceva che alimentare questa sensazione. Per non parlare dell’aggressività di Edward! Insolitamente rivolta ai nuovi concittadini.
Perché tanta rabbia? Era forse stato travolto dalla preoccupazione per me, tanto da rivolgersi in malo modo verso ragazzi che, di fatto, avevano dimostrato solo molta incoscienza?
No, non sarei riuscita mai ad addormentarmi di questo passo.
Ero rassegnata ad una notte insonne quando rivolsi lo sguardo alla finestra, le tende giallo paglierino erano scostate per lasciar trapelare le tenebre attraverso il vetro. Mi venne il folle pensiero di aprirle, di farle entrare. Così mi alzai e spalancai silenziosamente le grandi ante, affacciandomi subito dopo per osservare l’acciottolato del mio giardino. Stava lì, immobile, ispirava molto poco. Allora gettai lo sguardo nel bosco. Ecco, quello sembrava essere più interessante.
La vegetazione si muoveva appena sotto un vento fresco e delicato, i colori degli alberi erano stati assorbiti dalla fitta oscurità e il cielo notturno era privo della sua luna, coperta da un tappeto di nuvole. Il naso mi si ghiacciò subito e mi strinsi forte nel mio pigiama per la bassa temperatura.      
Fissavo quel groviglio di rami, foglie e oscurità senza pensare a nulla, aspettando che il desiderio di tornare sotto le coperte mi convincesse a distogliere lo sguardo. E aspettai… aspettai… aspettai…
Quando il sonno mi prese, smisi del tutto di aspettare.
Ero mezza sdraiata sul pavimento, con le braccia ancora appoggiate alla cornice di legno della finestra della mia stanza. Non seppi come o per quale motivo, ma improvvisamente sentii più freddo. In quel sonno vigile che precede il riposo più profondo, potei percepire il gelo abbracciarmi, stringere le mia vita e avvolgermi come un’amante premuroso. Un soffio di aria gelata sfiorò il mio collo e ne increspò la pelle, ma non mi svegliai. Tremavo. Tuttavia quel contatto era piacevole.
E con un sorriso, mi addormentai definitivamente.


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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


  (Lesson n.6): Disubbidire è la scelta migliore per chi non ha paura
“Una riunione di famiglia?”
“Già, una riunione di famiglia”.
Guardai gli occhi neri di Alice, cercando. Non so cosa, forse solo la verità. C’era qualcosa che mi faceva credere che stesse mentendo? Ebbene, si.
“Credevo che questo genere di cose fossero riservate alle occasioni importante, come il Natale oppure, che ne so, un funerale!” La scelta di parole risultò macabra persino alle mie orecchie, e questo la diceva lunga sul mio umore.
Contro ogni mia aspettativa, quel pensiero sembrava divertire molto Alice, che scoppiò in una risata frizzante. Non le avevo mai chiesto se trovasse i funerali divertenti, perciò probabilmente stavo dando un sacco di cose per scontante. E i Cullen non erano affatto scontati.
Erano tutto, tranne che scontati.
“Sai cosa sono i funerali Alice? Sai, tutta quella roba triste e nera?” dissi, con uno scoppio di stizza che sorprese anche me. Mi sentivo suscettibile quella mattina.
 “Si, certo che so cosa sono! Di uno ne ho persino fatto parte, molto direttamente” rispose con uno smagliante sorriso. Decisi così di tralasciare l’argomento, coscia di non riuscire a trattenere la mia linguaccia quel giorno, evitando quindi ogni possibilità di litigio.
Gli effetti collaterali del ciclo mestruale, dannazione di tre quinti della popolazione mondiale, mi rendevano bisbetica e asociale come una vecchia zitella.
“Così, mi abbandoni per tre lunghi giorni” dichiarai dopo un sospiro.
“Già, ma ti lascio alle amorevoli cure del mio fratellone” rispose tutta vivace.
Corrucciai la fronte, non sicura di aver capito bene.  
“Come scusa?”
“Edward non si sente abbastanza, invogliato, da questa pacifica riunione” spiegò.
Invogliato… non potevo dire di esserne assolutamente sicura, ma quell’aggettivo aveva assunto un diverso significato nella bocca di Alice. Era la mia impressione? Mi stava nascondendo qualcos’altro oltre al reale motivo per il quale non l’avrei vista tre giorni consecutivi?
Per la prima volta, mi ritrovai a dubitare della sincerità di Alice. Era inaccettabile per me, che la consideravo la mia migliore amica. E non si dubita delle migliori amiche, giusto?!
“Quindi, la questione delle amorevoli cure era una battuta?” chiesi.
Certo che era una battuta, ovvio.
“Non esattamente” rispose, ma smorzando il tono in un debole mormorio.
La fissai, ferma nel cortile della scuola mentre lei continuava a passeggiare attorno alle trascurate aiuole. Raggiungendola a passo svelto, cercai le parole giuste da dire.
“Ma… non può!” quelle non erano le cose più sensate da dire in effetti, però sfuggirono dalla bocca per via della confusione.
“Di cosa stai parlando?” domandò invece Alice. Passammo oltre un gruppo di ragazzi del secondo anno che, nonostante fossero decisamente troppo piccoli, si dedicarono ad uno studio accurato quanto spudorato del suo fondoschiena. Lei rivolse loro un sorriso aperto molto suadente mentre continuava a camminare, i sospiri dei ragazzi alle sue spalle.
“Io-io… io non lo so, a dire il vero” fui costretta ad ammettere.
“Rilassati Bella. Non c’è bisogno di agitarsi così. Entro due giorni sarò da te”.
“Avevi detto tre” le feci notare.
Lei alzò le spalle, un gesto che risultava spesso rozzo su altre ragazze, ma che lei aveva la capacità di renderlo elegante.
“Potremmo metterci di meno se dovessimo annoiaci” esordì.
Poi, come se si fosse improvvisamente ricordata di qualcosa, smise di camminare per guardarmi fissa negli occhi. Con i tacchi riusciva a raggiungere la mia altezza, ma quel giorno indossava delle graziose ballerine, che nulla toglievano alle sue toniche gambe. Alice sarebbe riuscita ad essere affascinante anche avvolta da un qualsiasi straccio.
“Devi giurarmi una cosa Bella” disse.
Il tono grave che adottò non poteva essere sottovalutato. Mi accigliai, annuendo seria.
“Certo. Di cosa si tratta?”
“Dei quelli nuovi. Vogliamo che tu non ti avvicini a loro”.
Non mi sfuggì affatto il plurale.
“Vogliamo?”
“Edward e io siamo molto preoccupati. Quelli sono tipi pericolosi!”
“Edward non ha alcun diritto di impicciarsi!”
Alice sospirò, scuotendo la testa. Quando tornò a guardarmi, i suoi occhi erano contriti, pieni di sincera preoccupazione.
“Giurami soltanto che gli eviterai con tutta te stessa!”
Studiandola circospetta, capii di non poter esprimere tutta la mia irritazione. Non l’avrei fatto per Edward, ma per Alice si.
“Te lo prometto” dissi solenne.  
Continuai così a passeggiare con lei nel cortile, cercando una motivazione che giustificasse la sua apprensione e, in contemporanea, molto conscia dello sguardo attento di una trentina di occhi bramosi. Sapevo però, che non erano a me che prestavano attenzione. Alice quel giorno indossava un delizioso vestito corto, perciò era come camminare di fianco ad un’insegna al neon. I Cullen erano tutti così. Insopportabilmente belli, insopportabilmente irraggiungibili.

Arrivai puntuale alla lezione di fisica, anche se la professoressa Ascher reagiva meglio di tutti gli altri docenti di fronte a pochi minuti di ritardo. La fisica era una materia che avevo imparato ad apprezzare con il tempo e che, sorprendentemente, apprendevo con più facilità della matematica.
Strano ma vero, ero convinta dipendesse dalla Ascher. Un’ottima insegnate anche dal punto di vista professionale, quasi alla pari di Edward. Quasi. Troppo incredibile da credere, ma Edward Cullen era realmente al di sopra di tutti pur essendo il più giovane. Con ogni probabilità la professoressa Ascher lo eguagliava solo per via dei suoi anni di esperienza nell’insegnamento.
“Ehi Bella!”
“Ciao Mike”.
Diedi un sorriso distratto al mio compagno di banco, sedendomi accanto dopo aver posato i libri.
“Ti ho già detto che sei una strafiga con quei capelli?!” il tono doveva essere suadente, tuttavia, chi ha assaggiato il dolce e corposo sapore della voce di Edward Cullen, non viene granché impressionato da un così mediocre tentativo. Non gli prestai alcuna attenzione mentre aprivo gli appunti per iniziare un veloce ripasso.
“Che ti prende?” chiese disorientato. Era davvero sicuro che sarebbe riuscito a lusingarmi con quel complimento? Mike ci provava con me da parecchi anni ormai – talmente tanti, che avevo perso il conto finite le elementari - e io non riuscivo a capire dove prendesse tutta quella determinazione. Credevo che prima o poi si sarebbe stancato, ma probabilmente la sua cocciutaggine andava oltre la media adolescenziale.
 “Nulla”.
“Sembri incazzata”.
“Non sono incazzata”.
“Allora che diamine ti prende?”
Avrei voluto mandarlo a quel paese perché non ero in vena di sopportarlo quel giorno, così come mi accadeva per cinque giorni al mese da quando era diventata una donna a tutti gli effetti. In quei giorni ero irascibile e le persone tendevano a superare molto velocemente i limiti della mia pazienza, come se questi si fossero ristretti in un cerchio poco spazioso.
Mi accorsi di guardarlo male solo quando notai sulla sua faccia un biancore innaturale. Sembrava spaventato. Facevo davvero tutta questa paura?
“E’ una giornata storta, e non mi va di dare spiegazioni” borbottai.
Mike però non stava guardando me. I suoi pallidi occhi celesti fissavano l’uscio della porta alle mie spalle. Allora mi girai sulla sedia, incuriosita.
Forse anch’io sbiancai in quel momento, ma la cosa che percepii meglio fu il tuffo improvviso del mio cuore.
“Sono quelli nuovi” sentii sussurrare da Mike alle mie spalle.
“Già”
Adesso anch’io fissavo, senza riuscire a trovare un motivo valido per staccare gli occhi dalle due nuove presenze, che avevano attratto su di loro l’attenzione di tutta la classe. Riconobbi il tipo grosso come un armadio, quello con il codino e le spalle più massicce di Emmett.
Stentava a muoversi nell’aula, che pareva troppo piccola per lui. Chissà come aveva fatto ad entrare dalla porta?! Dietro di lui, semi nascosto dalla massa sproporzionata di muscoli del compagno, c’era un ragazzo che non avevo mai visto. Era uno di loro, si capiva. La pelle bianca e la bellezza agghiacciante lo differenziava da tutti i presenti. Anche i suoi capelli erano neri, però lasciati sciolti sulle spalle, a creare una cascata lucente di onde dai riflessi blu. Visto da dietro poteva passare per una ragazza, pensai, ma i lineamenti del viso erano decisamente mascolini. Le folte sopracciglia espressive erano sistemate sopra un paio di occhi neri, tuttavia affascinanti. Il naso era più affilato rispetto a quello del compagno e le labbra più invitanti e sensuali. Insomma, tutto lasciava credere che lui avesse indubbiamente ereditato la bellezza. Questo voleva dire che il fratello – dovevo per forza esserlo, perché la somiglianza tra loro era enorme – era quello intelligente?
“Miseria” mi lasciai sfuggire.
E il ragazzo bellissimo si girò a guardarmi. Mi agitai sulla sedia, arrossendo con un sussulto allo stomaco. Avrei dovuto tenere la bocca chiusa.
“Buongiorno ragazzi” intervenne la voce squillante della Ascher. Probabilmente alzava la voce perché nessuno mai la notava quando entrava in classe, tanto era bassa.
L’insegnante si mise subiti all’opera e, gesticolando nella loro direzione, invitò i nuovi acquisiti a presentarsi alla classe. Registrai quanto poco fossero entusiasti, così come lo sarei stata io se mi avessero obbligato a vivisezionare una rana.
Poi, appena si avvicinarono, sentii qualcosa addensarsi sulla pelle, increspandola e penetrandola fino ad arrivare ai muscoli, che si indurirono in un’istantanea reazione. Fu una sensazione terrificante. Non mi era mai capitato di percepire qualcosa di apparentemente intangibile con tanta chiarezza. Capii per quale motivo avessero attirato l’interesse dei ragazzi, oltre che delle ragazze. Non era questione di fascino. Almeno, non solo quello. I nuovi arrivati sembravano possedere una densa energia che li avvolgeva, un magnetismo inquietante che mi faceva dolere le ossa.
Mi abbracciai come se avessi freddo, chiedendomi come facessero gli altri a tollerare la loro angosciante presenza, a non reagire, a sembrare tanto disinvolti.
“Il mio nome è Gabriel” si presentò con tono pacato il più bello. Anche l’altro si presentò, con voce profonda che non sentii affatto. Ero talmente assorta nella contemplazione di Gabriel, che le sue parole mi sfuggirono del tutto.
“Newton” esortò la professoressa Ascher “sono spiacente ma dovrà cedere il suo posto a uno di loro. Si sposti tre banchi più in là, così che Swan possa aiutarli a mettersi in pari con la classe”.
Mike non protestò, si alzò e raccolse la sua roba. Non l’avevo mai visto così, sembrava infastidito ma allo stesso tempo incapace di replicare. Che fosse la presenza del ragazzo Armadio a intimidirlo?
“Bene, si sistemi Doubois. Suo fratello sarà sull’altra fila”.
Doubois… un cognome francese. Origini francesi? Forse era proprio quelle ad influenzare la loro strana pronuncia.
Osservai circospetta l’eleganza con la quale Gabriel Doubois si venne a sedere al mio fianco, rimanendo poi rigido sulla sedia così come un’atleta pronto a scattare. Lo esaminai: era alto un metro e ottanta, corporatura formata da spalle ampie e bacino stretto. Nonostante dovesse avere più o meno la mia età, era completamente sviluppato, completamente uomo. Mi accorsi di essermi allontanata da lui e di aver trattenuto il fiato fino a quel momento. Poi Gabriel si girò a scrutarmi. E allora pensai che Alice aveva ragione: i Doubois erano realmente dei tipi pericolosi.

Non mi era mai capitato di sospettare dell’umanità di qualcuno. Ma c’è sempre una prima volta per tutto, suppongo. Stavo lì, seduta, immobile e rigida come un pezzo di ghiaccio a chiedermi cosa fossero i Doubois. Potevo credere che non fossero umani? Si, potevo. E più passavano i minuti, più mi sentivo dolorante nella mia immobilità, più quella convinzione si rafforzava.
Non avevo difficoltà ad ammettere a me stessa che quella fosse un’idea assurda, la logica non ammette l’esistenza di esseri soprannaturali. Io non credevo in quel genere di cose. Al diavolo! Si può sempre cambiare idea, no? C’era una parte di me che non era coscienza né logica, c’era una parte di me che era solo istinto, e il mio istinto mi diceva che Gabriel e suo fratello mi mettevano paura. Era una paura strana quanto concreta, non irrazionale come una assurda fobia. Nasceva dal sangue, dalla carne e dalle ossa, dalla più piccola e insignificante molecola primordiale che ogni uomo si porta dietro da 200 mila anni, dal primo Homo Sapiens. Mi sentivo terrorizzata come un coniglio di fronte ad un lupo, come un’antilope di fronte ad un leone, in definitiva, come una preda. Rabbrividì, scossa dal pensiero di ritrovarmi nel ruolo peggiore. Se io ero la preda, allora Gabriel era il cacciatore? Bene, non volevo scoprirlo. In quell’istante volevo solo la fine dell’ora e il confortante suono della campanella.
“Sei spaventata, ma cerise?”
Sobbalzai, indietreggiando fino ad addossarmi alla parete verde pistacchio. I muscoli erano talmente intorpiditi da farmi temere i crampi. Cielo! Stavo peggiorando! Insomma, lui aveva posto una semplice domanda… alla quale, senza dubbio, avevo dato una risposta più che eloquente proprio in quel momento. Tutta quella situazione era paradossale. Gabriel non era un predatore e io ero solo molto paranoica!
“Ehm, no. Solo un po’ tesa, tutto qui” risposi, abbozzando un sorriso. Sperai di essere stata convincente e allo stesso tempo mi sforzai di allentare la tensione dei miei muscoli, ma lo sguardo penetrante di Gabriel mi rendeva arduo quel semplice compito. Nei suoi occhi insopportabilmente neri c’era una morbosa attenzione, qualcosa che non avevo mai avuto il piacere di sperimentare in nessun’altro uomo. In verità, dubitavo che un uomo qualsiasi potesse guardare con tanta intensità.
“Vorrei che svolgiate questi esercizi per casa, perché il prossimo test prenderà in analisi proprio questo tema” spiegò la professoressa Ascher. Mentre continuava a parlare iniziò a distribuire dei fogli, banco per banco. Mi resi conto che per tutta l’ora non avevo prestato il più pallido interesse alla lezione. Gabriel funzionava come un buco nero, che risucchiava al suo interno tutta la mia attenzione. Male… molto male.
 “Dovrai aiutarmi a svolgerli, petite” sussurrò lui, sporgendosi per mostrarmi un ghigno sfacciato che rese la forma delle sue labbra ancora più invitante. Ormai, ero praticamente un tutt’uno con la parete.
“Ah, io-io… non ho mai studiato il francese”. Di certo non era quello che si aspettava che dicessi, poiché lo vidi corrucciare la fronte come se avessi fatto qualcosa di molto strano.
“Che significa ‘petite’?” chiesi. La mia pronuncia fu pessima e forse fu questo a farlo sorridere.
“E’ un vezzeggiativo petite, significa piccola”.
“Ah”.
Dovevo sentirmi lusingata? Forse trovava un nomignolo a tutte le ragazze che incontrava.
Alla fine decisi che no, non dovevo sentirmi lusingata, poiché a dispetto dei suoi modi galanti Gabriel mi faceva ancora molta paura. E il pensiero che avrei dovuto incontrarlo in privato per aiutarlo a ‘mettersi in pari con la classe’ mi portava troppo vicina ad una crisi di nervi.
“Questo pomeriggio sono impegnata, perciò dovremo rimandare”.
Alla prossima settimana, al prossimo mese, a mai più, magari…
Pas de problèmes, petite. Possiamo incontrarci questo fine settimana, che dici?” propose con tono vellutato, qualcosa che mi ricordò ancora una volta Edward. La sua voce viaggiava sempre su quella tonalità e non era di certo costruita come quella di Gabriel.
“Io…” Menti! Menti! Incitava la voce della mia coscienza. “Io non lo so. Ti faccio sapere, ok?”
Ammiccai con convinzione mentre mi alzavo per raccogliere in fretta libri e quaderni. Gabriel mi fissava, ancora seduto al suo posto. Passai tra il banco e la sua schiena con molta attenzione, trattenendo il fiato per cercare di rendermi piccola e non sfiorarlo. Quando pensai di avercela fatta, andai a sbattere contro una roccia fredda, spuntata al centro della classe con apparente disinvoltura.
No, non era una roccia fredda, constatai. Era il fratello di Gabriel, che mi fissava dalla sua altezza mostruosa come se fossi stata un’insignificante zanzara. E io, dalla mia bassa visuale, mi sentivo proprio come lui mi vedeva.
“La piccola senza lingua” disse, come se mi avesse riconosciuta solo in quell’istante. Sgranai gli occhi di fronte al suo sorriso largo, che lasciava scoperta una lunga fila di denti luccicanti.
“Dovrei passare” risposi con calma e assoluta cordialità.
Il ragazzo Armadio non si scompose e spostò la sua imponente massa verso destra, per lasciarmi lo spazio necessario. Fui costretta a strusciarmi su di lui, ma in pochi secondi ero fuori dall’aula. Sentii risate arroganti alle spalle, prima di andare a sbattere contro un’altra roccia, più piccola ma ugualmente fredda.
“Accidenti!”
Rischiai di scontrarmi anche con il pavimento questa volta, tuttavia il sedere mi fu salvato da due mani gelide serrate sui miei avambracci. Stavo per ringraziare. No, decisi, non appena vidi il mio salvatore.
“Lasciami” e Edward ubbidì. Aveva lo sguardo torvo e tutta l’impressione di essere sul punto di esplodere in un vulcano ardente di rabbia. Mi fissava con severa autorità, i lineamenti del viso impietriti da sentimenti contrastanti. Poi guardò oltre le miei spalle, dentro l’aula, e la sua espressione peggiorò.
Sentii discorsi francesi avvicinarsi sempre più alle miei spalle. Non volevo girarmi, altrimenti avrei iniziato a correre. Così Gabriel e il fratello mi raggiunsero, gli occhi fissi su Edward. Non potei impedire ai miei polmoni di bloccarsi, mentre l’affascinante francese si chinava quel tanto che bastava per sussurrarmi all’orecchio.
“Ci vediamo a casa tua, petite” disse, con una morbidezza che rese le sue parole fin troppo intime.
Dal torace di Edward scaturì un ringhio spaventoso che mi sorprese. Era qualcosa di animalesco che subito associai al verso che i lupi fanno per difendere il proprio territorio. Un brontolio di aperta minaccia che mi rizzò tutti i peli della nuca. Tuttavia, quello non sembrò sortire l’effetto desiderato, poiché Gabriel rise ancora e più forte, per poi sparire lungo il corridoio insieme al ragazzo Armadio.
Io mi rilassai, una palla di nervosismo nello stomaco.
“Sei ancora in tempo per la prossima lezione” esordì Edward con voce austera. Quella freddezza mi face venir voglia di avvolgermi in una pesante coperta di lana.
“In questo momento non credo di riuscire a seguire qualcosa”.
Troppo sincera. Troppo vulnerabile. Dovevo arretrare anch’io come lui stava evidentemente facendo? Avrei dovuto impegnarmi molto, ma dopo la compagnia dei Doubois, la presenza di Edward era un lenitivo talmente apprezzato da non riuscire proprio a rifiutarlo.
“Ti hanno spaventata” constatò lui. Di colpo la sua voce si era sciolta, assumendo la consistenza del miele caldo mentre il viso tornava splendente di dolcezza. Era l’Edward di quattro anni fa, quello che aveva catturato il mio cuore, quello che me l’aveva trafitto.
“Ci riescono bene e… bè, sembra piacergli” dissi. Non riuscivo a sostenere il suo sguardo. Sentivo che provarci avrebbe reso la conversazione difficile.
“E’ l’unico scopo di queste creature. Terrorizzare è il loro più grande divertimento”.
“Creature?”
Perché non persone? Perché usare il termine ‘creature’?
Guardandolo, vidi l’impassibile Edward prendere ribalta. Si era tradito. E ora si ritirava tra le sue spesse mura, perché era l’unica scelta che gli rimaneva.
“E’ gente pericolosa Bella. Non dare loro l’opportunità di farti del male” disse.
“Perché dovrebbero Edward? Dai l’impressione di saperne il motivo! Perché non me lo dici?”
“Perché ti spaventerebbe”.
Era serio, non stava mentendo. Ripensai alla mia impressione sui Doubois: il sospetto che non fossero umani rimaneva ancora assurdo, tuttavia…
“Sono grande ormai”.
“Lo so”.
Colsi in quelle parole un soffio di rassegnazione, un sentimento che mi confuse per via della tenerezza al quale era mescolato. Un mix singolare.
Rimasi ferma, incerta su quello che sarebbe stato giusto fare. Andare via, lasciarlo per rifugiarmi nella mia prossima lezione. Avrei subito un rimprovero per il ritardo, ma era un prezzo equo da pagare. Ero confusa, ma nel frattempo Edward sembrò arrivare prima di me ad una decisione: si fece avanti, cauto, la mano protesa. Allora sentii il mio corpo diventare pietra. E, quando accarezzò con una carezza lieve la mia guancia, la pelle pietrificata rabbrividì. Nonostante tutto, riusciva a farmi sentire viva. No, non potevo lasciare che quel momento si prolungasse, avevo un cuore da proteggere; così indietreggiai. Fu difficile, quasi una violenza su me stessa e quello che il mio cuore bramava.
Nella sofferenza osservai la tenerezza di Edward appassire con un fiore vecchio, per far sbocciare al suo posto un ghigno perfido. Eccolo, il nuovo Edward, quello temibile e crudele.
Mi si avvicinò con un movimento fulmineo che non riuscii a cogliere. Un passo indietro e mi ritrovai intrappolata tra lui e gli armadietti.  
“Sei un’incredibile sfacciata” esordì roco, il viso pochi centimetri dal mio e le braccia stese come sbarre d’acciaio ai miei lati.
Tenni duro. Non mi terrorizzava come Gabriel e suo fratello; dopo aver assaporato il panico della preda, quell’atteggiamento era per me solo una finta minaccia.
“Tu invece sei quello timido e modesto”.
“Non sai di cosa sono capace, bada a come parli”.
“Altrimenti?”
Feci quello che non si aspettava: accartocciai le distanze, tanto da poter percepire il suo fiato sul mio viso. Era squisito. Sapeva di muschio bianco, con qualche sentore di felce e un pizzico di dannazione.  
“Mi ringhierai addosso come hai fatto con i Doubois?” lo provocai, ma contemporaneamente feci un passo falso: la maschera si sciolse quando lo sguardo mi cadde sulle sue labbra, tanto vicine da non poterle ignorare.
Venni riempita da un calore che il mio corpo aveva quasi dimenticato, e così fui colta alla sprovvista dall’ondata di desiderio che si riversò su di me. Nel mio ventre si contrasse qualcosa. Edward sembrò accorgersene con arrogante soddisfazione perché ghignò spudorato, come se in qualche modo avesse fiutato la lussuria della mia carne. Allora sfoderò il suo attacco. Ringhiò e questa volta fu davvero impressionante! Sussultai spaventata e fu così che, pressata con fin troppa intimità dalla sua durezza, mi ritenni sconfitta.
“Sembra che ti piaccia sentirmi ringhiare” mi sussurrò all’orecchio, il naso quasi premuto sul mio collo.
“Mi piace di più quando mi stai lontano”.
“Non è quello che dice il tuo corpo” brontolò, strusciando il viso sulla pelle sensibile.
Il respiro accelerò senza che io potessi evitarlo, questa volta preda della passione.
Era vero, la semplice e pura verità: ero eccitata, nonostante il mio cervello stesse mandando segnali d’allarme, gridandomi di spingerlo via, di cacciarlo. Ma come potevo? Come? Le gambe mi tremavano e le braccia erano come appendici gommose. Frustrata, dissi a denti stretti:
“Ti stai divertendo?”
“Non sono io a volerlo, è il tuo sangue che mi chiama” rispose. Si stava forse giustificando?
“Cosa vorresti dire?”
Cielo, come era snervante essere coerenti! Come era difficile rimanere sulla difensiva, quando l’unico mio desiderio era quello di abbandonarmi tra le sue braccia! Era come combattere contro il vento, contro una forza della natura pari a quella che spinge le onde del mare contro la scogliera sabbiosa.
Aspettai una risposta, ma lui scosse la testa. Aveva affondato il viso nei miei capelli, come un bambino spaventato che cerca rifugio.
“Allontanati Edward” esortai pacata. Strappai quelle parole dalla mente con uno sforzo immane.
Passarono pochi istanti, infiniti, eterni istanti di aspettativa che diedero alla fine il loro frutto.
Si mosse.
Lasciò il calore avvolgente del mio corpo con esitazione, come tentato di ribellarsi alla mia richiesta. E io, straziata dall’abbandono, sperai che la coerenza fosse tanto misericordiosa da ricompensarmi.
Certo…
Un piccolo prezzo da pagare, per chi è coraggioso e non cede… per chi non ha paura di rinunciare.

Fissavo un cartellone dell’aula di biologia. Sopra vi era un disegno molto vivido, colori sgargianti illustravano la complessità di cellule appartenenti al nostro organismo.
Meno di dieci minuti e la campanella avrebbe emesso l’ultimo trillo della giornata, i corridoi si sarebbero riempiti di ragazzi mentre i professori avrebbero atteso qualche minuto prima di precipitarsi alle auto.
Sospirai. Qualcosa mi diceva che avrei dovuto sentirmi sollevata, ma in realtà non lo ero affatto.
Sentivo ancora su di me il respiro dolce di Edward e la discussione tra noi si amplificava in buchi neri, incertezze da parte mia, che generavano domande su domande.
E infine, come se le mie pulsioni carnali non fossero abbastanza, le parole con le quali ci eravamo lasciati, mi tormentavano.
…“Sarai una tentazione troppo grande in questi giorni. Dovrai stare attenta”.
Non riuscivo a comprendere cosa volesse dire: si poteva essere ‘tentazione’ solo in determinati giorni? Ma avevo supposto spontaneamente che stesse parlando di pulsioni sessuali… forse sbagliavo. Forse non stavamo pensando allo stesso genere di tentazione, più probabile che non la concepissimo nello stesso modo.  
… “Questo vuol dire che mi salterai addosso anche domani?”
Mi ero sforzata di essere ironica e tagliente; ci ero riuscita molto bene: i suoi occhi si erano induriti e in qualche modo sembravano essersi fatti più scuri sotto il mio sguardo.
… “Io ho la facoltà di controllarmi. Loro no” aveva risposto rabbioso.
Loro chi? Avrei voluto chiedere. Ma a quel punto Edward si era voltato e, dandomi le spalle, era andato via. Ero sicura che tutte quelle omissioni da parte sua fossero intenzionali.
Era chiaro: voleva farmi impazzire!
“…che stronzo”.
La mia buona stella permise che l’offensivo borbottio venisse coperto dal suono della campanella.
Tutto sommato, non me ne sarebbe importato se qualcuno mi avesse sentita. Ero abbastanza infuriata da fregarmene. Afferrai lo zaino e mi immersi nel fiume di corpi studenteschi, lasciandomi trascinare dalla corrente verso l’uscita.
Il pomeriggio era scuro, il cielo sembrava raggiungibile tanto era sommerso di nubi.
Feci un accenno di saluto ad Angela e Jessica, poco lontane da me, e mi diressi quasi correndo al mio sgangherato mezzo. Sentivo di aver esaurito la mia riserva di buonumore e non mi andava di fare l’asociale in pubblico.
Montai sul pick-up mentre sfilavo le chiavi dalla tasca sinistra dei miei jeans. Con un gesto automatico le inserii nel quadro, ingranai la marcia e spinsi sull’acceleratore. Il motore emise una serie di ruggiti metallici più affaticati del solito prima di singhiozzare, tossire e spegnersi in uno sbuffo. Corrucciata, riprovai, ottenendo lo stesso risultato.
“Oh no! No!” mi lamentai.
Diedi un colpo al volante e il dolore mi fece quasi imprecare.
“Stupido catorcio!”
Insultare e inveire non avrebbe affatto risuscitato il motore del mio vecchio pick-up, ma in quel momento mi rese più soddisfatta e meno infuriata.
“E ora?”
Alice era già andata via. Mi aveva lasciata qualche ora prima, spiegandomi che i genitori avevano fretta di partire e che aveva ancora una montagna di valige da riempire. Le avevo risposto che era esagerata perché doveva star via solo tre giorno, ma lei aveva ribadito che sottovalutavo il potere di un guardaroba ben fornito. Sospirai per la decima volta in quella giornata – se qualcuno aveva mai fissato un record di sospiri, io l’avevo appena superato.
Scendendo dalla macchina, sbattei forte lo sportello per la frustrazione. Stavo riflettendo sulla possibilità di tornare dalle ragazze per farmi dare un passaggio, quando vidi Mike dirigersi tutto sorridente nella mia direzione. Sembrava che stesse aspettando un’occasione simile da anni.
Non potei impedire alla mia bocca di storcersi in una smorfia irriverente: non mi entusiasmava stare sola con Mike però… che scelta avevo?
Abbozzai un sorriso solo per lui, ma un stridio di freni su asfalto mi distrasse.
La macchina che il giorno prima mi aveva quasi investita era ora sotto il mio naso. Rossa e lucida, pareva splendere nonostante la mancanza del sole. La fissai confusa. Dovevo ignorarla?
Mi era proprio di fronte! Come potevo riuscirci?
Poi il finestrino scuro del guidatore si abbassò con uno ‘zzz’ soffice, rivelando dietro di questo il viso perfetto e ghignante di Gabriel.
“Ti serve un passaggio, petite?” chiese, con la sua voce più seducente.
Ci sono momenti, nella vita di ogni individuo, in cui le regole diventano soffocanti. E una delle mie più recenti, era proprio quella che mi proibiva di accettare un qualsiasi invito da parte di Gabriel. In cima a quella mia lunga lista di limitazioni c’era, ‘Non permettere che nessun’altro ti ferisca’. Era la prima perché la consideravo la più importante. In quell’istante, tuttavia, ebbi la sensazione di aver vissuto un’eternità incartata nel cellofan. Era un’orribile sensazione, che trovò il suo carburante quando pensai alla discussione avuta con Edward…
… “Dubiti che possa badare a me stessa?”…“Dubito che tu possa riuscirci senza fallire miseramente”…
E, come se fosse stato invocato dai miei pensieri, eccolo sbucare dall’ingresso. Mi fissava con sguardo ammonitore, come se fosse sul punto di raggiungermi per impedirmi di commettere un’idiozia. Non avendone il diritto, tutto sommato.
Fu a quel punto che presi la mia tremenda decisione e dissi:
“Si, grazie Gabriel”.
 

Nota dell'autrice: Ke giornata meravigliosa! E io che faccio? Sto al computer a scrivere o a studiare!! ahhww *sospiro* =.="
Vabbè, volevo dare un piccolo credito al nuovo personaggio, Gabriel. Bene, per chi ha letto Anita Blake, avrà sicuramente notato una certa somiglianza con Jean-Claude! Infatti Gabriel è un omaggio a questo splendido vampiro che mi ha fatta innamorare e alla Hamilton, ovviamente, la mente geniale che l'ha creato! ^.^
Ora passiamo ad altro...
Per SweetCherry_Non immagini quanto i nuovi vampiri smuoveranno il nostro Eddino!! hihi XD Per quanto riguarda il gelo che abbracciava Bella... mm U_U Voglio che ogniuna si faccia un'idea a riguardo. Può essere stato Edward, oppure Gabriel, o semplicemente l'immaginazione di Bella!! Chi può saperlo?? O.o Io???' Noooo!! Io non so nulla, giuro!! =D
Per Glance_ Ancora grazie per i complimenti, ma davvero penso di non fare abbastanza. Sto cercando di tenere alto il livello di curiosità, come scrivi tu, tuttavia sembra non essere sufficiente... vabbè, grazie comunque ^.^

Un saluto a tutti, anche ai semplici lettori! =^.^=

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Nota dell'autrice:  Bene bene, ^.^ Sono felicissima perchè siamo arrivati per la prima volta a 4 commenti!! ^.^ Voglio dunque ringraziare i gentili lettori, in particolare Pikkolina, alla quale ho deciso di dedicare questo cap! Perchè?? La tua recensione mi ha colpito molto Pikkolina, grazie davvero ^.^ Le tue parole mi hanno resa fiera di me stessa! Ed è la prima volta, da quando ho iniziato a postare questa ff =D
Un grazie anche ai 30 seguiti e ai 31 preferiti che mi hanno scelto ^.^ Thanks!!!




(Lesson n.7): I nemici a volte possono essere tremendamente simpatici
Non ero mai stata esperta di macchine, ma riconoscevo una Ferrari quando ne vedevo una.
Ebbene, io ero proprio seduta sul morbido sedile di una delle macchine, le più costose del mondo.
Questo mi metteva in soggezione? Si, mi metteva in soggezione. Però, tutta quella tensione poteva dipendere anche dal fatto di essere in macchina con un completo sconosciuto, che mi aveva terrorizzata insieme al fratello non più di due ore prima.
Avevo appena fatto la scelta più stupida della mia vita e, mi resi conto, dovevo essere più che semplicemente ‘tesa’! Riflettendo mi dissi che, tutto sommato, non avevo mai preteso di essere una persona coerente.
“Rilassati petite” sussurrò soave Gabriel. Aveva un enorme ghigno compiaciuto in viso, mentre padroneggiava il volante in pelle con una sola mano. L’altra era posata sul cambio - troppo vicina alla mia gamba - e pareva quasi accarezzarlo con dolcezza.
“Non mordo, sai?! Almeno, non quando sono sazio” disse, scoppiando in una risata armoniosa.
Per un attimo fui tentata di chiedergli se quello fosse un modo di dire, ma venni dissuasa dal pensiero che non ero assolutamente capace di affrontare una risposta negativa.
Così mi buttai sul vago. Non potevo fare la disinvolta, però potevo argomentare di cose futili per quindici minuti! Saremmo arrivati anche prima se avesse continuato a quella velocità. Il tachimetro segnava ‘200’ e io ero vicina a diventare un tutt’uno con il sedile.
“I tuoi fratelli non si arrabbieranno sapendo che gli hai lasciati per accompagnarmi?”
Lui proruppe in un’altra risata. Ignoravo quanto potevo essere divertente ai suoi occhi. Molto, a quanto sembrava.
“Hai ragione, petite. Si arrabbieranno molto, ma non perché ti ho accompagnata”.
“Non gli sono simpatica, vero?”
“No, petite, al contrario. Sei una stranezza interessante, estremamente interessante”.
Accompagnò le parole con un’occhiata, uno studio approfondito del mio corpo che mi fece agitare sul posto. Pensai che sarei anche arrossita, se al suo posto ci fosse stato Edward.
“A cosa stai pensando?”
“Come faranno i tuoi fratelli? Forse dovresti tornare indietro e lasciarmi al parcheggio. Troverò certamente qualcuno che mi possa accompagnare!”
Mi stavo defilando, era ovvio.
“I miei fratelli torneranno a casa anche senza macchina. Ora, rispondi alla mia domanda”.
Cosa voleva sapere? Che stavo pensando al mio ex professore di biologia in termini amorosi? Che, in definitiva, avevo accettato di farmi scarrozzare da lui solo per fargli un dispetto? Che ero un’idiota per aver pensato che gliene importasse?
“A nulla” dichiarai sconsolata.
“Stai mentendo petite”.
“Cosa te lo fa credere?” domandai, per metà indignata.
“Un talento naturale suppongo” rispose “Riesco a fiutare le menzogne” concluse, voltandosi per rivolgermi un delizioso sorriso. Se non avessi avuto il cuore già impegnato, quel sorriso mi avrebbe senza alcun dubbio fatta innamorare. E avrei sospirato di fronte a tanta sensualità.
“Allora… mi dispiace, ma non credo di volertelo dire”.
“Riguarda un uomo, petite?”
Rimasi in silenzio; osservavo il paesaggio che scorreva veloce fuori dal finestrino.
La tensione si era improvvisamente sciolta e il mio corpo era ormai del tutto rilassato, privo della durezza che l’avevo irrigidito non più di qualche minuto prima. Mi accorsi di trovarmi a mio agio e che dovevo essere in qualche modo allarmata da questo.
“Come fai?” chiesi ad un tratto.
Gabriel sembrò confuso. Sul suo bel viso, quello risultava uno strano sentimento, quasi fuori posto.
“Cosa, petite?”
“A essere così, così… così!” gesticolai con poca eleganza, indicandolo in un gesto ovvio.
Non sapevo descrivere quello che stava accadendo. Eravamo intenti a parlare come due amici intimi e questo creava dentro di me uno strano senso di alienazione. Tutto quello era sbagliato! Perché non avevo più paura di lui?
Ma Gabriel continuava ad essere confuso, così io continuai a blaterare.
“Insomma, prima ti presenti in classe con quell’aria minacciosa e poi, poi tutta quell’arroganza! E tuo fratello! Cielo! Mi avevi atterrita e ora… ora, siamo qui a conversare come se ci conoscessimo da una vita?”
“Se questo ti provoca disagio, potrei anche tornare minaccioso ma cerise” mi assicurò, pacato ma serio.
Guardandolo, mi accorsi che avrebbe potuto farlo. Avrebbe potuto rendere quei quindici minuti i più terribili della mia vita e io non avrei mai più fatto l’errore di cadere volutamente in una trappola tanto pericolosa. Si, Gabriel sapeva essere spaventoso, se voleva.
“No, mi va bene così, ti ringrazio” dissi con poca ironia. Non avrei mai osato scherzare su quello che avrebbe potuto terrorizzarmi.
Mi lasciai alcuni minuti per studiarlo, mettendo da parte ogni imbarazzo: la pelle era lattea e priva di imperfezioni, le labbra piene, le sopracciglia nere e folte. I capelli gli cadevano sulle spalle in delicate onde dai riflessi blu notte, la camicia leggera e rigorosamente bianca era sbottonata come se non soffrisse alcun freddo nonostante le basse temperature. Costatai che in quel frangente sembrava quasi umano – benché non fossi ancora sicura delle mie assurde supposizioni, c’era ancora una parte di me che non riusciva a confonderlo tra la gente che io ritenevo ‘comune’ – ma la bellezza surreale era la prova che lo smascherava. Involontariamente il mio cervello ricostruì un’altra bellezza, ancora più surreale di quella di Gabriel, per quanto assurdo. Il viso di Edward mi guardava dai miei ricordi, con quel suo tipico sorriso, aveva tutta l’aria di un Dio…
“Non è possibile” mi lasciai sfuggire.
Gabriel puntò i suoi occhi neri su di me. Nelle iridi c’era solo un debole accenno del blu di quella mattina.
“Hai scoperto qualcosa di interessante, petite?”
Ero incapace di rispondergli, però non si trattava di un impedimento fisico. Era la mente quella in difficoltà! Non riusciva a trovare parole adatte, parole non-compromettenti. Sentivo di essere giunta ad una soluzione pericolosa, come una verità occulta impossibile da svelare. L’unica soluzione era mentire. Peccato che Gabriel fiutasse tanto bene le menzogne, perché questo mi costringeva a rimanere in silenzio e a negargli una qualsiasi risposta.
“Sei impallidita. C’è qualcosa che ti turba?” chiese, proponendomi un altro quesito.
A questo potevo rispondere.
“Non lo so, sinceramente”. Potevo dirgli di non credere che lui fosse umano? Che iniziavo a sospettare persino del mio ex professore di biologia e tutta la sua famiglia? Mi avrebbe presa per pazza. Sarei finita in una di quelle cliniche psichiatriche dove ti rinchiudono per la sicurezza altrui, e con me avrebbero buttato la chiave.
Lui non aprì bocca e tornò a fissare la strada.
Disinvolto, a suo agio.
Innaturale.
“Posso farti una domanda, Gabriel?”
Lo vidi sorridere e quando annuì presi aria prima di continuare.
“Perché ti sei proposto di accompagnarmi?”
Non era quello che volevo chiedergli. I pensieri avevano deviato un secondo prima, lasciando uscire parole che sostituirono con facilità quelle che ero inizialmente intenzionata a cacciare.
Codarda? Senza dubbio.
Per qualche secondo si udì solo il debole rumore del motore, che dava l’impressione che stesse facendo le fusa alla strada. Poi Gabriel sospirò. Un gesto troppo umano, mi ritrovai a pensare.
“Hai un odore squisito Isabella” sussurrò tranquillo “Forse invidio un po’ l’uomo che è riuscito a conquistare il tuo cuore”.
Quella, era esattamente il genere di risposta che non mi sarei mai aspettata.
Rimasi impassibile mentre mi chiedevo cosa si aspettasse che io dicessi, essendo del tutto consapevole di non poter concedere nulla in quel momento.
La macchina viaggiava. Le fusa del motore continuarono a corteggiare la strada.
Ancora pochi minuti e saremmo arrivati. Ne fui sollevata.
Volevo tornare a casa…
Desideravo la coerenza, desideravo la prevedibilità…

Fissavo la lucida Ferrari allontanarsi, seguita da un polverone, veloce, velocissima sull’asfalto nero.
Rimasi a fissare quel gioiello della meccanica svanire in uno sfolgorio di luci rosse e, nel frattempo, rivedevo il sorriso accattivante con il quale Gabriel mi aveva lasciata. Non era stato necessario un formale ‘ciao’ e neppure un altrettanto banale, ‘ci vediamo domani’. Le parole, per quella volta, mi erano sembrate superflue. Accogliendo il suo sorriso, l’avevo ricambiato con molta spontaneità, con
la sensazione che fosse nata un’intensa tra me e quella sconosciuta creatura.
E la cosa peggiore, è che non avevo idea se esserne terrorizzata o meno.
Sicuramente non era normale.
Mi voltai per rientrare. Charlie non sarebbe tornato presto quella sera, così sapevo che ad attendermi c’era la profonda solitudine di casa. Me ne crogiolavo tutti giorni, ma questa volta sentivo di volere qualcuno al mio fianco. Qualcuno che riempisse il silenzio e che mi impedisse di pensare.
Salii le scale con ben poco entusiasmo, quando uno strano prurito si piantò alla base della mia schiena. La sentivo pizzicare come se qualcuno la stesse fissando con insistenza.
Solo una persona era capace di farmi provare quella sgradevole percezione.
“Che diamine ci fai qui?”
Voltandomi, lo vidi. Mi era davanti, lontano solo pochi passi. Grazie ai tre scalini sui quali mi ero trascinata, potevo vantare una certa imponenza, ma era un pensiero che rimaneva assurdo per una che non riusciva a svitare il tappo di una bottiglietta d’acqua. Non sarei sembrata spaventosa neppure se mi fossi sforzata, con tutto l’impegno di questo universo. Edward invece, con il suo sguardo truce e la faccia di granito, ci riusciva benissimo.
“Dov’è la tua macchina?” chiesi sospettosa.
La sua Aston Martin non si vedeva da nessuna parte e, per quanto questo potesse essere un debole particolare, mi agitò fino a farmi tremare.
Edward pareva assente; mi fissava con occhi neri e rabbiosi, i capelli bronzei scompigliati che ricadevano in parte sulla fronte diafana, la camicia celeste spiegazzata e scomposta sulle sue spalle. Notai che i due bottoni slacciati di quella mattina erano diventati quattro. Il suo petto, glabro e ben definito, risucchiava tutta la mia attenzione. Fu estremamente difficile tornare a guardarlo in volto.
“Perché sei qui?”
Non aveva risposto alle altre domande, poteva risponde almeno a questa?
Era ancora troppo compromettente per lui?
 “Dannazione Edward, parla!” sbottai, sfibrata dalla tensione. Si era tutta concentrata all’interno del mio stomaco: sapevo già che quella sera non sarei riuscita cenare.
“Sentire quello che adesso vorrei dirti non ti piacerebbe affatto” disse, con la voce vellutata sommersa di ghiaccio.
“Ho imparato da tempo a scendere a compromessi con molte cose che non apprezzo, Edward”. pronunciai il suo nome come se fosse qualcosa di fastidioso sulla punta della mia lingua, ma anche lì, la finzione era una macabra maschera d’illusione.
Vidi la sua mascella contrarsi in uno spasmo di rabbia. Il tono della sua voce crebbe, traboccante d’ira. “Non stai facendo che rigettarmi addosso le tue accuse da quando sono tornato. Sono stanco di incassare Bella”.
Infastidita, gli diedi le spalle per arrivare alla porta. L’oscurità stava lentamente prendendo piede, i vicini sarebbero presto rincasati e non mi andava di continuare a gridare dove qualcuno avrebbe potuto sentirci.
“Ti sembra che ti stia accusando? Forse hai solo la coscienza sporca Edward”.
Entrai in casa con lui alle calcagna. Aveva intenzione di continuare a sbraitare per molto, me lo sentivo.
“La mia coscienza è quella che è. Tu la stai appesantendo fino all’esasperazione!”
“Vorrei prendermi questo merito, credimi, ma purtroppo non sono quel genere di persona”.
Lo sentii digrignare i denti mentre ero intenta a manovrare una tazza e una bottiglia d’acqua. Mi accorsi di aver iniziato a preparare un tè solo quando vidi il filtro tra le mie mani.
“Non è solo il tuo corpo ad essere cresciuto. La tua lingua ha preso due centimetri in più in questi anni” disse tra denti stretti.
Feci l’errore di guardarlo. Era così tanto tempo che non lo vedevo nella mia cucina! L’ultima volta che ci era stato, avevamo fantasticato ore intere sul futuro, dipingendo sogni dai colori vivaci sulle mura pallide della mia casa. Erano tempi passati, che rendevano quel momento amaro quanto la bile che mi risaliva in gola.
“Scommetto che questa cosa ti irrita! La Bella tutta sorrisi e balocchi ti faceva comodo, non è vero?”
Mi allungai per afferrare lo zucchero dalla dispensa, ma qualcosa andò storto. Il barattolo arancio con su ricamata la scritta ‘sugar’, scomparve sotto i miei occhi attoniti. Riposai i piedi sul pavimento, sentendo la frizione dei miei vestiti contro quelli di Edward.
Troppo vicino, riuscì a pensare, prima che il suo braccio mi circondasse i fianchi.
Fu con il fiato corto che lo sentii sussurrare al mio orecchio.
“Al contrario. Lo trovo maledettamente eccitante”.
Il tono ruvido non imbruttì la sua voce, anzi, la rese tanto squisita da darmi un crampo allo stomaco. Improvvisamente, ansimare non mi sembrava abbastanza.
Lo vidi posare il barattolo dello zucchero sul ripiano con la mano libera, sotto i miei occhi.
Mi sentii morire, paralizzata dal terrore.
“Come diavolo hai fatto?” chiesi, senza curarmi del tremito nella mia voce.
“Quello che mi spinse a lasciarti, anni fa, è lo stesso insormontabile divario che mi ostacola in questo preciso momento” rispose.
Lasciò il barattolo per portare le dita al mio collo: mi scostò i capelli di lato con una carezza leggera mentre il mio sguardo si perdeva nei dolci granelli, fini e candidi, trattenuti dal vetro colorato. Mi accostò le labbra all’orecchio, soffiandoci sopra il suo fiato freddo. Brividi mi incresparono la pelle. Serrai gli occhi, strinsi i pugni, lottai contro ciò che non potevo sconfiggere.
“Non puoi immaginare cosa vorrei farti. Ed è la stessa brama di allora, Bella. La stessa, identica, sofferenza” disse, l’agonia nelle sue parole. Mescolata a desiderio. Quel genere che nasce dalla passione, che brucia tutto sino a lasciare solo cenere.
Poi mi lasciò di nuovo.
Scomparve così come era apparso.
E io caddi in ginocchio, senza avere nulla a cui aggrapparmi.

“Tutto questo è strano” decretai con voce atona, mentre guardavo con aria assente la stanza di Gabriel. Perché mi trovavo lì? Ottima domanda, alla quale persino il mio cervello inorridiva a sentirne la risposta. Era colpa mia: tutto era iniziato da quella notte, che avevo deciso di passare insonne. Senza fare alcuno sforzo per addormentarmi, ero rimasta a fissare il soffitto finché le prime luce dell’alba non lo avevano rischiarato. In otto ore non ero riuscita a trovare una risposta razionale a quello che era accaduto nella mia cucina, e mi ero sentita molto frustata per questo. Avevo cercato disperatamente un mezzo mancante, un gesto che era sfuggito alla mia vista, magari per via della distrazione, ma nulla. Per conseguenza, mi era stato impossibile avvicinarmi al barattolo di zucchero quella mattina. L’avevo fissato dal basso: era rimasto immobile sullo scaffale più alto e aveva l’aria di essere innocuo. No, non lo era affatto. I miei occhi lo vedevano avvolto da un alone vaporoso di ricordi e sensazioni; avevo temuto di scottarmi con quell’alone, perciò mi ero tenuta a debita distanza. Mi ero detta che era assurdo, che dovevo mettere i piedi per terra e fare qualcosa per distrarmi; la montagna di panni da lavare mi sembrava un’ottima alternativa alla pazzia. Poi mi ero ricordata che era sabato, e che avevo una promessa alla quale fare onore. La professoressa Ascher si sarebbe indispettita sapendo che le avevo deliberatamente disobbedito!
Così avevo chiamato Gabriel, usando il numero che mi aveva lasciato prima di scendere dalla sua Ferrari. Mi aveva fatto promettere di usarlo, perché avevamo dei test da completare, aveva detto.
Io sono una persona di parola.
Già, non mi trovavo a casa sua per via delle risposte che desideravo.
No… la Ascher era un’insegnate molto severa!
“Sembri pensierosa petite” constatò la meravigliosa voce di Gabriel. Ora sapevo che tramite telefono era uguale, non perdeva nulla del suo fascino.
“Davvero?”
“Si, ti ho fatto una domanda, ma le tue orecchie non l’hanno ascoltata”.
“Ahm, scusami”.
Stavo reagendo bene: eravamo soli da circa tre quarti d’ora e ancora non ero arrossita, nonostante lui si sforzasse molto in quel senso, invadendo il mio spazio personale oppure facendo battute allusive. Avevo l’impressione che ci provasse gusto a mettermi a disagio.
“Allora, cosa mi hai chiesto?” domandai corrucciandomi. Si era spostato al centro della sua enorme stanza, arredata con gusto, ma troppo eccentrica per i miei standard. C’erano dipinti macabri dappertutto, statuette di donne nude in posizioni assurde, un letto a baldacchino e tende di velluto rosso. E lui ci stava bene lì in mezzo: sembrava un pezzo essenziale dell’arredamento.
“Perché tutto questo è strano per te, petite? Non sei mai entrata nelle stanze di un uomo?” mi chiese, allargando le braccia con eleganza e ghignando per rendere l’effetto più accattivante.
“No, non è questo” risposi sinceramente “Solo, non avrei mai immaginato che un giorno mi sarei trovata qui, tanto meno con te”. Se soltanto una fantasia di questo genere mi avesse sfiorato la mente due giorni prima, avrei detto di aver avuto un incubo. E non era solo per la mia istintiva paura che avrei dovuto desiderare di non trovarmi mai sola con lui, ma anche la promessa che avevo fatto ad Alice mi vincolava. Già… non ero poi così di parola, infondo.
“Trovarti qui implica conseguentemente la mia presenza. Ti assicuro che non saresti mai potuta entrare, se non per il mio volere” mi confidò. Misi le mani nelle tasche dei jeans mentre lui sprofondava nella pelle nera di un divano a due posti. Sfiorò lo spazio vuoto con un gesto galante come invito a sedermi. Esitai.
“I francesi sono tutti così?”
“Così come, ma cerise?” chiese, inclinando di poco la testa.
“Bè, sei fin troppo accomodante” dissi, come se fosse ovvio.
“Non conosco il significato di questa parola, excuses moi petite
“Lascia perdere”.
Mi guardai attorno, cercando di non soffermare lo sguardo su un dipinto alla mia destra: c’era raffigurata una donna nuda senza testa! Evitai una smorfia disgustata e guardai altrove. Il soffitto sembrava la parete più inoffensiva.
“Perché non ti accomodi?”
“C’è troppo silenzio. Dove sono i tuoi parenti?”
Ottimo. Ero riuscita ad eludere la domanda! Forse potevo evitare di sedermi per tutto il resto della mattinata, almeno fino a quando le mie gambe non avessero protestato. Nel lusso di quella stanza non c’era una sedia o una poltrona: solo confort che implicavano contatto fisico. Bene.
“Sono, com’è che dite voi? En tour?”
“In giro?”
Exactement”.
Rimasi interdetta per alcuni secondi, riflettendo sulla possibilità che stesse mentendo. Ricordavo vagamente le altre figure che occupavano quella casa: il biondino, il ragazzo Armadio, la ragazza e… bè, l’altro l’avevo solo intravisto, perciò poteva essere chiunque. In tutto erano cinque, compreso Gabriel. Mi chiesi quali attività potevano spingere quattro persone a lasciare sgombra una casa enorme come quella dei Doubois. Era una coincidenza che Gabriel fosse solo quel giorno?
Oppure era una manovra, un piano studiato per un qualche fine funesto? E più importante, stavo eccedendo nella mia paranoia? Forse.
“Non mi credi” sussurrò Gabriel con pacata semplicità, fissandomi con i suoi pozzi neri.
Sostenere il suo sguardo non era così difficile come credevo, ma era privo di minaccia, perciò con ogni probabilità mi stava rendendo le cose facili.
“Tu sembri l’unico Doubois disposto a starmi vicino. Questo mi sembra strano” ammisi.
“Strano è una parola che usi spesso” disse.
“Negli ultimi tempi è diventato l’aggettivo più appropriato alla mia vita, credo”.
Strano, assurdo, inverosimile, erano tutto quello che riuscivo a pensare da quando Edward era tornato nella mia vita. Aggettivi che inevitabilmente si mescolavano con il suo nome… e anche con quello di Gabriel. Doveva esserci una connessione…
“Ti prego Isabella, accomodati. Nella mia terra è da maleducati conversare con una donna quando si è seduti. Questo mi obbliga ad offrirti una sedia”.
“Qui non vedo sedie” constatai.
Gabriel non rispose, mi fece cenno di raggiungerlo, guardandomi ammiccante. Potevo rifiutare senza risultare offensiva o ridicola? Dopo aver esaminato le alternative, decisi di accontentarlo.
Così, una volta seduta, fui costretta a fingermi rilassata mentre lui allungava un braccio sullo schienale del piccolo divano. Il braccio mi sfiorava la nuca ed era tanto lungo da superare la mia spalla sinistra. Avrebbe potuto circondarmi tutta, bloccarmi con solo quell’arto.
“Puoi rilassarti petite, anche se capisco che dev’essere difficile” disse, sghignazzando divertito.
La pelle mi si increspò sulle braccia a sentirlo. Il suo era un divertimento sadico, di quelli che godono nel veder soffrire la gente. Era una propensione che di solito mi disgustava, ma in quel caso riuscivo solo a sentirmi terrorizzata. Di colpo ricordai cosa poteva diventare Gabriel, se solo avesse voluto.
“Non sarà comodo studiare qui, forse dovremmo trovare una postazione più adatta” mi ritrovai a dire. Stavo già trovando una via di fuga, senza neppure aver comandato il mio cervello di farlo.
“Tu sei davvero venuta qui per insegnarmi?”
“La fisica è una materia che non va sottovalutata” risposi.
“No petite, non è per la scuola che adesso sei seduta al mio fianco”.
Caddi nel silenzio assoluto, guardando il suo viso dai lineamenti perfetti con l’intenzione di trovare qualcosa di palesemente inumano: un naso in più, un occhio invece che due, una lingua serpentina, insomma, qualcosa che lo smascherasse. La bellezza divina non era una prova sufficiente. Cercavo di capire come facesse a cogliere la verità con tanta chiarezza. Poteva davvero solo trattarsi di semplice intuito?
“Avanti, poni le tue domande. Sono a tua disposizione, ma cerise”.
Sembrava sincero. Ma di domande ne avevo tante… da dove potevo iniziare?
“Come fai a sapere tutte queste cose?”
“Non so molto in realtà. So solamente che ieri hai trasgredito ad un ordine molto serio entrando nella mia macchina, che il tuo padrone ci ha seguiti fino a casa tua e che avete litigato dopo la mia partenza”.
Ero pietrificata, persino le mie palpebre erano incapaci di abbassarsi e gli occhi pungevano in dolorosa protesta. Poi lui avvicinò il suo viso al mio e io non feci nulla per riportare le distanze a quelle originali. Il suo odore mi arrivò alle narici: sapeva di  primavera dei boschi. Troppo dolce, pensai, paragonandolo a quello squisito di Edward.
Parlò con un tono basso, da cospirazione.
“Deve averti sconvolta petite, perché gli hai disubbidito ancora e adesso lui è qui fuori, ad accertarsi che la sua proprietà rimanga illesa” .
“Io… io non ho nessun padrone” farfugliai, in preda alla confusione.
“Non ho idea di come chiami l’uomo che ti protegge ma cerise, mi sono limitato a collegare una serie di supposizioni” bisbigliò.
“Sei folle ” mormorai, disperata. Non c’erano parole adeguate per descrivere l’assurdità di quella situazione. Mi sentivo affogare in un oceano di fatti insensati.
“Credi nella dannazione, petite?” mi chiese ad un tratto Gabriel. Registrai appena, nel mentale caos,  quanto fosse vicino alle mie labbra, e sentii il bisogno improvviso e prepotente di allontanarmi. Ebbi l’impressione che l’aria fosse insufficiente; la spiacevole sensazione venne registrata dal mio cervello che, con automatico sincrono, accelerò il respiro. Tutto divenne veloce. Scattai in piedi, attanagliata dall’ansia, mentre uno schianto inaspettato faceva tremare il lucido parquet. Sotto i miei occhi sconvolti, la porta della stanza, bianca e di solido legno, volò via, strappata dai cardini da uno strattone… nessuno essere umano era capace di una cosa simile!
“Charlotte! NO!” gridò la voce carezzevole di Gabriel. Subito dopo, un montagna si abbatté su di me. I miei riflessi furono troppo lenti, così non riuscii a spostarmi in tempo, però le braccia si alzarono prontamente a riparare il viso. Ebbi pochi secondi per registrare una fitta lancinante alle costole, prima di venire sbalzata via con violenza. Caddi, e la schiena mi si spezzò dolorosamente contro qualcosa di duro e spigoloso.
“AAH!”
Ero stata io a gridare? Era accecata da un dolore che non mi permetteva di respirare e proprio per quello ero convinta di non poter emettere un suono tanto acuto.
Con uno sforzo che mi costò un rantolo patetico, aprii gli occhi e cercai di rialzarmi, gravando con tutto il mio peso sulla solida superficie che aveva frenato il mio volo. Era stata scaraventata sulla libreria! E alcune statuette erano andate in frantumi. Sperai di non doverle ripagare; ero convinta che quelli di Gabriel, erano gusti costosi, oltre che raccapriccianti. “Mien amore! Calme ta ferveur!” lo sentì pregare con tono supplichevole.
“AARRH!”
Pour Dien!
Non potevo esserne certa, ma quella che aveva cacciato tra i denti serrati mi sembrò un’imprecazione. Stava concentrando tutte le sue forze su una piccola donna infuriata. Si dimenava come un’ossessa tra le sue braccia serrate, agitava le gambe, muoveva la testa a scatti, a destra e a sinistra, sventolando una massa di capelli dorati. Ringhiava e gridava, gridava e ringhiava. A volte mescolava le due cose, ricavandone un effetto tanto minaccioso da rizzarmi tutti i peli sulla nuca. Nonostante lo sfoggio di rabbia, non potei fare almeno di notare quanto fosse bella.
Vidi Gabriel sussurrare nel suo orecchio in francese, parole che non compresi affatto, perché non mi ero mai interessata a quella lingua. Decisi che avrei presto dovuto iniziare un corso accelerato, se solo fossi sopravvissuta.   
Improvvisamente la donna parve chetarsi. Si afflosciò come uno stelo erboso, le urla cessarono e la tensione defluì tutta dal suo piccolo corpo. Portava qualche centimetro di vantaggio sulla mia misera altezza - adesso che stava ferma riuscivo a cogliere altri particolari  - ma comunque più bassa di Gabriel, e minuta… tanto minuta. I capelli lisci le cadevano sul viso come un telo privo di increspature. Erano talmente lucidi da dare impressione che emettessero una luminescenza naturale.
“Pazzesco” borbottai. Non sapevo cosa poteva sconvolgermi ancora, dopo quell’esperienza.
“Levami le mani di dosso!” sbottò minacciosa la donna, che ora capii, doveva trattarsi della sorella Doubois. La sua voce era carica di fascino e accento straniero. Forse non si sforzava come i fratelli di passare per americana…
“Solo se prometti di non uccidere la mia ospite, mien amore” ribatté affabile Gabriel, che la stringeva come se la stesse semplicemente abbracciando. In realtà, quello che vidi mi disorientò: era una stretta intima tra amanti quella, nulla a che vedere con legami di parentela!
E poi… l’aveva pregata di non uccidermi?
“Decidi in fretta, mio bocciolo di rosa. Il suo padrone sta arrivando per riprendersela”.
“Il suo padrone sa che stavi cercando di sedurla?” rispose con amarezza Charlotte. Era così che l’aveva chiamata prima che mi si scagliasse contro, no?!
“Ebbene?” spintonò, vedendo che Gabriel si attardava a ribattere.
Aveva alzato il viso per guardarlo, così ebbi la possibilità di osservare i suoi lineamenti. Senza la rabbia a trasfigurarli apparivano delicati e aristocratici. Charlotte aveva un delizioso naso all’insù e grandi occhi neri.
Ansimai per cercare di reprime le fitte lancinanti alla schiena.
“Ma di chi state parlando?” mi ritrovai a rantolare. Intromettermi per scatenare nuovamente la furia di quella ragazza era in assoluto l’ultima cosa che desideravo fare, ma continuavano a parlare del ‘mio padrone’ come se io dovessi in qualche modo conoscerlo!
Gabriel mi lanciò uno sguardo assorto, poi raddrizzo le spalle.
“E’ arrivato” dichiarò con voce incolore. Un tono laconico che mi fece pensare a quanto poco doveva essergli simpatico questo individuo. Un secondo dopo, spuntò Edward.
Scioccata, lo vidi aggrapparsi alla cornice della porta con furore tale da far scricchiolare le travi di legno. Inoltre,i suoi capelli e i suoi vestiti avevano l’aria di aver subito una corsa frenetica, ma non c’era traccia di stanchezza in lui. Neanche quella era una cosa normale, pensai.
“E tu da dove diavolo salti fuori?”


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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


(Lesson n.8): Le realtà irrazionale spesso può essere fin troppo logica
Edward mi scoccò un’occhiata veloce per poi ruggire come un felino affamato. Non avevo mai sentito una cosa simile in tutta la mia vita! Il verso che proruppe dai suoi pettorali era venti volte più profondo e terrificante di quello che aveva cacciato Charlotte pochi attimi prima. Mi appiattii alla libreria, mordendomi la lingua per non gemere di dolore; dovevo avere qualche costola rotta, perché respirare non era mai stato così difficile.
“Edward Cullen, credevo sapessi bussare” lo ribeccò Gabriel, con pungente ironia.
Purtroppo per lui, Edward era evidentemente poco incline alle parole quel giorno, così non ebbe il tempo di aggiungere altro che questo si acquattò al suolo in una posizione che mi ricordò tanto una tigri a caccia. E scattò. Ma non riuscì a raggiungere Gabriel, poiché una freccia pallida gli si aggrappò alle spalle per scaraventarlo a terra. Sentii il parquet sussultare e schegge di legno volarono tutt’attorno come pioggia. C’erano ringhi e ruggiti animaleschi nell’aria e, tornando a guardare, rimasi sconvolta dallo scenario che mi si presentò davanti: sopra la schiena di Edward premeva il corpulento ragazzo Armadio, l’altro fratello Doubois. Ero sul punto di gridare, di precipitarmi pazzamente verso quella montagna di muscoli, quando il professore di biologia dell’anonimo liceo di Fronks, ribaltò le sorti di quella bestiale lotta con una mossa rapida. L’osservai basita menare una ginocchiata nello stomaco del ragazzo Armadio, afferrarlo per la gola, alzarsi e gettarlo contro il muro opposto come se non pesasse nulla. Fu una manovra velocissima, tanto da durare pochi secondi.
Solo io avevo l’impressione che fosse passata un’eternità tra un respiro e l’altro?
Mi tremavano le ginocchia e lasciai scivolare giù il mio corpo stremato mentre il ragazzo Armadio rimaneva incastrato in una forma frastagliata nel solido muro. Non era morto, né svenuto, sembrava semplicemente intontito quando avrebbe dovuto come minimo gemere per qualche osso rotto.
“E adesso tocca a te” ronfò minaccioso Edward.
 Stentavo a riconoscerlo: era tutto ringhi e forza bruta. Ma quella impressionata ero io, constatai, guardando il viso arrogante di Gabriel e un’impassibile Charlotte dietro di lui.
“Suvvia, mettiamo da parte questi scontri puerili” disse, con un accento francese più marcato. Fissava Edward, attento a ogni sua mossa, le mani aperte alzate in segno di resa, in un blando tentativo di non degenerare quella precaria situazione. La ragazza tuttavia, non possedeva il suo stesso spirito diplomatico.
“Tu sei solo, Edward Cullen!” proruppe, la voce limpida e lo sguardo sicuro “I nostri fratelli saranno qui a momenti. Pensi di farcela contro tutti noi?”
“Fai la brava mien amore”.
“No! Ha violato il nostro territorio!” gridò alterata Charlotte.
“Così come io ho violato la sicurezza della sua protetta, mio raggio di luna. Quando tu l’hai ferita, lui si è preso il suo diritto di intervenire”.
La spiegazione di Gabriel non aveva falle, perciò la bellissima compagna strinse le labbra in una rigida linea di rabbia repressa, scoccandomi uno sguardo assassino. Mi rannicchiai ancora, con la speranza di farmi tanto piccola da passare inosservata. Tutti quegli eccezionali avvenimenti avevano colmato il mio spirito di tolleranza: volevo tornare a casa e dimenticare.
“Avvicinati di nuovo a lei, e vivrai il resto della tua eternità con due arti in meno” sentii dire da Edward, la voce salda e al tempo stesso suadente.
In un’altra occasione mi sarai lamentata, protestando contro la sfacciata libertà di considerami una sua proprietà. Ma, sconvolta e dolorante, decisi per il silenzio. Infondo, almeno a me stessa, potevo ammettere che quel comportamento così possessivo mi esaltava. Lo stomaco mi si scioglieva in un languore tutto piacevole nel sentirlo! Però questo, lui, non avrebbe mai dovuto saperlo.
“Dimentichi che è stata lei a richiedere la mia compagnia?”
“ Tieniti lontano, Gabriel. E tieni a bada anche la tua compagna: non vorrai che vada contro la mia galanteria per farle del male, vero?!”
Per alcuni secondi prevalse un assordante silenzio, ma la curiosità di vedere la faccia di Gabriel non fu tanto forte da spingermi a cacciare la testa fuori dalle mie ginocchia. Ero immobile nel mio angolo, un tutt’uno con la libreria e il parquet.
“Non voglio questo” rispose finalmente, per poi continuare “E se lei mi cercasse ancora?”
La domanda rimase sospesa sulla densa tensione della stanza, mentre sentivo scorrere su di me lo sguardo di Edward. Era come una carezza, un soffio di energia statica sulla mia pelle calda. Il ventre mi si chiuse in un crampo e io sussultai per la fitta soffocante alle costole.
 “Non succederà” disse Edward. Il tono autoritario mise in moto il mio cervello; intorpidito dal dolore, faticava a ragionare coerentemente. Ricordai le parole di Gabriel come se appartenessero ad un sogno sfocato. Parole che raccontavano di un padrone, di ordini e di dannazione…
Ebbi pochi attimi per sentirmi terrorizzata, prima di accasciarmi al suolo e sospirare nel buio d’incoscienza che mi colse.  

C’era sentore di fumo nell’aria quando i sensi tornarono. Fu la prima cosa che percepii.
Poi mi accorsi di altre cose: ero nel mio letto, avevo freddo, era notte, avevo fame e dovevo essere passata sotto un camion. La carne e le ossa del busto mi dolevano come se un mattarello mi avesse confusa con della pasta da lavorare.
“Accidenti” borbottai. Mi fu subito chiaro che muoversi era davvero un brutta idea, così mi abbandonai tra i cuscini con un rantolo disperato.
“In questi casi conviene rimanere fermi”.
Dopo aver spalancato gli occhi sul soffitto per una frazione di secondo, feci volare lo sguardo per tutta la stanza, cercando il proprietario di quella voce tanto squisita. Lo trovai subito: se ne stava seduto sul davanzale della mia finestra, una gamba dentro e una fuori a penzoloni, che fumava quella che mi parve - in tutto e per tutto - una sigaretta fortunata. Era imprigionata dalle labbra di Edward, in una blanda ma ferma stretta. Illuminato dalla luce fredda della luna, sembrava un angelo caduto sulla terra per torturare noi mortali.
“Rimanere ferma mi riesce difficile” adesso, avrei voluto aggiungere, ma lasciai che la frase suonasse generica.
“Allora dovrai impegnarti su questo per un mese intero” disse in tono di rimprovero, fissando il suo sguardo nel mio mentre cacciava una nuvola lattiginosa dalla bocca. Il fumo bluastro vorticò fuori dalla finestra, trasportato via dalla fredda aria notturna.
“Sono messa tanto male?”
Mi rispose con astio, un tono gelido di rimprovero: “Due costole rotte, una contusione alla base della schiena. Valuta tu quanto sei messa male”.
 Alzai un sopracciglio, quasi scettica. Ero convinta di aver riportato molte più fratture.
“E questa diagnosi è opera tua o di un dottore?”
Non ricordavo di essere passata sotto le mani di uno specialista, così come non avevo un’idea precisa sulla quantità di tempo che avevo trascorso nell’incoscienza. La mia mente si era fermata parecchio indietro.
Edward riportò la sigaretta alle labbra, tenendola con il pollice e il dito medio. Era un gesto carico di sensualità, che mi eccitò più di quanto avessi mai immaginato. Eppure, non ero mai stata una feticista dei fumatori e della loro puzzolente abitudine. Addosso a Edward invece, quel vizio malsano era distruttivo quanto il suo bell’aspetto.
Ispirò profondamente; il cilindro di carta bruciò, accorciandosi di qualche millimetro.
“Questa è un’altra domanda alla quale non puoi rispondere?” domandai, presa dall’agitazione.
Sotto l’intensità dei suoi occhi neri mi sentivo nuda.
“Avrei già risposto se non fossi sicuro che le miei parole ti sconvolgerebbero”.
“Forse mi sottovaluti”.
 Studiai con avidità il modo con il quale espirava la sua droga, tralasciando ogni prudenza. Le sue movenze sapevano di antico. Nessuno mai, neppure il fumatore più accanito, sarebbe riuscito a raggiungere il fascino che lui irradiava da quel semplice gesto.
“Ho due lauree in medicina” proruppe ad un tratto.
“L’ho conseguite molti anni fa, prima che tu nascessi”.
Silenzio, fuori e dentro la mia testa.
“Per le costole rotte non c’è ingessatura. Prendi una bustina di Paracetamolo ogni otto ore. E’ un antidolorifico”.
Non stavo impazzendo. Forse ero solo sotto stress… la scuola a volte era davvero pesante.
“Solo, vorrei che non lo prendessi per più di una settimana. Questi medicinali tendono ad intaccare il vostro stomaco”.
Oppure era tutto uno scherzo! Una presa in giro! Come in quelle trasmissioni in TV, presto qualcuno sarebbe saltato fuori per urlare che era ridicolamente caduta vittima di una bufala.
“Dovrai sopportare il dolore, mi dispiace”.
“Non mi stai mentendo, vero?” La mia voce mi suonava strana, come se provenisse da un pozzo profondo.
“Volevi la verità Bella” rispose “Questa è solo una parte. Una piccola e insignificante parte”  Aspirò un’ultima volta dalla sua sigaretta e gettò il filtro fuori dalla finestra con uno schiocco delle dita. Non mi guardava: il suo sguardo era perso nella notte, lontano e irraggiungibile. Cosa stava fissando?
“Vuoi dire che c’è di peggio?”
In verità preferivo non saperlo, ma c’era una sadica parte di me che voleva trovare un po’ di logica in tutto quel casino. Quando Edward mi rispose, il tono era scemato in un roco sussurro. “Molto più di quanto tu possa immaginare”.
Continuava a tenere i suoi occhi lontani dai miei e questo, ammisi, mi infastidiva.
Permisi al tempo di scorrere via mentre riflettevo su quello che Edward aveva detto, cercando di conciliare i fatti con le parole. Apparentemente, era qualcosa che andava oltre la mia comprensione.
Ignoravo quale fosse l’Essere capace di vivere tanto allungo, di sollevare uomini massicci senza sforzo o muoversi a velocità impressionanti. Mi aveva dimostrato queste doti eccezionali solo di recente… per quanto mi aveva mentito? Doveva essere capace di questo anche quattro anni prima. E Gabriel? Charlotte e tutta la famiglia Doubois erano come lui? Alice? I Cullen erano davvero così fuori dal comune? Ero confusa… e il dolore alla schiena irretiva la mia coscienza.   
“Cosa diamine siete?”
Era stata cieca per così tanto tempo! Mi chiesi quante cose sospette la mia mente avesse ignorato appositamente per non sconvolgermi, quante erano scivolate sotto il mio naso indisturbate? su quante ancora ero stata indulgente? Sentivo come se un sipario fosse stato scostato dai miei occhi: ora vedevo. Vedevo davvero.  
Edward volse lo sguardo, inchiodandomi con la tristezza che aleggiava nel buio delle sue pupille.
Era un sentimento anomalo per la sfumatura atavica della quale si arricchiva. Non era niente che un essere umano potesse esprimere.
“Esseri dannati. Nient’altro che morti viventi, Bella” rispose infine.

‘non morti’
“Invio”.
La ventola girava troppo veloce e il monitor ronzava di una luce quasi intermittente. Il mio computer non era uno dei più moderni, però vantava anni e anni di esperienza. Forse decenni.
Era una macchina solida e tuttavia efficiente.
“Avanti! Dannato coso! Sbrigati!”
Fui per un attimo tentata di incitarlo con un calcio ben assestato, ma cambiai idea quando mi resi conto che quello poteva essere il suo colpo di grazia. Meglio non indispettirlo.
La lentissima connessione mi permise di visualizzare i risultati della mia ricerca solo dopo molto minuti. Era una pagina zeppa di link dark quella che stavo fissando, con grossi titoli minacciosi in rilievo. Adocchiai parole come ‘vampiro’ e ‘succhia-sangue’ in un battito di ciglia, perdendo di colpo tutto il mio coraggio.
Così  la virtuale freccetta bianca volò sul quadratino rosso e chiuse la finestra, per poi perdersi in un desktop fatto di accesi colori primaverili.
In testa mi stavo chiamando codarda più e più volte, senza però trovare la forza per un ripensamento: era inutile tornare a cercare, quello che volevo sapere l’avevo trovato.
“Santo cielo…” sussurrai al soffitto della mia stanza.
No, non ero ancora pronta per quella verità. Ma immaginai che alcune volte, per certe situazioni, non si è mai completamente pronti.

La storia non era una materia che mi causava problemi, però da qualche settimana tutto sembrava andare nel verso sbagliato.
Mi trovavo in una biblioteca da quelle che dovevano essere ore, spese nel leggere e rileggere la prima frase di pagina 162 della mia copia malcurata di Storia Moderna. Non era un concetto complicato quello che l’autore di questo libro mi proponeva, tuttavia, le parole stentavano a rimanermi in testa. Scivolavano su di me come acqua su una superficie impermeabile.
A proteggermi dall’apprendere una delle materie più importanti del mio corso, era il pensiero costante che la mia vita si fosse improvvisamente trasformata in un gigantesco bluff. Come poteva interessarmi la crisi del 29’, se sospettavo che l’uomo del quale mi ero innamorata – in passato, mi dissi – altro non era che un vampiro? Che la sua famiglia, e quindi la mia più cara amica, lo fosse a sua volta? Che la scuola sembrava infestata da creature soprannaturali, delle quali non avrei mai sospettato l’esistenza solo qualche giorno prima? Ovvio, assolutamente non potevo.
“Rimuginare a muso duro non ti servirà a nulla” sussurrò la giovane voce di Alice al mio orecchio. Al ché, sobbalzai sulla sedia. Mi ero impegnata ad evitarla da quando era tornata, e non perché ne avessi paura – benché sapevo sarebbe stato saggio averne - ma perché non sapevo come comportarmi con lei.
Come si aspettava che reagissi? Avrei dovuto regolarmi in base alle sue aspettative, o avrei dovuto più semplicemente ignorare gli ultimi avvenimenti? Come se non fossero mai accaduti, come se non fossi mai stata scaraventata contro la libreria da una gracile ragazzina, come se non avessi mai visto suo fratello gettare un ammasso di muscoli contro il muro di casa Doubois, e sgretolarlo.
Ero riuscita a rimandare quel momento per quasi una settimana, anche se sospettavo che Alice mi avesse in un certo senso assecondata.  
“Puoi rilassarti. Non sei mai stata una così grande tentazione, per me” aggiunse quando, sedendosi sulla sedia al mio fianco, mi vidi irrigidire. Era la prima volta, mi accorsi, che ero a disagio in sua presenza.
“So a cosa stai pensando”.
“A si?”
Sperai che i vampiri moderni non avessero poteri speciali come leggere nella mente. Si sarebbe offesa, sapendo che la sua vicinanza mi agitava?
“Si. Tu stai escogitando un modo per fuggire da questa situazione, così come hai fatto per tutta la settimana”.
“Ti sbagli” bisbigliai alle scritte del mio libro di seconda mano. Non volevo guardarla negli occhi mentre le mentivo. Sapevo inoltre, che se avessi indugiato troppo allungo con lo sguardo su di lei, sarebbe subito diventata solamente Alice, senza aggiunte stravaganti o soprannaturali. Allora chiesi a me stessa: era una cosa negativa, cedere e lasciare che mi tornasse amica? Non aveva mai smesso di esserlo, mi risposi. Ma dovevo pur avere un briciolo di istinto alla sopravvivenza, no?!
“Hai frequentato la nostra famiglia per anni, Bella. Cos’è cambiato, ora che sai cosa ci differenza dal resto del mondo?”    
Dovevo sul serio prendere in considerazione che potesse sentire in qualche modo i miei pensieri, perché vedevo quella domanda come una risposta alle mie incertezze.
“Ora credo che il resto del mondo non sia poi così banale come pensavo. Sono certa che non siete unici” dissi, ripensando a Gabriel e al resto della sua ‘famiglia’.
“No, hai ragione” rispose, con un leggero sorriso in volto.
Inciampammo in un silenzio inusuale. Era la prima volta che vedevo le perfette labbra di Alice chiuse. Il mio sguardo viaggiò per alcuni istanti, studiando la biblioteca vuota e gli scaffali affollati di libri. La donna anziana che solitamente rimaneva seduta a leggere qualche rivista di cucina dietro il suo bancone, in quel momento si stava dedicando alla polvere dei ripiani più alti.
“Allora…” ricominciò Alice “pensi di riuscire ad accettare tutto questo?”
“Fin’ora non sono impazzita, se è questo che intendi”.
“Lo so, ma riesco a vedere quanto sei indecisa nel percorrere due strade”.
“E quali sarebbero?”
Osservai il suo volto pallido e delicato con circospezione, chiedendomi a cosa fosse dovuta l’espressione di profonda tristezza che ora lo devastava.
“La prima, ti porta da tua madre, lontano da qui e lontano da noi” disse, con voce struggente.
Non poteva trattarsi solo di intuito. Me ne convinsi proprio in quell’istante.
“Dovrei chiederti come fai a saperlo ma… non sono sicura di volerlo sapere” ammisi, molto sinceramente.
“Forse Edward avrebbe dovuto dirti tutto, senza tralasciare niente. Così sarebbe stato come uno strappo veloce. Invece ha reso questa cosa lenta e dolorosa”.
“Già. Oltre alla frase melodrammatica che mi ha rifilato, il caro Edward non ha dato altre spiegazioni” dissi, con tono risentito. Anche se, ripensandoci, non ero sicura che sarebbe stato un bene per me assimilare tante informazioni strane in una sola sera. Probabilmente aveva pensato che il mio cervello sarebbe esploso nel tentativo di accettare una verità tanto assurda. Perciò, a piccole dosi, forse…
“Ma è meglio così! Non ho chiuso occhio per tutta la settimane per cercare di ingoiare queste stronzate!” per non parlare delle costole, che mi obbligavano alla posizione supina ogni notte. Io odiavo dormire a pancia all’aria!
“Questo significa che sceglierai la seconda strada?” chiese speranzosa.
“Cosa vedi nella seconda strada?”
Mi rivolse un grosso sorriso, prima di rispondere.
“Tu che resti e che rimani mia amica”.
Lasciai che quest’idea si appropriasse di ogni anfratto della mia mente.
Amica di un vampiro…
Lo ero stata per anni, ma inconsapevolmente.
Cosa sarebbe cambiato?
“Bè, ora che ci penso… tutte le vostre stranezze, ora hanno un senso” borbottai, corrucciata.
E proprio mentre riflettevo sull’infinità di spiegazioni che avrei potuto ottenere, sentii due braccia fredde tuffarsi oltre le mie spalle e stringermi con affetto. Mi servirono pochi secondi per comprendere di aver preso la mia decisione e che, chissà come, Alice l’aveva capito prima di me. Incredibile… assurdo… irrazionale… come la sua natura, e come la mia vita.



Nota dell'autrice: Ben 6 recensioni!! ^.^ Caspiterina!!! Sono su di giri, davvero!!! =D Il record si aggiorna, decisamente! ^.^
Bene, visto che ho catturato la vostra attenzione, voglio rispondervi come si deve:
SweetCherrY_Mi dispiace averti fatto aspettare! Venerdì ho l'esame perciò sono una pila elettrica di nervosismo! Però leggere i tuoi complimenti mi da sollievo, credimi ^.^
Tede_Spero ti sia piaciuto il nuovo cap! Avvincente è il mio secondo nome, mentre Misterioso è il terzo ahahah XD
Eka_La parte della zuccheriera mi è venuta così di botto, che proprio non so come mi sia nata! Però piace anche a me ^.^ Per quanto riguarda 'cerise'... in francese significa 'ciliegia' ^.^ Gabriel è un tipo molto creativo, vero?! =)
Pikkolina_Ebbene si, ti ho dedicato il capitolo! Ma è il minimo che possa fare per una commentatrice accurata come te ^.^
Sono contenta che tu ti stia affezionando a Gabriel, perchè gode di tutto il mio affetto. E si, descrivere la confusione di Bella non è affatto facile, ma ce la metterò tutta per non deludervi ^.^ Concludere sul più bello è la cosa che mi riesce meglio, invece! ahahah XD
Ti ha davvero colpita così tanto la sensualità di Edward?!? Sai che più vai avanti, più sarà peggio, vero?! =D Amo questi momenti di seduzione, ed è per questo che cerco di infilarne quanti più è possibile nella storia! hihi ;-) Per concludere... tu adori il mio modo di scrivere, ma non quanto io inizio ad adorare te ^.^
Frufru123_La mie storie non si fanno mai notare subito infatti! ^.^ Ma sono strafelice di averti catturata!! =D
Glance_Non ti scusare per il ritardo, perchè mi fa sempre piacere leggere le tue recensioni. Sei abbastanza sensibile da cogliere tutti i pro e i contro, e persino il tuo modo di vedere le cose mi rende più chiaro quello che io stessa ho scritto. Mi dispiace non aver il tempo di commentare la tua storia... prometto che, quando avrò finito con gli esami, lascierò un lungo commento ^.^

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Nota dell'autrice: Salve a tutti, miei carissimi lettori!!!! ^.^ Vi informo che oggi mi sono definitivamente liberata degli esami!!!
YHUUUUPPPYYYY!!! ^.^ Sono stra-mega felicissima!!!!! E quando ho smesso di fare le capriole, ho subito pensato a voi =) Così mi sono messa e con impegno ho scritto questo cap ^.^ Solo e soltanto per voi, ma in particolare, per le squisite lettrici che mi hanno lasciato dei commenti fantastici nel cap precedente =D siete meravigliose =D vi ho amate davvero quando ho letto le vostre recensioni, soprattutto quella di Pikkolina ^.^ Oh Pikkolina, tu si che sai come arrivare al mio cuore, con questi commenti lunghi lunghi, mi stai decisamente comprando =S
Vi lascio ora al cap, ma prima voglio mostrarvi quello che, secondo me, rispecchia in tutto e per tutto il mio Edward....


... questo è quello che immagino quando scrivo di lui ^.^ Che ne dite???




(Lesson n.9): Quello che la vita ti dona, è sempre un’amarezza dopo una gioiosa dolcezza
Uscimmo dalla biblioteca, abbandonando così la signora anziana insieme alla possibilità di imparare qualcosa sulla Storia Moderna. Avrei ripreso a studiare quel pomeriggio, una volta chiarita la situazione con Alice. Era felice di aver ritrovato la mia amica.
“Ci sono talmente tanti avvenimenti che vorrei raccontarti, che non so davvero da dove iniziare!” disse.
“In una settimana sono accadute così tante cose?”
“Non mi riferivo alla settimana, ma alla mia intera vita!”
“Ah…”
A quel punto, vi venne spontanea una domanda…
“Alice, ma tu hai davvero diciotto anni?”
Era una sensazione bizzarra quella che provavo. Ora che sapevo di aver affianco un essere soprannaturale, persino la sua età non mi sembrò affatto una cosa scontata. Per quanto ne sapevo, Alice avrebbe benissimo potuto girare di notte nei panni di un pipistrello! Cielo… quello era un particolare della sua vita che mai avrei voluto sapere. C’è un limite a tutto, mi dissi.
Mentre rimuginavo, Alice era scoppiata nella più squillante delle sue risate.
“Ti stai chiedendo se sono più vecchia di Edward?”
“No. Edward è stato molto vago” risposi, increspando la fronte al ricordo delle sue parole.
Mi chiesi quanto tempo ci volesse per prendere una laurea in medicina. E quanti per due?
“Ti dico solo questo, Edward è decrepito in confronto a me!” disse, con un saltello e uno splendido sorriso. Annuii. Poi iniziai a riflettere: quanti anni un’amica vampira dovrebbe avere per essere nella norma? Potevo usare le parole ‘nella norma’ abbinate ad Alice? Stavo torturando il mio cervello con questi ed altri quesiti quando, ad un tratto, ci fermammo di fronte a una macchina. No, non era una macchina quella. Era troppo grossa e troppo ingombrante per esserlo!
“Santo cielo! Ma da dove sbuca questa?”
La bestia di metallo lucente ruggì, salda sulle sue quattro ruote, che dovevano pesare ciascuna due volte il mio modesto Pickup.  
“E’ la macchina di Emmett. La mia Porsche non è adatta alle strade dissestate” spiegò Alice, con una tenera smorfia dispiaciuta sulle labbra.
Strade dissestate?
Mentre la fissavo interrogativa, lo sportello anteriore del colossale mezzo sembrò aprirsi di sua volontà.
“Ciao Bella” salutò una voce, pregna di tranquilla pacatezza.
“Ciao Jasper” e io ricambiai con un cordiale sorriso. Vederlo era sempre un evento per me.
Quando c’ero io in casa Cullen, Jasper era sempre fuori città, oppure impegnato con qualche commissione. Ora riuscivo a vedere quanto poco plausibili fossero tutte quelle assenze. Cosa si nascondeva dietro il taciturno Jasper?
Allora osservai il ragazzo della mia amica con occhi diversi. Rimaneva sempre affascinante, con il suo viso dall’espressione vissuta e lo sguardo impenetrabile, però – in quel momento, sapendo ciò che era -  riuscii a cogliere una sfumatura diversa nell’aura che lo circondava.
Sembrava… pericoloso?
 “Salite in macchina ragazze. Abbiamo perso già troppo tempo” disse, senza tradire alcun segno d’impazienza.
Montai sul sedile posteriore con una certa difficoltà, e mi sforzai di non risultare patetica mentre mi aggrappavo alla carrozzeria per cercare di non perdere l’equilibrio. Quel coso era davvero troppo grosso!
Alice invece, fu cento volte più aggraziata del mio buffo arrancare. Scavalcò con un saltello aggraziato i dieci centimetri che separavano la macchina dall’asfalto, sedendo poi sul sedile a gambe incrociate. A quel punto, la mia autostima iniziò a strillare di dolore.
“Non ti agitare Jazz, andrà tutto bene ora che Bella ha scelto”.
“Sta succedendo qualcosa?”
Il loro discorso non mi piaceva. Usavano parole che preannunciavano guai.
“Ti ricordi quello che ti ho detto prima che io partissi, Bella?”
“Hai detto un sacco di cose quel giorno Alice”
Jasper guidava da pochi minuti ma, per via della velocità con la quale viaggiava, ci aveva già portati molto lontani dalla biblioteca. La meta mi era sconosciuta, perché non conoscevo quella strada.
“Riguardo i Doubois” precisò.
“Oh…”
“Un doppio ‘Oh’, Bella. Quello che hai combinato ha preoccupato tutti noi. Edward è letteralmente uscito di testa!”
Sapevo di aver trasgredito ad una promessa, ma non credevo che facendolo avrei causato tanti danni. Quello che Alice mi stava dicendo, lo capivo solo in parte… perché ‘tutti’? e perché doveva essere così importante? Altre domande. La mia testa ne era colma!
“Mi dispiace Alice”.
“Lascia perdere. Abbiamo cose più importanti adesso”.
“Posso sapere cosa sta succedendo?”
Mi appoggiai allo schienale del sedile anteriore, presa da una forte agitazione. Alice continuò a fissare la strada, così come Jasper, che pareva assente per quanto era silenzioso.
“Edward… dov’è?”
Una settimana. Una settimana che non lo vedevo. Mi ero sforzata di non curarmene, ma nulla poteva schiodare il pensiero di lui dalla mia testa. Nell’indecisione in cui mi ero trovata in quei sette giorni, mi era tuttavia calzata benissimo la sua scomparsa. Senza di lui riuscivo a riflettere con coerenza…
“Alice, gli è capitato qualcosa?”
Stavo letteralmente stritolando l’imbottitura del sedile, e mi sarebbero cadute le dita se fosse stato davvero possibile perderle per così poco.
“Stai tranquilla Bella” disse Jasper, e subito lasciai andare lo schienale per afflosciarmi al mio posto. Fu come obbedire ad un ordine, semplice e diretto.
“Devi sapere Bella, che la tua vita è per mio fratello molto più importante di quanto immagini. Lo è anche per me, credimi, ma per Edward è qualcosa di più assoluto”.
Mi sentivo rilassata nonostante sapessi che le sue parole avrebbero dovuto ingarbugliare le mie viscere. I muscoli delle gambe e delle braccia mi sembravano pesanti, come se avessi assunto una sorta di droga. Il mio cervello però era limpido e ragionava con chiarezza.
“Mi ha rifiutata. E’ stato via per quattro anni” riuscii a dire. La voce dimezzata da una flemma insostenibile per la frenesia dei miei pensieri.
Vidi Alice scuotere il capo, dopo aver sospirato con una certa rassegnazione.
“Questa faccenda dovete risolverla da voi! Non posso intromettermi” esordì, apparendo molto dispiaciuta, per poi aggiungere “Voglio solo farti capire quanto può essere stato doloroso per lui, saperti in pericolo”.
Non trovai nulla con cui ribattere e quando la macchina si fermò, il mio cervello era ancora gloriosamente vuoto. D’un tratto, la tranquillità defluì dalla mia carne come acqua da un colino.
Mi sentì di nuovo reattiva e del tutto nervosa anche nei movimenti.
“Dove siamo?” chiesi, guardando fuori dal finestrino.
Ci trovavamo in un spiazzo di prato verde che affiancava la strada. Nel mezzo di folti alberi, che quasi lo nascondevano, c’era un locale dall’insegna squallida. Un tempo doveva essere luminosa, però ora sembrava un cimelio osceno che raffigurava una donna nuda chinata a novanta gradi. Storsi la bocca e cercai di prestare attenzione ad altri dettagli. Il locale sembrava vuoto, constatai.
“Bella?” mi chiamò Alice.
Quando mi girai, lei era lì, al mio fianco. Era passata dietro senza che avessi udito il suo spostamento! Pazzesco.
“Edward è forte, determinato, cocciuto e, in questo momento, anche molto arrabbiato e violento. Ma quando ci sei tu… è diverso. Sicuramente puoi aiutarci”.
“Di cosa stai parlando?”
La portiera si aprì e Jasper mi fissò dall’altro lato. D’improvviso, mi sentii braccata. Non era affatto una sensazione gradevole.
“Mi state mettendo paura!” esclamai, distogliendo lo sguardo dagli occhi austeri di Jasper.
Alice mi prese per gli avambracci, facendomi irrigidire con uno spasmo allo stomaco.
“Bella! Gabriel ha  sfidato Edward quando ti ha accolta in casa sua. Tu non avresti dovuto avvicinarti a lui e lui non avrebbe dovuto cercare di sedurti. Quando poi sei rimasta ferita…” fece una pausa e così vidi il suo viso intristirsi “… tutto è precipitato”.
“Stiamo perdendo tempo Alice” proruppe Jasper, sempre con un tono pacato.
La vidi annuire, dopodiché mi prese per la vita e mi fece scendere con una rapidità che non mi diede il tempo di protestare. Mi ritrovai con i piedi nell’erba dopo pochi secondi, un metro distante dal locale, ma molti di più dall’enorme macchina di Emmett. Spalancai gli occhi, scioccata.
“Devi solamente calmarlo. Farlo tornare in sé, ecco!” mi spiegò, ignorando la mia faccia atterrita. Jasper si intromise. “Esme sta soffrendo molto e tutti lo vorremmo di nuovo tra noi” disse.
Quella era la frase più lunga che gli avessi sentito pronunciare in mia presenza.
“Mi dispiace”.
C’erano state molte occasioni nelle quali Alice si era dovuta scusare, ma quella era una richiesta di perdono che mi spaventava per quanto era sincera. Ebbi l’impressione che, se fosse stato necessario, si sarebbe messa in ginocchio per essere più convincente.
“Se i poteri di Jasper non avessero fallito, non ti avrei immischiata in questa faccenda” aggiunse, gli occhi appiattiti e le labbra imbronciate.
“I poteri di Jasper?”
“Ti spiegherò un altro giorno”
Detto questo, mi diede un rapido abbraccio, per poi spingermi verso locale deserto.
Bè, forse non era propriamente deserto, pensai.
La porta era di legno scuro e dava l’impressione che fosse solo appoggiata all’uscio. Fissandola, inghiottì a vuoto.
Perché mi trovavo lì? Cosa diavolo stava succedendo? Mi sentivo una formica impigliata in una ragnatela troppo grossa e troppo robusta da poterne sfuggire incolume. Era capitato tutto con una rapidità tale, da darmi il capogiro. Mi sembrò assurdo pensare che, un decina di minuti prima, ero normalmente intenta a studiare in una silenziosa biblioteca.
Feci qualche passo incerto, avvicinandomi sempre più al pomello di ottone opaco. Stavo puntando quello, mentre riflettevo sulla possibilità di rifiutarmi e tornare a casa. Poi le miei dita entrarono a contatto con il metallo freddo, cancellando altre alternative. Sentii la necessità di entrare per vederlo. Alice non l’aveva detto, ma dalle sue parole s’intuiva che lì, in quella baracca, c’era Edward. Gli era capitato qualcosa di brutto? Stava male? Mi si strinse il cuore al solo pensiero.
Soffocata dalla preoccupazione, girai il pomello e spinsi. Il cigolio dei cardini della porta suonarono molto sinistri, quasi come quelli dei film horror. Guardai dentro, ma la penombra lasciava intravedere solo qualche sgabello caduto e un tavolo incrinato. Tutto era congelato in un silenzio artificioso. Mi girai in direzione di Alice, in cerca di un incoraggiamento. Lei, con una mano intrecciata a quella di Jasper, mosse il capo per incitarmi ad entrare. Allora raccolsi tutto il coraggio che avevo a disposizione e varcai la soglia, dicendomi che dentro c’era solo Edward.
Solo Edward. Solo Edward. Ma sembrava non bastare! Continuavo ad aver paura come se dentro, ad aspettarmi, ci fosse un mostro affamato della mia carne. Rischiai quasi una crisi isterica per via di quel pensiero, tanto paradossale quanto terrificante.
Il locale era chiaramente abbandonato, la polvere che ricopriva come un velo ogni tavolo, ne era una prova. C’era molto disordine: sedie capovolte, vassoi abbandonati e vetri che puntellavano il pavimento. Su alcuni tavoli vi erano dei bicchieri pieni di birra o altri liquidi alcolici che non riconobbi, come se fossero stati lasciati lì da una frettolosa clientela. Conclusi che l’abbandono era recente. Forse una settimana?
“Santo cielo” borbottai, quando ricongiunsi i tasselli nella mia testa.
Lasciai di studiare il disastro attorno a me, per guardare il bancone tipico di ogni locale di terza classe. La superficie legnosa era disseminata di bottiglie vuote di rum. Dietro di esse, molti scaffali erano spezzati, cosicché le bottiglie degli alcolici più leggeri erano andate distrutte. Ispirando profondamente, per cercare di mantenermi calma, catturai l’odore stantio di polvere e alcool.
“Edward?” lo chiamai. Percepivo in qualche modo la sua presenza, ma non sapevo dove cercare. Le finestre lasciavano entrare poca luce, perciò molti punti erano nascosti da una totale oscurità.
Ad un tratto sentii lo schiocco metallico di un accendino a benzina e, subito dopo, una fiammella galleggiò nel buio. Alla mia destra, infondo al bancone, una bocca espirò un soffio di fumo. Smisi di respirare, il corpo indurito dall’aspettativa mentre distinguevo una sagoma nera seduta su uno sgabello, perfettamente mitizzata dalle tenebre. Mi resi conto che, se avesse voluto, avrebbe potuto farmi credere che il locale fosse deserto restando semplicemente immobile.
“E’ ironico come la vita sia crudele” disse ad un tratto. La sua voce mi parve squisita come sempre, ma arricchita da un contorno amaro. Mi fece battere il cuore forte sulla mia fragile cassa toracica, tanto da temere che persino Alice e Jasper l’avrebbe udito.
“A noi vampiri è dato di gustare la prelibatezza del sangue…” continuò lui. “…che ha su di noi lo stesso effetto che ha l’alcool su voi umani. Per noi invece, questi miscugli di erbe non hanno più alcun effetto. Possiamo ingerire quantità impensabili di Scotch, come fosse aria, ma il nostro organismo non farebbe altro che disintegrarlo”.
Parlava con malinconia.
Non avevo idea del perché mi stesse dicendo quelle cose. Erano inquietanti.
“Quello che rimpiango è il sapore. Il mio senso del gusto non percepisce alcunché quando assaporo un rum di questa annata. Rimane anemico… riesci ad immaginare quanto può essere frustrante?”
“No” risposi cauta, mentre distinguevo la sua mano spostarsi, portare la sigaretta alla bocca per un’altra boccata.
Non sapevo come affrontare un discorso con lui e neppure quale discorso iniziare, a dirla tutta.
Ero tuttavia conscia di dover usare molta prudenza, poiché non avevo mai visto Edward in quelle condizioni. Sembrava un fantasma tormentato dalla vita.
“Hai combinato tu questo casino?”
Era una domanda idiota, ma preferivo l’idiozia al silenzio. Lui non rispose, così seppi che quello doveva essere un assenso.
“Sai che avresti potuto finire nei guai? Cosa avresti fatto se le persone di questo locale avessero chiamato la polizia?”
“I delinquenti non chiamano mai la polizia, neanche nelle situazioni più disperate” rispose.
In effetti, aveva ragione. Avevo immaginato che un locale dall’insegna succinta, non poteva che essere frequentato da una clientela poco rispettabile. Cercai qualcos’altro da dire, ma fu Edward a parlare per primo.
“Alice ti ha mandato qui” disse, senza ombra d’incertezza.
Mettere Alice nei guai non era nei miei piani, perciò ribattei con una domanda illogica.
“Perché non esci dal buio?” un attimo dopo, mi diedi mentalmente della stupida.
Tuttavia, l’attenzione di Edward sembrò dirottata e così lo vidi girarsi per mostrarmi una parte del suo viso. La metà illuminata fiocamente da una finestra posta alle mie spalle, rivelava solchi profondi sotto i suoi occhi, che non erano mai stati tanto neri.
Sembrava scarnito, malnutrito, ma nonostante tutto… dannatamente bello. L’intensità del suo sguardo poi, era tanto travolgente da struggermi il cuore. Cacciai un sospiro tremulo, il ventre stretto da una morsa di puro desiderio. Come poteva eccitarmi anche così devastato?
“Non provocarmi Bella” disse.
“Non ti sto provocando” ribattei. Fu forse quello il mio errore.
Edward scattò in piedi, rovesciando lo sgabello a terra. Distratta dal rumore, non percepii affatto il suo spostamento, che lo portò ad un soffio da me. Nessun essere umano sarebbe stato tanto rapido.
“Ignori quanto il tuo corpo stia gridando al mio, in questo preciso istante” sussurrò con un brontolio minaccioso nella sua gola.
“Sono qui per parlarti”.
“E?”
“E nient’altro”.
“Dovresti scusarti, sai Bella? Hai disubbidito, senza pensare alla tua incolumità, ti sei buttata tra le braccia del nemico. Ho riversato tutta la mia aggressività su questo dannato posto solo per non rischiare di spezzarti”.
Indietreggiai. Nelle sue parole c’era una furia che mi fece sudare freddo.
“Non sembravi tanto aggressivo la sera dell’incidente” constatai.
“Ero desolato. Il tuo corpo riportava delle ferite a causa mia” disse asciutto.
“E adesso che sto un po’ meglio ti senti in diritto di spaventarmi?”
Non ero stupida, conservavo ancora la mia sanità mentale, però mi infastidiva tutta quella sua irruenza. Infondo, era passata solo una settimana. Non lo sapeva, che noi umani impiegavamo molto più tempo per guarire? Certo, lui aveva due lauree in medicina!
“Se questo servirà a impedire che tu commetta altre stronzate, allora mi avvalgo pienamente di questo diritto” rispose sfacciato.
A quel punto, me ne fregai del fatto che fosse forte, incazzato e violento, perché ero davvero, davvero, indignata.
“Sei stato via quattro anni!” gridai “Quattro anni Edward! Sono cresciuta nel frattempo, e non lascio che qualcuno detti comandi sulla mia vita! E’ chiaro?”
Il mio cipiglio si scontrò con la sua faccia, la quale assunse in pochi secondi la consistenza della pietra. La sua mascella mi sembrò scricchiolare per la potenza che impresse nella stretta. Rimase rigido, con i pugni chiusi per quelli che mi parvero anni, anziché secondi.
“Ho sbagliato a dare ascolto ad Alice” dissi, di colpo svuotata da ogni determinazione.  “Aveva detto che io potevo aiutarli, ma è evidente che ho solo peggiorato la situazione”.
Mi girai, intenta a lasciare quel posto il prima possibile, poiché non ero capace di salvare nessuno in quel momento. Stavo per deludere Alice.
Arrivata alla porta, impiegai alcuni secondi per decidere di varcarla definitivamente, esitando perché speravo in qualche modo che lui mi fermasse. Non lo fece.
Perciò uscii svelta nello spiazzo verde e alzai lo sguardo alla ricerca di Alice e Jasper. La macchina di Emmett rimaneva silenziosa sul ciglio della strada, investita da una debole luce che faceva luccicare la sua vernice nera. Le chiome degli alberi frusciavano leggere per via di un vento fresco e sottile. Non c’erano cinguettii, cicalecci o altri versi animali. Come se la vegetazione fosse stata privata di botto di tutti i suoi abitanti, il silenzio assorbiva la foresta.
Di Alice e Jasper invece, nessuna traccia.
Ero sul punto di chiamarli, un po’ agitata dal pensiero che fossero scomparsi così all’improvviso, ma la voce mi morì in gola quando udii il brontolio minaccioso di un cane. Un suono inconfondibile, che già mi fece immaginare zanne snudate su un muso arricciato. Ma, guardandomi attorno, non riuscii a vedere nulla se non verde, verde e ancora verde.
“Torna dentro”.
“Cosa succede?”
Edward era comparso di colpo al mio fianco: dal tono allarmato della sua voce, intuii che qualcosa stava accadendo.
“Dove sono Alice e Jasper?”
“Torna. Dentro” quasi mi ringhiò contro, con gli occhi neri infuocati di furia repressa e il volto irrigidito da qualcosa di ancor più spaventoso. I solchi sotto i suoi occhi spiccavano alla luce del giorno, seppur smorzata dai consueti nuvoloni.
Non intendevo ubbidire senza prima capire cosa stesse succedendo. Questa faccenda di tenermi all’oscuro di tutto stava iniziando ad irritarmi parecchio, perciò mi preparai a scontrarmi con l’ira di Edward, quando fui nuovamente azzittita da un altro brontolio, più profondo e inquietante del primo. Era impossibile identificarne la provenienza: sembrava lontano, ma allo stesso tempo quasi a portata di mano.
“Non è un cane, vero?”
Il presentimento fu talmente tangibile nella mia mente, che potevo sentirne il sentore sulla pelle e nelle ossa. Guardai fisso Edward, che fissava un punto indefinito della foresta come se potesse vedervi attraverso. E forse, era proprio così.
“E’ qualcosa che tu non dovresti vedere, né sentire” rispose lui.
La sua risposta non mi chiarì nulla, e stavo appunto per farglielo notare, ma un grido acuto fuoriuscì dagli alberi, echeggiò nello spiazzo fino a noi, seguito un istante dopo da un ruggito di leone infuriato. In quel momento mi sentii muta, le corde vocali del tutto andate.
Come se quello fosse un richiamo, Edward iniziò a ringhiare a sua volta, infossando la testa e contraendo i muscoli delle spalle. Fu velocissimo: un momento lo stavo fissando e un momento dopo ero abbarbicata alle sue spalle. Lo sentii muoversi con una rapidità inconcepibile per me, che vidi il suolo scivolare sotto di noi come se mi fossi affacciata al finestrino di una macchina lanciata a folle velocità. Nell’arco di pochi istanti, fui scaricata e infilata di peso nella mostruosa jeep nera.
“Edward!” lo chiamai, senza tuttavia avere la benché minima idea di cosa dirgli.
“Infilati sotto i sedili” disse lui, chiudendo la portiera.
Mi ritrovai a fissarlo, con le mani e il viso schiacciati sul finestrino, mentre lui si dirigeva a grandi passi verso la vegetazione. Mancavano pochi metri, poi sarebbe scomparso anche lui dentro di essa. Ma qualcosa, una sagoma fulva, piombò sopra di lui prima che potesse accadere.
Ebbi l’impressione di guardare un film che scorreva sotto il comando ‘avanti veloce’, perché molti dei loro movimenti non riuscii a coglierli con esattezza. Vidi Edward lottare e ruggire a bocca spalancata, con i denti inaspettatamente lunghi e lucenti, contro un muso peloso che lo sovrastava.
Qualsiasi cosa fosse, assomigliava soltanto a un cane… ma per la stazza enorme, non poteva in via razionale esserlo.
“Mio Dio…”
Lottai contro l’evidenza: animali tanto enormi non esistevano. Cos’era allora? Un altro essere soprannaturale, così come Edward e la sua famiglia… così come i Doubois? Il mondo era quindi più pericoloso di quanto avessi mai immaginato. Osservando inorridita quella bestia enorme, decisi di non avere alcun desiderio di scoprirlo.


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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


(Lesson n.10): Il dolore e la paura rendono futili i problemi e solidi i legami  
 “Alice!”
Strinsi i pugni e picchiai il vetro con forza, quando vidi la mia amica apparire dal nulla. Era sorretta da Jasper, che la prese di peso senza un accenno di sforzo. Un secondo dopo, lo sportello sul quale mi ero accanita si aprì. Feci spazio ad Alice, che fu aiutata da Jasper a salire, mentre i potenti ruggiti di Edward entravano nell’abitacolo per farmi rabbrividire.
Stava contrastando con molta determinazione quella… cosa… ma per quanto avrebbe resistito?
Sapevo che era molto forte – il fratello di Gabriel doveva vantare un peso che si aggirava intorno ai centoventicinque chili, per via dell’altezza e della massa muscolare, tuttavia Edward l’aveva sollevato con un nonnulla – però non mi veniva di immaginare quali fossero i suoi limiti.
“Alice, ma tu sei ferita!”  
Solo adesso notavo i pezzi laceri della sua camicetta verde, la spalla destra scoperta sulla quale spiccava una fila di buchi che facevano scempio della sua carne. Erano tanto profondi che potevo vedere all’interno un biancheggiare di ossa, ma per quanto fossero delle ferite sicuramente mortali, non c’era traccia di sangue, né nella carne, né sulla pelle candida. Lei però si contorceva e gemeva di dolore…
“Santo Cielo Alice! Chi ti ha fatto questo?”
Ero sconcerta. Toccai la sua spalla sana con delicatezza, sforzandomi di non fissare troppo le lesioni, altrimenti avrei di certo vomitato. Volevo esserle di conforto, aiutarla in qualche modo, così cercai di coprirla come potevo, poiché la stoffa verde le stava man mano scoprendo parte del piccolo seno.
“Jasper!” esclamò, tra strazianti e striduli gemiti. “Stanno arrivando…” disse.
“Schhh, stai calma!” la implorai.
Jasper, che nel frattempo aveva assunto un’espressione imperscrutabile, annuì e fece per richiudere lo sportello.
“Aspetta!”
Quando si voltò per guardarmi, desiderai con tutta me stessa non averlo chiamato, poiché dai suoi occhi trapelava una bestialità talmente inumana da essere sicura che il ricordo mi avrebbe perseguitato per molte notti nei miei incubi peggiori.
Riuscì a stento ad articolare le parole.
“N-non puoi lasciarla qui. Dobbiamo portarla all’ospedale!”
Nello stesso istante in cui finì di parlare, altri due mostri simili a cani giganti uscirono dalla fitta foresta. La loro pelliccia non era fulva, ma di diverse tonalità di marrone. Dalla parte superiore del muso arricciato, spuntavano due canini simili a sciabole, mentre la parte inferiore era colma di denti appuntiti e gocciolanti di saliva. Ringhiavano e puntavano a noi, per nulla interessati al combattimento sempre più cruento che si stava consumando poco lontano da loro. A quel punto Jasper si accucciò, ringhiando furiosamente per tenerli lontani.
“Questa è follia” mi lagnai come una mocciosa, perché l’idea di finire divorata da un branco di cani giganti mi sembrava troppo paradossale.
“Mi dispiace” disse con flebile voce Alice, accucciata sulle mie ginocchia.
“Non dire sciocchezze! Di certo tu non hai colpa!”
Lei scosse piano la testa, gli occhi serrati e la mano premuta sulla ferita. Non potevo esserne certa, ma mi sembrava di notare un miglioramento dall’ultima volta che avevo azzardato a studiarla.
“Credevo che foste invincibili, che ferirvi fosse impossibile”.
“Chi te l’ha detto?” chiese.
“Internet”.
Senza volerlo le strappai una debole risata.
Se riusciva a ridere, allora non era messa così male, vero?
Poi l’aria fu di colpo penetrata da un uggiolio acuto, un miscuglio squallido di rabbia e dolore, il quale mi costrinse a scrutare lo scenario oltre lo sportello aperto. Jasper era ancora lì davanti: non si sarebbe allontanato finché noi fossimo rimaste dentro la jeep. Gli pseudo - cani rimanevano immobili, non arrischiavano ad attaccare.
“Edward” il suo nome mi scivolò involontariamente dalle labbra quando vidi  che il cupo rosso sangue imbrattava tutta la sua pallida figura, come un macabro velo.   
“Non ti preoccupare, non è il suo” sussurrò Alice, come se avesse inteso con chiarezza il mio timore.
A qualche metro da lui c’era una carcassa immobile e sanguinolenta, un ammasso di peli fulvi e carne esposta, di un rosso tanto vivido che fui costretta a distogliere lo sguardo. Un conato minacciò il mio stomaco, così tentai un respiro profondo per non imbrattare gli interni della costosa jeep. Emmett non mi avrebbe perdonato se avesse trovato del vomito sul sedile!
“Dannazione”.
“JASPER!”
Alice si agitò, cercando di allungarsi fuori, ma io avvolsi le mie braccia attorno alla sua vita e cercai di metterci tutta la determinazione possibile, perché lei continuava a muoversi nonostante stessi usando ogni oncia di forza a mia disposizione. Allora alzai lo sguardo, e la stretta irrimediabilmente si allentò. Sentii il mio corpo perdere ogni sorta di sensibilità, gli occhi aprirsi e le pupille allargarsi, le viscere annodate per ciò che la vista stava imprimendo a fuoco nella mia memoria.
In qualche modo Jasper si era allontanato dalla macchina, e ora il suo volto era deformato dal dolore. Il muso dentato di uno di quei cani affondava sempre più nel suo stomaco, con il sangue che schizzava sulla folta pelliccia. Gemiti e lamenti strazianti ovunque. Poi ci fu il ruggito tonante di Edward, che squassò l’aria, spezzando quei suoni agghiaccianti.
Si era lasciato sovrastare dall’altro mostro, trattenuto a stento per la pelliccia.
Qualcosa dentro di me si incrinò come vetro freddato quando capii che anche lui poteva fare la stessa fine. L’avrei perso. Quella consapevolezza generò uno scoppiò di adrenalina nelle mie vene, accelerando il ritmo del cuore e sbloccando la mente.
Non potevo lasciare che quello accadesse. Semplicemente, non potevo.
Così mi gettai fuori dalla macchina per correre veloce in pasto al pericolo. L’udito colse appena le urla di Alice: stava chiamando disperata il mio nome, ma non sarebbe riuscita a fermarmi perché era conciata troppo male. L’adrenalina mi diede la forza necessaria per attraversare l’erba senza inciampare. Mi concentrai allora sulla mia corsa folle, mentre osservavo come il terrore illuminava lo sguardo di Edward che, accortosi di me, mi incitava silenziosamente a tornare indietro.
“BASTAAA!” gridai con quanto fiato avevo in gola.
Non avevo altre armi. Non avevo poteri straordinari, forza bruta o velocità eccezionale.
Non ero nessuno, una semplice umana inciampata in una lotta tra esseri soprannaturali. Debole e vulnerabile come un neonato perso nella giungla. Mortale, fragile… sarebbe bastato così poco per uccidermi! Eppure, quando il mio grido echeggiò tra gli alberi fino ad arrivare alla sanguinosa lotta, tutti, compresi i mostruosi cani, si bloccarono.
Per un lungo istante mi sentii studiata da cinque paia di occhi inumani e la sensazione fu terribile.
Poi il canide impegnato a mangiare vivo Jasper si mosse, seguito subito dopo dal compagno, per avvicinarsi con movimenti felpati. Sembravano semplici cani troppo cresciuti, senza più nulla di minaccioso, però i musi imbrattati di sangue rovinavano l’effetto.
 Non indietreggiai. Rimasi pietrificata nella mia posizione finché i due non mi arrivarono a pochi metri di distanza. Allora potei constatare quanto fossero enormi, studiandoli dal basso e calcolando almeno una decina di metri in più rispetto ad un qualsiasi normale cane domestico. Ora che li osservavo con attenzione, parevano molto più vicini ai lupi come somiglianza.
“Bè, è stato facile” borbottai, persa nella contemplazione della loro pelliccia. Per la sua lucentezza, dava l’impressione di essere morbida al tatto.
“Bella!”
Negli occhi di Alice vidi tutto il timore per la mia vita mentre aiutava Jasper ad alzarsi.
Non potevo valutare quanto fosse migliorata, poiché mi trovavo troppo lontano da lei, ma il semplice fatto che fosse capace di muoversi mi risollevò l’umore. Evidentemente, i vampiri guarivano in fretta. Anche Jasper si sarebbe rimesso entro pochi minuti? Quanto tempo gli ci voleva per rigenerare l’intero apparato digerente?
Un brontolio infastidito riportò la mia attenzione ai due singolari esemplari di lupi. Entrambi fissavano minacciosi Edward. Non li biasimai: era inquietante, tutto furente e con il viso completamente imbrattato di sangue, ringhiava contro di loro. Si era avvicinato parecchio, come un ombra, in assoluto silenzio.
“Vi prego, basta”.
Non volevo essere costretta a guardarli mangiarsi a vicenda. Sarei stata già molto fortunata se quella notte fossi riuscita a chiudere occhio senza cadere in terribili incubi. Avevano dato al mio cervello abbondante materiale in una singola mattinata.
“Fermati Edward!” lo incitai, quando mi accorsi dell’impercettibile movimento della sua gamba.
Era davvero bravo a scivolare sull’erba senza produrre il minimo rumore.
“Non ti voglio vicino a loro, Bella”.
“Non mi faranno del male… credo”.
Pensai che, se avessero voluto, l’avrebbero già fatto. Ma nulla toglieva che quelle erano creature strane, delle quali avevo ignoravo la loro esistenza fino a quel tragico momento. Allora, cosa mi dava tutta quella sicurezza? L’intuito… forse.
Non appena finii di parlare, sul volto di Edward comparve una smorfia, rivolta a qualcosa che doveva essere comparsa dietro le mie spalle. Per un attimo ebbi paura a voltarmi, però poi mi feci coraggio, dicendomi che nulla sarebbe stato più orribile di vedere un tuo amico divorato vivo da un mostro peloso. Ebbene, avevo ragione.
Di fronte a me, affiancato dal lupo gigante, c’era un uomo dalla pelle scura e gli occhi neri, tirati in linee sottili che evocavano qualcosa di esotico. Non sarebbe stato affatto strano, se non fosse stato nudo. Completamente nudo! Quando l’informazione arrivò a destinazione, ero ancora impalata a fissarlo come la reginetta delle spudorate. Era massiccio, i muscoli cesellati, il petto glabro, fatta eccezione per una sottile striscia di peluria che partiva dall’ombelico per scendere più giù.
“Accidenti!”
Esclamai, avvampando prima di coprirmi gli occhi. Non mi fidavo di loro, sapevo che avrei senza dubbio fallito se mi fossi sforzata di guardarlo solo in faccia.
Qualcuno sghignazzò e, dal tono profondo, supposi si trattasse del nudista in persona.
“Dov’è finito l’altro lupo?” chiesi, per cercare di sopprimere l’imbarazzo. Era talmente rossa, che sarei potuta passare per un’insegna luminosa.
“In forma animale non possiamo parlare” disse una voce dal tono sicuro, caldo e leggermente roco. Quindi registrai le sue parole e mi sforzai di trovarne il senso. Ci riuscii solo dopo una svariata quantità di minuti.
“Loro sono mutaforma, Bella” spiegò Edward, imprimendo velenoso disprezzo nella parola ‘mutaforma’.
“Già, il succhiasangue ha ragione” ribatté l’uomo scuro. Al che, seguì un’altra sessione di ringhi.
“Ora basta! Finitela!”
Constatai quanto fosse difficile fare la dura ad occhi chiusi, ma non potevo fare altrimenti.  
“Perché ci avete attaccati?”
“Gli scontri con i freddi si susseguono da secoli a vostra insaputa” rispose compito.
Supposi che per ‘freddi’ si riferisse ai vampiri e che ‘vostra’ racchiudesse me e il resto della società umana. Incredibile quante cose si imparano, quando vai oltre i confini di casa tua!
Arrischiai a guardare, schiudendo prima un occhio e poi uno spiraglio di dita.  
Quell’uomo era del tutto a suo agio, come se fosse stato vestito di un abito impeccabile.
Incredibile!
“Perché vi siete fermati quando vi ho detto di farlo?”
“Non siamo sotto il tuo comando, umana. Ci è stato ordinato di… proteggerti”.
Sorvolai sul fatto che avesse pronunciato l’appellativo ‘umana’ come se fosse una cosa negativa e mi dedicai piuttosto al motivo per il quale io, Isabella Swan, avessi bisogno di protezione. E da chi, poi?
“E’ assurdo! Perché dovreste proteggermi?”
Alla mia domanda, si accodò un lungo silenzio.
Iniziai seriamente ad agitarmi, perché proprio non mi piaceva il modo con il quale mi stava studiando l’uomo. Dopodiché il lupo al suo fianco, quello che avevo di colpo dimenticato, emise un guaito e strusciò il muso contro la spalla del compagno, che disse:
“Dobbiamo tornare. Jacob ha bisogno di cure. Ma ci rivedremo presto, Isabella Marie Swan”.
“Come fai a sapere come mi chiamo?”
Lui non rispose. Si voltò, esponendo senza pudore il suo sodo fondoschiena, per dirigersi con tranquillità verso l’ammasso sanguinolento di peli fulvi che, conclusi, doveva chiamarsi Jacob.
Mentre l’altro lupo gli guardava le spalle, l’uomo prese su di sé il compagno ferito con la stessa facilità con la quale si solleva un fiorellino. Sparirono nella fitta vegetazione in silenzio.
“Sarà meglio sbrigarci. Dobbiamo portare Jasper da Carlisle” disse Edward.
Il tono severo lasciava supporre quanto fosse irritato. Da cosa poi? Ero io la parte lesa! Io avrei dovuto arrabbiarmi, imprecare e magari anche urlare come un’ossessa. Avevo scoperto una piccola parte del mondo che razionalmente parlando non avrebbe dovuto esistere. Come minimo, mi aspettavo una crisi isterica, che attesi, attesi e attesi…
Ma dopo molti minuti, rinunciai. Nessuna crisi isterica.
Peccato.
 
L’acqua calda non bastò a calmarmi, così come non ci riuscì il bagnoschiuma alle ‘erbe rigeneranti’. Non che avessi riposto molta fiducia in lui…
Da quando i Cullen mi avevano riportata a casa, non avevo fatto altro che consumarmi la pelle con energiche strofinate, concentrandomi più del dovuto su una sporcizia inesistente.
Nonostante mi sentissi uno schifo, ero orgogliosa di me, perché ero riuscita a reggere persino la vista dell’addome martoriato di Jasper quando, senza perdere altro tempo, l’avevano aiutato ad occupare il posto accanto al mio, sul sedile posteriore. Non so quante volte avevo ringraziato il cielo del fatto che il loro sangue sembrava non puzzasse. Però non era stato quello ad impressionarmi, quanto la velocità con la quale la pelle diafana si era ricomposta sopra la carne viva: un processo singolare e impercettibile all’occhio. Bastava che mi voltassi per alcuni secondi per poi vedere, una volta tornata a sbirciare, un chiaro miglioramento.
Girai tutta la manopola dell’acqua fredda e sperai che mi si congelasse la testa quel tanto che bastava a smettere di pensare.  
Grazie alla guida spericolata di Edward eravamo arrivati alla villa Cullen nel giro di mezz’ora, quando, viaggiando con una guida normale, ci avremmo impiegato un’ora buona. Lì avevo rivisto tutti: il carismatico Carlisle, la dolcissima Esme, l’incorreggibile Emmett e…. Rosalie. La bellissima Rosalie. La quale mi aveva fulminata con lo sguardo non appena avevo messo piede in quella che, non aveva esitato a sottolineare, era casa Sua. La cosa non mi aveva intimidito, poiché sapevo che quella era solo la prima di una lunga serie di precisazioni puerili, fatta apposta per farmi sentire una schifosa cicca attaccata alla suola di una delle sue costosissime scarpe.
Io e Rosalie vantavamo un rapporto molto poco amichevole, fatto di frecciatine pungenti e indifferenza. Quello non mi aveva mai preoccupata, perché lei stava più tempo fuori casa che con la sua famiglia.  
Finalmente mi sentii capace di concludere la doccia, così chiusi l’acqua e mi avvolsi a tempo di record in un ruvido telo di spugna. Charlie aveva di nuovo dimenticato l’ammorbidente!
Quando entrai nella mia stanza, fui tentata di buttarmi sul letto, ma poi ricordai le parole di Edward.
Prima di riaccompagnarmi a casa aveva detto, con voce asciutta e senza guardarmi: “Tornerò più tardi”. Io non avevo avuto la forza di ribattere, poiché le ero già abbastanza grata per avermi risparmiato le ‘particolari’ cure che Carlisle avrebbe dovuto dare alle ferite di Jasper. Avevo sentito pronunciare dalla sua accattivante voce, le parole ‘rigetto’ e ‘doloroso’, perciò ero contenta di non essere rimasta a guardare.
Passai a rassegna ogni possibile abbigliamento, ma alla fine decisi di infilarmi la mia solita canotta e il mio solito pantaloncino da casa. Volevo stare comanda e pensavo di meritarmi un po’ di relax.
“Dovrà accontentarsi” dissi, chiedendomi se si fosse aspettato qualcosa di più provocante. Bè, in quel caso, sarei stata felice di deluderlo! Perché non volevo sospettasse che morivo per ogni suo sguardo, o che il semplice guardarlo mi faceva ribollire il sangue nelle vene! Nessuna soddisfazione per chi ti ha ferito nel cuore.
“Cielo, perché deve essere tutto così difficile!?”
Mi sdraiai a mo’di stella sul tappeto e chiusi gli occhi, perché la stanchezza iniziava a mangiarsi morso dopo morso tutti i miei muscoli, perciò mi sarei sicuramente addormentata se mi fossi concessa il lusso di rilassarmi sul letto. Poi mi chiesi cosa intendesse Edward per ‘più tardi’ e se ci fosse qualcosa di interessante in TV. Ero sul punto di gettare la spugna, cedendo così al sonno, quando percepii l’aria della stanza mutare. Non fu un reale cambiamento, ma qualcosa di intangibile, di invisibile e inodore, che mi suggerì di non essere sola. Il consueto prurito alla base della schiena mi disse infine di chi si trattava.
“Dovresti imparare a usare la porta, così come una qualsiasi persona normale”.
“Ho smesso di essere una persona normale quando ho smesso di respirare. Perché fingere?!”
Rabbrividì senza potermelo impedire. La sua voce era stata abbastanza inquietante e il suo sguardo… Dio, il suo sguardo. Mi fissava dall’alto dello stretto davanzale della mia finestra aperta, appollaiato sui talloni con un equilibrio innaturale, come se dietro di lui non ci fossero parecchi metri e un’invincibile forza gravitazionale. Si era cambiato, il viso era privo di sangue, i capelli sensualmente scompigliati in una finta  acconciatura trasandata.
“Tuo padre non è ancora tornato” disse, come semplice constatazione.
“Sta facendo parecchi turni ultimamente, per via di alcuni strani omicidi”.
“Capisco” rispose, ostentando uno sguardo contrito.
Mi alzai seduta e incrocia le gambe, appoggiando la schiena alla struttura in legno chiaro del mio letto. Quando tornai a guardarlo, lui era ancora lì, immobile e con un espressione indecifrabile in volto.
“Preferirei vederti seduto, invece che in bilico sul mio davanzale”.
“Ti infastidisce che io sia in grado di farlo?”
“No. Mi mette l’ansia e non riuscirei a parlarti senza pensare che potresti cadere da un momento all’altro” dissi, un po’ irritata dal suo atteggiamento così… così sulla difensiva!
Lui mi rivolse un mezzo sorriso pieno di tracotanza, che sarebbe stato antipatico su qualsiasi altro uomo, ma che conferì al suo volto una sorta di accattivante magnetismo. Quello era il sorriso dei cattivi ragazzi.
“Anche se dovessi cadere, non mi farei nulla. Tuttavia…” lasciò la frase in sospeso ed entrò con un movimento felino, fluido e terribilmente soprannaturale.
“Lo stai facendo apposta, vero?”
“Cosa?”
“Tutte queste cose da superuomo non le facevi quattro anni fa. Sembra che tu ti stia sforzando di apparire terrificante!” esclamai. Mi accorsi che quella suonava troppo come un’accusa, tanto che allargai gli occhi, allarmata, quando lo vidi avvicinarsi e sovrastarmi con tutta la sua temibile altezza.
“Non mi sto affatto sforzando Bella. Questo è quello che sono”.
La mia bocca era dischiusa e si spalancò di più dopo che mi si accovacciò davanti. Era stato talmente veloce, che non avevo colto le fasi intermedie del suo movimento. Stupefacente.
“Mi trovi terrificante?” chiese, con un tono di mortale serietà.
Osservandolo così da vicino, con i suoi occhi caramellati, le folte sopracciglia, le labbra dalla forma invitante, non mi venne affatto da aver paura. Piuttosto, iniziarono a prudermi la mani per quanta voglia avevo di toccarlo.
“No” sussurrai, sentendomi sconfitta. Ora sapevo che quattro anni erano troppo pochi per dimenticare il vero amore. Ma, con ogni probabilità, un eternità sarebbe comunque stata insufficiente.




Nota dell'autrice:
Salve!! ^.^ Avverto che dopo questo cap, il prossimo aggiornamento sarà tra una settimana o poco più.

Vado in vacanza proprio oggi, quindi fuori città, e mi sarà impossibile continuare a postare lì dove vado. Immagino che un pò tutti saranno via, o sono già via per le ferie! E adesso tocca anche a me =D spero di non perdere nessuno dei miei già pochi lettori, perciò vi prego di avere pazienza. Dopo di questo, ho scritto dei cap mooooolto interessanti.... ;-)
Ringrazio Glance, Frufru123 e Eka, per le splendide rencensioni!
Glance e Frufru123, siete delle scrittrici piene d'inventiva =) ho letto i vostri lavori, e sono certa di poter lasciare degli apprezzamenti notevoli appena sarò tornata ^.^  Un bacione!
Gazy =^.^=

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Salve a Tutti!! Il mio ritardo è imperdonabile, lo so! Sarei tornata a postare molto prima se non avessi avuto dei problemi con il PC!!
Mi ha lasciata ed è andato anche lui in ferie dal tecnico!! Spero davvero di riuscire a recuperare. Per farmi perdonare ho allungato il cap ^.^ E vi dico che mi siete mancate! Cielo, stavo sotto l'ombrellone e pensavo: "Come la prenderanno quando leggeranno quello che ho intenzione di far succedere a Edward?" e "Rimarrano deluse quando scopriranno di Gabriel?" ecc ecc ecc! Mi è mancata anche questa storia... immagino che chiuderla sarà difficile, perchè ci sono ancora tante cose da valutare.... mhmm... vabbè, ora vi lascio al cap =) Buona lettura!!


(Lesson n.11): Coraggio è la definizione elegante della stupidità umana
Guardarlo mentre si aggirava per la mia stanza mi dava una stranissima sensazione.
Lui non era un ragazzo… era un uomo! E la mia, era la stanza di una banalissima adolescente. Ai miei occhi, era come cercare di mescolare acqua e olio. Il tutto era poi peggiorato dalla consapevolezza che non fosse umano… e che era stato il mio insegnate di biologia! La mia vita poteva essere più incasinata?
“Avrai molte domande da farmi” disse improvvisamente. Allora uscii dalle mie torbide riflessioni e mi scontrai con la severità del suo viso. Di colpo, mi resi conto che Edward non sorrideva più. Era come se, in quattro anni, avesse dimenticato la gioia delle sincere e spensierate risate. E questo mi mancava, perché il suo era un sorriso speciale, che incantava e toglieva il fiato.
“A cosa stai pensando?” mi chiese.
“A nulla” risposi. Fargli notare quanto fosse diventato triste, avrebbe riportato in vita il passato, quei tempi trascorsi insiemi a scambiarci parole felici. Ero sicura che questo avrebbe solo appesantito l’aria già abbastanza tesa della stanza.  
“Perché sei voluto venire? Ora più che mai ti vorrebbero a casa” mi affrettai a dire, soffocando così ogni sua possibile insistenza. Sapevo, infatti, che aveva riconosciuto la menzogna nelle mie parole.
“Volevo chiarire alcune cose con te.”
“Tipo?”
“Non sei curiosa di sapere il perché di tutti questi avvenimenti?”
Sembrava confuso, e anche parecchio spiazzato, come se si aspettasse da me tutt’altra reazione.
“Non ne sono del tutto sicura” dissi, con quanta onestà avevo.
Mi persi nella contemplazione del mio tappeto, mentre sentivo su di me lo sguardo opprimente di Edward. Era soffocante, troppo intenso e tanto profondo da farmi friggere nell’agitazione. Ero convinta  che, se avessi cercato di sfidare i suoi occhi, avrei ceduto e lui mi sarebbe entrato dentro.
Non volevo capisse quanto fossi sconvolta. Piuttosto, desideravo la mia stanza vuota e il mio letto freddo.
“Immischiarti in questi conflitti era il mio timore” mi confessò. Sentivo la sua voce vicina, così alzai lo sguardo. Era chino su di me, sorretto da un ginocchio fasciato da un aderente jeans chiaro, un braccio appoggiato sull’altra gamba, sorprendentemente muscolosa, costatai.
“Ho lasciato Froks e la mia famiglia per proteggerti. Speravo che, con me lontano, saresti riuscita a vivere una vita normale.”
Presi aria, riempiendo i polmoni fino a sollevare il petto, perché avevo trattenuto il fiato e sentivo la testa girarmi. Probabilmente avrei dovuto dire qualcosa… c’erano tante domande da fare. E c’era anche la rabbia, che avrei dovuto lasciar emergere senza indugi, per recriminarlo di tutte le lacrime versate. I discorsi immaginari fatti nella mia testa, nei quali gli gettavo addosso ogni sorta di cattiveria, divennero ad un tratto evanescenti. Eppure mi avevano intrattenuta per molto tempo.
Patetico. Era persino incapace di portargli rancore.
“Tornare è stato un errore” aggiunse.
COSA?
Sentii i muscoli della mia faccia solidificarsi in un’espressione di pietra. Mi alzai molto goffamente e molto disastrosamente, perché non avevo l’agilità di un vampiro e non m’importa un accidenti di fingere di possedere una qualità che non mi apparteneva. Ero furiosa.
“Vattene” dissi, con una tale freddezza da non riconoscermi.
Edward, ancora chinato, corrugò la fronte pur rimanendo rigido. Percepivo la tensione delle sue ampie spalle, nascoste sotto l’aderente maglietta di cotone nero.
“A cosa devo questo repentino cambio d’umore?” domandò. Nella sua voce era emersa una sottile impazienza, camuffata abilmente da una facciata d’indifferenza.
Inesorabile come un tempesta, il mio tono crebbe insieme alla rabbia.
“E me lo chiedi? Sei sempre pronto a rimpiangere le tue azioni! Pensavo che almeno su questo non avessi dubbi!”
“Se potessi vedere con i miei occhi, capiresti perché mi preoccupo tanto delle conseguenze” ribatté.
Sbuffai senza grazia e diedi libero sfogo all’amarezza. Questa si riverso come una cascata di acido sulla mia anima, mangiandone i bordi e lasciando buchi qua e là.
In realtà, mi sentivo ferita perché mi ero illusa che rivedermi fosse stata una cosa positiva per lui. Invece no. Non ero necessaria, non gli ero mancata. Questa consapevolezza fece sanguinare il mio cuore, facendomi sentire stupida per aver sperato. Ancora una volta, mi ero danneggiata con le mie stesse mani.  
“Tu… tu sei… sei uno stupido IDIOTA!”  gridai, in preda all’ira.
Ma quando lo guardai, mi pentii di aver lasciato uscire quelle parole.
Gli occhi di Edward si erano fatti di colpo più scuri, e ora apparivano spaventosi quanto un pozzo di cui non si conosce la profondità. Si mise dritto con una lentezza esasperante, come se volesse darmi il tempo di scappare. Tutto, dai pugni serrati ai muscoli contratti, mi gridava ‘scappa!’. Nonostante l’istinto impellente di indietreggiare, fui molto brava a fingermi coraggiosa, così costrinsi le miei gambe a rimanere immobili.
Contai i secondi e quando arrivai a trenta, smisi di contare. Lui rimaneva lì, a fissarmi con sguardo fosco, tanto vicino da poter sentire l’odore della sua pelle. Niente lasciava presupporre che fosse vivo: era una stata, una perfetta statua, priva di respiro e battito cardiaco. Era come se qualcuno avesse premuto un interruttore e l’avesse spento.
Quello che stava facendo, qualsiasi cosa fosse, non mi piaceva.  
“Adesso mi mangerai?” chiesi, per spezzare l’insopportabile silenzio.
Dal suo petto strisciò un brontolio raccapricciante, che parve assorbire l’aria della stanza per arrivare a solleticarmi lo stomaco. Mi si rizzarono tutti i peli del corpo a sentirlo.
“Ci stavo pensando” disse, la voce bassa e roca al punto giusto, talmente corposa da poterla imbottigliare. Il mio corpo reagii, reattivo come solo con lui sapeva essere, si sciolse in una poltiglia di sensazioni lussuriose. Il ventre si serrò in un crampo di doloroso piacere mentre il sangue pompava rapido nelle vene, con le guance che sfoggiavano sempre più intense tonalità di rosso. Tutta la rabbia provata sembrò mutare in combustibile, che alimentò come legna il fuoco della passione.
Ero in trappola. Prigioniera dei miei sentimenti.
“Non dovresti dire certe cose” sussurrai, destabilizzata e del tutto incoerente.
Edward alzò una mano, portandola piano al mio viso per toccare le punte dei miei corti capelli. Ne prese una ciocca tre le dita e la osservò con i suoi occhi neri, come le tenebre profonde, come il nulla, e al tempo stesso, l’assoluto.
“Cosa me lo impedisce?” chiese.
“La mia sanità mentale.”
Sul suo viso spuntò un ghigno oscuro, pieno di sottointesi.
“Questo taglio ti dona.”
“Non credevo l’avessi notato.”
“Oh, si, che l’ho notato” mormorò, con la voce pregna di brama e pensieri inespressi. Lasciò andare la ciocca castana per scendere con le dita sul mio collo, che accarezzò come se fosse un diamante di estimabile valore.
“Mette in risalto il tuo collo” dichiarò.
Quelle parole infransero qualcosa. Non so se fu per il tono con il quale erano state pronunciate, o per l’espressione che Edward aveva sfoggiato per accompagnarle, comunque la passione tramutò in un sentimento più torbido, ma non meno intenso: paura.
“Forse dovresti allontanarti” avvisai, la voce tremula.
Non ero un’ingenua: anche un bambino sa da dove un vampiro trae il proprio nutrimento! E niente mi assicurava che Edward non mi avrebbe mangiata in un sol boccone, come uno spuntino da consumare in fretta.  
“Hai paura” constatò “Finalmente una reazione sensata.”
“Non sono così sciocca.”
“No. Però lo sei abbastanza da insultare un vampiro potenzialmente pericoloso.”
“Già.”
Prese un respiro veloce, per poi fare qualche passo indietro senza perdermi di vista. Rimaneva rigido, come se stesse resistendo a una grande tentazione. Pregai che a tentarlo non fosse ‘solo’ il mio sangue, altrimenti mi sarei sentita patetica per il resto dei miei giorni.
“Così, sei venuto per soddisfare ogni mia curiosità?”
Di colpo tornò se stesso, sedendosi sul letto con una gamba piegata al petto e un sorriso sfacciato in volto. Bè, non proprio se stesso... ma la versione recente più maliziosa.
“Esatto. Soddisfare è una delle mie migliori prerogative” affermò sfacciato. Poi, vedendomi arrossire, aggiunse: “Chiedi pure.”
Mi sforzai di non osservarlo troppo allungo: era delizioso, con un braccio muscoloso piegato per trattene a sé la gamba e il mento poggiato sul ginocchio. Dopo un profondo sospiro, decisi di tornare a sedermi sul pavimento, perché stare con lui sul letto sarebbe stato come avere dinanzi una porzione doppia di torta gelato e non poterla assaggiare.
“Sarà una lunga notte” dissi, oramai rassegnata a rinunciare alle mie otto ore di sonno.
Dopo parecchio tempo e una varietà sterminata di domande, appresi tutto quello che c’era da sapere sul misterioso mondo soprannaturale. Le risposte pacate di Edward mi tranquillizzarono sul nutrimento che lui e la sua famiglia avevano scelto, pur non sapendo nascondere una certa nota nostalgica quando mi informò del fatto che non era sempre stato così per lui. A quanto pareva, aveva impiegato più tempo degli altri ad abituarsi alla dieta a base di animali. Questo aveva suscitato in me un sentimento nuovo, il quale intaccò irrimediabilmente la visione che mi ero costruita sul semplice professore di biologia. Per molto tempo, aveva ammesso, si era nutrito di sangue umano, ed per quello che i suoi occhi non era dorati come il resto della sua famiglia. Sarebbero sempre rimasti color caramello, a rammentargli le innumerevoli morti che per decenni aveva disseminato. Rimasi per metà sconvolta, mentre l’altra metà si sforzava di non trovare la cosa affascinante, perché è male considerare l’assassinio una nota di merito. Certo, non ero convinta che lo fosse, ma l’aria di profondo rimpianto da lui dimostrato, attenuava in un certo senso le sue colpe. Dopotutto, era un vampiro, mi dissi. Immaginai che fosse come astenersi dal mangiare dolciumi in un mondo fatto di cioccolata, cialde e caramello. Per me, sarebbe stato l’inferno.
Poi gli chiesi se la sua natura fosse molto simile a quella del famoso Conte Dracula, e lui mi rispose con una delle sue magnifiche risate, dicendomi poi che loro non avevano punti deboli come l’allergia all’aglio, alle croci o al sole. Erano molto meno vulnerabili.
Non dormivano: mi fece quasi pena quando mi informò di questa loro incapacità. E non mangiavano nient’altro che sangue animale. Poi arrivammo a quello che riconobbi subito come un campo minato, quando rivelò dei poteri extra che ciascuno di loro possedevano. Scoprii così della capacità di Alice, di Jasper e infine, anche del suo straordinario dono.
“Così, adesso sai esattamente cosa mi passa per la mente?” chiesi, non riuscendo a trattenere l’orrore al pensiero di quante cose inopportune avesse colto dal mio contorto cervello.
Ma lui non sfoderò un sorriso sfacciato come immaginavo avrebbe fatto, al contrario, mi fissò con una strana luce negli occhi.  
“No. Tu sei l’unica umana ad essere immune al mio potere” ammise. Al che, mi permisi un sospiro di sollievo. Era bello sapere di essere fortunata almeno in qualcosa.
“Questo mi ha causato dei problemi in passato, ma adesso mi sono quasi del tutto rassegnato” disse.
“Da cosa pensi sia dovuto?”
Esitò, azionando in maniera spontanea un allarme nella mia testa. C’era nella sua postura immota, nei suoi occhi sfuggenti, nelle sue labbra contratte, un nervosismo proprio di chi ha omesso deliberatamente molte informazioni. Quel cambiamento mi fece paura, tuttavia, sapevo che - qualsiasi cosa fosse - doveva essere importante.
“Edward? Cosa non mi stai dicendo?” domandai, odiando al contempo il tono ansioso della mia voce.
Passarono alcuni istanti di silenzio poi, proprio quando stavo riflettendo sulla possibilità di gettarmi su di lui per convincerlo a parlare, il rumore di ruote sul selciato annullò tutta la muta tensione.
Di fretta mi alzai per fiondarmi alla finestra. Così vidi Charlie scendere dalla macchina, sbattere con poca delicatezza la portiera, e dirigersi a passi strascicanti verso casa. Quando il tintinnio delle chiavi arrivò al mio orecchio, ebbi tutto il tempo di realizzare che erano le due di notte, e che c’era un uomo nella mia stanza.
“Merda!”
 “Non penso sia il caso che Charlie sappia della mia visita” riferì Edward, la voce pacata come se il padre della ragazza con la quale aveva passato le ultime due ore, non fosse rincasato.
“Devi nasconderti!” dissi. E le parole mi uscirono smorzate, perché un macigno mi era di colpo piombato nello stomaco. Lui invece si alzò con nonchalance dal mio letto, rivolgendomi un sorriso smagliante e tentatore.
“Non sarà necessario.”
“Che cosa?”
Riuscivo a sentire gli stivali di Charlie appesantire le scale, le quali scricchiolavano in un modo che mi fece contrarre l’addome e irritare le costole ancora convalescenti. Presto avrebbe aperto la porta per controllare che stessi dormendo! Ma Edward sembrava non rendersene conto. Avrei voluto gridargli di smetterla di essere tanto rilassato, quando sapeva che presto saremmo morti per mano di mio padre.
“Infilati nel letto” mi esortò tranquillo “Domani c’è scuola e tu hai già poche ore di sonno, a causa mia.”
Lo disse con malizia, lasciando intendere verità inesistenti, come se mi avesse tenuta sveglia in modi che trascendevano dal dialogo. Mentre arrossivo spudoratamente, mi si avvicinò fino a sfiorarmi con il suo corpo.
“Riesco ancora a farti arrossire. Vuol dire che ho una speranza” sussurrò al mio orecchio.
“Con quello che mi hai fatto, è una speranza molto piccola” risposi.
Mi studiò con uno sguardo determinato, traboccante di possesso. In un ristretto ed esiguo istante, ricordai le parole che aveva scagliato contro Gabriel quando la compagna, Charlotte, mi aveva aggredito. Parole violente, furiose, di chi protegge qualcosa di suo…   
…lui è qui fuori, ad accertarsi che la sua proprietà rimanga illesa. Aveva detto Gabriel.
Quel ricordo era come una resa, un vicolo cieco, un pozzo senza fondo.
“Non conta che sia piccola” disse Edward, prima di svanire nel nulla, come uno spaventoso sogno…
….oppure, un dolcissimo incubo.

Lo spogliatoio femminile era due volte più grande di quello maschile, contro ogni concetto della parità dei sessi. Le sue pareti erano imbrattate di scritte di ogni colore, che dichiaravano amori romantici a ragazzi dai soprannomi assurdi, con frasi dalla rima sdolcinata, accompagnate da stilizzati cuoricini. A guardarli, mi venne il volta stomaco…
“Cos’è quella faccia?” mi chiese Angela, mentre si sfilava la maglietta di Gatto Silvestro per indossare quella meno fantasiosa della divisa da ginnastica.
“Niente, è solo che…” esitai. Le diedi un’occhiata, occupatissima a slacciare i lacci delle mie Nike.
Come potevo aprirmi con lei, ora che sapevo che neppure i pensieri nelle loro menti erano al sicuro? Essere al corrente dell’esistenza di esseri soprannaturali mi stava rendendo paranoica. “…nulla”.
Meglio non rischiare.
“In questi giorni sei stata assente. C’è qualcosa che non va?”
“Oh, bè. Lo studio si sta facendo un po’ pesante, tutto qui.”
“Conserva le forze per il ballo! Non vorrai mancare all’evento più significativo dell’ultimo anno, vero?”
Esitai, perché avevo dimenticato una cosa così normale come il ballo della scuola. Dopo molto tempo, quello poteva essere il primo evento alla mia portata che non implicasse cose o persone bizzarre. Peccato che non fossi in vena di fare vita mondana! Forse erano stati gli ultimi avvenimenti a rovinarmi il desiderio di socializzare, oppure, molto più probabile, il pensiero di dovermi procurare un accompagnatore mi spaventava a morte. Sapevo infatti, che sarei dovuta andare in contro a mille problemi allacciati ad un certo professore di biologia che credeva io fossi una sua proprietà. Questa sua arroganza mi irritava come poche cose potevano fare e il solo pensiero risvegliava in me un bisogno spasmodico di distruzione. Avrei voluto prendere un qualunque individuo di sesso maschile e uscirci insieme solo per fargli dispetto, tuttavia venivo frenata dal pensiero che, non essendo umano, Edward non avrebbe avuto una reazione umana. Cosa avrebbe fatto a me o al mio accompagnatore? La risposta formulata dal mio cervello era terribile, tanto che presi in fretta una drastica decisione.
“In realtà, io non vengo al ballo Angela.”
“Non dirai sul serio?”
Persi tempo a sfilarmi la maglietta e a ripiegarla con insolita cura sulla panchina, perché sapevo che presto avrei dovuto mentire, ma non sapevo ancora come e in che modo.
“Bella, il ballo dell’ultimo anno sarà un bel ricordo per quando saremo adulte” mi disse, cercando di risultare il più convincente possibile.
“Lo so, ma ho davvero un grosso impegno quel giorno. Non posso rimandarlo.”
Sentivo che era sul punto di insistere, così mi infilai a tempo di record la maglietta e uscii fuori dallo spogliatoio. Prima di uscire avevo colto poche parole, non abbastanza per farmi sentire né tentata né in colpa. Ero salva, pensai sospirando. Poi una risata densa come caramello fuso mi si rovesciò addossò, e allora smisi di sentirmi al sicuro.
“Gabriel” dissi, a mo’di saluto.
Lui, splendido con indosso un semplice jeans chiaro e una camicia candida al pari della sua pelle, mi fece un inchino d’altri tempi, troppo antico per la nostra epoca.
“Mi rincresce tanto che questo impegno sia d’intralcio” confessò, un sorriso impeccabile in volto.
“Come fai a saperlo?”
“I muri di questo spogliatoio sono molto sottili…” rivolse un’occhiata alla parete, osservandola con un’intensità tale da farmi pensare che potesse vedervi attraverso “… e il mio udito è davvero tanto sensibile, petite”.
“Hai origliato!”
“Oh, io non userei quella brutta parola! E’ terribilmente rozza!”
Non me la raccontava giusta. Era evidente che le sue orecchie potevano arrivare oltre i muri e chissà quanti chilometri lontano! Una consapevolezza inquietante. Ma ero sicura: la sua presenza non era accidentale…
“Che ci fai qui?”
Non badai alla risposta elegante che mi diede, ma mi guardai attorno con fare cospiratore, trovando una decina di occhi a fissarci con spudorato interesse. Si erano già formati dei gruppetti impegnati a confabulare. Cielo! Come era avida di pettegolezzi quella scuola!
“Andiamo” dissi. Sfrecciai lontano dalla palestra e lo afferrai per un lembo della camicia. Fu un gesto sconsiderato, perché non avrei dovuto stargli tanto vicino, tuttavia lui reagì come qualsiasi essere umano, seguendomi docile con un sorriso birichino.
Quando uscimmo, mi ritrovai in balia della bassa temperatura e di un vento gelido che mi congelò le gambe nude. Mai come in quel momento, odiai gli striminziti pantaloncini della divisa da ginnastica.
“Non avrei immaginato che questi stracci potessero donarti, ma cerise”.
“E’ un complimento?”
Il mondo con cui mi studiò, mi fece intendere tutto il suo apprezzamento per l’antipatica divisa. Il suo sguardo sul mio corpo mi diede una sensazione palpabile, come se fosse una carezza, mi fece arrossire. Era quasi osceno. Nessuno avrebbe mai dovuto guardare una ragazza in quel modo ed uscirne poi impunito.
Mi schiarii la voce, la pelle surriscaldata non percepiva più alcun freddo.
“La tua reazione mi fa capire quanto poco sei avvezza hai complimenti. Il tuo padrone non ti vizia così come avrei fatto io?”
“Io non ho nessun padrone, Gabriel.”
“Sai petite, che sto di fatto infrangendo un’importante regola stando qui con te?”
 Certo che lo sapevo. Edward gli aveva praticamente vietato di avvicinarsi a me. Ma non avrei permesso al Signorino-Io-Sono-La-Legge di comandare sulla mia vita!
“Non esiste nessuna regola! Io sono libera di starti vicino come e quando voglio!” affermai, colta da un violento moto di stizza. Lui ne fu soddisfatto in un modo molto evidente, che lasciò balenare per alcuni secondi la sua bianca dentatura. Furono davvero pochi istanti, però sufficienti a farmi prendere coscienza su chi mi stesse di fronte. Era la prima volta, realizzai, che parlavo con lui pienamente consapevole della sua natura.
“Adesso so tutto Gabriel” dissi, pur non essendo sicura del motivo per il quale l’avevo informato di una cosa tanto importante. Si sarebbe incazzato, sapendo che la sua costruita immagine da innocuo ragazzo straniero, con me non serviva più a nulla?
“Edward mi ha detto cosa siete.”
Rimase impassibile. Una muta maschera inespressiva in volto. Meno di quanto mi fossi aspettata.
“Non dici niente?”
“Ero venuto con l’intento di invitarti al ballo, ma cerise, ma ora mi vedo costretto a rivalutare i miei piani.”
“E questo cosa significa?”
D’improvviso mi sentii stupida per aver parlato e per averli concesso tanta fiducia da allontanarmi con lui da sola. Il campo da corsa che circondava la palestra era deserto, l’edificio successivo era distante molti metri, i miei compagni non si sarebbero accorti della mia assenza fino allo scoccare dell’ora successiva, in altre parole… ero spacciata.
Gabriel mi si avvicinò, quasi ancheggiando come un ballerino. Ma forse il paragone con il ballerino non era calzante, perché quello non rendeva l’idea di quanto tremendamente pericoloso si mostrava in quel momento. Quando fu vicino tanto da darmi la possibilità di affogare nel suo odore, mi sfiorò la guancia con il dorso di una mano, parlandomi in tono sommesso mentre io ero incapace di muovermi.
“Ora che ho saputo che hai un impegno insormontabile, permettimi di chiederti se posso accompagnarti dovunque tu voglia”.
Rimasi interdetta, perché avevo immaginato che avrebbe cacciato parole minacciose col fine di spaventarmi a morte. Invece, era come se non gli avessi detto che sapevo della sua natura di vampiro. Oppure, come se non gli importasse.
“Sbaglio, o tu hai una compagna?”
Inclinando la testa, non ebbe neppure la decenza di mostrarsi imbarazzato.
“Certamente petite, ma questo cosa centra con il mio desiderio di starti vicino venerdì?”
Bene, mi trovavo davanti al tipico esemplare di maschio bastardo, di quelli che ti fanno girare la testa solo per il loro modo accattivante di vedere le cose, però non riuscii a dimostrarmi entusiasta come avrei dovuto. Probabilmente ero immune a quel tipo di attrazione. Buon per me.
“Mi dispiace Gabriel. Ma non ci tengo a essere di nuovo sbattuta contro una parete dalla tua ragazza, soprattutto quando sono ancora convalescente dal nostro unico e indimenticabile incontro.”
Solo il ricordo di quanto forte fosse stata la botta che mi aveva inflitto, mi fece venire i brividi. Se ci tenevo alla vita - e ci tenevo - avrei fatto di tutto per tenerla buona, perciò questo implicava una cosa essenziale come ‘non uscire con il suo uomo’.  
“Oh, ma Charlotte sarà molto saggiamente all’oscuro di tutto, ma cerise”.
Nel pronunciare le ultime parole, si era chinato sino a soffiarmi sulle labbra. Il suo fiato sapeva di buono, un miscuglio dolce e al tempo stesso piccante.
“Dovresti allontanarti.”
“Perché?”
“Qualcuno potrebbe vederci e fraintendere.”
“Non vedo dove sia il problema, petite.”
Era un bastardo molto insistente, ovvio. Purtroppo – o per fortuna - non avevo mai avuto a che fare con quella razza di maschio, così mi trovai disarmata di fronte al suo assalto. Con Edward era sempre stato diverso: gestire lui e sui sbalzi d’umore mi usciva facile, quasi naturale. Ma quello che Gabriel stava facendo, andava ben oltre le mie capacità. Allora decisi di agire d’astuzia, poiché era l’unica strada e perché il corpo di Gabriel era sempre più vicino al mio.
“Gabriel, se dovesse vederci Edward, cosa pensi succederebbe?”
Lui sembrò esitare per qualche istante, tuttavia rimase dov’era, senza allontanarsi.
“Hai detto che non esiste alcuna regola, che sei libera.”
“E’ così infatti!”
“E allora perché ti preoccupi di quello che potrebbe fare Cullen” disse, con una buona dose di veleno nella voce.
Toccò a me esitare. Mi corrucciai, ragionando veloce per trovare in fretta una risposta.
Sentivo la mano di Gabriel sfiorarmi il fianco, mentre l’altra giocava con un ciuffo dei miei capelli, e sapevo che non si sarebbe fatto molti scrupoli a pressarmi contro la parete da un momento all’altro.
“Mi preoccupo perché altrimenti finireste per battervi dinanzi ad un istituto zeppo di ragazzi ficca naso! Ci tieni alla tua copertura, vero?”
Bingo. La sua espressione mi fece capire che l’avevo colto nel vivo, quindi non mi sorpresi affatto quando lo vidi indietreggiare. Mi permisi così un sospiro di sollievo - anche se i giochi erano ancora aperti - sotto il suo sguardo fisso, gli occhi stretti e le labbra serrate. Era chiaro che il fatto che avessi ragione lo irritava profondamente.
“Perché sei così interessato a me?”
Invece di rispondermi, scoppiò in una risata molto incoerente.
“E’ evidente, che il tuo Edward non ti ha riferito tutto, ma cerise” disse, tra le risa.
“Scommetto la mia eternità che gli manca il fegato di farlo!”
“Cosa avrebbe dovuto dirmi?”
Ci fu un teso silenzio, spezzato in breve dal suono della campanella. Sporgendomi per vedere oltre i vetri della porta, notai uno stormo di ragazze, tra le quali Angela e altre mie compagne. Si stavano dirigendo verso gli spogliatoi, dove avrebbero di certo notato la mia assenza. Fantastico…
“Non voglio rubarti altro tempo. Vai, mio piccolo bocciolo di rosa.”
Bocciolo di rosa!? Doveva essere un vampiro davvero molto vecchio, per pensare che una donna moderna gradisse ancora essere chiamata con appellativi tanto stupidi!
“No. Voglio prima che tu mi dica cosa sta succedendo! Sembrate tutti interessati a starmi attorno e voglio sapere per quale motivo.”
“C’è forse qualcun altro, oltre a me, che richiede le tue attenzioni, ma cerise?”
Il tono serio della sua voce mi fece pensare subito alle devastanti conseguenze che sarebbero nate, con ogni probabilità, se non avessi trattenuto la mia linguaccia. Potevo solo far finta di aver sbagliato a parlare, perché non volevo sapesse che giorni prima mi ero scontrata con un gruppo di mutaforma.
“Non tergiversare, Gabriel.”
Sulle sue labbra spuntò un ghigno subdolo, che morì dopo pochi istanti, lasciandogli una fredda maschera di nulla in volto. Era la prima volta che vedevo un viso del tutto privo di espressione. Era come se ogni traccia di vita fosse stata cancellata da un’inaspettata morte, che tuttavia lo manteneva reattivo e, in qualche modo, respirante.  
“Permettimi di accompagnarti venerdì, allora io sarò disposto a rispondere a tutte le tue domande.”
“Questo è un ricatto bello e buono.”
“Esatto, ma cerise. Lieto che tu te sia accorta.”
“E’ schifosamente sleale da parte tua!”
“Noi vampiri siamo così, non possiamo farne almeno” disse, allargando le braccia in modo elegante e al tempo stesso teatrale. Mi sforzai di non curarmi di vedere se qualcuno l’avesse sentito, terrorizzata che la parola ‘vampiro’ fosse penetrata attraverso i muri per arrivare agli orecchi dei miei compagni. Sarebbe stato un disastro, però sapevo quanto Gabriel confidasse nella sua copertura, quindi era ovvio che fosse tutto frutto della mia paranoia. Sperai non peggiorasse, altrimenti avrei stressato me stessa per molti anni avvenire.
“E poi, sono sicuro che non rinuncerai alla possibilità di sapere quello che il tuo amato ti ha deliberatamente omesso” aggiunse, un sorriso perfido quanto quello del serpente che tentò Eva.
Il problema era… che aveva ragione.
Rifiutare la sua offerta era impossibile per me, perché ero davvero convinta che Edward non mi avrebbe mai detto tutta la verità. Ero avida di risposte, e se sapere significava uscire con un vampiro affascinante e pericoloso quanto un coccodrillo affamato, allora ero disposta a correre il rischio.   
D’altronde, quale interesse avrebbe tratto dalla mia morte? Pregai che non ne trovasse neppure uno, quando risposi: “Ok. Passa a prendermi alle otto.”
Intravidi appena il suo sorriso di trionfo prima di entrare, consapevole di star precipitando nella fossa dei leoni, non per via di una spinata ma, semplicemente, saltando.  

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***



(Lesson n.12): L’amore è un sentimento informe dall’inquietante imprevedibilità  
“No Angela, ho solo bisogno di un paio di scarpe, tutto qui”.
Avevo sempre ignorato quanto Angela potesse essere insistente. Era una facciata di lei che emergeva con tale saltuarietà, da farti pensare che non comprendesse appieno il significato di quella parola. Ma sbagliavo, ovvio.
“Si, magari possiamo passare anche per quel negozio, se proprio ci tieni”.
La sua voce sembrò entusiasta, e anche se non potevo vederla, sapevo che stava stritolando il telefono per l’eccitazione. Sorrisi, ascoltandola con una parte del mio cervello, mentre l’altra era impegnata a guidare.
“Oh, certo. Allora ci vediamo domani”.
Se Charlie mi avesse visto con il cellulare nella mano sinistra e il manubrio nella destra, avrei dovuto sognare l’aria fresca per il resto dei miei giorni, rinchiusa nella mia stanza a tempo indeterminato. Perciò, non appena intravidi il portico di casa, chiusi la conversazione con un ‘ci sentiamo’ frettoloso, sapendo bene di poterlo fare solo perché Angela non era il tipo da offendersi per così poco.
Dopo aver parcheggiato, scesi, chiusi lo sportello e quindi mi avviai alla porta. Ma, quando qualcosa fece muovere i cespugli sulla mia destra, mi fermai. Non ebbi il tempo di avere paura, che un cane mi sbucò davanti, fissandomi con i suoi espressivi occhi marroni.
“E tu che ci fai qui?” gli domandi, pur sapendo che non mi avrebbe di certo risposto.
Ne sapevo abbastanza di cani da classificarlo come un pastore svizzero, perché il muso allungato e stretto e le orecchie erette non lasciavano dubbi. Però il pelo era di un insolito color rame e la stazza era leggermente più grande di quella che sarebbe dovuta essere. Forse era un meticcio!
“Sei proprio bello, lo sai?!”
Gli sorrisi e lui reagì inclinando il testone per guardarmi curioso. Avevo sempre desiderato avere un cane, ma Charlie aveva una simpatia per gli animali che si poteva equiparare al piacere di essere pizzicati da una medusa. Così mi alzai dalla mia posizione accucciata e raggiunsi il portico sotto il suo animalesco sguardo attento.
“Bella?”
La voce di mio padre mi chiamò dalla cucina. Era convinta che non l’avrei visto prima di quella sera, così come accadeva da oltre un mese oramai.
“Papà! Che ci fai qui?” chiesi, affrettandomi a raggiungerlo. Quando varcai lo stretto arco che divideva il corridoio dal soggiorno, mi bloccai paralizzata. Mio padre stava in piedi, con la caraffa del tè tra le mani e un sorriso conciliante, rivolto all’individuo seduto al tavolo di casa mia come se fosse un vecchio e intimo amico di famiglia.
“Avevo dimenticato di lasciarti le chiavi, così sono rientrato” disse, mentre versava il tè in una delle graziose tazzine per gli ospiti. “Poi ho trovato lui che ti aspettava fuori dalla porta. Ti ricordi di Edward Cullen, vero?!”
Il Lui in questione mi rivolse un ghigno spudorato, divertito dalla mia faccia sconvolta.
“Certo che si ricorda, sceriffo Swan. Isabella era la migliore del mio corso” disse, la voce ammaliante e la postura fiera.
Ci misi qualche secondo per riavviare il cervello e capire che mio padre non poteva sapere tutti i retroscena della mia vita. Quindi era ovvio che trattasse Edward come se fosse una conoscenza gradita e lontana. Naturalmente, questo lui l’avevo calcolato. Decisi di stare al suo gioco, quindi sfoderai il migliore dei miei sorrisi di circostanza.
“Oh, certo! La biologia non è stata più la stessa da quando ha lasciato l’istituto… e la città”.
“Immagino sia stato un brutto colpo, si” acconsentì.
“Cosa preferisci nel tè, Edward?” chiese mio padre, intanto sedevo di fronte al mio infido ex professore di biologia. Indossava un maglioncino grigio con lo scollo a vu, abbinato a un paio di jeans dalla tonalità scura. Sembrava in tutto e per tutto una persona normale, fatta eccezione per la sua squisita bellezza, però io sapevo che non poteva gustare il tè offerto da mio padre, né tanto meno i biscottini al limone che gli stavano davanti.
“Si professor Cullen, cosa gradisce nel suo tè?” lo provocai, ammiccando con un sopracciglio.
“Un po’ di latte mi farebbe molto piacere” rispose, convincente quanto un truffatore di professione.
Feci per alzarmi, ma Charlie mi fermò con un cenno. “Stai lì Bells, faccio io” disse.
Nell’istante in cui si girò per aprire la dispensa, Edward sfoderò il suo sorriso sghembo con l’intento di contrastare il mio profondo cipiglio. Dopodiché, la zuccheriera che mi stava vicino, proprio a portata di mano, svanì per ricomparire vicino a lui. Anche la tazza si era spostata, e un cucchiaino era come d’incanto apparso tra le sue dita, che lo muovevano con eleganza in pigri e lenti cerchi.
“Cazzo” mi sfuggì.
Con la bocca spalancata, e gli occhi altrettanto, fissavo il suo volto indifferente senza credere che avesse appena usato la super velocità di vampiro nella mia cucina, con Charlie presente.
“Cosa hai detto Bella?” domandò mio padre.
“Niente!” risposi, sforzandomi di apparire meno nervosa di quanto mi sentissi.
“Sua figlia mi stava appunto esprimendo tutta la sua sorpresa. Non si aspettava di rivedermi dopo così tanto tempo” intervenne Edward. La voce compassata mi ricordò i tempi in cui ero sua allieva, una ragazzina sognante che fantasticava sui suoi profondi occhi e le labbra invitanti.
“Certo certo. E dimmi, come ti sei mantenuto in questi… quanti anni?”
“Quattro” risposi io per lui. Il che mi fece guadagnare un’occhiata da parte di entrambi.
“Ho insegnato in un prestigioso College dell’Alaska”.
“Immagino sia stata un’ottima esperienza per il tuo curriculum” affermò mio padre, dopo aver posato la bottiglia del latte sul tavolo. Edward non lo sfiorò neppure, però questo particolare passò inosservato agli occhi di Charlie.
“Certamente. Ma la fama non mi ha impedito di raggiungere la mia famiglia”.
“Oh, questo è davvero dolce da parte tua” dissi, sarcastica fino all’ultima sillaba.
Ci scrutammo per alcuni istanti, io indispettita, lui rigido e freddo come iceberg scolpito.
“Già” mormorò infine.
“Bene. Mi dispiace Edward, ma devo proprio scappare. La centrale è in fermento da un paio di mesi e io non posso trascurarla per nulla al mondo!”
“Non si scusi, sceriffo. E’ sempre un piacere vedere un uomo che ama il suo mestiere” rispose Edward, al culmine della galanteria. Sapeva come prendere mio padre e non si fece alcuno scrupolo a dimostrarmelo. Infatti Charlie sorrise gongolante, alzandosi la cinta sul panciotto come faceva sempre quando era compiaciuto.
“Bene, ti lascio in buone mani Bells! Di sicuro avrete molte cose da raccontarvi”.
Mi morsi la lingua per non rispondere, e nel frattempo li vidi scambiarsi una stretta di mano grondante di rispetto e ammirazione. Ed ecco il figlio che tutti avrebbero voluto: Edward Cullen! Bello, affascinante, intelligente, di successo, professore laureto in medicina e… vediamo…ah si! Ho accennato che è un vampiro?
‘Ci vediamo questa sera’ furono le ultime parole che mi rivolse mio padre, prima di scomparire dietro la porta d’ingresso. Allora realizzai di trovarmi sola con il mio miglior incubo, e di essere fin troppo entusiasta della cosa.
“Allora…” iniziai “… quindi hai davvero lavorato in Alaska?”
Lui sorrise, spingendo verso di me la tazzina di tè con due dita.
“Credevo che questa roba non ti interessasse” dissi.
“La finzione è tutto, Bella”.
In effetti, non doveva essere la prima volta che fingeva di poter mangiare e bere come un comune essere umano. Nella sua lunga vita di vampiro doveva aver fatto molto peggio per convincere la gente. Nonostante questo aspetto della sua personalità mi incuriosisse tanto da fornirmi un principio d’insonnia, non potei fare almeno di chiedermi il motivo di tutta quella falsa. Stavo proprio per domandarglielo, quando mi venne in mente il discorso avuto con un certo vampiro francese, qualche ora prima. Allora capii perché era venuto.  
“Ti sei fiondato a casa mia per farmi la ramanzina, vero?” sbottai indispettita.
Ma l’espressione sorpresa di Edward non era in assoluto quello che mi aspettavo.
“Ramanzina? Perché pensi questo?”
Ops…
E io che mi ero convinta che i suoi poteri lo rendessero, in qualche modo, onnisciente!
“Oh, riguardo a quegli esercizi non svolti. Pensavo che il professor Truman te ne avesse parlato!” mentii con una spudoratezza immane.
Il suo folto e rossiccio sopraciglio si sollevò scettico, mentre congiungeva le mani sotto il mento. Aveva delle mani bellissime, con dita lunghe dalle unghie curate. Ma l’invitante fascino delle sue falangi non centrava un fico secco con quello che stava accadendo, perciò mi sforzai di guardalo in viso… benché, ammisi, fosse un mero miglioramento.
“E tu credi che io sia venuto fin qui con l’intento di rimproverati come un padre per degli esercizi che non hai svolto?” domandò.
Chiesta così, la cosa pareva davvero paradossale, tuttavia dissi: “Si” convinta.
“Mhmm” fece lui, riuscendo a rivoltare il mio stomaco con quel suono gutturale e sexy in un modo devastante per i miei ormoni.     
“Bella, quante volte ti ho esortato a non mentirmi?”
“Molte, credo”.
“E molte, sono ancora insufficiente per te?”
Ispirai profondamente, perché il suo sguardo, unito al tono sommesso della sua voce, mi stavano confondendo al punto tale da perdere ogni cognizione. Ero sicura che fosse una sorta di influenza mentale. Insomma, la semplice persuasione non arriva a farti desiderare di dire tutta la verità e nient’altro che la verità alla stessa persona che ti ucciderebbe se la sapesse, giusto?! La risposta datami dal mio iperattivo cervello fu abbastanza spaventosa da farmi scattare dritta in piedi. Lui era un vampiro! Cosa mi faceva pensare che non fosse capace di incantarmi con qualche strano abracadabra?
“E’ meglio che tu vada Edward” dissi, poiché sentii quelle parole le uniche appropriate da dire.
Lui mi guardò da sotto le sue scure ciglia, serio e ancora con le dita intrecciate all’altezza del torace. Mancava solo la gamba accavallata, e sarebbe sembrato uno psicologo intento ad analizzare ogni oscuro anfratto della mia mente. Poi si spostò, tanto rapido da farmi percepire solo un lieve spostamento d’aria. Un momento prima era seduto, e un momento dopo era accanto a me, imponente, fiero, spaventoso. L’emblema personificata della virilità.
“Cosa mi tieni nascosto, Bella?” parlò, roco e tremendamente minaccioso.
Feci due tentativi, al terzo riuscì a dire: “Assolutamente nulla”.
In quel momento fui fiera di me stessa e di qualsiasi cosa mi garantisse di tenere Edward fuori dalla mia mente. Era un sollievo sapere che ci fosse qualcuno che potesse tenere testa ai suoi poteri.
“Stai mentendo! E questo preannuncia guai”.
“Anche se fosse, non sono affaracci tuoi!”
Non avevamo proprio gridando, ma i toni erano stati comunque alti.
Avremmo continuato per molto, se il guaito acuto di un cane non avesse squarciato l’aria di colpo.
Ricordai allora il bellissimo pastore rossiccio e spaventata mi chiesi cosa gli fosse capitato. Allora mi fiondai fuori, preceduta dalla soprannaturale rapidità di Edward. Appena usciti sul portico, il cane iniziò a ringhiarci contro. Si era avvicinato di qualche metro, perciò con un salto avrebbe potuto balzarci addosso senza problemi.
“Caspita, che denti lunghi che hai!”
Era proprio così: il muso arricciato mostrava due file di denti aguzzi, e più lunghi di quanto avessi immaginato qualche minuto prima, quando mi ero avvicinata a lui per cercare di elargirgli una carezza. Se avesse voluto, avrebbe potuto azzannarmi la mano e farmi molto, molto, molto male.
Tuttavia, non era impressionata. Forse perché recentemente avevo visto dei cani più grossi e più spaventosi di quello, o magari per via del vampiro che mi stava affianco, non saprei.
“Edward?”  lo chiamai circospetta.
Mentre i ringhi del pastore si facevano sempre più ruvidi, il corpo di Edward si era incurvato, ponendosi come una molla pronta a scattare. Il suo labbro superiore si era d’improvviso assottigliato per sfoggiare denti in apparenza normali, ma affilati alla pari della lama di un bisturi.
“Edward!”
“Stanne fuori Bella” intimò.
“Stai pensando di attaccare quel povero cane! Come posso starne fuori?”
Si voltò a scrutarmi con occhi assottigliati da pensieri che preferivo rimanessero tali. Di sicuro stava riflettendo su qualcosa, e conoscere la natura di quel qualcosa mi avrebbe solo peggiorato l’esistenza, ne ero certa.
“Quel… cane, ti è amico?” chiese.
Riflettei per alcuni secondi sulla domanda. Non avrei mentito, poiché pochi istanti mi erano bastati per giudicare simpatici gli occhi intelligenti di quell’animale.
“Si. Perciò non voglio che tu gli faccia del male, è chiaro?”
Come una marionetta tornò dritto, saltando le fasi intermedi che solitamente ti permettono di capire che una persona si sta muovendo. Sarebbe dovuto passare del tempo prima che me ne facessi una ragione, e poi, magari, anche l’abitudine.
Piano anche i ringhi del cane si chetarono, fino a quando solo dal suo sguardo marrone trasparì una chiara minaccia. Era lo sguardo più espressivo che avessi mai visto su un animale.
“Per questa volta ti sei salvato, sacco di pulci” borbottò Edward.
“Cos’hai contro i cani? Tutti i vampiri nutrono questa antipatia nei loro confronti?”
“Se sapessi, non saresti così protettiva verso di lui”.
Ecco che partiva con le sue frasi dal significato ermetico! La sua strabiliante capacità di usare in quel modo le parole era d’ammirare, però era anche la cosa più snervante che potesse riservarmi in momenti come quelli. Sbruffando, entrai di nuovo in casa, senza curarmi di incitarlo a seguirmi. Lo fece sicuramente, ma comunque non sentii né percepii alcun spostamento. Agiva silenzioso come un’ombra, facendomi rimpiangere i tempi in cui si sforzava di sembrare umano.
“Ancora non mi hai detto perché sei qui” dissi, una volta arrivata nella mia stanza. Nonostante avessi fortemente bisogno di una doccia e di cambiarmi, dovevo fingermi impegnata in qualche altra faccenda finché c’era lui. Così aprii l’armadio e cominciai a cercare i vestiti più adatti per l’uscita con Angela.
“Noto una vena di ostilità nella tua voce. Le mie erano intenzioni nobili”.
Con una gonna nera di jeans in mano, mi girai per guardarlo con la migliore delle mie espressioni scettiche. Alla quale lui rispose con il solito sorriso sghembo. Era come l’arma preferita di un serial killer, veloce ed efficace.
“Mi piace molto quella gonna” aggiunse poi. Quindi la scartai subito, gettandola di nuovo nell’armadio.
“Arriva al punto, per favore. Non posso farmi una doccia se non te ne vai”.
“Se credi che possa disturbarmi la vista del tuo corpo nudo e bagnato, bè, allora…” fece una pausa d’effetto, che sfruttò per attaccarsi alla mia schiena, per poi afferrarmi i fianchi con le sue grandi mani. “…sappi che non mi dispiacerebbe, affatto” concluse, con voce bassa al mio orecchio.  
Fui costretta ad inghiottire a vuoto, prendere lentamente fiato, e nascondere il brivido di piacere che mi squassò le viscere. La nitida percezione del suo bacino pressato contro il mio fondoschiena uccideva tutti i pensieri razionali presenti nella mia testa. Quello non era nulla che il vecchio Edward avrebbe fatto. Chi era quel diavolo tentatore che quasi mi si stava strusciando addosso?
“Tutte queste libertà non te le saresti prese, quattro anni fa” dissi.
“Quattro anni fa eri ancora troppo piccola” rispose, schietto e diretto quanto uno schiaffo in piena faccia. Mi circondò la vita con braccio, e strinse tanto che potei gustare la squisita sensazione dei suoi solidi pettorali schiacciati contro le mie spalle. L’altro braccio strisciò sul mio stomaco, appena sotto i seni.
“Ora sei del tutto donna” mi sussurrò, soffiandomi tra i capelli.
Mi concessi di tenere gli occhi chiusi per una manciata di secondi, perché ogni molecola del mio corpo era incitata a saltargli in braccio da un devastante scoppio di cupidigia. Non potevo cedere solo per quel contatto e per le parole che l’avevano accompagnato, seppur sensuali come il peccato. Dovevo conservare quel poco di dignità che avevo così faticosamente costruito in quegli anni. Mi ero ripromessa di non cadere mai più ferita per mano di un uomo, e così sarebbe stato.
Lo so, è difficile essere coerenti.
Perciò mi feci forza e mi voltai nell’abbraccio; i suoi occhi bronzei scintillanti di brama furono un’altra dura prova per il mio autocontrollo, ma non bastarono a darmi la certezza che sarebbe rimasto, che non sarebbe più scappato via dalla mia vita.     
“Non puoi chiedermi nulla Edward. Ti ho già offerto la mia anima una volta”.
“Credi davvero che per me sia stato facile rifiutarla?”
“No, però hai detto tu stesso che tornare è stato un errore. Domani potresti non esserci più, e io dovrei ricominciare tutto da capo”.
Soddisfatta, osservai la realtà delle mie parole nel suo sguardo. Con la mascella serrata si avvicinò al mio viso, trattenuto da una mano posata delicatamente sulla guancia. Quando arrivò a sfiorarmi le labbra con le sue, fredde e profumate di lui, disse:
“Lo prometto, userò ogni singola ora della mia eternità per conquistare di nuovo la tua fiducia”.
“Puoi provarci, ma non ti renderò le cose facili”.
Tornato il ghigno sulle labbra, compresi quanto sarebbe stato difficile resistergli.
“La mia caccia migliore è sempre stata quella ardua” affermò.
Si, ero la preda. E il mio cacciatore era l’angelo dannato tra le cui ali nessuno avrebbe rifiutato di morire. La domanda era… sarei riuscita comunque a sfuggirgli?



Nota dell'autrice: Prima di tutto ringrazio Glance, eka e feffira per i commenti ^.^ Poi volevo chiedervi: cosa ne pensate del nuovo Edward? troppo aggressivo? Perchè oggi mi sono resa conto che si discosta tantissimo dall'originale, ma è così come l'ho sempre voluto! E voi? A voi piace l'Edward aggressivo? Ditemi ditemi!! =D E sappiate che nei capitoli successi andrà peggiorando! Ho in mente grandi cose per Bella =D hihihi XD

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


 Nota dell'autrice: Siamo arrivati al momento cruciale della storia!! Questa è una scena che potrebbe intaccare la sensibilità di alcune lettrici ( o lettori?), con accenni di sesso non esattamente consensuale. Perciò attenzione!!

Ora, RISPOSTE ALLE RECENSIONI:
Recensione di eka, fatta il 13/08/2009 - 04:01PM sul capitolo 13: Capitolo 12 - Firmata
E' proprio vero, addolcirlo adesso sarebbe inutile! Vabbè, il fatto che tu lo definisca 'arrapante' mi rincuora tantissimo ^.^
Recensione di bigia, fatta il 13/08/2009 - 09:15AM sul capitolo 13: Capitolo 12 - Firmata
sono contenta che tu mi abbia trovata!! ^.^  Una nuova lettrice è sempre la ben venuta!! =)
Recensione di pinkgirl, fatta il 12/08/2009 - 11:40PM sul capitolo 13: Capitolo 12 - Firmata
Cara Jessica, dovresti dirmi cosa intendi per cose 'sprovvedute', così mi regolo di conseguenza ^.^ Cmq spero anch'io che Edward non ne faccia! Perchè credimi, a volte il suo personaggio agisce per conto suo!!
Recensione di gio_lesa, fatta il 12/08/2009 - 01:54PM sul capitolo 13: Capitolo 12 - Firmata
Anche per me è fantastico! Ho sempre pensato che l'Edward originale mancasse proprio di aggressività!! 
Recensione di lisa76, fatta il 12/08/2009 - 11:00AM sul capitolo 13: Capitolo 12 - Firmata
Grazie Lisa ^.^ Mi fa piacere che la mia trovata sia così ben vista!! 

 

 

 

 

 




 
(Lesson n.13): L’incoscienza è la forma più pericolosa della stupidità
Edward era uscito dalla mia stanza da pochi minuti - scoccando uno sguardo assassino al cane rossiccio prima di salire sulla sua Aston e sgommare via - quando ebbi il piacere di ricevere un’altra visita firmata Cullen. Ero in procinto di sgusciar via dai mie vestiti e saltare nella doccia, ma il viso elfico di Alice sbucò dalla piccola finestrella del bagno, tanto improvvisamente da farmi scivolare sulle lucide mattonelle avorio. Non so quante imprecazioni avrei voluto lanciare in quel momento, tutto sommato compensai con gemiti sofferenti, perché avevo sempre preferito trattenermi sulle ingiurie.
“Bella? Tutto bene?” chiese Alice, con la sua voce sottile. Voltandomi, la vidi accucciata al mio fianco, pur non avendola né vista né sentita entrare.   
Mugugnai un ‘si’ lamentoso e mi feci aiutare ad alzarmi, mentre pensavo a quanto lunga stava diventando quella giornata. Di sorprese ne ero stufa. Quando l’avrebbero capito tutti?
“Che ci fai qui?” domandai, per evitare giri di parole.
La vidi seduta sul bordo della vasca da bagno, con le braccia incrociate e il viso contrito in un’espressione che aveva tutta l’aria di esser nata per ammonire.
Non era certamente un buon inizio.
“E’ successo qualcosa?”
“Oh, dimmelo tu Bella! A quanto pare, sei tu quella piena di novità!”
Il tono era fin troppo inalberato per trattarsi di cose piacevoli, perciò rinunciai alla speranza che fosse venuta per raccontarmi di un suo nuovo abito firmato, e sospirai di rassegnazione.
La doccia avrebbe aspettato.
“Alice, perché non arrivi al dunque?”
Scattando in piedi più veloce di una molla, riuscì ad apparire spaventevole nonostante la scarsa altezza e i lineamenti infantili del dolce visino. Anche così, in apparenza innocua, mi ricordò quello che era in realtà. Poi disse: “Ho visto cosa hai combinato questa mattina!” con pericolosa severità, accompagnando il tutto a uno sguardo assassino. Così mi resi conto che quella era la prima volta nella quale si dimostrava davvero furiosa. Tutte le altre volte, ora sapevo che non contavano.
“Sei per caso impazzita?” aggiunse.
Ero consapevole di doverla affrontare prima o poi. Dopotutto, non mi avrebbe permesso di evitare quella discussione neppure se mi fossi presentata a lei ricoperta di crocifissi e acqua santa che, a detta di Edward, erano del tutto inutili con loro. Ma tanto voleva provare, no?!
“Ti riferisci a Gabriel, vero?” chiesi, perché dal voler evitare i giri di parole, mi ritrovai a preferirli alla schiettezza.  
“Esatto. Se tu avessi un briciolo di buonsenso, adesso mi pregheresti di tirarti fuori dai guai nei quali ti sei cacciata!” quasi gridò.
Ecco che anche lei dubitava della mia sanità mentale. Mi chiesi per quale motivo fossi tanto brava a dare l’impressione di essere impazzita. Anche le persone che mi conoscevano alla perfezione - o almeno, tanto da poter essere certi che non avevo mai manifestato segni di squilibrio - credevano che fossi pronta per la camicia di forza. Trovavo tutto quello molto snervante, perciò mascherai il mio dispiacere camminando veloce fuori dal bagno.
Ma proprio quando giunsi alla mia stanza, Alice mi comparve davanti come il fratello aveva fatto pochi minuti prima. Allora conclusi che doveva trattarsi di un vizio di famiglia.
“Cosa hai da dire in tua discolpa?”
“Proprio niente. Me ne assumo tutte le conseguenze, come qualsiasi persona responsabile farebbe”.
“Non capisci di avergli regalato un’occasione per farti del male?”
“Edward non mi ha dato altra scelta”.
La superai per uscire anche dalla stanza, senza avere la benché minima idea delle mie intenzioni a riguardo. Mentre attraversavo il corridoio e poi le scale, sentii la costante presenza della mia amica vampira alle spalle, come nessun’altro avrebbe potuto farsi sentire. Non era nulla che avessi mai percepito, ma piuttosto un’aggiunta ai miei comuni cinque sensi, che mi permise di captare la sua presenza con una precisione inquietante. Come una bolla di energia fredda, un forma dai contorni umani in movimento dietro di me, che pulsava. Quella percezione mi spaventò tanto da aumentare i miei battiti cardiaci, perché sapevo che sentirla significava essere in qualche modo diversa da com’ero qualche mese prima.
“Bella! Non vale la pena rischiare per delle risposte!”
“Sai tutte queste cose, ma non sai quanto sia importante per me averle?”
“Sei sicuramente più intelligenti di così!” disse, gettando quelle parole come un insulto.
Così mi fermai, bloccandomi nel centro del salotto.
“Allora dimmelo. Dimmi cosa Edward mi sta nascondendo”.
E lei si svuotò dell’ardore e smise di pulsare nella mia testa, per riempirsi di struggente dispiacere. Le sue pupille ne erano colme, mi supplicavano di perdonarla e di non insistere. Capii quindi che dovevo sapere. La mia necessità divenne di colpo imperativa.
“Vorrei tanto Bella, ma Edward mi ha fatto promettere di non dire una parola”.
“Ha davvero tutto questo potere su di te?” domandai, perché il pensiero che una promessa la limitasse fino a quel punto, mi sembrava un esagerazione.
Alice annuì e abbassò lo sguardo al pavimento.
“Lui è secondo solo a Carlisle” rivelò mesta.  
“Ogni cosa che dice è per noi vincolante quanto un patto di sangue”.
Neppure nelle mie più fervide immaginazione esisteva una gerarchia simile tra i vampiri e, se pure fosse esistita, Edward ne sarebbe stato esente. Chi avrebbe mai pensato di lui come ad una presenza dominante? Quattro anni prima, nessuno. Ora, invece…
“E’ sempre stato così?”
“Si, ma da quando è tornato sembra si diverta a farcelo pesare” e dimostrò il suo disappunto storcendo il nasino, come faceva solitamente quando indossavo per tre volte di fila lo stesso paio di scarpe.
Fui presa dall’impulso irrefrenabile di abbracciarla, e lo feci senza pensarci due volte. Con quel gesto impulsivo non mi sfuggii che ero riuscita a sorprenderla, poiché le sue braccia tardarono qualche secondo di troppo a stringermi. Era un sollievo sapere che certe cose rimanevano le stesse, anche dopo acquazzoni, uragani e terremoti.
“Mi dispiace Alice”.
“Ma questo non ti fermerà”.
“No” decretai, dopo essermi scostata per guardarla in viso.
Allora lei comprese, scrutandomi, che sarebbe stato inutile ogni tentativo di persuasione. Ne fu contenta quanto poteva esserlo una persona costretta ad ingoiare un insetto vivo, ma non s’impose. E io ne fui immensamente grata.   
“Promettimi che terrai questa informazione per te Alice”.
Tentennò, ma non ne fui sorpresa, né m’indignai.
“Sarà difficile” rispose dopo alcuni lunghi istanti “Edward è sempre nelle nostre teste”.
“Allora prometti che farai il possibile, ok?”
Con molta poca convinzione annuì, sempre con lo sguardo basso e la postura sconfitta. Per questo mi sentii in dovere di confortarla, dicendole di non preoccuparsi, perché non mi sarebbe successo nulla. Naturalmente, non sapevo cosa stavo dicendo.

“Cucciolo! Avanti, c’è qui la pappa!”
Incredibile quanto si possa diventare sdolcinati quando si è convinti di essere soli con un animale.
Si dicono quelle sciocchezze zuccherose che ci sforziamo di non dire mai, solo per mantenere incolume la nostra credibilità.
“Su cucciolo!” chiamai per l’ennesima volta.
Ma il cane che stavo cercando di sedurre con una ciotola di carne in scatola, non era affatto un cucciolo. Era tanto grande da arrivarmi alla cintola e avrebbe potuto persino abbracciarmi se si fosse messo sulle due zampe. Un bellissimo esemplare di meticcio, capace di staccarti le dita con un morso.
“Va bene, la metto qui, ok?”
Posai la ciotola sull’ultimo gradino della veranda e indietreggia sul primo, ma il pelosone si limitò a fissarmi circospetto. Solitamente i cani sono animali molto socievoli, che non si fanno problemi a farsi nuove amicizie, invece quel particolare esemplare era diffidente come solo un felino sa essere.
Infatti rimase seduto, con le orecchie e lo sguardo attento, senza avvicinarsi. Non contava il fatto che lo tentassi da qualche giorno con ogni sorta di prelibatezza canina, lui imperterrito continuava a non fidarsi. Perciò la sua presenza si faceva sempre più inspiegabile, perché è raro vedere un cane fedele ad un umano che non sia il suo padrone.
Scotendo la testa, lasciai la ciotola dov’era e rientrai in casa. Era in attesa di Gabriel, che portava oramai cinque minuti di ritardo. Ignoravo cosa potesse intrattenere un vampiro francese, tuttavia non nutrivo alcuna speranza di saperlo.
Mentre giravo per casa con questi pensieri per la mente, mi ricordai di accendere le luci sul retro, così puntai al secondo ingresso. Usarlo ci capitava una scarsa volta nell’arco di un intero anno, però Charlie insisteva a rimproverarmi se mi dimenticavo di accendere la crepata lampadina che lo illuminava. Così aprì la porta su una distesa di torbida notte, nella quale si intravedevano poche forme indistinguibili, e feci strisciare la mano sulla parete alla mia sinistra. Quando trovai l’interruttore, pigiai con sollievo, ma nessuna luce giunse a rischiarare le tenebre. E il retro di casa mia si fece di colpo troppo silenzioso. L’aria si era fatta statica e i mie occhi si spalancarono istintivamente per catturare il minimo movimento. Ebbi appena il tempo di pensare di tornare dentro, perché le cellule del mio corpo stavano gridando all’unisono ‘pericolo’, quando una mano si avvolse stretta intorno al mio braccio. Ne distinsi il contorno delle dita e il palmo grande e freddo prima di gridare. Poi la lampadina prese vita, dissipando con difficoltà il buio e le sue minacce.
“Tu!” gridai isterica.
 A fissarmi con aria divertita c’era Gabriel, che scoppiò a ridere non appena lo spinsi via.
“Mi hai spaventata a morte!” strillai, benché non avessi alcun motivo per farlo, era l’unico modo per sfogare la tensione.
“Oh, mi rincresce ma cerise”.
Non era abbastanza credibile, sia per il tono alterato dalle risa, che per lo sguardo privo di ogni pentimento. Una frase di circostanza la sua, niente più.
“Perché ti presenti qui? Questo ingresso non è per gli ospiti” lo informai, scorbutica e schietta.
“Un piccolo contrattempo peloso di fronte all’ingresso principale, mi ha impedito di avvicinarmi petite” disse, e questa volta apparve serio in tutto e per tutto.
Allora pensai al pastore rossiccio e mi venne da corrugare la sopracciglia, dimostrando il mio disappunto molto confuso e molto disorientato. Comunque non riuscii a trovare parole per ribattere, poiché l’animale in questione arrivò al galoppo verso di noi, ringhiando e abbaiando.
“Miseriaccia!” esclamai intimidita. Vedere un cane enorme che ti viene incontro con le zanne snudate, fa sempre un certo effetto. Mi ritrovai paralizzata. Per mia fortuna, Gabriel sembrò accorgersene, perciò strinse un braccio attorno ai miei fianchi e mi sollevò per trascinarmi dentro in tutta fretta. Solo quando la porta si richiuse, realizzai di trovarmi sana e salva in casa mia. Bè, ammetto che ‘sana e salva’ era un’espressione sopravalutata considerando che avevo un vampiro dalle intenzioni ambigue proprio affianco.
“Grazie”.
“Di niente petite” sussurrò, restandomi ancora appiccicato.
“Ehm, ora come facciamo ad uscire?”
“Potremmo passare una pacifica serata proprio qui, in casa tua” rispose, con aria candida e innocente. Peccato che la proposta mi sembrò comunque di gran lunga minacciosa, con la sua implicata conseguenza a rimanere sola con lui, senza altre persone attorno. Certo, sarebbe stata la seconda volta per noi, ma avevo raccolto disastri sufficienti dalla prima da sapere quanto l’idea fosse fuori discussione per ogni persona sana di mente. Quindi presi un profondo respiro prima di dire: “No Gabriel. Se non possiamo uscire, allora sarà meglio che tu vada”.
Lui, impassibile, non si scompose affatto, come aspettandosi una simile risposta.
“Ma questo ti preclude la possibilità di sapere, ma cerise, perciò rifletti bene sulla tua decisione”.
“Hai avuto quello che volevi. Ti ho concesso un appuntamento, ti ho persino invitato in casa mia, ora perché non mi dici la verità e basta?”
Nel parlare avevo approfittato nel mettere un po’ di distanza tra i nostri corpi, riacquistando così quel tanto di tranquillità che bastava a sentirmi arrabbiata senza sensi di colpa, perché mi risultava difficile gridare contro chi mi teneva stretta tra le braccia.
“Quello che voglio non puoi saperlo, petite. Non ho ottenuto assolutamente nulla, fin’ora”.
“Cosa vuoi allora Gabriel? Dimmelo, così potremo fare uno scambio equo”.
A quelle parole, il suo viso assunse tratti malinconici, come tirati da speranze e desideri inespressi. Fu un cambiamento talmente repentino, da lasciarmi in un certo senso disarmata, priva di ogni ostilità nei suoi confronti. Di colpo, non ero più arrabbiata.
“Voglio che mi sia restituito il dono della vita” disse, con voce mesta, mentre lentamente procedeva verso di me.
“Voglio ciò che ogni uomo anela nella sua esistenza”.
“Come posso aiutarti? Non so neppure di cosa stai parlando”.
Mi arrivò vicino e mi prese ancora tra le braccia, piegandosi su di me per trovarsi a un soffio dalle mie labbra.
“Un bacio ma cerise, un bacio e io ti concederò ogni cosa, ogni verità”.
Fissavo la sua bocca, che d’improvviso mi parve sensuale e tentatrice. Con i contorni netti e il rosa acceso, le linee delicate tuttavia virili. Non avevo mai provato un attrazione nei suoi confronti, tanto meno di quel tipo, carnale e di puro peccato mortale.
Era una cosa sbagliata.
“Cosa sarà mai un bacio?” mormorò, accattivante come la tentazione più sensuale.
Un distillato di lussuria che mi penetrò la carne, attizzando un fuoco al centro esatto del mio ventre.
“Nulla” risposi, lungi da ogni coerenza. Dopodiché le sue labbra furono sulle mie, prima delicate, poi feroci e bramose. Mi divorarono e, volendo di più, pressarono per costringermi ad aprirmi completamente. E così feci, lo lasciai entrare con un gemito sommesso, aggrappandomi alle sue spalle per sentirlo più vicino. La sua lingua duellò con la mia, strusciò contro il mio palato, affondò con ritmo incalzante che mi stordì la mente. Sentivo la testa leggera e tutto sembrava avvolto da un alone di luci sommesse, le quali rendevano i gesti meno reali, la realtà soltanto un sogno. Non stavo davvero baciando Gabriel, e lui non mi avevo davvero sollevato per posarmi sdraiata sul divano. Tutto quello era lontano dalla mia coscienza, lontano dal mio volere.
“Isabella” sussurrò, mentre scendeva a baciarmi il collo e poi la vena pulsante su di esso.
“Cosa mi sta succedendo?”
Cacciare quella domanda mi era costato un sforzo immane, come se parlare fosse un dispendio di energie in me del tutto assenti. Persino tenere gli occhi aperti, iniziava a pesarmi troppo.
“Schhhh” intimò lui, dopo aver accarezzato il centro del mio petto con un lieve bacio.
“Lasciati andare alla lussuria ma cerise, non combattere”.
Non mi sembrava affatto di star combattendo, perché sentivo il mio corpo incapace di qualsiasi movimento. Però la mente, annebbiata e lontana, cercava di spingere via la pesante coperta che voleva avvolgerlo. C’era, tra i rari pensieri rimasti, un sentore sbiadito d’allerta che mi esortava a desistere, anche se ignorava quale ne fosse il motivo.
“Tu… tu mi stai facendo questo…” cercai di dire, quando capii quanto fosse innaturale il torpore che cercava di sovrastarmi. E fu difficilissimo combatterlo, soprattutto quando le carezze di Gabriel si fecero più audaci. Aveva infilato una mano sotto la mia camicetta, e la faceva salire sempre più, scostando la stoffa per posare baci freddi sulla pelle tirata del mio ventre. Il brivido datomi da quel contatto disperse come un soffio di vento una parte della nebbia che offuscava i miei pensieri. Così fui finalmente capace di aver paura, mentre si assemblavano pensieri di ogni sorta. Ma il più impellente di diceva che dovevo fermarlo.     
“Gabriel” lo chiamai, ma non rispose, perché aveva la bocca impegnata sul mio seno. Solo allora mi accorsi che la camicetta era sparita, e che rimaneva solo l’indumento intimo a coprirmi il petto.
La paura si fece di colpo torbida, scorrendomi in grumi nelle vene. Avevo realizzato che lui stava in qualche modo influenzando la mia mente. Essa saltava, perdeva a tratti la lucidità, cacciata chissà dove.
Mi vennero le lacrime agli occhi. Come potevo fermarlo, se persino parlare mi risultava difficoltoso? E sarebbero comunque bastate le parole?
Gabriel fece strisciare le mani dietro la mia schiena, e con un semplice gesto - di chi ha molto esperienza - mi sganciò il reggiseno. Quello si allentò subito, e il vampiro non perse tempo a far sparire anche quello. Ero quasi del tutto nuda sotto di lui, senza avere la forza e la speranza di poter fare qualcosa per rimediare.
“Perché mi fai questo?”
Volevo sapere, volevo mi dicesse cosa significava per lui il mio stupro, prima di cadere di nuovo nell’oscuro torpore.
Lui sollevò lo sguardo dal mio seno nudo e mi fissò con i suoi splendidi occhi neri, nei quali non c’era più malinconia, ma solo speranza e desiderio.
“Il tuo sangue può dare la vita al nostro seme Isabella” disse. Si abbassò per baciare la punta rossa di un seno, così che quello si restrinse sotto la sua premura. Fu una reazione naturale, che non mi diede alcun piacere.
“Tu, sei l’unica donna al mondo, capace di garantire una discendenza ai non-morti. E’ questo il tuo dono, ma cerise, è questa la tua dannazione”.
Una lunga ciocca nera cadde a sfiorarmi il viso quando mi toccò le labbra con un bacio leggero.
Quello che aveva rivelato, mi strappò via la vita dagli occhi. Essi rimasero fissi al soffitto, contemplandolo mentre la mente viaggiava attraverso ricordi e sensazioni.
Del mio corpo poteva fare quello che voleva, decisi, perché la mia anima era oramai perduta tra rimpianto, follia e colpa. Ero stata io a volere quello… nonostante le proteste di chi mi amava.
Avevano solo cercato di proteggermi, realizzai.
Sentii di meritare ogni cosa di quello che Gabriel mi stava facendo, ma non ero abbastanza forte da assistere, perciò mi lascai sovrastare. Allora la pesante coperta si strinse attorno alla mia mente, senza alcuna ribellione da parte mia. Scivolai così nel nulla, beata.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


(Lesson n.14): Il sapere è un’ elogiata dannazione che non ti lascia scampo
Quando i sensi tornarono, fu solo per un istante, neppure troppo piacevole. Probabilmente non sarei tornata se non fosse stato per il dolore acuto che esplose di colpo sulla mia guancia, e due tenaglie che con gelida violenza stritolarono i miei avambracci. Sentii anche una voce chiamarmi, e per quanto fossi confusa, colsi in essa tutta l’agitazione di una persona disperata.
‘Bella! Bella!’ gridava la voce, mentre svariati suoni la sovrastavano. Erano suoni animaleschi, quasi primordiali, composti di ringhi, ruggiti e guaiti. Pareva che uno zoo avesse preso possesso di casa mia. Ma accertarmene mi fu impossibile, perché alzare le palpebre mi sembrava uno sforzo titanico.
“Alice” disse la mia bocca, che funzionò nonostante non riuscissi a capire ancora come usarla.
Tuttavia suonava male, come se il tono si fosse guastato.
“Va tutto bene! Tutto bene, tesoro…” disse Alice, e allora capii che aveva ragione.
Non sapevo per quale motivo, ma sentivo che aveva ragione.
Andava tutto bene, mi dissi, prima di precipitare di nuovo nella dolce incoscienza.

Sognare fu terrificante.
Il ricordo sfocato di mani indesiderate mi perseguitò nel sonno, facendomi desiderare un immediato risveglio. Fu strano proprio perché sapevo di star dormendo, che quelle scene disgustose, nelle quali dita indiscrete mi palpavano, erano irreali. Ma non fece alcuna differenza. Mi riempivano ugualmente d’inquietudine, quel tipo di ansia che ti fa sudare freddo e agitare tra le lenzuola, ansimare come in preda ad un forte malore. Per mia fortuna però, la realtà mi raggiunse presto, dissipando quelle immagini dai colori vividi per regalarmi la delicata percezione di una presenza.
Questa mi stringeva in un abbraccio freddo, benché confortevole quanto una coperta calda in pieno inverno. Potevo distinguere con sorprendente precisione ogni parte del suo corpo, dal petto ampio alle cosce muscolose, dalle braccia solide alla guancia fredda, posata sulla mia accaldata. Era senza dubbio un corpo grande, perché mi avvolgeva tutta, facendomi sentire molto piccola e molto indifesa. Sapeva di colonia, o di qualche altro profumo maschile… un dopobarba forse. Anche se, dubitavo che in commercio esistesse un prodotto dall’aroma tanto particolare, tanto seducente.
Oh, no…
Quello non era un semplice dopobarba. Era l’odore della sua pelle, l’odore di Edward Cullen.
“Sei sveglia”.
“Si”.
Sussurri, nient’altro che questo. Avevo paura che, alzando la voce, la pace dei miei sensi si infrangesse come cristallo. Volevo perdere me stessa in quel momento, nella sensazione che il suo ermetico abbraccio mi dava; volevo dimenticare la sofferenza, i miei sbagli e il male inferto da questi, per rinascere nuova, pulita, sana. E avevo la sensazione che Edward fosse capace di donarmi tutto questo. Un’illusione, forse, ma necessaria per sopravvivere. Ricordavo infatti gli ultimi avvenimenti con dolorosa minuzia, la quale mi forniva un resoconto macabro della mia vita.
Che ironia. Ora che sapevo tutta le verità, avrei voluto tornare indietro per insegnare a me stessa ad ignorarla. Sarei stata decisamente più sollevata, se avessi continuato a vivere nella mia ingenua esistenza, senza sapere cosa si celava nel mio sangue.
“Mi dispiace” mormorai, gli occhi ancora chiusi poiché pungenti di lacrime.
Lui mi rispose stringendomi più forte, tanto che sentii il metallo della sua cinta premere dolorosamente contro i miei reni. Lamentarmene sarebbe stato folle, perché niente mi dava la certezza che lui ci fosse, quanto quel piccolo e integrante dolore.
“Dovrei essere furioso con te” mi rivelò, parlando con la bocca accostata al mio orecchio. Ogni parola era più dolce, detta in quel modo.
“Ma sono semplicemente contento di essere arrivato in tempo” concluse.
Allora una lacrima mi sfuggì da sotto le ciglia, superò il profilo del mio naso per poi precipitare sulla federa del cuscino. Mi mancava il coraggio di aprire gli occhi, e neppure la curiosità di scoprire in quale letto fossi finita, fu di sufficiente persuasione. Quindi, per il momento, preferivo rimanere così: chiusa dentro il confortante buio delle mie palpebre.
“Sono una stupida”.
“Una stupida molto fortunata” corresse.
Mi stava sorprendendo quel suo modo pacato di affrontare il mio quasi stupro. Ma, tutto sommato, non sapevo se fosse perché aveva già avuto modo di sfogarsi. E qualcosa mi diceva che era proprio così, e che era solo da compatire chi si era trovato sulla sua strada in quell’istante.
“Gabriel?” chiesi esitante. Dopotutto, qualsiasi cosa avrebbe potuto provocarlo.
“Non è più un problema” rispose con calma glaciale, la quale risultò più inquietante di un ringhio rabbioso o di urla incoerenti. Era la calma degli assassini, il vuoto seguito dal coltello che affonda, dal grilletto premuto, dalle zanne che strappano carne.
Allora domandai, la voce tremula: “L’hai ucciso?”
Si accodò il silenzio in risposta. Stava riflettendo, oppure dovevo interpretare il suo mutismo come un assenso? E se fosse stato così, se avesse davvero ucciso Gabriel, cosa avrei provato? Sollievo? Senso di colpa? Cosa?
“Edward, l’hai ucciso?” chiesi ancora, con più ansia, con più aspettativa.
“Avrei voluto” disse, le parole mescolate ad un ronfare minaccioso simile a basse fusa.  
“Saresti stata felici, se l’avessi fatto?”
“Charlotte e la sua famiglia avrebbero pianto la sua scomparsa”.
“Non è quello che ti ho chiesto Bella”.
Mi presi una manciata di secondi per riflettere.
“No” risposi infine. “Infondo, è stata solo colpa mia”.
Dietro di me, Edward si spostò, scostandosi e poi girandomi sulla schiena. Il suo viso finì sospeso sopra il mio, con il resto del corpo statutario sostenuto da un braccio poggiato vicino alla mia spalla. Non accennava a muovere un solo muscolo. Neppure ai vestiti era concesso sfiorarsi.
“Nulla giustifica il suo comportamento” disse.
“Biasimarlo per aver provato ad avere un figlio mi sembra una crudeltà”.
“Giustifichi la sua violenza?”
Era indignato, sull’orlo di un’esplosione emotiva. Lo capivo, io stessa ero incredula di fronte alle mie parole. Si. Non portavo rancore a Gabriel, anzi, lo compativo. Perché immaginavo la sofferenza enorme che lo aveva colmato e il desiderio di essere padre - tutt’altro che riprovevole - ad accendergli una focosa speranza. Ed io, la donna che poteva rendere reale i suoi sogni, sotto di lui, a tentarlo. Una tremenda tortura.
“Lo capisco”.
“No Bella! Il suo obbiettivo è stato fin dall’inizio quello di sedurti” quasi urlò.
“Perciò non lo confondere per una vittima!”
Chiusi gli occhi e abbassai il capo. Ero ancora troppo sconvolta per riuscire a discutere con lui.
“Non importa Edward. Ormai è passato” mesta cercai di calmarlo. E sorprendentemente ci riuscii.
I suoi muscoli allentarono la tensione e io li sentii come se fossero stati un’estensione dei miei, in un afflusso di nervosismo che parve invadere entrambi. Come un senso acquisito, un gusto alieno dalla solida consistenza, si era aggiunto alla mia sfera sensoriale in un modo impossibile da capire. D’improvviso compresi che potevamo essere un corpo solo, e a quel punto i miei respiri sarebbero stati i suoi, così come la mia anima, il mio cuore e il mio sangue. Un legame scisso da ogni razionalità, stabilito da una forza superiore e divina. Contro il mio volere - e forse anche il suo - contro il volere di chiunque, noi saremmo rimasti uniti come un affronto alle regole stesse. L’unica donna al mondo, aveva detto Gabriel, capace di dare una discendenza ai non-morti. Si sbagliava. La discendenza spettava a un unico e solo non-morto, quello il quale io avrei scelto degno.
“Com’è possibile tutto questo?”
Mi diede l’impressione che avesse seguito il lento procedere dei miei pensieri, leggendoli passo dopo passo, poiché carpì al volo il significato della domanda.
“Nessuno può spiegartelo Bella. E’ una storia che non ha origini”.
“Avrebbe potuto essere qualsiasi donna” tentai di confonderlo, ma lui scosse il capo.
“Quando eri poco più di una ragazzina, e io il tuo professore, qualcosa ha iniziato a cambiare. Il tuo sangue ha assunto un aroma diverso, unico. Compresi quanto fossi diventata speciale solo quando mi scontrai con un anziano, Billy Black, uno dei mutaforma che hai avuto il dispiacere di conoscere”.
“Billy Black è un vecchio amico di mio padre”.
Ricordavo ancora il suo viso scuro solcato da rughe e lo sguardo nero dalla sfumatura sapiente. L’ultima volta che l’avevo visto, potevo avere all’incirca nove anni.
Annuendo, Edward proseguì.
“Proviene da una tribù avvolta da miti e leggende. Lui mi rivelò cosa ti stava succedendo, raccontandomi la storia di una donna mortale e il suo vampiro. Mi esortò a lasciare la città, perché il richiamo del tuo sangue sarebbe diventato sempre più forte. E tu… tu eri ancora così piccola”.  
“L’uomo nudo ha detto che voi vi battete da secoli. Perché Billy ti ha aiutato?”
“Non l’ha fatto” rispose a muso duro.
“Billy Black aveva ragione, dovevo lasciarti. Ma il suo intento era quello di impedire a tutti i costi la nostra unione. La loro leggenda narra di una creatura abominevole, metà uomo e metà vampiro. Il loro terrore nei confronti di questa nuova razza non ha limiti”.  
“A quel tempo tu sapevi quale fosse il suo obbiettivo?”
“Certamente” ripose come se fosse ovvio. Allora lo guardai incazzata e pronta a scoppiare.
“Tu sapevi, eppure sei andato via lo stesso?!”
Il bronzo vivo dei suoi occhi si agitò in un vorticoso risucchio di emozioni, e nel farlo si fece di colpo più scuro, mentre le spalle si contraevano in spasmi nervosi. Sentivo dentro di me la sua irritazione, accumularsi in una pozza di gelida collera goccia a goccia nella mia coscienza.
“Ti ho già detto che è stata la cosa più giusta per te. Ho cercato di preservarti da tutto questo”.
“Oh si, di sicuro è per preservarmi che sei scappato!” lo ribeccai sardonica.
Reagì ruggendo di sdegno ed esasperazione. Nulla d’impressionante, finché non decise di avvolgermi con il braccio libero per pressarmi contro di lui. Persi fiato quando la sua mano scivolò in basso, arrivando a toccarmi il fondoschiena, che poi schiacciò violentemente. Così i nostri bacini combaciavano alla perfezione, e io ebbi la possibilità di sentire il suo inguine teso strusciarsi sul mio calore. Una sensazione dal gusto primordiale, che mi strappò un gemito involontario, ebbro di piacere.
“Esatto” soffiò sul mio viso, preda dell’affanno. Da quello si capiva quanto gli costasse contenersi.
“Preservarti dalla mia brama, dal desiderio spasmodico che ho della tua carne”.
Abbassò il capo e lasciò una scia di saliva ghiacciata sulla pelle sensibile del mio collo con un languido movimento.
“Ti ricordi, Bella? Ti avvisai” mi sussurrò tra i capelli “E’ lo stesso di allora”.
Annaspavo, rantolavo come un animale ferito, perciò fu con una eccezionale concentrazione che riuscii ad immaginare me stessa, piccola e ingenua, tra le mani di un essere impetuoso come Edward. Ero stata così fragile, così ingenua, che sarebbe bastato poco, pochissimo. Non sarei stata alla sua altezza, mi sarei lasciata spezzare dalla sua passione, ecco di cosa fui certa. Decisamente, la sua era stata una decisione ben presa. E io lo capii solo in quell’istante.
“Quattro anni, quattro anni passati a maledirti” dissi. Sentire il suo turgore attraverso i jeans non mi aiutò affatto a continuare. Piuttosto, mi parve di dover parlare con un coltello puntato alla gola.
“Ora invece, mi rendo conto che…” feci una pausa quando la mano sul mio fondoschiena si strinse, stropicciandomi la natica come se fosse stata di creta. Al mio sospiro fece eco il suo, roco e pregno di bisogno.
“… dovrei ringraziarti” conclusi finalmente, ansante e accaldata.
Dal suo torace proruppe una risata, un suono sfibrato che ebbe la capacità di scivolarmi sotto la carne e risuonare in devastanti gorgoglii di piacere nel mio ventre.
“Non farlo” disse divertito, con il viso per metà nascosto dai capelli, ancora troppo corti per poter fungere da rifugio sicuro.
“Sto per mandare all’aria i miei stoici propositi, e tutto per il tuo odore”.
“Credevo avessi un autocontrollo irreprensibile”.
“Oh, no Bella. Affatto” ronfò, prima di scendere ad affondare il viso tra i seni coperti dalla mia T-shirt preferita - qualcuno doveva avermi rivestita mentre dormivo. Era nera, con il disegno stampato di un micio bianco sopra. Non sarei più riuscita a guardare quella maglietta con gli stessi occhi, dopo quello.
Le mie orecchie catturarono lamentosi gemiti femminili, ma solo dopo qualche minuto mi accorsi di essere proprio io l’artefice di quei suoni, così lottai per contenermi. Pochi secondi, e mantenere un certo contegno divenne ancora più difficile, perché Edward iniziò a sfregare il naso e la bocca avanti e indietro, schiacciandosi tra un seno e l’altro.  
“Cielo” annaspai, con tono inevitabilmente sfiatato.
Poi mi accorsi di averlo afferrato, di stringere con troppa forza le ciocche rossicce dei suoi capelli tra le dita, senza ricordare quando avessi deciso di farlo. La situazione mi stava sfuggendo di mano, e il peggio era… che ero in dubbio se ritenere positiva o meno la cosa.  
“Sei così maledettamente morbida, e calda.”
La voce gli uscì talmente roca, da risultare dolorante.
Stava perdendo il controllo, e questo è male quando si è in balia di un vampiro.
“Edward”.
Tirai le corte ciocche per sollevargli il viso e poterlo così guardare negli occhi, però lui fece di meglio, sollevandoci con un secco colpo di reni, cosicché mi trovai a cavalcioni sulle sue cosce. Mi reggeva il sedere con una sola mano, mentre l’altra scivolava sotto la mia maglietta per accarezzarmi la schiena e i fianchi. Sistemata su di lui, mi sembrò di sentirlo ancora più rigido contro di me. Quello poteva essere il punto di non ritorno, che mi tentava tanto da farmi male il cuore. Desideravo gettare all’aria la mia corazza e strusciarmi spudoratamente su di lui, baciare ogni centimetro della sua pelle e perdere la regione sotto le sue mani. Sarebbe stato magnifico, ma c’erano ancora troppe cose tra noi, discorsi lasciati in sospeso e confessioni necessarie. Avrei voluto sbattere la testa contro un muro fino a farla sanguinare, poiché avere una coscienza non mi era mai pesato come in quel momento.
Perciò guardai l’uomo sotto di me con rammarico. Era così bello, che mi mancò per un attimo il respiro. Prima di parlare, posai una mano sulla sua guancia, gustandomi la fredda consistenza della sua pelle e l’amore che impresse nello sguardo quando mi baciò il palmo sudato.
“Anch’io ti ho avvisato, che non ti avrei reso le cose facili. Ricordi?”
Allora fissò intensamente i miei occhi, nei quali vidi una creatura affamata e pericolosa, la quale avrebbe potuto prendermi fino allo sfinimento e riversare su di me tutto il suo fervore. Era quel genere di sguardo che il padrone rivolge a tutto ciò che gli appartiene, una severa mano di possesso dal tocco gelido.
Senza lasciarmi impressionare da quell’espressione, non potei comunque evitare di fremere. Incuteva timore si, però prometteva protezione e calore, a dispetto del suo freddo abbraccio.
“Ricordo, amore” assentì distaccato, quasi che non fossimo stati sul punto di rotolare nudi tra le lenzuola. Ebbi un tuffo al cuore, perché era la prima volta nella quale avevo l’occasione di sentirmi chiamare ‘amore’ da lui. Era un appellativo squisito, nonostante il tono glaciale di cui l’aveva avvolto.
“Ma abbandona l’idea che questo possa scoraggiarmi” mi avvertì.
“So essere paziente, molto paziente”.
“Non ne dubito” dissi, sorridendo appena.“Ora, potresti lasciarmi, per favore?”  
Fu interessante scoprire quanto dolorosa poteva essere quella richiesta. Sebbene fossi ancora convinta della mia scelta, staccarmi da lui era ben lungi dal mio volere.
Lo squadrai attenta mentre il ghigno perfido, da me tanto amato, spuntava lentamente sulle sue labbra. Era quel genere di sogghigno che mal celava pensieri perversi, irriferibili in pubblico, brulicanti di sussurri celati in camere da letto oscure, odorose di peccato.
“Fuggi da me, quando pochi istanti fa eri tanto bramosa del mio tocco?”
“Tutta questa arroganza che ti ostini a riservarmi mi irrita parecchio” lo accusai, benché fosse difficile risultare davvero ostile con lui così stretto al mio corpo.
“E’ troppo aggressiva per te?”
Nel pormi quella domanda, sollevò un sopracciglio, come se potesse esaltare di fascino tutto il suo aspetto con quel semplice gesto. Rimasi incapace di aprir bocca per molti istanti, prima di accorgermi che non sapevo come ribattere. Mi stava chiedendo se l’arroganza fosse  un comportamento troppo aggressivo per me, e io supposi che quello poteva essere un modo per capire se debellare o meno quella sfumatura dal suo temperamento. Allora ripensai a tutte le volte che era stato sfacciato e sottilmente stronzo nei miei confronti, e uno spasmo liquido mi squassò il ventre. No, avevo imparato ad amare anche quel lato di lui, sebbene più lentamente degli altri.
Lui sembrò intuire il mio stato d’animo, perciò non mi lasciò andare. Al contrario, strinse con forza le braccia attorno ai miei fianchi, fino a schiacciare il mio petto sul suo torace.
“Lasciami godere di questa conquista che il tempo mi ha regalato. Ho dovuto mitigare di molto il mio carattere quando eri poco più di una ragazzina”.
“Fare la parte del dolce professore di biologia ti costava tanto?”
Quasi che fossero stati evocati dalle mie parole, riaffiorarono nella mente i numerosi ricordi nei quali si rivolgeva a me con quei sorrisi. Sorrisi magici che avevano incantato il mio cuore di ragazza. Li avevo tenuti rinchiusi nel buio per così tanto tempo, che fu doloroso per me rivederli. Ma cercai in fretta di nascondere la malinconia, perché il passato poteva inasprire parecchio quel delicato momento.
La stretta di Edward si allentò, seppur di poco, mentre lo sguardo si affollava di qualcosa cui non seppi dare una definizione. Nostalgia, forse. Torbida come cioccolata fusa.
“In un certo senso, è stato come tornare indietro. Con la tua genuina ingenuità, tu mi ammansivi e portavi in vita il vecchio me. Quello che sono stato un secolo fa”.
“Sei così vecchio?”
Scoppiò a ridere, e quello sembrò alleggerire di parecchio l’atmosfera della stanza. Oramai avevo perso la speranza di vederlo ridere di nuovo in quel modo, tanto di gusto, da farti spuntare un sorriso persino nel malumore. Era evidente però che mi ero sbagliata. Le sue risa mi scivolarono addosso come una cascata di acqua calda, facendoci tremare entrambi con sussulti ilari. Quando tornò a guardarmi, la sua espressione era metà seria e per l’altra fiduciosa.
“Ti sorprenderebbe saperlo”.
“Fin’ora non sono impazzita”.
“A tempo debito Bella. A tempo debito”.
Scrutandolo, fui pervasa da una sensazione pazzesca. Un miscuglio generato dalla paura per quello che mi aspettava, e impaziente curiosità per il domani. Ora sapevo, almeno in parte, la verità. Ma c’erano tante altre cose da scoprire, e non ero sicura quanto bene mi avrebbero fatto.
Ansiosa?
… da morire.



        
Nota dell'autrice:  Bene, ho finalmente svelato il segreto di Bella. Nulla di stupefacente, vero? ^.^ Bè, ero partita col pensiero di dover dare a questa Isabella una dote che l'avrebbe distinta da tutte le altre ragazze. Allora ho iniziato a riflettere sui possibili poteri extra da dargli, e ho trovato di tutto!! Avevo in testa cose fantascientifiche, poi mi sono detta: "Un attimo! Ma queste sarebbero doti 'normali' per i vampiri!" Ci voleva qualcosa che sarebbe stato inutile agli occhi degli umani, ma essenziale a quelli dei vampiri!! Perciò ho pensato che la possibilità di avere figli, che è insito nella natura umana, poteva essere, al contrario, un potere eccezionale per i non-morti!! Che ve ne pare? ^.^ Bè, comunque avverto che da qui la situazione inizia ad infuocarsi =D

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


(Lesson n.15): Le guerre peggiore sono quelle combattute contro chi ami
Solo quando mi staccai da Edward, e quindi ci fu abbastanza distanza tra noi da poter ragionare coerentemente, scoprii di trovarmi in casa Cullen. Il letto nel quale mi ero svegliata apparteneva a Edward, così come la stanza che stavo esplorando con sguardo critico. Non ero mai entrata lì dentro, perciò non trascurai alcun dettaglio.
Si trattava di un arredamento spartano quello che l’arredava. Tutto, a partire dal divanetto di pelle bianca, per finire alla libreria fatta di lucido legno color miele, incarnava la sua essenza.
Il letto era enorme, ma la stanza era grande a sufficienza per contenerlo senza sembrare piccola. Il pavimento era di moquette spessa, bianca, morbida. C’era un unico pezzo di tecnologia lì dentro, e cioè un impianto stereo in apparenza molto sofisticato, che io a stento avrei saputo accendere. Era circondato da scaffali zeppi di CD.
“E’ tutto molto… umano” constatai.
“Cosa ti aspettavi?” chiese divertito.
Stava seduto su una estremità del letto, con la schiena piegata in avanti e i gomiti appoggiati su ciascuna coscia. Fissai il suo viso strafottente dall’alto, assaporando appieno il fatto di poterlo guardare in faccia senza dover per forza alzare la testa. C’erano almeno quindici centimetri di differenza tra me e lui, divario che solo dei tacchi vertiginosi avrebbero potuto compensare, seppur in parte. Ma non ero tipo da tacchi vertiginosi, perciò quella era un’occasione più unica che rara.
“Qualcosa di impressionante, credo” dissi, dopo un’indifferente alzata di spalle.
Lui stava per ribattere con qualche battuta di spirito, che però non fece in tempo a cacciare dalla bocca perché una tempesta bionda spalancò di colpo la porta della stanza. Questa puntò il dito, sulla cui punta spiccava la curatissima unghia laccata di rosso sangue, e parlò.
“Tu, stai dannando la nostra esistenza!”
Era Rosalie, la sorella Cullen da me tanto amata, e stava minacciando Edward con uno sguardo assassino. Tirai un sospiro di sollievo: per un attimo avevo creduto si stesse riferendo a me!
Non avrei mai voluto suscitare la sua rabbia, per nessuna ragione al mondo.
“Andava tutto bene prima che tu tornassi!”
“Calmati Rose” intimò Edward con tono pacato, decorato da una pulsante vena di avvertimento.
“Hai obbligato Alice a non avvicinarsi! La sua lagna sta diventando insopportabile!” quasi gridò, per nulla intimidita.
“Alice? Dov’è adesso?”
Intromettermi era l’ultimo dei miei pensieri, però aveva nominato Alice, e questo era bastato a farmi desiderare di rivederla. Desideravo poterla abbracciare, perché era la sua voce quella che avevo sentito appena uscita dall’incoscienza, e sempre il suo era stato il tocco che mi aveva confortata.
“E’ tutta colpa tua” ringhiò Rosalie, con le labbra carnose piegate in una smorfia. Prima di parlare mi aveva scoccato uno sguardo che, se avesse potuto, avrebbe incenerito me e i miei vestiti.
“Se non fossi così sciocca, nessuno verrebbe punito per non averti fatto da baby-sitter!”
Punito? Baby-sitter?
“Di cosa sta parlando?” mi rivolsi a Edward, ma lui rimase a fissare la sorella in un perfetto mutismo. Sarebbe potuto passare per una statua di marmo per quanto era immobile.
Allora guardai Rose, la quale fu lieta di rispondermi, premurandosi di aggiungere tra una parola e l’altra quanto più veleno poteva contenere la sua voce.
“Il tuo Edward ha ordinato ad Alice di starti lontano, come punizione per non averlo messo accorrente del tuo piano folle”.
Sorvolando deliberatamente su ‘piano folle’, arrivai al succo della questione e lo mandai giù di colpo, quasi che fosse un liquore troppo forte. Infatti mi diede qualche capogiro e, sconcerta, chiesi a Edward:
“Puoi farlo?”
Ancora, non mi rispose, però mi rivolse uno sguardo altrettanto eloquente.
“Certo che può farlo!” esclamò invece Rose “Finché Carlisle sarà fuori città, noi siamo obbligati ad obbedirgli”.
Si capiva dal tono gracchiante quanto ne fosse infelice. E una Rosalie infelice poteva ritenersi pericolosa come un serpente a sonagli libero di scorrazzare per le strade di una città zeppa di bambini a passeggio.
Tuttavia non potevo pensare a lei, quando altre cose mi impegnavano il cervello. Tra queste c’era la sconvolgente questione che vedeva Edward capace di vietare ad Alice di starmi vicino, in tutti i sensi. Era una faccenda da vampiri, lo capivo, sebbene fossi molto lantana da quella realtà. Ora potevo immaginare Edward in cima ad una immaginaria piramide del potere, e saperlo così in alto, mi diede i brividi. Una cosa spaventevole e eccitante al tempo stesso.
“Edward, voglio vedere Alice”.
Non fu un ordine, perché sapevo di non potermelo permettere. Solo chi ha potere può avere il lusso di comandare. Perciò lo dissi come semplice constatazione.
Dopo una lunga sessione di sguardi intensi, “No” fu la sua risposta secca.
“Perché?”
“Perché mi ha disubbidito, mettendoti in pericolo”.
“E’ colpa mia, sono stata io a chiederglielo”.
“Già! Prenditela con la tua serva, e lascia stare la tua famiglia!” s’intromise Rose. La sua irrefrenabile e pungente eloquenza le costò un ringhio ammonitore da parte di Edward. Mi venne subito da pensare al tiepido professore di biologia, e feci il triste errore di mettere i due a confronto. Il vampiro minaccioso che stavo guardando era solido, forte, reale, mentre il professore mi sembrò solo un pallido fantasma di un ricordo. Qualcosa che non sarebbe mai più tornato. L’avrei rimpianto? Decisi di no, perché ero cresciuta, e un uomo era proprio quello che volevo.
“Edward” lo chiamai, imprimendo un’evidente quantitativo di pazienza nella voce, come per le mamme con dei figli irrequieti.  
Lui mi lanciò contro un ringhio, non lo stesso che aveva scagliato sulla sorella, ma comunque sufficiente ad impressionare qualsiasi persona.  
“Ok, come vuoi” dissi “Puoi obbligare Alice con queste schifezze da vampiro, ma non puoi costringere me!”
E così mi avviai alla porta, superando appena Rose prima di essere afferrata da Edward. Naturalmente era stato veloce quanto il vento invernale, e altrettanto gelido. Mi tenne per gli avambracci tanto fermamente, che dopo qualche secondo iniziai a sentire le dita formicolare, ma non abbassai lo sguardo e sostenni la sfida dei suoi occhi.
Era una battaglia per il predominio. Stavo sfidando con aperta tracotanza la sua autorità, ed ero certa che mi avrebbe scagliata fuori dalla finestra solo per farmi capire chi comandava, se fossi stata soprannaturale come lui. Però non lo ero, sebbene nel mio sangue ci fosse qualcosa di decisamente inumano. Per questo motivo si limitò a fissarmi con foschi occhi di caramello, accesi di una luce a metà tra l’essere terribile e accattivante. Quel qualcosa mi fece tornare indietro ad un pomeriggio non molto lontano, nel quale proprio Edward mi aveva reso chiarissimo quanto si eccitasse nel vedermi così combattiva. Un punto per me.
“Vuoi colpirmi?” gli chiesi.
“Potrei farlo” rispose, non abbastanza sicuro di quella probabilità.
Mi avvicinai tanto da soffiargli sulla bocca il mio alito caldo.
“No, non lo farai” dissi.
E non lo fece. La stretta, che avrebbe di sicuro lasciato dei segni sulla mia pelle delicata, si allentò tanto da permettermi di sfuggirgli e superarlo dopo pochi istanti.
Avevo vinto quella battaglia, ma c’era ancora una guerra da combattere. E il bello era, che Edward poteva vantare in quel campo un’esperienza sconfortante. Un vampiro contro un’umana? In che bel guaio mi ero andata a cacciare!

Impiegai molte ore a tranquillizzare Alice, e nel lento trascorrere dei minuti, avevo sentito la mia tolleranza assottigliarsi fino a farmi temere di non poterla più consolare come una degna amica.
Mi sforzavo di farle capire che non era stata colpa sua, l’abbracciavo e la stringevo, mentre pensavo che, se c’era qualcuno che doveva essere abbracciato e confortato, quella ero io. Un pensiero tristemente egocentrico, lo so. E nel frattempo mi sentivo tanto sopravalutata, tanto vincolata, tanto responsabile, insomma, tanto troppe cose. Fin dall’inizio avrei dovuto reagire diversamente, partendo dalla prima cosa sconvolgente che avevo scoperto, c’era stato qualcosa di sbagliato nel modo con il quale ne ero uscita. Avevo accettato tutto con fin troppa tranquillità, fin troppa rassegnazione, quando avrei dovuto dare di matto e chiamarmi fuori dal primo istante. Però ora ne ero dentro fino al collo. Anche se mi fossi dimenata, se avessi scalciato e dato pugni, quella roba nella quale mi ero andata a cacciare mi sarebbe sempre rimasta appiccicata. Era semplicemente troppo tardi.
“… troppo tardi” sussurrai nella notte, appoggiata ad una colonna del portico di casa Cullen.
“Non è mai troppo tardi.”
Mi girai, dando un sorriso a Jasper. Non riuscivo più a vederlo con gli stessi occhi, da quella volta che avevo quasi assistito allo spargersi delle sue interiora sul sedile della macchina di Emmett.
Forse è sempre così, i rapporti cambiano con una semplice esperienza negativa.
“Volevo ringraziarti per aver tranquillizzato Alice, quando io ero via.”
“Come amica, è uno dei miei doveri. Come quello di guardarla sfilare nei negozi di moda, ma molto meno noioso” cercai di sdrammatizzare. Jasper scosse mesto la testa, l’espressione sempre uguale.
“Conosco questo mondo da tempo sufficiente per sapere che, persino nell’amicizia, non si deve mai dare nulla per scontato.”
Lo fissai, senza sapere bene cosa dire. Ora ricordavo perché avevo cercato di assecondare la sua aria distaccata e formale, sforzandomi di non rendere confidenziale il nostro rapporto: Jasper era quel tipo di presenza che intimidisce e ti lascia spesso privo di parole. Troppo diretto, o troppo sincero, non saprei.
“Non riesco a vederti ai comandi di Edward, sai?!”
Lui fece un mezzo sorriso, di quelli che incurvano di poco la bocca e che sono destinanti a non arrivare agli occhi, ma a morire lì dove sono nati. Potevo vedere quanto fosse particolare la sua bellezza e quanto avvenente poteva apparire agli occhi del mondo femminile. Possedeva un fascino antico da gentiluomo, pacato e riservato come solo il nonno di mio nonno avrebbe saputo essere.
“Sono avvezzo agli ordini, anche se non sembra. In vita ero un soldato” mi rivelò.
Mentre si spostava per sedersi sui gradini al mio fianco, mi chiesi quale fosse il suo passato e se un giorno avrei sentito la sua storia. Avrei potuto saperla anche in quel momento a dire il vero, ma di cose terrificanti ne avevo sentite già tante per quel giorno e, ci avrei scommesso, la sua esistenza ne conteneva troppe per una sola notte.
“Posso chiederti una cosa?”
“Parla” mi incitò, calmo come una gentile brezza estiva.
“Tu e Emmett, non siete mai stati tentati dal mio sangue così come Gabriel?”
Era una domanda molto confidenziale e molto schietta, però me ne fregai del decoro, perché avevo bisogno di sapere cosa pensavano gli altri vampiri maschi sul mio conto. Il mio timore era di rappresentare per sempre una tentazione, solo a causa della capacità considerata speciale dalla loro razza. E avrebbero pensato sempre a quella, guardandomi? Uno spuntino di carne capace di procreare… che orrore!
“Ammetto di aver calcolato alcune possibilità sul tuo conto, ma appartieni a Edward perciò…”
“E se non appartenessi a lui?”
“Avere una progenie non mi interessa così tanto Bella. E neppure a Emmett, per quanto Rose si ostini a demoralizzarlo su questo punto.”
Corrucciai la fronte, perché tirare in ballo Rosalie aveva fatto suonare un campanello.
“Sai il motivo per il quale Rose è così ostile nei miei confronti?”
Seppur  molto lontana da quello che la bionda Cullen era realmente, la parola ‘ostile’ mi era sembrata l’unica appropriata in quel momento.   
Jasper rise, come se avesse intuito i miei pensieri. La sua risata era un infuso caldo di pacatezza, un piacere per i sensi. Con Edward invece, era sempre un perenne contrarsi e dimenarsi di agitazione, quasi che tra noi ci fosse una continua elettricità a bassa tensione scaturita da ogni piccolo sguardo, da ogni insignificante tocco.
“Possibile che tu non l’abbia ancora capito Bella?” disse.
“Cosa non ho capito?”
“Rosalie è gelosa” mi svelò. Il tono ovvio da lui usato, mi ricordò un calcolo matematico delle elementari. Due più due, fa quattro, no?!
“Avere figli è sempre stata una grande rinuncia per lei, per la quale si strugge da parecchi decenni.”
“Non potevo saperlo” dissi, per metà sconvolta.
Come avrei potuto immaginare che la Dea Bionda Cullen era gelosa di me? Credevo fosse impossibile, oltre che un pensiero oltraggioso. Una donna ricca e splendida come Rose non ha alcun motivo di essere gelosa di una come me, tutt’altro che ricca e splendida. Ora ogni certezza mi era crollata. Per come la vedevo, i maiali avrebbero iniziato a volare e gli le pecore a starnazzare.
Stavo ancora rimuginando su quella che consideravo la rivelazione del secolo, quando Jasper si mise dritto con un movimento fulmineo.
“Sarà meglio che vada. Edward sarà qui a minuti per accompagnarti a casa” disse.
“Non potresti farlo tu? Per oggi ne ho abbastanza di Mister-il-capo-sono-io!”
“Mi dispiace Bella, ma proprio non posso. Però, se può confortarti, sarò attorno alla tua casa nel mio turno di vigilanza.”
“Turno di vigilanza?”
Ecco tre parole disgustose a sentirsi. Avrei preferito chiudere le orecchie e far finta di non averci dato peso.
“Edward vuole che ognuno di noi faccia dei turni per vegliare su di te, nel caso Gabriel decidesse di ritentare” mi informò Jasper.
Proprio quello che pensavo. E anche terribile quanto immaginavo!
Rimasi alcuni minuti muta a fissarlo. Dal suo sorriso potei ben capire quanto la mia espressione fosse ridicola. Incapace di dire qualcosa, qualunque cosa, affogai nel silenzio. Fino a quando un suono intervenne a spezzare l’atmosfera di statica paralisi. Era un cane quello che stava abbaiando! Il pastore rossiccio mi scrutava, seduto sulle due zampe a pochi passi da me.       
“E tu cosa ci fai qui?”
“Vi ha seguiti quando ti hanno portata qui.”
Una fedeltà impeccabile, non c’è che dire. In più, il cane sembrava deciso ad abbattere il muro d’indifferenza e diventare così un cane a tutti gli effetti. Era più vicino di quanto avesse mai osato, scodinzolando come per incitarmi ad elargirli carezze. E i suoi occhi erano talmente vivi e allegri che mi fecero sorridere nonostante la stanchezza. Allora allungai una mano e passai le dita aperte tra i pelo folto del suo collo. La pelliccia aveva una consistenza morbida e quasi setosa, calda al punto da farmi desiderare di abbracciarlo per rubarne il calore. Mi avvicinai ancora e, accovacciata davanti alla sua lingua rosea e penzolante, pensai a quanto affetto avrebbe potuto darmi. Perciò mi strinsi a lui, circondandolo con le braccia, e assaporai l’odore di muschio e polvere che lo impregnava. Forse… forse, avevo trovato un vero amico.





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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


(Lesson n.16): Non puoi dire di essere ‘salva’ prima di capire in cosa consiste la vera salvezza
Fu così che ci trovò Edward quando uscì sul portico, e dallo sguardo glaciale che scoccò al cane, compresi quanto poco apprezzasse. Era possibile provare gelosia per un animale? Ebbene, dopo la gelosia di Rosalie nei miei confronti, ero disposta a credere a tutto.
“Dobbiamo andare. Charlie tornerà a minuti” disse Edward, freddo da farmi accapponare la pelle.
Di sicuro era ancora incazzato per la faccenda di Alice. Neppure io avrei ingoiato tanto facilmente un affronto alla mia autorità, benché fossi una donna e quindi ero priva del tipico orgoglio legato all’ego maschile. Una questione di testosterone dunque, molto lontano dalla mia comprensione di donna.
“Non faremo mai in tempo” constatai, dopo una veloce occhiata all’orologio. Era troppo tardi.
Il tempo di avviarsi in macchina e, a metà tragitto, Charlie avrebbe già varcato la soglia di casa.
“Si invece” ribatté sicuro lui.
Jasper era come assente, forse perché sapeva bene quanto fosse pericoloso intromettersi in certe situazioni. Molto furbo da parte sua. Ma, ovviamente, aveva avuto molti anni a disposizione per imparare.  
“Anche con la tua macchina più veloce impiegheremmo troppo tempo!”
“Nessuno ha mai parlato di macchina, Bella” rispose.
Al che, iniziai a sentirmi parecchio confusa. Se non dovevamo prendere la macchina, con che cosa saremmo arrivati a casa mia? In bici?
“Bene” intervenne Jasper “Alice mi sta chiamando. E’ stato un piacere conversare con te Bella.”
Fece un piccolo inchino e dopo averlo salutato a mia volta, scomparve grazie alla sua velocità di vampiro. Non avevo sentito la voce di Alice chiamarlo: poteva essere una scusa, come anche la verità, chi può dirlo? Comunque sia, si era levato di torno con molta eleganza.
Tornai a Edward, che non aveva smesso di fissarmi come se volesse vedermi attraverso.
“Allora, come intendi riportami a casa?”
Lui ghignò, e questo non era mai un buon segno quando si trattava di aspettarsi una risposta. Voleva dire che ti sarebbe piaciuta poco, mentre lui si sarebbe divertito tanto.
Senza proferir parola si girò mostrandomi la schiena muscolosa, evidenziata da una maglietta aderente che fasciava in un modo splendido le sue larghe spalle e la vita sottile. Mi rivolse un cenno da sopra la sua spalla destra e disse:
“Salta su.”
“Cosa?”
“Ho detto, salta su” ripeté, lentamente e con più enfasi.
“Sulle tue spalle?”
“Certo, dove se no?!” rispose, con un cenno divertito di pura malizia.
“Non se ne parla!” fui categorica.
Ero infatti molto, ma molto consapevole, che stargli vicina tanto da poter percepire i muscoli guizzanti della sua schiena, avrebbe potuto portarmi a delle conseguenze drammatiche. Non ero affatto sicura di riuscire a tenere a freno i miei impulsi, tanto meno di gestirli dopo quello che era quasi successo nella sua stanza. Patetico, non è vero?!
Edward prima sbuffò esasperato, poi sembrò arrivare a una decisione. Capii quale solo quando mi trovai sospesa in aria, sostenuta dalle sue braccia robuste, che mi tenevano stretta al suo torace come fossi stata una bambina.
Il cane abbaiò e si mosse nervoso, attirando su di sé lo sguardo impassibile di Edward.
“Vediamo chi arriva prima, cucciolo” disse.
Nel frattempo, io ero rimasta inebetita a fissare il suo volto. Sconvolta dalla rapidità con la quale aveva agito, mi ritrovai con il cuore in gola quando poi incominciò a correre. Se così si può chiamare quello che fece. Correre, tuttavia, è un termine che implica l’ovvietà di dover calpestare il terreno, mentre lui sembrò quasi che volasse sulla superficie morbida della foresta. La velocità era tanta da togliermi il fiato. Invece lui si comportò come se stesse passeggiando tranquillamente tra rami sporgenti e sassi acuminati.
Per mia fortuna durò poco più di due minuti, altrimenti avrei dato di stomaco e non sarebbe stata affatto una figura dignitosa. Si fermò di botto, ma non bruscamente. Una fluidità naturale, oppure un effetto voluto per impressionarmi, non saprei.
“Siamo arrivati” annunciò con un sorriso trattenuto a stento.
Fu il mio turno di guardarlo male.
“Avresti potuto avvisarmi!”
“Non ero obbligato a farlo. Potresti dirmi semplicemente grazie, non credi?!”
Era difficile fare il muso duro di fronte al suo fascino, e ancora di più visto che le ero praticamente spalmata addosso. Il suo profumo poi, iniziava a formare dentro di me il desiderio di accostare il naso al suo collo per annusarlo meglio. Un miscuglio di mascolinità che punse il mio basso ventre.
Cazzo.
“Mettimi giù! Ora!”
Lui ubbidì sghignazzando. Con ogni probabilità se n’era accorto, e questo fece ribollire a fiamma alta la mia rabbia. Essa schizzò su con bolle sempre più voluminose, traboccando ed emettendo sbuffi incandescenti. Ringhiai, ma riuscii solo a sembrare un gattino indispettito, piuttosto che un grosso predatore.
“Vampiro irriverente” borbottai, suscitando in lui un sorriso ancora più aperto.
Poi entrambi ci girammo a guardare il cane, uscito proprio in quell’istante da un cespuglio. Parte della mia rabbia si assopii di colpo grazie ai suoi splendidi occhi nocciola. Erano talmente intelligenti, da sembrare umani.
“Avrei dovuto stabilire una penitenza per il perdente” rifletté Edward.
“Ma è solo un cane! Possibile che tu sia così puerile?”
Mi puntò con sguardo indignato.
“Ho molti decenni alle spalle, troppi per essere definito puerile.”
Avrei dato inizio a un’altra discussione, se non fosse che il cosiddetto ‘amico dell’uomo’, iniziò a ringhiarci contro. No! Non ce l’aveva con noi, constatai dopo che mi fui girata per guardarlo accigliata. Il muso di pelliccia, con il lucido naso nero all’estremità, puntava in direzione di casa mia. Sul dorso dell’animale si erano irti una serie di peli rossicci, e le sue simpatiche orecchie triangolari ero sparite, appiattite all’indietro per via della minaccia incombente. Bè, era evidente che c’era una minaccia! Ma quale? Ormai rimpiangevo i giorni in cui, l’unica cosa che avrebbe potuto farmi del male, erano i miei stessi piedi… o magari un coltello da cucina maneggiato male.
“Che succede?” ebbi il fegato di chiedere, perché, come una mocciosa, avevo paura che gli adulti mi avrebbero sgridato per aver fatto una domanda stupida. Edward infatti aveva il volto incupito di furia, con gli occhi di caramello divenuti neri e assassini.
“Portala via” disse. Solo dopo alcuni istanti mi resi conto che si stava riferendo al cane.
Questo emise un uggiolio acuto, seguito da un borbottio di gola raschiante. Allora Edward lo fulminò con lo sguardo, mostrando la sua migliore faccia da vampiro.
“Ubbidisci, cane” ordinò, con voce bassa e glaciale.
Ma il pastore abbaiò, per nulla sottomesso. Quindi tornò a guardare casa mia, ed io ebbi come l’impressione che avesse appena mandato Edward a quel paese. Proprio allora compresi di aver commesso un errore: avevo scambiato quell’animale per un vero cane, quando un vero cane non era.
“Lui è un mutaforma, non è vero?” chiesi, incapace di tenermi per me la rivelazione.
“Si” ruggì il vampiro tra denti serrati.
“E quando avevi intenzione di dirmelo?”
Sapevo bene che quello era il momento meno appropriato per mostrare tutta la mia irritazione per la vergognosa omissione, tuttavia non mi riuscii di placarmi. Ancora una volta ero stata tenuta all’oscuro in quella faccenda, che strettamente mi interessava. Quando avrebbero deciso di rendermi partecipe della mia stessa vita? Ero tanto insignificante, da non meritare persino di essere informata su cose così importanti? Sebbene avessi dimostrato di essere abbastanza forte da sostenere il peso di molte verità senza impazzire, ancora esitavano.
“Scommetto che l’idea neppure ti ha sfiorato!” implacabile, accusai Edward.
Lui si girò appena, il tempo di dirmi, convincente e ammaliante come sempre: “Ne riparliamo più tardi, amore.”
Con quello, riuscì definitivamente a zittirmi, smorzando la mia rabbia come una violenta sforbiciata fatta su steli di rose. Dopodiché arrivò lei, la minaccia. Comparve d’improvviso, sotto le sembianze di una splendida ragazza dal corpo minuto, il viso d’angelo nel quale erano incastonati grandi occhi neri e un nasino da folletto. I capelli lisci e di un biondo impossibile non mi lasciarono dubbi. Conoscevo quella vampira. Come temevo, Charlotte era venuta a farmi visita.

Stava seduta sui gradini del portico con la stessa disinvoltura che io, la proprietaria di quella casa, avrei sfoggiato di fronte ad ospiti ben accetti. Era serena, apparentemente tranquilla e innocua. Il biondo dei capelli apparivano grigi nel buio giovane di quella sera, e il viso bianco riluceva di luce propria. Ci rivolse un sorriso, il primo che ebbi l’opportunità di vedergli in volto, e inclinò la testa come per invitarci a non aver paura, a non indietreggiare. L’emblema dell’innocenza.
“Buonasera” disse, con la sottile e squillante voce arricchita dal suo caratteristico accento francese.
Una studiata finzione, costruita per abbindolare. Ne ero sorpresa: la mia prima impressione aveva fatto di Charlotte una vampira stupida e impulsiva. Ebbene, avrei dovuto dare retta a quello che si dice: l’apparenza inganna.
“Charlotte” disse Edward a mo’di saluto, galante nonostante tutto.
Nel frattempo il mutaforma non aveva smesso di ringhiare, una cosa che trovavo si adattasse di più a quel particolare momento. Infatti vedevo l’esitazione di Edward inappropriata, come se nascondersi dietro alle formalità potesse tirarci d’impaccio! Quella era Charlotte! La compagna di Gabriel! La stessa che mi aveva scagliata contro una parete della sua casa perché ci aveva semplicemente trovati troppo vicini!
“Mi aspettavo una tua visita” rivelò pacato Edward. “La tua mente è talmente prevedibile, che mi risparmia la seccatura di entrarci.”
Dalle labbra sinuose di Charlotte proruppe un suono simile al sibilo di un serpente, che stonò tantissimo con il viso d’angelo che si ritrovava. Comunque la maschera d’innocenza era svanita, sgretolata in pulviscolo nella frazione di pochi secondi. Al buio, decisi, era molto più terrificante.
“Dimmi che tu non avresti provato lo stesso desiderio di morte, Edward Cullen, se la tua compagna fosse stata quasi uccisa da un tuo simile!” ruggì di rabbia.
Lui rimase in silenzio, e così io ebbi il tempo di riflettere sulla reale sorte di Gabriel. Charlotte aveva detto che lui era stato ‘quasi ucciso’, e in effetti, Edward stesso mi aveva confessato di aver desiderato intensamente di farlo fuori. Mi chiesi allora cosa gli fosse successo, se fosse incolume oppure se gli mancasse davvero un arto come Edward aveva promesso. Perché non era lì con Charlotte? Era tanto messo male? E perché diamine me ne davo pensiero?
“Ma provare tanta apprensione per  un’umana…” continuò la bionda francese, scoccandomi uno sguardo disgustato. “Hai dato battaglia a quelli della tua razza, per un fragile pasticcio di carne!” gridò indignata. Al che, ciò che teneva a bada la furia di Edward sembrò spezzarsi: lo vidi a malapena piegarsi per darsi la spinta giusta, per poi balzare come un fulmine bianco su Charlotte.
Il mutaforma invece mi rimase accanto, sempre ringhiando, pareva non avere l’intenzione d’intromettersi. Tenevo gli occhi fissi sul combattimento, per cercare di capire chi fosse in vantaggio e chi stesse perdendo, però era difficile con l’oscurità sempre più fitta che ci avvolgeva. Tuttavia mi sforzai, perché dovevo capire se sentirmi preoccupata o meno, e in quel mentre la mia vista periferica notò un cambiamento nella palla di peli ruggente che mi stava avanti. Improvvisamente divenne più grande, più zannuto, più minaccioso, e tutto faceva credere che la subitanea crescita non fosse ancora terminata. Sotto il mio sguardo sconvolto, ebbi l’opportunità di ammirare la metamorfosi che, da semplice cane pastore, lo trasformò in un gigantesco lupo, alto quanto un piccolo elefante e massiccio il doppio. Era identico al mostro saltato addosso a Edward il giorno che l’avevo trovato in una bettola abbandonata, con lo stesso pelo rosso splendente al sole. Ero però certa di aver visto quella povera creatura ridotta in poltiglie… i suoi compagni l’avevano chiamato Jacob. Se era lo stesso mutaforma, avrei dovuto complimentarmi con lui per l’ottima ripresa, perché non conserva alcun segno - nessuna cicatrice - che testimoniava di essere per un soffio sfuggito alla morte.
Il lupo ringhiò, e questa volta il verso fu più devastante di quando era un normale cane da compagnia. Mi copriva per intero, impedendomi di capire come si stesse svolgendo il combattimento. Perciò mi accovacciai per vedere attraverso la folta pelliccia del suo torace da canide, e allora constatai con sollievo che Edward era in vantaggio. Coma facevo ad esserne sicura?
Non avrei potuto avere dubbi, dato che la bella faccia di Charlotte era affossata nell’erba del mio giardino da una sua mano, mentre l’altra le immobilizzava il braccio dietro la schiena. Lei si dimena e gridava, imprecando in francese e altre lingue che non riconobbi. Quindi pensai di tirare un sospiro di sollievo, e magari mettermi comoda per apprezzare meglio lo spettacolo, senza però prevedere ciò che avvenne dopo. Accadde tutto nell’arco di pochi secondi. Una freccia grigia si abbatté sul lupo, gettandolo al suolo, contemporaneamente Edward fu scagliato contro un albero dal ragazzo Armadio. Mi ritrovai sola, con gli occhi grandi quanto palline da tennis e i muscoli cementati, a fissare un volto famigliare. Solo tornando indietro nei ricordi riuscii a capire chi fosse.
“Tutto apposto, bambina?” mi chiese il ragazzo dai capelli disordinati, con un ghigno largo e saputo. Il primo Doubois che mi avesse rivolto la parola, quello dalla guida spericolata della quale sarei potuta rimanere vittima.
“Sei in ritardo!” sbottò arcigna Charlotte, mentre cercava di ripulirsi la faccia dai residui di erba e terriccio.
Quando si accostò al fratello notai quanto fossero simili, tanto da passare per gemelli. Avevano la stesse corporatura, la stessa altezza, lo stesso viso, gli stessi freddi occhi. Erano praticamente identici, persino nell’espressione con la quale mi scrutavano.
“Così, tu sei l’umana che quello stupido di Gabriel ha cercato di avere” disse il ragazzo, prima di trascinare il suo sguardo libidinoso lungo tutto il mio corpo.
“Dylan!” urlò Edward che, solo allora lo vidi, era bloccato dal fratello Doubois più massiccio. Seppur un po’ ammaccato, era ok, perciò frenai la zaffata di ansia che mi aveva avvolta dopo la prima occhiata. Dovevo mantenere la calma, se non volevo uscire da quel casino completamente priva di sensi.
“Edward Cullen.”
Dylan pronunciò il suo nome quasi che assaggiasse il suono di ogni lettera, studiandolo con viso impassibile.
“Dì al tuo amico peloso di indietreggiare, altrimenti la bella umana qui presente si farà molto male.”
Il lupo infatti si era ripreso, e cercava di accorciare i tre metri che ora lo separavano da me e i nuovi vampiri. A differenza di Edward, nessuno lo teneva bloccato al suolo, forse perché non credevano fosse altrettanto pericoloso. Era ovvio che lo stessero sottovalutando con molta presunzione, e molta stoltezza. Persino io sapevo cosa era capace di fare lui e quelli della sua razza…
“Jacob, fermati” implorò Edward. E il mutaforma, per la prima volta, sembrò ubbidire.
Ingoia a vuoto, con la gola arida che strideva per lo sfregamento, e i denti serrati per evitare di cedere all’impulso di gridare. Una patina di sudore freddo si formò sulla mia pelle sempre più pallida, perché avevo finalmente preso coscienza di essere nei guai fino al collo; che Edward non riusciva a liberarsi della stretta del ragazzo Armadio, e che il lupo zannuto non era abbastanza forte per contrastare due vampiri. In più, lo sguardo di Charlotte pregustava una vendetta troppo dolorosa da poter anche solo immaginare. E ancora peggio, mio padre sarebbe tornato a minuti.


Nota dell'autrice: Ok, sono un pò in ritardo... ok, non un pò, parecchio! ^.^ Sorry, ma l'iscrizione all'università e la ricerca di un lavoro mi stanno impegnando non poco!! =.=" Spero di ricevere più commenti, perchè quelli brevi che mi lasciate non sono abbastanza per darmi la carica giusta a continuare.... bè, sono sincera!!
A presto...=^.^=


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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Recensione di Louise86 [Contatta], del 07/09/2009 - 05:19PM sul capitolo 17: Capitolo 16 - Firmata
Contenta che ti piaccia il mio Eddy! ^.^ Ho fatto di tutto per renderlo il più passionale possibile. E' uscito stronzo perchè ho sempre desiderato che il vero Edward lo fosse statto con Bella! Ma, ahimè, la Meyer ha gusti diversi dai miei in fatto di uomini hihihi XD Comunque grazie per aver commentato ^.^
Recensione di nutria7777 [Contatta], del 06/09/2009 - 03:09PM sul capitolo 17: Capitolo 16 - Firmata
Partecipare ad un contest?? O.o Bè, una volta mi hanno fatto una proposta simile, ma ho rifiutato ^.^ E' stato anni fa, e poi non si è più ripetuto. Che stupida, vero? ^.^" Vabbè, se dovesse ripresentarsi l'opportunità, seguirò il tuo consiglio! I tuoi complimenti sulle descrizioni mi lusingano davvero, perchè ci spreco molto tempo su quelle. Per refinirle e arricchirle ci vuole molta pazienza, e fa piacere quando viene apprezzato lo sforzo ^.^ Thanks!! ♥
Recensione di bigia [Contatta], del 06/09/2009 - 01:19AM sul capitolo 17: Capitolo 16 - Firmata
Hai perfettamente ragione!! E fai bene a lasciare sempre recensioni, e non lo dico solo perchè sono una scrittrice ^.^ hihihi XD Scherzi a parte, i commenti servono molto a chi scrive. Fa sentire considerati e apprezzati =) Di conseguenza si scrive meglio e con più entusiasmo ^.^
Recensione di foolforlove [Contatta], del 05/09/2009 - 09:11PM sul capitolo 17: Capitolo 16 - Firmata
Hihihihi XD già, è vero! La tensione sessuale mi è sempre piaciuta in un racconto!! =D Ci vado a nozze, come si dice!! XD
Ho pensato che una Bella meno remissiva potesse rendere le cose piccanti, ed è per questo che tiene testa a Edward. A proposito, il vampirotto ringrazia per il 'divino' hihihi =D

Recensione di martya_c [Contatta], del 05/09/2009 - 08:05PM sul capitolo 17: Capitolo 16 - Firmata
Grazie mille ^.^ Il fatto che non consideri i personaggi banali è il miglior complimento che tu mi possa fare ^.^ Cerco sempre di rendere i fatti più veritieri possibile, anche se si parla di lupi mannari, vampiri o mutaforma =) E lo faccio per non deludervi.
Mi demoralizzo quando vedo che tutti i miei sforzi non vengono neppure apprezzati... ma fa piacere che persone come te mi seguano comunque ^.^
Recensione di SweetCherry [Contatta], del 05/09/2009 - 07:38PM sul capitolo 17: Capitolo 16 - Firmata
Il mio modo di scrivere è fenomenale?? ^.^ Bè, 'fenomenale' è un bellissimo aggettivo!! =D Grazie, davvero.

Queste sono state le risposte alle vostre recensioni!! ^.^ Un baciotto a tutte!! Grazie a voi ho trovato l'ispirazione per questo capitolo, che ne precede uno ancora più succulento! =) Il prossimo sarà incentrato su Eddino e Bellina =D curiose?? BENE hhihih XD


(Lesson n.17): Le scelte dei cattivi non sono mai scontate

 Dylan aveva tutta l’aria del capo, nonostante la giovane età e l’insignificante massa fisica. In confronto a Edward era gracilino, in confronto a Emmett invece, era un anoressico all’ultimo stadio.
Quando si venne di fronte, potei anche calcolare meglio la sua altezza. Era solo due o tre centimetri più alto di me, così che i suoi occhi erano quasi del tutto allineati con i miei. Il loro colore avrebbe fatto sfigurare l’onice più pura, e le ciglia chiare passavano inosservate per quanto erano bionde.
“Mia sorella vuole la sua vendetta, umana” mi sussurrò.
“Sai cosa significa, vero?” mi sorrise, come avrebbe fatto un serpente a un topo di campagna.
“Alice e tutti i Cullen saranno qui presto” risposi, cercando di tenere i nervi saldi.
Lasciarmi spaventare era la prima cosa stupida della lista delle cose stupida da fare.
“Come? Edward Cullen non te l’ha detto? Il mutaforma ci concede l’enorme vantaggio di offuscare le visioni di Alice. Non è forse vero, Cullen?” si girò, scoppiando poi in un’aspra risata quando vide l’espressione furiosa di Edward.
Quello proprio non avrei voluto saperlo, e pensai immediatamente a qualcosa che potesse risollevarmi il morale. Avrei dovuto impegnarmi molto, perché ero sul punto di cadere in un poco dignitoso pianto isterico. Ero certamente più che spaventata, ma darlo a vedere avrebbe solo accresciuto la sua soddisfazione.
“Il tuo sguardo mi riempie di un dolce, dolce appagamento!” esclamò, ancora ridendo.
“Fottiti” ruggì Edward.
Avevo sempre creduto di aver visto tutte le sue facce, persino quella furibonda, ma in quel momento capii di non aver mai conosciuto davvero quel lato di lui.
Il viso bellissimo di Edward era contratto e gli occhi si erano fatti di colpo grandi e luminosi, traboccanti di quel genere d’ira che porta dritta dritta alla dannazione. Mi parve più che mai un diavolo, anziché un vampiro, pronto a strappare il cuore immoto dal petto freddo di Dylan. Ad un tratto non fui tanto sicura della presa del ragazzo Armadio, perché la forza scaturita dalla rabbia può essere imprevedibile e scioccante quanto sarebbe vedere una nonnina sollevare un’utilitaria.
Seppur sicura di aver colto qualcosa di molto evidente, mi accorsi invece che sia Dylan che la sorella non sembravano affatto preoccupati. Molto probabilmente avevano visto di peggio.
“Fatti da parte fratello, lascia che mi gusti la mia vendetta!” disse d’improvviso Charlotte, distraendo il gemello dai sentimenti di accecante compiacenza di cui si era avvolto.  
La bionda avanzò rapida, ma Dylan le afferrò il polso prima che avesse la possibilità di avvicinarsi ancora. Distinsi con chiarezza un ringhio irritato provenire dalla sua gola di cigno, che tuttavia non scalfì l’espressione irreprensibile del fratello.
“Prima che la danneggi, voglio avere il privilegio di possedere il suo corpo.”
Al sussurrò sommesso di Dylan seguì un ruggito spietato, terribile, angosciante, che straripò dal petto di Edward come un grido disumano, e che mi distrasse abbastanza da impedirmi di essere inghiottita dal terrore. Come se stesse ubbidendo a un tacito ordine, anche il lupo mutaforma scattò, compiendo un balzo che lo portò alle spalle dei due gemelli. Si sollevò una nuvola di polvere, ci furono diversi versi animali. Dopodiché, tutto proseguì con una rapidità troppo accecante per la mia fiacca vista umana. Quello che compresi, fu solo che ero stata dolorosamente sbalzata a terra da una mano dura, e che Edward era riuscito a liberarsi. C’erano ringhi e ruggiti bestiali nelle mie orecchie, e questi impedirono a qualsiasi altro suono di entrare. Quando trovai il granello di coraggio necessario ad aprire gli occhi, subito lo maledissi con quanta disperazione avevo in corpo, perché avrei preferito morire senza avere impresso nella mente l’orribile visione di quello sguardo.
Ero sdraiata supina - cosa di cui non mi ero accorta - e sopra di me era appena saltata Charlotte, con occhi neri spiritati e denti assetati di sangue. Una scena orribile. Ricordo bene di aver deciso di gridare forte e allungo, eppure non riuscii a sentire alcun suono mentre lei sciabolava i suoi canini in modo che si piantassero perfettamente nella mia giugulare. Un attimo prima che questi mi raggiunsero, ebbi l’opportunità di rivedere tutte le stupidaggini compiute dal mio cocciuto orgoglio. Capii allora di aver sprecato la mia vita, di aver rinunciato alla gioia dell’essere innamorati, e rimpiansi davvero tutto quello che mi ero persa. Per paura di rischiare.
Poi attesi il dolore, che però tardò tanto da farmi desiderare di riaprire gli occhi. Lo feci solo dopo molti istanti - non saprei dire se secondi o minuti - e comunque fu strabiliante constatare come tutto il drammatico scenario avesse avuto modo di cambiare, in così poco tempo.
Edward era riuscito ad atterrare Dylan, che sembrava più umano e meno spavaldo; il mutaforma invece teneva tra le fauci il pallido braccio del ragazzo Armadio, e lo scuoteva a tratti per soffocare ogni tentativo di ripresa, tra grugniti e urla di dolore da parte del corpulento Doubois.
E Charlotte? Dov’era Charlotte?
Ma cerise, stai bene?”
“Gabriel?”
Era proprio lui! O meglio, la versione di lui più malconcia. Il suo aspetto dava l’impressione che fosse appena scampato a un disastro aereo: il torace era nudo e coperto di sangue, indossava solo un paio di jeans strappati, poi i capelli ondulati erano insolitamente scarmigliati; sul viso c’erano alcuni schizzi vermigli, che coprivano solo in minima parte la cicatrice a forma di mezza luna che spiccava sul lato sinistro della sua mascella. Era una cicatrice recente - lo si intuiva dalla tonalità rosea - e  occupava quasi tutta la guancia, fermandosi sotto lo zigomo. Slabbrata e invadente, era impossibile non notarla.
“Cosa ti è successo?” gli chiesi, incapace di trattenere la curiosità pur trovandomi in una situazione decisamente drastica.
“Ero nei boschi a caccia” rispose, senza capirmi. Aveva infatti inteso che mi stessi riferendo al sangue, e non alla cicatrice che ora sfigurava il suo bel volto.
Gabriel si chinò e allungò un braccio per offrirmi aiuto, ma rimase immobile quando mi vide indietreggiare. D’un tratto erano riapparsi i ricordi del mio quasi stupro, perciò non ero riuscita ad evitare un gesto tanto istintivo. Dopotutto, perché avrei dovuto dimostrarmi coraggiosa? Avevo tutto il diritto di sentirmi terrorizzata da lui, pensai, mentre il suo sguardo profondamente rammaricato ebbe il potere di contrarmi le viscere. Quella era una sensazione fuori luogo, qualcosa che avrei potuto etichettare come ‘compassione’, ma che sembrò tanto stonata da farmi accigliare all’istante. Non avrei dovuto provare compassione per il mio violentatore! Eppure, guardando la sua espressione contrita, i profondi occhi neri permeati di tristezza, non riuscii a finire di rimproverarmi come avrei dovuto.
“Charlotte…” iniziai a dire. Lui mi evitò lo sforzo di continuare.
“Non è più un problema” esordì.
Mi chiesi cosa potesse significare, appena prima di notare una capigliatura argentea – per via della notte - dietro le sue spalle. Quindi mi sporsi in avanti e subito rimasi stupefatta, perché Charlotte era proprio lì, imbambolata a fissare il nulla. Sembrava in trance, con gli occhi vuoti e la bocca socchiusa, il corpo molle e privo di vita.
“Sei stato tu a farle questo?”
“Si, è il mio speciale potere” mi rivelò.
Ero sul punto di domandargli in cosa consistesse esattamente, per approfondire quell’inaspettata novità, quando qualcosa lo fece voltare con un violento strattone. Subito dopo la mano di Edward si strinse decisa sulla gola di Gabriel, e lo sollevò da terra di qualche centimetro, intanto che questo si aggrappava al braccio bianco quanto le sue dita. Mi fu impossibile stabilire in quella oscurità, quali delle due carnagioni fosse più pallida. Tuttavia, era un dettaglio irrilevante in confronto a tutto il resto.
Edward ruggì, facendomi accapponare la pelle.
Chiaramente, tenerlo per la gola non era qualcosa che l’avrebbe portato alla morte, perché mi era stato detto che i vampiri possono fare almeno di respirare; infatti Gabriel pareva solo molto infastidito.
“Edward! Gabriel ha trattenuto Charlotte, mi ha salvata!”
Perché cercai di difenderlo, proprio non ne ho idea, però mi sentii sollevata e fiera di me stessa quando vidi la stretta di Edward allentarsi.
“Portatati via la tua compagna Gabriel, altrimenti sfregerò quel che resta del tuo volto perfetto.”
La minaccia di Edward fu elargita con una pacatezza tale da renderla ancor più letale. Allora lasciò l’altro vampiro, che mi rivolse un’occhiata veloce prima di prendere Charlotte su una spalla e sparire. Forse lo immaginai solamente, forse avevo subito una commozione celebrare in tutto quel trambusto, però lo stesso mi parve di aver sentito le parole ‘mi dispiace’ nell’attimo in cui si era girato a guardarmi.
Decisi di mettere da parte quell’informazione, in modo da poterla esaminare più tardi, e osservai il resto dello scenario. Così scoprii che il mutaforma stava tenendo d’occhi Dylan e l’altro Doubois, e questo spiegava come avesse fatto Edward ad occuparsi di Gabriel senza venire a sua volta aggredito. I due vampiri erano malconci ed era evidente che avessero perso la maggior parte della loro baldanza, perché i loro volti lasciavano intravedere tutto il risentimento per essere stati sbattuti come tappeti. Ritenni di potermi concedere un sorriso soddisfatto, e decisi finalmente di alzarmi. Edward mi aiutò quando vide le mie gambe traballare, e io non protestai, lieta di potermi sorreggere a qualcosa di solido.
“Sei uno dannato idiota se credi che non ti restituiremo il favore!” gridò Dylan.
Il lupo fece scioccare le possenti fauci zannute a un centimetro dal suo naso, ed io ebbi l’immenso piacere di guardarlo tremare.
“Non sono così ingenuo” disse Edward, il cui viso era tornato in parte normale.
“Vi ridurremo in piccoli ammassi di merda” gracchiò il ragazzo con il codino, del quale, decisi, mi sarei impegnata per scoprirne il nome.
Al che, Edward sfoggiò il suo ghigno sardonico e disse: “Potete provarci…”
Nello stesso istante, alte figure nere sbucarono dalla vegetazione che ci circondava. Nella notte fitta si intravidero solo gli occhi ferini: gialli, arancio e grigi. Il resto era una confusa massa di tenebre. Erano altri lupi! Tutti mutaforma, alcuni alti, altri bassi, ma sempre minacciosi come mostri usciti da sofisticati film horror. Non mi allarmai, perché non era su di me che stavano puntando i loro sguardi alieni.
“… ma non vi conviene” finì di dire una voce cavernosa, del tutto nuova.
Quando mi girai, al posto del lupo rossiccio c’era un ragazzo altissimo, dalla pelle abbronzata e lunghi, lisci capelli neri, che arrivavano a sfiorargli le natiche nude. Si, era proprio nudo! E il suo fisico poteva paragonarsi a quello dei modelli in copertina platinata, per quanto era avvenente e ben fatto. Fugacemente, pregai affinché rimanesse di spalle, altrimenti sarei potuta svenire per l’imbarazzo.
“Oggi, i lupi Quileute si alleano ai freddi Cullen per una tregua temporanea” dichiarò il ragazzo nudo, con un tono di sorprendente ufficiosità.
E così il cerchio dei mutaforma si strinse, e i due Doubois non ebbero più nulla di che protestare.

Mio padre ebbe la fortuna di arrivare più tardi del solito, e quindi non trovare nessuna creatura soprannaturale ad aspettarlo all’ingresso. Quando varcò la porta di casa, io ero sotto le coperte a fingere di dormire, con in dosso i jeans e le scarpe, perché avevo avuto giusto il tempo di salire le scale. Tutti, vampiri e mutaforma, si erano dileguati nella vegetazione non appena la sua macchina era stata abbastanza vicina da diffondere il rumore del motore per tutta la strada. Così mi ero persa il fatidico momento in cui i Doubois erano scappati con la coda tra le gambe, e la vista del mutaforma nudo che riassumeva la sua forma animale. Peccato.  Avrei voluto assistere per capire se la mutazione fosse dolorosa quanto immaginavo.
Mancavano solo due ore all’alba, mi resi conto, sentendomi al contempo più sveglia di una scimmietta a cui abbiano dato troppa carica. Ovvio che doveva trattarsi dell’effetto dovuto all’adrenalina ancora in circolo nelle vene.
Charlie russava nel suo letto da dieci minuti, e non si sarebbe svegliato fino all’ora di pranzo. Povero il mio paparino. Quel caso che stava seguendo doveva dargli molte rogne.
“Edward!” chiamai in un sussurro, una volta che ebbi definitivamente rinunciato al sonno.
Io e lui ci eravamo lasciati senza dire una parola, e quindi senza accennare al fatto che avrei potuto aver bisogno della sua compagnia dopo la mia piccola recita. Infatti, perché avrebbe dovuto pensarci? Eppure scesi dal letto e lo chiamai ancora. Mi sentivo stupida a mormorare così il suo nome, come se stessi parlando da sola, ma sapevo che l’udito di Edward era finissimo, e che mi avrebbe udito comunque.
Desideravo davvero la sua compagnia: dopo il mio quasi stupro, e la mia quasi morte, mi sentivo più fragile e vulnerabile di una formica. E questo mi portava a rivalutare ancora e ancora la mia vita e le decisione che l’avevano segnata, facendola diventare un ammasso di sofferta solitudine. Non volevo essere costretta a pensarci, perciò un diverso era ben accetto.
“Edward!” mi promisi d’invocare il suo nome per l’ultima volta, mentre speravo ardentemente di non dover tornare a letto.
“Hai bisogno di qualcosa?”
La sua voce sopraggiunse sommessa e calda, priva dell’intonazione tesa di quell’ultima mezz’ora.
Lieta di non essere sobbalzata dallo spavento, individuai a malapena la sua figura, appesa a testa in giù alla cornice della mia finestra.
“Dovresti dormire Bella” continuò a dire. “Nessun umano ha mai retto tanto stress in una sola giornata.”
Continuava a penzolare da lì, del tutto a suo agio, e pareva non avere alcuna difficoltà a distinguermi nel buio. Un pipistrello, ecco cosa mi sembrava.
“Non ci riesco. Continuo a rivedere la faccia di Charlotte” confessai.
Lui emise un lieve sospiro e balzò sinuoso sul pavimento nella mia stanza.
“Vieni” disse, prendendomi la mano subito dopo.
Mi portò vicino alla finestra e rapido fece per prendermi in braccio, ma io mi scostai, guardandolo con il migliore dei miei sguardi sospettosi.
“Cosa vorresti fare?” gli chiesi.
“Oh, lo scoprirai” rispose enigmatico.
Fulmineo mi carico e, prima che potessi pensare di gridare come un’ossessa, si lanciò fuori dalla mia stanza con me stretta al suo petto. Fu una caduta breve, che terminò con eleganza, perché Edward atterrò in piedi e senza scossoni. Quella capacità fu impressionate, come tutto ciò che gli apparteneva, del resto.
Poi iniziò a correre velocissimo verso la foresta.
Consapevole di non potermi ribellare, mi lasciai rapire da lui con fin troppa soddisfazione, che divenne gioia distillata dopo pochi secondi. Ero tra le braccia di Edward, realizzai.
Niente sarebbe stato più perfetto.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Recensione di martya_c [Contatta], del 08/09/2009 - 04:44PM sul capitolo 18: Capitolo 17 - Firmata
La questione dei mutaforma e la loro nudità mi ha sempre lasciato profondi dubbi. Voglio dire, è normale che non si sentano a disagio quando sono senza vestiti, perchè quando sono animali sono comunque nudi! E' come se loro possedessero una parte selvaggia, profondamente primitiva e animale, che non li mette in imbarazzo in certe situazioni. Questo li rende meno umani, perchè la mia Bella si fa rossa e si gira, ma loro invece no, perchè per loro è normale essere nudi. Non c'è malizia in questo.
Ritengo che la Meyer abbia preferito mantenerli più umani possibile, non tanto per pudicizia, ma per il suo modo di vivere la storia... tutto qui ^.^ Comunque, grazie per averlo notato!! =D Non credevo che il mio modo di vedere le cose saltasse così all'occhio!!! =)
Recensione di bigia [Contatta], del 08/09/2009 - 03:44PM sul capitolo 18: Capitolo 17 - Firmata
Mi piace sorprendere le lettrici!! ^.^ E poi, volevo rendere chiara una cosa: anche se un personaggio è classificato come 'cattivo', non è detto che non possa compiere gesti buoni =) O no?
Recensione di foolforlove [Contatta], del 08/09/2009 - 01:21PM sul capitolo 18: Capitolo 17 - Firmata
I vampirozzi cattivi hanno avuto il loro ultimo capitolo! ^.^ Dopo di questo, comparirà solamente Gabriel =) che tra l'altro è il mio preferito hihihi XD
Recensione di SweetCherry [Contatta], del 08/09/2009 - 01:06PM sul capitolo 18: Capitolo 17 - Firmata
Hai avuto un'ottima intuizione su Gabriel!! Lui infatti è il grigio in mezzo al nero ^.^ Non so se mi spiego O.o
Recensione di nutria7777 [Contatta], del 08/09/2009 - 12:47PM sul capitolo 18: Capitolo 17 - Firmata
Ti ringrazio per i complimenti ^.^ Troppo buona ^///^ Comunque non ho intenzione di far diventare Jacob un degno rivale di Edward. Credo che tutte le lettrici Twilight ne abbiano avuto abbastanza. No no, ho intenzione di affidargli un'altro ruolo... e scoprirai quale solo leggendo ^.^
Recensione di Lau_twilight [Contatta], del 08/09/2009 - 12:39PM sul capitolo 18: Capitolo 17 - Firmata
Ebbene si, in questo capitolo avrà la pace che desideravi!! =D e anche di più, se è per questo. Grazie comunque, so che la scuola può essere una vera scocciatura, ma è ancora più bello rilassarsi dopo i compiti! Io non vedevo l'ora di finire per leggere qualche ff su internet!! L'attesa rendeva migliore la lettura ^.^  
Recensione di Shinalia [Contatta], del 08/09/2009 - 12:14PM sul capitolo 18: Capitolo 17 - Firmata
Perchè Gabriel ha fermato la sua compagna? Bè, evidentemente, non è così cattivo ^.^ Questa è la dimostrazione che persino gli antagonisti, a volte, possono essere eroi =)

Queste erano le risposte alle vostre rencensioni ^.^ In questi ultimi due capitoli ce ne sono state sette, praticamente un record!! ^.^ Forse riusciamo a superarlo, che dite?? =) lo spero XD
Nel capitolo che viene le cose iniziano a surriscaldarsi, perciò, ventaglio alla mano!! hihi XD

 

 


(Lesson n.18): La passione è una tempesta che ti trasporta fino a lasciarti succube dell’amore
 Non avrei mai saputo dire quanto ero distante da casa, o da che parte fosse, ma comunque era un pensiero che al momento mi dava una preoccupazione molto blanda. Ero occupata a osservare la nera vegetazione dalla cima di un robusto abete, che ci distanziava dal suolo per la vertiginosa altezza di cinquanta temibili metri. Il cielo stava andando via via schiarendosi, ma nonostante l’alba imminente, l’aria conservava ancora il tono frizzante della notte.
A portarmi lì era stato Edward. Mi aveva sollevata e maneggiata quasi fossi stata una bambola, portandomi da un ramo all’altro fino in cima.
Stupefatta, ero rimasta priva di parole per quasi cinque minuti, sprecati ad occhieggiare lo splendido panorama. Avevo sempre avuto la sfortuna di soffrire di vertigini - così nulla mi avrebbe dissuaso dal pensiero di tenermi stretta a Edward - però riuscii comunque ad apprezzare la magia sfoggiata dalla natura che, lenta, si risvegliava.
“Dalla tua espressione, dire che ti piace” constatò il vampiro.
Ero sistemato comodamente tra due rami più spessi, con me seduta in grembo, avvolta dalle sue fredde braccia. Sospirai di contentezza, perché stare stretta a lui era come essere passati a miglior vita in un paradiso di pace e sollievo.
“Mi piace molto” risposi, un po’ vaga mentre appoggiavo il capo alla sua spalla e assorbivo l’aroma di muschio bianco che gli aleggiava attorno.
Lui pure mi annusò, e io non riuscii ad allarmarmi del fatto che la sua bocca – e quindi i suoi denti - fosse così vicina al mio collo. Piuttosto rabbrividì di piacere.
Consapevole che le mie difese si erano assottigliate e stavano per diventare evanescenti, decisi di fregarmene. Per qualche motivo, non m’importava. Ero semplicemente stanca di proteggermi, stanca di resistergli….
“Il tuo profumo mi è sempre piaciuto” mormorai, del tutto rilassata.
“Ha qualcosa di selvaggio e delicato al tempo stesso.”
Lo sentì sogghignare, però questo non mi irritò come sarebbe successo giorni addietro.
“Il tuo invece sa di fragole” disse.
“Quando ero umano, adoravo le fragole.”
Sorridendo, aprii gli occhi per guardarlo. La sua espressione era un miscuglio singolare d’indolenza e tenerezza, qualcosa che ebbe la capacità di farmi arrossire per l’intensità di cui era pregna. Poi di colpo mutò, diventando mortalmente seria.
“Oggi ho rischiato due volte di perderti.”
Abbassai gli occhi, infelice perché avrei voluto evitare quel discorso. Il pensiero di aver sfiorato la morte non piace mai a nessuno e, considerando che per questo si può cadere depressi, è sempre preferibile non darvi troppo peso.
“E’ stata una fortuna che Gabriel fosse nei paraggi” ragionai ad alta voce.
Nel sentire nominare Gabriel, i muscoli di Edward si irrigidirono all’istante. Lo percepii dalla tensione delle sue spalle, la mascella di colpo serrata, e le braccia più strette attorno alla mia vita.
“Allora è stata una fortuna che non l’abbia ucciso” rispose, la voce ruvida e feroce.
Di colpo ricordai il volto sfigurato di Gabriel, la cicatrice rosa a forma di mezza luna, la minaccia di Edward di rendere più sfregiata la sua sfiorita bellezza.
“Quella cicatrice è opera tua.”
La mia non era una domanda, e per questo lui non rispose.
“Sulla spalla di Alice non è rimasto alcun segno. Perché con Gabriel è diverso?”
“Solo il nostro morso può lasciare cicatrici suoi nostri simili, per via del veleno che lo infetta.”
Ora capivo la rabbia di Charlotte. Era furiosa perché il suo compagno era stato sfigurato per via di un’altra donna. Il ricordo della sua umiliazione le sarebbe stato sotto gli occhi per l’eternità, o almeno, fino a quando non avesse continuato ad amare Gabriel. Una punizione più crudele mi era difficile immaginarla.
“Non avresti dovuto Edward” conclusi dopo una lunga riflessione.
Per quanto odiassi il pensiero di aver rischiato di essere violentata, non credevo che la vendetta potesse porre un concreto rimedio. Forse ero una sciocca ingenua, però avrei preferito rimanere fuori dalla realtà, piuttosto che ammettere che un’offensiva tanto violenta potesse valere qualcosa.
“Ancora una volta lo giustifichi” ronfò irritato, e così vicina potei sentire i suoi denti digrignare.
Ecco, stavo rovinando quel momento fantastico per il mio stoicismo! Se fosse esistito un premio per la ragazza più stupida dell’universo, ci avrei scommesso, nessuno avrebbe negato spettasse a me di diritto. Dovevo rimediare, perciò decisi di cambiare argomento.
“Perché non mi hai detto prima del mutaforma?”
Lui mi scoccò una lunga occhiata, capendo le mie intenzioni, poi disse:
“Ho promesso di tacere fino a quando non avessero deciso loro stessi di palesarsi a te.”
“Perché mai?”
“Ti avrebbe fatto piacere sapere di essere osservata ventiquattro ora su ventiquattro da un mutaforma?”
Ci ragionai sopra per alcuni secondi, prima di ritenere che avesse inteso benissimo il mio caratteraccio. Ebbene no, non mi sarebbe affatto piaciuto. Avrei protestato e mi sarei resa petulante per ottenere la mia indiscussa indipendenza, sostenendo che me la sarei cavata benissimo da sola.
Quanto mi sarebbe costato? Se il mutaforma non fosse stato presente, Edward da solo avrebbe fallito contro i tre Doubois.
 “Jacob è un buon combattente” disse, con il tono di chi è costretto ad ammettere l’esistenza di scarafaggi giganti.
“L’hanno scelto apposta per te.”
“Vuoi dire che sapevano che avrei apprezzato?” chiesi.
La sua reazione fu misurata: si scostò quanto bastava per guardarmi in faccia. Nascose egregiamente l’irritazione nelle sue parole, ma non riuscì comunque a cancellarla dai suoi splendidi occhi di bronzo.  
“Cosa intendi esattamente per ‘apprezzato’?”
Mi ritrovai rossa dalla testa ai piedi, e la mia disgraziata fortuna non mi concesse neppure di emarginare l’errore con l’indifferenza. Tutto precipitò con una tale velocità da farmi girare la testa, perché anche lo sguardo mi si fece colpevole, sprofondato negli abissi della vegetazione sottostante.
“Ehm, bè…” balbettai “ahm, è senza dubbio un ragazzo carino.”
Stupida! Stupida stupida stupida. Subito decisi che, se fossi uscita viva da quella situazione, avrei seguito un corso sul controllo delle scempiaggini, oppure uno sulla sopravvivenza intelligente.  
Edward passò infiniti istanti a riflettere sulle mie parole, soppesandole.
“Immagino che tu lo dica per averlo visto nudo.”
Il tono ragionevole quasi mi tranquillizzò. Quasi.
“E perché è solo il secondo uomo nudo che tu abbia mai visto” continuò.
“Il secondo?” domandai, poiché il primo mutaforma l’avevo del tutto dimenticato.
Ma Edward interpretò male la domanda.
“Dimmi, tesoro, quanti uomini senza vestiti hai avuto modo di vedere?” chiese, e questa volta, non si sforzò di nascondere nulla. Era chiaramente e totalmente incazzato.
“Nessuno!” mi affrettai a dire. “Hai frainteso tutto!”
Allora sembrò placarsi. Rilassò la postura, quindi mi strinse forte al suo petto.
Scrutò nei miei occhi come se volesse entrarmi nella testa, serio e pericoloso così come mi piaceva vederlo. Aveva indosso quell’espressione, quella che mi faceva sentire sul punto di essere mangiata, e che accendeva il desiderio nel mio sangue.
“Bene” mormorò con la sua voce speciale.
“Perché ho intenzione di rendermi l’ultimo che vedrai in tutta la tua esistenza.”
Presi fuoco. Sentivo caldo, sebbene la temperatura bassa e il vento glaciale fossero due buoni motivi per tremare di freddo.
Imbambolata a fissarlo, la gola secca e il cuore a mille, cercai di reggere il gioco.
“E non mi chiedi cosa ne penso?”
Una delle mani che teneva dietro la mia schiena scivolò giù, giù, sempre più giù, accarezzandomi il fianco e la coscia con languida lentezza. Quello era un contatto che potevo sopportare. Se non avesse azzardato a toccare le ‘parti strategiche’, sarei riuscita a ragionare coerentemente per il resto della conversazione.
“Non ce n’è bisogno. So per certo che, dopo quell’esperienza, sarai pronta a rivalutare i tuoi standard” disse, tanto sicuro quanto sfacciato. “E l’insignificante palla di pelo ti sembrerà meno che carino.”   
Che modesto, pensai.
Concluse con un ghigno indolente, al quale risposi sorridendo.
Negare le sue parole era impensabile, soprattutto perché ero d’accordo con lui. Mi ritrovai così a desiderare qualcosa di più di una carezza, qualcosa di più assoluto di un abbraccio. Volevo assaporare le sue labbra, guastarne il sapore e lasciare che questo si diffondesse sulla lingua.
Prima di quel momento non mi ero mai accorta quanto fosse opprimente il mio desiderio, poi realizzai che doveva essere stata la paura ad offuscarlo. La paura di essere respinta, o delusa ancora una volta. Per difendere me stessa avevo rinunciato anche al pensiero di potergli stare vicino in ‘quel’ modo.       
Lui lo vide, percepii la consapevolezza che mutò gli occhi e trasfigurò l’animo.
Stavo diventando un’altra sotto il suo sguardo di caramello. Nessuna parola fu detta, niente era cambiato, eppure Edward comprese che poteva tentare senza rischiare di essere respinto. L’intuito gli disse di cogliere la preziosa opportunità che gli veniva concessa, e lui lo ascoltò.
Chinandosi, raggiunse le mie labbra dopo quella che sembrò un’eternità. Ma di fatto non aveva esitato neppure per un secondo, deciso a catturarmi il fiato all’interno della sua bocca profumata di miele. Le sue labbra furono un tocco freddo, che tuttavia riuscì a scaldarmi. La sua lingua entrò subito, perché non incontrò ostacoli, e si tuffò alla ricerca della mia, strofinando, leccando, rincorrendo. Mi tolse il respiro, mi rubò l’anima, m’invase con arrogante dolcezza. E io mi diedi della stupida, poiché avrei potuto avere tutto quello molto tempo prima. Però era stato necessario resistergli, e comunque l’attesa aveva tinto di torbida passione la mia conquista. Ora era più gustosa e dolce di qualsiasi altro frutto, di qualsiasi artefatto cibo umano.
Gustai il sapore del mio vampiro, del mio uomo… a cinquanta metri d’altezza, sotto un cielo che pian piano si scaldava. Un primo bacio da favola. In tutti i sensi.
        


La sveglia rimase muta quella mattina, oppure fui io che non riuscii a sentirla, persa nel sonno com’ero. Sta di fatto che dormii per molte ore, svegliandomi quando ormai mancava poco alla sera.
Erano le cinque del pomeriggio! Constatai scioccata, dopo aver dato una sbirciatina all’orologio.
Mi stavo stiracchiando, poiché dodici ore di sonno mi avevano lasciato il corpo indolenzito, e intanto concedevo al mio cervello un piccolo remake degli ultimi avvenimenti.
“Porca puttana” sussurrai al soffitto, quando ricordai.
“Non è quello che avrei voluto sentirmi dire” mi disse la voce più calda dell’intero universo conosciuto. Fissai sbalordita il mio piccolo miracolo, seduto ai piedi del letto con un’espressione raggiante in volto.
“Sto sognando?” chiesi esitante, benché fosse chiaro che non era così. Chiunque avrebbe considerato quell’idea, perché vedere un uomo tanto bello dopo un lungo sonno, fa sempre un certo effetto.
Edward sfoderò il suo sorriso sghembo, e io sospirai di ammirazione. Avevo baciato quelle labbra dodici ore fa. Era decisamente un ottimo risveglio.
“Se vuoi, posso dimostrarti di essere reale” mi suggerì malizioso.
“Ne sarei entusiasta, ma il mio alito mattutino potrebbe ucciderti.”
“Dimentichi che sono immortale?”
Non avrei mai dimenticato un fatto tanto assurdo, pensai, mentre lo vedevo chinarsi su di me.
Fissò le braccia ai lati delle mie spalle, per sorreggersi e mantenersi staccato dal mio corpo fremente. Personalmente, non avrei disdegnato un contatto intimo in quel momento, pur sapendo che sarebbe stato pericoloso. Come poggiare uno strofinaccio vicino ai fornelli, sarei andata in fiamme nel giro di pochi istanti.
Edward poggiò le sue labbra fresche sulle mie, ma poi scese a baciare il collo, quasi che avesse adocchiato qualcosa di più allentante. Rabbrividì quando leccò la giugulare, che mi sembrò bollente in confronto alla sua lingua gelida.
“Stai attento a quel che fai” mormorai, già preda di un forte affanno.
“Sto sempre attento con te, Bella” rispose, tutto impegnato a baciare la pelle nascosta dietro il mio orecchio.
“No.”
Sebbene fosse difficile parlare, cercai comunque di avvisarlo.
“Oggi è quel giorno del mese. Sono sempre più sensibile in questo periodo.”
L’ultima parte mi era uscita troppo affannosa e sommessa, perché nel frattempo aveva scostato le coperte e la maglietta enorme che usavo come pigiama; era scivolato giù, quindi aveva accostato la bocca al mio ombelico, facendomi sentire così il suo alito fresco sulla pelle.
“Lo so” ronfò, come un gatto eccitato dalla pappa pronta.
“Lo sento” disse.
Affondò il naso gelato nel mio ventre e ispirò forte. Ignorò il primo gemito, dovuto alla sorpresa, e poi quello che lo seguì subito dopo, molto simile a una ninfomane in crisi di astinenza. Dovevo sforzarmi di non ansimare. Dopotutto, era solo Edward, il vampiro per il quale mi sarei strappata le mutande, e stava solo annusando il mio ventre come se fosse una pietanza dall’aroma sopraffino.
Cosa c’era di male?
“Edward” lo chiamai, non appena accennò a sfiorare l’orlo dei miei slip. Stavamo andando troppo veloci, lo sapevo. E volevo cercare di rallentare, ma sarebbe stato un sforzo inutile se lui avesse continuato a palparmi le cosce.
“Per favore” implorai ad occhi chiusi.
Non ero riuscita a trovare parole meno patetiche. Tuttavia suscitarono l’effetto voluto: Edward parve acquisire lucidità, e tornò a guardarmi in volto.
“Perdonami” sussurrò. Ma in viso non c’era nulla che lo facesse sembrare pentito o dispiaciuto.
“Hai un odore squisito quando sei nel tuo ciclo, e controllarsi diventa un’impresa titanica” spiegò pratico, disinvolto, come se non stesse parlando di un affare strettamente femminile.
“Vale solo per te?”
“No, e questo è il problema.”
Si stese al mio fianco e mi avvolse un braccio attorno ai fianchi, mentre si sosteneva la testa con un braccio piegato sui cuscini.
“Sei un richiamo per tutti, il tuo sangue odora di…” rifletté una manciata di secondi sul termine più appropriato, poi disse: “… accoppiamento.”
Rimasi disgustata. Ero un bocconcino che trasudava sesso? Il pensiero mi fece inorridire!
“Santo cielo!” esclamai. Mi ero immaginata sotto le spoglie di un dannato ovulo su due gambe, ballonzolante e desideroso di farsi fecondare. Ritenni quella fantasia ridicola, però fu abbastanza vivida da farmi fremere d’indignazione. Non ero io che lo volevo! Se avessi potuto scegliere, avrei preferito essere come tutte le altre ragazze, e non una femmina fertile per i vampiri!
“Perché diamine doveva capitare a me questa sfortuna?” dissi, mettendo il broncio come una sciocca.
Edward sorrise, e poi decise di sorvolare.
“A proposito di sfortune… hai una visita” mi informò.
Nel pronunciare ‘visita’, il tono era calato in una nota di drastica ostilità, alquanto evidente.
Subito capii che doveva trattarsi di una persona a lui poco gradita.
“Chi è?” chiesi.
“Il mutaforma di nome Jacob. E’ sul portico che ti aspetta.”
 Aaaah, pensai, il ragazzo nudo! Ma evitai di dirlo, poiché Edward non avrebbe affatto apprezzato.
“Perché è qui?”
“I suoi pensieri sono molto confusi” disse. “So per certo che la sua gente non vuole che tu venga toccata da me.”
I suoi occhi di bronzo si fecero di colpo più scuri; era entrato in modalità vampiro.
“Vogliono cercare di allontanarti, magari legandoti a loro tramite Jacob.”
Corrucciandomi, ragionai brevemente sulle nuove informazioni. I Quileute avevano deciso di allearsi ai Cullen per proteggermi, cosa che aveva destato il mio stupore e quello degli stessi vampiri. Le loro battaglie si susseguivano da secoli, eppure erano scesi a patti per tutelarmi. Tuttavia, non rinunciavano alle loro paure, e per questo ero costretta a sopportare la loro presenza quasi che fossero una tribù opprimente di baby-sitter. Avevano scelto apposta Jacob, che era un bellissimo ragazzo, per attirarmi nel loro nido. Era una questione di logica: se mi fossi innamorata di un mutaforma, non avrebbero mai rischiato che cedessi la mia fertilità a un vampiro! Ebbene, erano astuti, ma profondamente arroganti.
“A cosa stai pensando?” domandò Edward, intanto io uscivo dalle mie riflessioni.
“Penso che dovrò fare due chiacchiere con il capo di questi individui”  diedi la mia risposta quieta, sebbene il mio animo fosse tutt’altro che sereno.
“A quale scopo?”
Lo fissai, con mille pensieri per la testa, e il desiderio di trovare le parole giuste per esprimermi.
Quasi persi il filo logico delle mie riflessioni quando sollevò il sopracciglio destro, alacremente compiaciuto dalla mia morbosa attenzione. Non era colpa mia! Aveva uno sguardo ipnotico, di quelli capaci di risucchiarti in un vortice di lussuriose sensazioni. E il suo odore… Cielo! Se gli angeli vantassero un profumo, quello di Edward Cullen ne sfigurerebbe l’aroma.
“Bella?”
“Ehm…”
Ignorando il suo sorriso indolente, e dandomi dell’idiota, recuperai il senno.
Il trucco stava nel guardare qualcosa che non fosse il suo viso, o il suo corpo.
“Essere manipolata non mi piace” dichiarai, mentre mi alzavo per mettermi seduta. Non potevo presentarmi a Jacob in quelle condizioni, così dovevo procedere immediatamente a farmi una doccia, lavarmi i denti, e cambiarmi.
“Mio padre?”
“E’ uscito mezz’ora fa. Ha pensato bene di lasciarti dormire.”
Edward rimase sdraiato nel mio letto, e io intanto aprivo l’armadio per cercare i vestiti che avrei indossato in bagno, perché farlo davanti a lui era ancora fuori discussione. Quando mi girai, lo sguardo si soffermò un secondo di troppo sul letto e l’uomo che lo occupava. Allora realizzai che i miei occhi non riuscivano più ad andare oltre, come formiche intrappolate dalla densa consistenza del miele. Quella che provavo era un’attrazione troppo fisica, troppo carnale da controllare. Ed ero incapace di capire cosa fosse cambiato dal giorno prima.
“Mi stai provocando?” chiesi, tastando il terreno. Non sapeva che stando così disteso tra le mie lenzuola, era per me una squisita tentazione?
Il vampiro ghignò spudoratamente. Certo che lo sapeva.
“Sono contento che te ne sia accorta” rispose sfacciato.
Teneva le braccia piegate dietro le testa, in modo da gonfiare i pettorali e i muscoli della braccia sotto la sottile maglietta di cotone. Avevo sempre ignorato quella parte di lui, da schifoso e subdolo stronzo.
“Esci Edward, se non vuoi che la situazione degeneri.”
Spostandosi con la sua velocità vampiresca, mi arrivò di fronte in un battito di ciglio. Nessuno avrebbe frainteso la sua cristallina espressione di profondo compiacimento.
“Ora sai cosa ho provato io per dodici interminabili ore” mormorò sulla mia bocca.
“Avrei voluto svegliarti in un modo che non avresti mai più dimenticato.”
“Ma non l’hai fatto” dissi, “perché sei un bravo ragazzo.”
La sua risposta fu un semplice ghigno, di chi finge di essere qualcosa che chiaramente non è. E lui non era un ‘bravo ragazzo’. Piuttosto, un demonio travestito da angelo immacolato. Si, come no.
“Ti aspetto in cucina” mi avvisò, prima di scomparire.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Recensione di martya_c [Contatta], del 11/09/2009 - 03:29PM sul capitolo 19: Capitolo 18 - Firmata
Ciao martya-c! ^.^ L'italiano corretto non è propriamente merito mio, ma delle ore passate a leggere libri su libri!!! XD Comunque grazie, si vede che stanno dando i loro frutti ^.^ Per quanto riguarda il discorso della verosimiglianza, bè, non posso essere più d'accordo con te! Condivido quello che hai scritto, parola per parola ^.^ Bella alla fine dei conti è umana, e sono sentimenti umani quelli che prova! Ho sempre detto che, per coinvolgere i lettori ci vuole una raffinata descrizione delle emozioni. Un lavoro non facile però =.=" Spero che apprezzerai i nuovi sviluppi di questo capitolo! =P
Recensione di nutria7777 [Contatta], del 10/09/2009 - 10:37PM sul capitolo 19: Capitolo 18 - Firmata
Eeeeeeh, ben poco, mia cara nutria7777 U_U la nostra Bella resisterà ben poco U_U Leggi e vedrai =D
Recensione di foolforlove [Contatta], del 10/09/2009 - 09:36PM sul capitolo 19: Capitolo 18 - Firmata
Quella frase è anche una delle mie preferite =P Trovo che un vampiro debba essere provocante, sfacciato e un pò arrogante. Così questa frase racchiude tutte e tre le qualità!! ^.^ Comunque, se il precedente cap ti ha ridotto a un solo neurone, allora ti consiglio di leggere con cautela questo che viene!! aahaha XD
Recensione di bigia [Contatta], del 10/09/2009 - 09:00PM sul capitolo 19: Capitolo 18 - Firmata
In questo capitolo si chiarisce il ruolo di Jacob... sempre irritante, ma diverso dalla storia originale! ^.^ Dimmi cosa ne pensi...
Recensione di Glance [Contatta], del 10/09/2009 - 04:57PM sul capitolo 19: Capitolo 18 - Firmata
Ti ringrazio Glance ^.^ Sei una lettrice fedele ^.^ E mi lusinghi sempre con i tuoi commenti!! Grazie davvero ♥
Recensione di Shinalia [Contatta], del 10/09/2009 - 02:11PM sul capitolo 19: Capitolo 18 - Firmata
Eh già, sfrontato è l'aggettivo giusto! Ma non è bello proprio per questo?? ^.^ Io ho sempre desiderato leggere un Edward sicuro di se nella saga originale!! mi avrebbe mandato in brodo di giuggiole!! ♥_♥
Recensione di SweetCherry [Contatta], del 10/09/2009 - 12:42PM sul capitolo 19: Capitolo 18 - Firmata
Preparati, perchè questo cap può scatenare un incendio!! O.o E deciderò di fare peggio solo se mi darete numerosi commenti positivi!! hihiihi XD che perfida, vero??
Recensione di Lau_twilight [Contatta], del 10/09/2009 - 12:35PM sul capitolo 19: Capitolo 18 - Firmata
E già, è vero! Quella parte l'ho scritta in un momento di ilarità stratosferica!! E poi, la mia Bella è ironica quanto me u_u si si.
Che mi dici se rendo Edward ancora più maledetto?? Stavo pensando di scrivere un'altra ff con un personaggio più maledetto e bastardo di lui! Ormai ho quasi finito di scrivere Segreto di Sangue, perciò sto incominciando a lavorare su una storia diversa ^.^ Una dove i cattivi fanno i buoni, e i buoni i cattivi... ma scommetto di aver appena scritto un'eresia incomprensibile, vero??!! hihihi XD
Recensione di Goten [Contatta], del 10/09/2009 - 12:10PM sul capitolo 19: Capitolo 18 - Firmata
Credimi, marcherà benissimo il territorio proprio in questo cap! =D

 

 Grazie grazie grazie grazie e ancora grazie per le Recensioni lasciate!!! ^.^ 

E grazie anche ai lettori che non commentano, ma che apprezzano silenziosi la mia storia ^.^ 




(Lesson n.19): Gli ostacoli aumentano l’aspettativa, e l’aspettativa il piacere

Jacob il mutaforma aveva un aspetto normale con i vestiti addosso, ma non meno affascinante.
Era alto, altissimo in confronto al mio metro e sessanta, e i suoi capelli neri davano l’impressione di essere morbidi al tatto. I lineamenti del viso erano quelli tipici dei pelle rossa, con labbra carnose,  naso pronunciato, e occhi neri dalla forma allungata. Al contrario di tutti i ragazzi consapevoli del proprio fascino, non dava l’impressione di essere un pallone gonfiato; da qui la mia scelta di attribuirgli un punto di credito sulla mia personale valutazione. Inoltre, l’aria autoritaria che gli aleggiava attorno come un dopobarba costoso, aggiunse una decina di anni all’età che inizialmente gli avevo attribuito.
“Vuoi qualcosa da bere, Jacob?”  
Stavo già preparando del caffè nella caffettiera da tre tazzine, perciò, se non avesse accettato, avrei dovuto buttare quello che avanzava. E io odiavo gli sprechi.
“Si, ti ringrazio” rispose, guadagnandosi un altro punto di merito.
La faccia di Edward aveva subito un cambiamento da quando il mutaforma aveva varcato la soglia di casa mia: era tornato a essere il vampiro potente e spietato del giorno prima, pieno di minaccia, chiaramente intento a difendere il proprio territorio. Pregavo, da più di dieci minuti, che il suo autocontrollo lo facesse desistere dal commettere sciocchezze. Non volevo insensati spargimenti di sangue nella mia cucina.
“Perché non ti siedi Edward?” lo incitai, poiché vederlo in piedi e con le braccia incrociate sul petto, mi agitava in un modo opprimente. Era come essere affiancata da una guardia del corpo, senza il piacere di godersi la fama di una brillante notorietà.  
Mi girai in tempo per vedere la fugace occhiata di Jacob indugiare torva su di lui, e allora capii che stare nella stessa stanza nella quale c’era Edward lo rendeva nervoso. Non lo biasimai. Il suo sguardo era fisso e famelico, come se agognasse la trasformazione del mutaforma per poter incominciare una battaglia all’ultimo sangue.
“Edward?”
Il vampiro si girò con una flemma calcolata, studiata per farmi rabbrividire. Mi guardò con occhi neri, inumani, freddi, distaccati, e inquietanti quanto quelli di una bambola di porcellana.
Dubbi non ne ebbi più: la parte del vampiro cattivo era perfetta su di Edward.
“Smettila” sibilai, perché disgustavo l’idea di aver paura di lui, dell’uomo che avevo baciato non più di dieci minuti prima.
Lui parve riacquistare un tocco di umanità - sebbene non afferrai in che modo riuscì a farlo-, abbastanza da rendermi soddisfatta e capace di fingere che nulla fosse accaduto. Ma l’avrei apprezzato molto di più, se si fosse seduto e avesse interpretato la parte del tranquillo professore di biologia. Era inutile negare il fatto che, in quei momenti, mi mancava un po’ il vecchio Edward.
“Sarà meglio arrivare al dunque” disse Jacob, forse intuendo il mio disagio.
“Si, giusto” concorde, mi accomodai sulla sedia di fronte a lui.
Le tazze di rozza porcellana, acquistate con uno sconto in un grande magazzino, fumavano di caffeina. Nessuno dei due accennò a berne il contenuto, così rimasero dov’erano, immobili, separate dalla zuccheriera.
“Ho ricevuto degli ordini precisi” iniziò il mutaforma, “e questi ordini mi hanno obbligato a celarmi sotto le sembianze di un cane, per non allarmarti.”     
 Il tono da lui usato era troppo formale e strideva con il suo aspetto giovanile, che sembrò  invecchiare ancora per via dell’ostentata serietà. Mi ritrovai così a chiedermi quale fosse la storia di Jacob il mutaforma, e cosa ci fosse nella sua testa da intaccare in quel modo, il ferreo autocontrollo del mio Edward.
Poi di colpo tornò a parlare, strappandomi dalle mie congetture.
“Ma ora che sai, e che godiamo dell’alleanza con i Cullen, credo che potremmo fare un passo avanti.”
“No” fu la risposta asciutta di Edward.
Fino a quel momento era stato facile far finta che non ci fosse. Solo il consueto formicolio alla base della mia schiena mi aveva rassicurato sulla sua presenza.
“Lascialo spiegare” gli dissi. Certamente, non ero dotata di un potere che mi consentisse di leggere i pensieri delle persone, perciò dovevo aspettare che Jacob mi svelasse il dilemma. Ma lui intervenne al posto del mutaforma.
“Vogliono che il sacco di pulci ti faccia da balia Bella” disse.
“Si coprono dietro il nobile intento di proteggerti, ma in realtà è da me che vogliono tenerti lontana” ruggì d’indignazione.
Mi accertai che la sua rabbia fosse ben contenuta, prima di ritornare al mio particolare visitatore.
“Questo è il genere di cose che disprezzo, Jacob” pronunciai lenta e controllata, quasi come una dirigente statale.
“Credi a quel che ti dice il succhiasangue?” mi chiese un po’ confuso.
“Ci credo, perché mi fido di lui, e perché so che ti legge il cervello meglio di un libro scritto a caratteri cubitali.”
Osservai il mutaforma perdere una buona parte della sua sicurezza e agitarsi sulla sedia, così che mi parve proprio del mais su una padella bollente. Forse non si aspettava di scontrarsi contro una fiducia tanto irreprensibile, oppure mi credeva un piccola sprovveduta. Delle due, speravo nella validità della prima.
Sentii Edward spostarsi, ma non perché avesse fatto rumore nel muoversi; piuttosto, fu una percezione scissa dalla razionalità. La mia carne e il mio sangue sapevano quando e in che modo si spostava, sapevano che mi era alle spalle e che un suo braccio si stava allungando per toccarmi. Quindi non mi irrigidì dalla sorpresa quando la sua mano fredda si posò sulla mia spalla, e neppure quando la stoffa ruvida dei suoi jeans mi si strofinò contro la nuca. La posizione in cui ci trovavamo mi fece fremere di desiderio per quanto era ambigua. Non potevo impedire alla mia fantasia di viaggiare e ricamarci sopra, perciò spettò a me il ruolo di quella agitata, nell’istante in cui qualcosa stuzzicò improvvisamente il mio ventre. Come un morso di languido fuoco, che inumidì il mio sguardo e accese di sangue caldo le mie guance. Guardai Jacob con occhi annacquati, senza provare la minima vergogna, mentre lui faceva stridere i suoi denti l’uno contro l’altro.
Era infastidito, forse infuriato, ma al momento ignoravo per quale reale motivo lo fosse.
Dopo un’interminabile silenzio, Jacob grugnì un ‘Bene’ piuttosto inquietante.
“Non era necessario il tuo consenso” dichiarò, alzandosi di colpo dalla sedia.
Il caffè nelle due tazze tremolò per alcuni istanti, minacciando di macchiare l’immacolato bianco della tovaglia. Fissai la spropositata altezza di Jacob dal basso, intanto che sulle labbra di Edward si allungava un ghigno perfido.
“Sarò qui ogni giorno e ogni notte” disse il mutaforma.
“Mi assicurerò che non venga concepito un abominio.”
Il disgusto che trasudò dalla sua voce fu come uno scocco di freccia, la quale colpì in pieno il mio cuore. Provai sofferenza, come se avesse insultato qualcosa di infinitamente prezioso. Allora misi da parte il dolore, e raccolsi tutta la rabbia di cui ero capace. Fu facile, perché quella era appena sopra la superficie, pronta a riversarsi sull’imprudente, giovane lupo.   
“Se qualcosa dovrà essere concepito da me, stai sicuro che sarà splendido quanto e più di suo padre.”
Lenta mi alzai, con sempre Edward dietro le mie spalle.
“E ora, fuori da casa mia.”
Le braccia del mio vampiro mi si avvolsero strette sotto il seno e, nonostante il bacio freddo che mi posò sul collo, riuscii ad apparire abbastanza risoluta da convincere Jacob a levare le tende.
La porta si chiuse e tremò dietro di lui. Quasi sentii la casa barcollare sotto la potenza esercitata sul quel povero rettangolo di legno, e mi sorpresi che fosse ancora intatto.
“Sei stata fantastica” mi sussurrò Edward all’orecchio.
Finalmente libera di rilassarmi, chiusi gli occhi e mi sciolsi nel suo abbraccio. Sentirlo così vicino scuoteva la passione dentro di me, rendendomi poi difficile notare qualcosa che non fosse il suo corpo stretto al mio. Ne potevo distinguere ogni curva, ogni sfaccettatura, che mi stuzzicava la carne con la sua durezza.
“Edward?”
“Mhm” non rispose a parole, impegnato a mordicchiarmi la soffice pelle del collo.
“La prossima volta che dobbiamo intimidire qualcuno, lascia da parte i contatti ambigui.”
Lui ridacchiò, sadico e irresistibile.
Fece calare la mano sinistra sul mio ventre; sinuosa e furtiva si avvicinò sempre più alla fonte di calore tra le mie gambe. Vi posò solo alcune dita. E a me non rimase che ansimare.
“Vuol dire che li riserverò tutti per dopo” mi disse roco, mentre la mia testa era abbandonata sulla sua spalla.
In un fulgido, brevissimo istante, mi resi conto di una cosa: mi ero illusa di poterlo gestire, ma in realtà, non sarei mai stata in grado di controllarlo. Semmai, sarebbe stato lui a controllare me.
La cosa peggiore? E’ che non mi dispiaceva affatto.  

“Perciò avrete sempre il pulcioso attaccato alle chiappe?”
Emmett era fin troppo sboccato per essere un Cullen. Appena conosciuto mi era sembrato una di quelle persone tutto sorrisi e battutine allusive, poi ho scoperto che sapeva essere anche irritante e mortalmente impiccione. In quanto a quest’ultima dote, solo Alice gli teneva testa.
“Si, la conclusione è quella” dissi.
Edward era seduto sul divano dell’enorme salotto di casa Cullen e aveva l’aria distaccata, ma io riuscivo quasi a sentire gli ingranaggi del suo cervello lavorare.
Alice mi guardava con quello sguardo colpevole che ultimamente la ossessionava, convinta com’era di aver fallito per la secondava volta. Le avevo spiegato che era tutto ok, che nessuno la incolpava, perché la presenza di Jacob aveva ostacolato i suoi poteri e quindi non avrebbe potuto prevederlo comunque. Tuttavia, nonostante i lunghi discorsi, continuava a torturarsi con frasi del tipo: “se avessi visto”, “se avessi potuto”, “avrei dovuto” ecc. ecc.
“Non rappresenta un pericolo, almeno finché è solo” proferì la smorzata voce di Jasper.
Affianco ad Alice, la stringeva e coccolava con una dolcezza reverenziale. Non aveva occhi che per lei, e agiva come se il salotto fosse vuoto.
“Neppure il branco sarebbe una minaccia” ribatté invece Rosalie.
Lei esibiva la sua classica postura da antipatica stronza: braccia incrociate e mento all’insù. Distante da Emmett più di dieci passi, e indifferente alla sua presenza, nessuno avrebbe potuto capire che c’era una storia tra loro. Rosalie, cuore di ghiaccio: ecco come mi piaceva definirla nella mia testa.
Ovviamente, non ero così stupida da farglielo sapere.
“Siamo alleati ora” proruppe Edward. Stava fissando il vuoto da oltre cinque minuti. Li avevo contanti perché era la prima volta che mi capitava di vederlo tanto assente.
“I mutaforma, per quanto siano subdoli, sono leali” e dopo un pausa breve, aggiunse, “Nessuno deve più ritenerli una minaccia”.
Sentirgli dire quelle cose mi sorprese. Ero convinta che il suo irreprensibile giudizio sui mutaforma gli impedissi di essere obbiettivo, però lui si stava dimostrando un capo migliore di quello che avevo immaginato. Avrei dovuto scusarmi con lui per averlo sottovalutato.
Jasper parve improvvisamente attento a quel che si diceva, e così lasciò di baciare la spalla di Alice per obbiettare con il suo solito tono pacato.
“Hanno paura del dono di Bella, ne sono terrorizzati.”
Nessuno lo contraddisse: chi meglio di lui poteva sapere cosa provavano i lupi Quileute?
“Si faranno pochi scrupoli quando capiranno di non poter gestire la vostra relazione. A quel punto, diventeranno pericolosi” concluse.
Iniziai da subito a sentirmi impaurita, riconoscendo la verità nelle parole di Jasper. E prima che il panico invadesse la mia mente, sentii su di me il peso di uno sguardo. Voltandomi, Edward stese un braccio come per invitarmi silenziosamente a raggiungerlo. Lo feci senza riflettere e, quando lo raggiunsi, lui mi tirò a se facendomi sedere sulle sue gambe. Allora mi agitai per l’imbarazzo, perché pensavo che certe dimostrazioni d’affetto fossero inopportuno, se fatte di fronte alla sua famiglia. Eppure rimasi dov’ero, e pian piano il disagio defluì sotto le carezze leggere delle sue dita.
“Jasper ha ragione Ed” disse Emmett.
“Quei figli di puttana potrebbero diventare una grossa spina nel sedere.”
Sebbene i fratelli si sforzassero di mostrargli i pericoli insidiati in quella faccenda, l’attenzione di Edward era ormai dirottata. Aveva iniziato dal collo, e ora stava impegnando le sue doti di gran baciatore sulle vene del polso destro. Io ero incapace di fermarlo, e anche se avessi avuto la fermezza per farlo, avrei piacevolmente rinunciato ad usarla contro di lui.
Avvolta dal suo odore virile, mi crogiolai in quel nuovo mondo fatto di dolci contatti fisici. Amavo poterlo toccare, amavo che mi toccasse, amavo il fatto che non dovessi più reprimere il desiderio di stargli vicino e stringerlo a me.
“Tsz!” sbottò di colpo Rosalie. Il suono che uscì dalle sue labbra era di quelli che esprimono indignazione e superiorità allo stesso tempo. Avrebbe dovuto darmi fastidio, anzi, sentivo che doveva darmi di certo fastidio, ma dentro di me c’era solo calore.
“I due piccioncini sono troppo occupati per badare a cose così importanti?”
La sua era una domanda di cui non si richiede essenzialmente una risposta, piuttosto, aveva il solo scopo di pungere come una vespa infuriata. Dopo quella, qualcosa di fatto sentii. E forse anche Edward, che smise di annusarmi il palmo della mano per fissare la sorella con sguardo duro.
Quindi parlò, con una calma tale da sorprendermi… per la seconda volta.
“Conosco i loro pensieri, e se in essi dovessi trovare una minaccia, allora agiremo.”
Allora tornò a guardarmi, stringendomi ancor più fermamente.
“Adesso però, lasciateci soli.”
Presto detto, il salotto si svuotò con una velocità sorprendente.
“Questi sono i vantaggi dell’essere dominante?” sussurrai, incantata a fissarlo.
Sorrise mentre mi afferrava i fianchi per mettermi a cavalcioni su di lui. In quel modo riuscivo a sentirlo in punti dove… bè, diciamo che lì dove ci toccavamo si stava scatenando il putiferio! Il mio corpo reagì quasi immediatamente, con lo scopo di rendere chiaro ad entrambi quanto gradissi quella posizione. Sperai che non se ne accorgesse, nonostante il suo fiuto super sviluppato e tutto il resto.
“Uno dei tanti” rispose poi, con voce bassa, ammaliante.
Avrei potuto andare in fiamme solo sentendolo parlare. Qualsiasi cosa, persino l’estratto conto di una banca, sarebbe risultato interessante se letto da lui.
“Nessuno qui ha il coraggio di contraddirti?”
“No.”
Passò sulla pelle calda della schiena le mani gelide, e accarezzò sotto il maglione tutta la sua lunghezza, fino al pizzo del reggiseno. Intanto mi fissava con i suoi occhi famelici.
“E’ tutto molto poco democratico” sostenni, sorpresa di essere ancora in grado di parlare.
Caldo, sentivo caldo mentre la lana si accartocciava sulla mia gola, scoprendomi il petto ansante.
La testa rossa di Edward si piegò qual tanto che bastava a raggiungere la morbida curva di uno dei miei seni, che si tesero entrambi per via del tocco freddo delle sue labbra.
“Non dovremmo” mi affannai a dire, “qui… a casa tua.”
Stava diventando impossibile pensare, ragionare ed esprimersi con frasi di senso compiuto. Ma fare certe cose sul divano di casa Cullen era l’ultima delle ultime cose, della mia lista delle ultime cosa da fare. In testa mi si formò l’immagine dei nostri corpi aggrovigliati e la facce sconvolte di Esme e Carlisle. Che situazione imbarazzante sarebbe stata!
“Edward” miagolai, perché di colpo lui aveva fatto scivolare il sedere in avanti e così ora sentivo la solida consistenza del suo desiderio strettamente pressato tra le mie gambe. Allora smisi di pensare del tutto. La vista si fece subito offuscata e il viso divenne incandescente. Vedevo il mondo attraverso una patina liquida di bruciante aspettativa, perciò era tutto lucido e luccicante. Mi lasciai trasportare dalla sensazione bollente dei suoi baci, della sua lingua, con il movimento ritmico del suo bacino che alimentava il fuoco. Probabilmente emisi molti suoni, non tutti seducenti quanto quelli delle perfette attrici in Tv, però sinceramente eccitati.
“Oh, cielo” mormorai, annaspando per prendere sempre più grosse boccate d’aria nei miei polmoni.
Anche Edward sembrava affannato, anche se la cosa mi parve assurda, visto la sua condizione di non-morto. Comunque le reazioni del suo corpo erano tutt’altro che decedute.
“Cazzo” lo udii ruggire e poi, fulmineo, mi spostò sotto di lui. Si sostenne con un braccio, quindi con l’altro mi afferrò una gamba per avvolgersela al bacino. Mi sfuggì un gemito quando leccò la punta sensibile di un seno attraverso la stoffa, e poi un altro quando scese a mordere i jeans in corrispondenza del mio sesso. Serrò i denti sul punto giusto, facendomi quasi gridare. Languida lo fissai attraverso gli occhi socchiusi, e lui mi restituì uno sguardo infuocato pieno di promesse, con un ghigno malizioso a completare il tutto. Ero nelle mani del mio cacciatore, pronta per essere divorata.
“Che fai?” gli chiesi, non appena mi resi conto che qualcosa era irrimediabilmente cambiato.
Aveva assunto un’espressione controllata e, dopo avermi baciato delicatamente tra i seni, rimise al suo posto il maglione.
“E’ arrivato” disse solo.
Allora percepii una presenza pulsante di rabbia dietro di me, ma comunque distante molti metri. Girandomi lo vidi, attraverso il vetro che costituiva una parete intera della villa Cullen, lui era lì che ci spiava. Una macchiolina marrone rossiccio tra il verde della foresta. Jacob.
Con un sospiro ricaddi sul divano, stropicciandomi poi la faccia con entrambe le mani.
“Sarà sempre così? Arriverà sempre sul più bello?”
Il mio vampiro mi sorrise, mi diede un bacio leggero sulle labbra e scese dal divano con eleganza felina.
“E’ quello che farà Bella, l’ha promesso al branco e a se stesso” disse, ma dal suo volto si capiva che avrebbe voluto risparmiarsi quelle parole. Neppure a lui faceva piacere ammettere la scomoda verità di essere perseguitato da un cocciuto mutaforma.
Dal mio personale punto di vista, forse era pure un bene che ci fosse un freno alla nostra passione, però avrei preferito che non fosse Jacob ad accollarsi quell’incarico. Se fosse arrivato il momento giusto, se fossi stata pronta per farlo, allora il mutaforma avrebbe fatto meglio a stare alla larga… altrimenti, non era dei vampiri che avrebbe dovuto aver paura.
Una donna frustata e zeppa di ormoni è mille volte più pericolosa.

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


(Lesson n.20): Non c’è male peggiore della gelosia in amore
Sebbene fossimo coscienti della scomoda appendice cresciuta sulla nostra relazione, sotto le sembianze di un cane grosso quanto un piccolo elefante, le occasioni di concretizzare si erano verificate molte altre volte. E sempre, come fosse il risultato di un calcolo matematico, il mutaforma interveniva a metterci in mezzo la coda. Sia io che Edward stavamo diventando due bombe ad orologeria, e credevamo che nulla di peggio sarebbe potuto accadere. Ma un terribile giorno, anche questa certezza fu sfumata.
“Ti raggiungo fra qualche minuto Angela.”
La mia amica fece un cenno con la testa e così entrò nell’aula di storia dell’arte. Avevo captato la presenza di Edward, perciò mi girai e con una finta aria disinvolta mi diressi alla biblioteca. Lui era diventato sempre più mordace in quei giorni, seguendomi per i corridoi e facendomi degli agguati nello sgabuzzino dove il bidello teneva le sue scope. L’ambiente scolastico era l’unico posto nel quale potevamo stare relativamente in pace, ma questo non significava che avrei gettato alle ortiche i miei progetti romantici per farlo su una scrivania polverosa.
Appena girai l’angolo, entrai nel famigliare corridoi deserto della biblioteca: a volte la scarsa voglia d’imparare di noi studenti era confortante.
Arrivata alle porte, le spostai appena e, dandomi un’occhiata attorno, scivolai dentro silenziosa.
L’immensa sala era vuota, priva dei ragazzi che solitamente si radunavano lì solo prima di un test.
La signora anziana, con i suoi occhialini dalla montatura sottile e i capelli grigi trattenuti da una crocchia, mi rivolse un sorriso cordiale e poi tornò alle sua rivista su ‘I migliori dolci Europei’.
Mi incamminai lungo la fila di tavoli lucidi della scuola, in cerca di un indizio. Sentivo ancora lo sguardo di Edward su di me, ma non avevo idea di dove voleva che andassi. Forse lui intuii la mia esitazione, perché subito dopo aver aggrottato la fronte, vidi una scia nera sfrecciarmi davanti. Essa svanì subito dietro gli scaffali adibiti alle letteratura del Novecento.
Accertatami che l’anziana signora non avesse capito nulla, mi diressi da quella parte.
Il rumore dei miei passi si fece incerto quando arrivai nella zona più buia del reparto, e allora quasi pensai di tornare indietro. Lo pensai si, eppure rimasi ferma in quell’inquietante silenzio.
Vedevo davanti a me i libri dello scaffale successivo anneriti dall’oscurità e mi sforzavo di individuare un movimento, un’ombra, un qualsiasi rumore che potesse darmi un indizio su dove fosse il vampiro che stavo cercando. Ma il vampiro in questione arrivò dal nulla, senza preavviso, volando oltre il mio fianco e comparendomi dietro le spalle. Allora saltai dallo spavento; la biblioteca non si riempì dell’eco delle mie urla solo perché Edward ebbe la prontezza di serrarmi la bocca con una sua gelida mano. Quella profumava di lui, muschio bianco e qualcosa di dolce che assomigliava al miele.
“Schh!” mi intimò, sollevando le sopracciglia come faceva sempre quando voleva tranquillizzarmi.
Io annui e lui mi liberò.
“Sto facendo tardi a lezione” riferì laconica.
“Lo so, ma era urgente” si difese.
Sapevo cosa Edward ritenesse ‘urgente’: cose che implicavano sempre l’uso di mani e labbra.
Quando vide lo scetticismo nella mia espressione, si crucciò in un modo che giudicavo adorabile.
Cielo, amavo tutto di lui! Persino il suo sguardo da vampiro super incazzato!
“Dico sul serio.”
“Certo, come l’ultima volta in mensa, o anche nel bagno delle ragazze, oppure quella-”
“Ok, amore, ora dimmi che in tutte quelle volte non ti sei divertita.”
Mi rivolse il suo ghigno sardonico, di quelli arroganti, che sfoggiava sempre quando sapeva di aver detto qualcosa si irrimediabilmente vero. Allora sbuffai guardando di lato e incrociando le braccia al petto. Lui mi abbracciò, così che, dopo avermi sussurrato all’orecchio che le ero mancata, già era stato perdonato.
“Anche tu, tanto” dissi.
La voce mi uscii un tantino sforzata, perché era difficile parlare nella posizione scomoda in cui ero: appesa al suo collo, con le punte dei piedi tese. Ogni volta che ci abbracciavamo sentivo la disparità d’altezza che ci divideva come una fastidiosa scomodità.
“Vieni qui” fece, prima di sollevarmi con un braccio piegato a mo’di sedile sotto il mio sedere.
Una sera mi aveva detto che sollevarmi non gli costava nessuno sforzo, e infatti mi pareva sempre di essere una bambolina nelle sue mani.
“Allora, cos’è questa cosa tanto urgente da farmi saltare una lezione di storia dell’arte?”
Ero abbarbicata a lui con braccia e gambe, perciò avevo bisogno di concentrarmi su qualcosa che non fosse il meraviglioso contatto tra i nostri corpi. Il modo in cui i vestiti si sfregavano a vicenda mi forniva una fuga d’attenzione troppo allettante.
Nel guardarmi, il viso di Edward si fece di botto molto serio.
“Questa mattina sono arrivati degli ospiti” mi riferì in tono grave.
“Che genere di ospiti?”
“Del genere che porta guai.”
Curioso, pensai, proprio quando iniziavo a pensare di potermi annoiare.
“Loro vogliono conoscerti” continuò. I suoi occhi esprimevano molto più di quello che mostrava.
Dentro essi vidi apprensione, ansia, e paura di perdermi. Avrei potuto scommetterci quel poco che avevo, che non era solo una mia impressione. Ormai avevo capito una cosa importante: le emozioni di Edward potevano essere anche le mie se lo volevo. Probabilmente qualcuno mi avrebbe presa per pazza sapendo una cosa del genere, ma era la verità… piuttosto inquietante e stramba, ma la verità.
“E questo perché ti preoccupa tanto?”
“Non sono come noi Bella” disse, “… la loro dieta è-”
“Diversa?”
“Esatto.”
Sapevamo entrambi cosa significava. Già ero costantemente in pericolo per via della mia particolare capacità di procreare mostri, figurarsi in mezzo a un manipolo di vampiri che seguiva una dieta a base di umani. Il mio sangue, mi era stato spiegato, era diverso e dall’odore allettante per qualsiasi vampiro di sesso maschile.
“Mettimi giù per favore.”
Lui mi posò a terra con una delicatezza esagerata, ma protestare era l’ultimo dei miei pensieri in quel momento. Mi strinsi le braccia al petto e guardai assorta gli scaffali impolverati.
“C’è un maschio tra loro?”
“Per nostra fortuna, no.”
“Bè, allora la cosa non è così grave!”
Girandomi, me lo ritrovai vicinissimo. Aveva eliminato la distanza che avevo messo tra noi mentre riflettevo, senza che sentissi o percepissi nulla. Con Alice e gli altri Cullen ero riuscita a sviluppare un sesto senso che mi consentiva di carpirne la posizione, permettendomi così di evitare l’infarto quando arrivavano con passo felpato; con Edward era diverso. Lo sentivo, come se i suoi gesti fossero collegati alle mie membra, ma solo quando lui lo voleva.
Il vampiro in questione inclinò la testa e assottigliò di poco gli splendidi occhi coloro caramello.
“Forse non sono stato chiaro, amore: loro si nutrono di umani!”
“Si, questo l’avevo capito.”
Sospirò, abbassando le ampie spalle in un gesto rassegnato.
“Va bene, ancora una volta dovrò essere io quello che si preoccupa per entrambi” disse.
Sorrisi, poiché mi piaceva il suo personale modo di farmi capire quanto fossi strana.
“Dai, smettila di fare il pessimista! Andrà bene!” esclamai.
E alzandomi di nuovo sulle punte, raggiunsi le sue labbra in un baleno. A quel punto, tutti i pensieri negativi svanirono, offuscati dal dolce languore dei nostri baci.
La lezione di Storie dell’arte? Solo un lontano ricordo.

La sera stessa conobbi i nuovi arrivati.
Incominciai a sentirmi eccitata già due ore prima dell’incontro, quando volavo da un vestito all’altro per cercare quello più adatto all’evento. Poi Edward mi venne a prendere con la sua Aston, e allora l’eccitazione si trasformò in un ingombrante macigno nel mio stomaco, tanto da farmi credere che avrei potuto vomitare l’aria - visto che avevo pressoché ingurgitato solo quella.
“Ti senti bene?” mi chiese lui, appena prima che varcassimo la porta.
“Si, certo” e gli elargii un sorriso dalla pessima qualità, che tuttavia bastò a tranquillizzarlo.
 L’ambiente era pulito e ordinato come al solito, divani e mobilio erano dove me li ricordavo; stranamente, trassi conforto dalla famigliarità di quella casa. Tirai fiato, imponendomi calma.
 Non c’era motivo di tremare, era solo un’amichevole rimpatriata tra creature soprannaturali che, per ironia della sorte, amavano bere il sangue umano.
“Dove sono tutti?” chiesi a Edward, perché l’enorme villa sembrava ospitare solamente il silenzio.
Ma non appena la domanda mi si concluse in bocca, attorno a noi si radunarono svariate presenze inumane. Irrigidita dal repentino intervento, simulai un sorriso poco smaglianti di fronte alla faccia squisita di una donna dalla chioma platinata. La sua pelle era eterea come il resto dei vampiri che avevo avuto l’onore di conoscere, però sembrava possedere una marcia in più, come una dote speciale tra caratteristiche speciali. Immaginai che fosse possibile, perché anche tra gli umani c’è chi vede o sente più degli altri. Bè, quella particolare vampira sembrava brillare in misura maggiore ai suoi simili.
“Salve” disse con voce vispa “Io sono Irina.”
Allora mi porse la mano, mentre in me cresceva lo strano impulso ad evitare qualsiasi contatto a tutti i costi. Già, la mia falsa disinvoltura faceva schifo.
“Ne abbiamo già discusso Irina” mi salvò Edward. Mi aveva tenuta stretta per tutto il tempo e, sebbene fossi stata distratta dalla paura, il suo contatto mi provocava ancora qualche fremito. In un momento dove fossi stata meno stressata, avrei dovuto riflettere sull’influenza che esercitava su di me anche in situazioni tanto drastiche. Forse era qualcosa che potevamo sfruttare a nostro vantaggio, oppure un semplice annesso di scomodo impaccio.
Intanto che io farneticavo mentalmente, l’incontro si era evoluto. Irina aveva fatto un passo indietro con aria tetra e al suo posto era avanzata un’altra vampira che, per l’aspetto giovanile, faceva supporre che fosse stata trasformata più o meno alla mia età. Il suo nome era Kate, e aveva l’aria simpatica quasi quanto quella di Alice. E infine arrivò… Lei…
“Il mio nome è Tanya” si presentò sicura e, pensai, aveva tutto il diritto di esserlo.
Era tanto bella che anche Rosalie poteva passare per ‘comune’ al suo cospetto. Con i capelli lunghi, ondulati e rossicci, gli occhi nocciola dalle lunga ciglia, e le labbra carnose e di un rosso maturo, poteva concorrere a Miss Universo. Però sarebbe stato come barare, perché nessuna umana avrebbe potuto sperare di vincere contro la straordinaria bellezza delle vampire, fosse stata la più brutta tra quelle.
“Bella è sempre stata un po’ timida” sentì dire da Alice, come per giustificare il mio mutismo.
Molto sicuramente stavo facendo una figura pessima, fissata com’ero a studiarle a bocca spalancata.
“Si i-io… io sono Isabella” riuscii a dire, molto stupidamente. Sapevano già il mio nome.
“E’ un pia-piacere conoscervi” aggiunsi.
La vampira di nome Tanya mi sorrise, ma guardandola non mi sentii affatto confortata. Infatti si sarebbero potute dire molte cose sul sorriso che mi diede  Tanya quella sera, però non che fosse confortante. Aveva il sopore amore di chi vuole la rivincita.
“E’ presto per dirlo” sussurrò con la sua voce fredda e suadente, simile a quella dei migliori navigatori satellitari del mondo.
Nessuno diede l’impressione di averla sentita e, in tutta verità, dopo pochi minuti ebbi l’impressione di essermelo immaginato.
“Bene” disse Carlisle. Lui e Esme erano tornati una settimana prima, perciò Edward era stato sollevato temporaneamente dal suo incarico di stressare i componenti Cullen con i suoi ordini. “Direi che possiamo accomodarci” invitò Esme, con il suo dolce sorriso da impeccabile padrona di casa.
La serata trascorse priva della tensione che all’inizio si era accumulata per via del mio arrivo. Considerando che non ero stata mangiata da nessuna delle tre ospiti, potevo festeggiare insieme a gli altri. Avrei potuto rilassarmi, perché c’era un’intera famiglia a difendermi se qualcosa di storto fosse capitato, eppure non riuscivo a cancellare dalla testa le parole di Tanya. Lei sembrava a tratti mansueta, vista così intenta a parlare con Rosalie, che supposi fosse una delle sue conoscenze preferite tra i Cullen. Ma non aiutava a tranquillizzarmi il modo con il quale guardava Edward. Si può dire che lei si sforzasse molto poco a nasconderlo e che, anzi, si lasciasse sorprendere ad osservarlo per punzecchiare ancor di più la mia irritazione. Oramai avevo messo da parte la timidezza, e la fulminavo ogni volta che ne avevo l’occasione. Edward invece pareva fosse all’oscuro di quella situazione, nonostante i suoi poteri mentali. Si comportava come se lei non lo stesse bevendo con lo sguardo e io non stessi facendo di tutto per dissuaderla dal farlo.
“Buonasera Bella.”
“Sera Jasper.”
Diedi un sorriso sincero al vampiro cordiale che mi era davanti, e lui mi fece uno di quegli inchini di corte che amavo tanto. Erano talmente regali, da farmi arrossire ogni volta. Il mio sorriso si fece ancora più ampio mentre lo sguardo di Edward scrutava il volto del fratello, impassibile.
“Dov’è Alice?” chiesi a Jasper, poiché era raro vedere l’uno senza l’altro.
“Sta confrontando il suo guardaroba con quello di Kate. Prima di lasciarla stavano discutendo sull’efficacia delle scarpe attrezzate di plateau. Hai idea di cosa possa essere?”
Mi scappò di ridere prima di scuotere la testa. No, neanche io avevo idea di cosa fosse.
“Ti ho già detto che posso gestirla da solo.”
Il buon umore che ero riuscita per un attimo a resuscitare, svampò in uno sbuffo d’incertezza nel sentire quanto fosse torvo il tono di Edward. Lo scrutai con attenzione, e dopo alcuni istanti mi resi conto che stava viaggiando nella mente di Jasper come un surfista sulle onde dei suoi pensieri.
Jasper, e tutti il resto della famiglia Cullen, erano avvezzi a quel genere d’invasione, però mi sorprendeva sempre l’indifferenza con la quale affrontavano la cosa.
“Si, ricordo. Ma d’allora la situazione è peggiorata” ribatté il vampiro biondo.
Così Edward si sporse verso di lui, abbassando tanto la voce che persino io, che le ero vicina, ebbi difficoltà a sentirlo.
“Se dovessi intervenire, il tuo potrebbe essere considerato un affronto.”
“Percepisco l’aria tesa di questa stanza con la stessa acutezza con la quale leggi i miei pensieri. Non posso rimanere impassibile di fronte ad una tale esplosione emotiva!”
Jasper era agitato, e quella era la prima volta che mi capitava di vederlo in quella veste. Stava succedendo qualcosa che riguardava la sfera dei suoi poteri, ma il punto era proprio scoprire cosa riguardasse quel ‘qualcosa’.
“Potresti allontanarti con una scusa” proposi, pur non conoscendo il reale problema.
Mi guardarono come se mi fosse sbucata una seconda testa sulla spalla, e per alcuni secondi provai la sgradevole sensazione di essere rivalutata da un pubblico arcigno. Ero passata di grado, lo sentivo. Quella promozione improvvisa poteva significare solo che precedentemente ero ferma al livello zero. E questo perché ero umana!
“Potrebbe essere una soluzione” rifletté Edward.
Ma Jasper non sembrava per nulla convinto.
“Bella, puoi avere bisogno di me” disse.
“Perché mai?”
Il vampiro lanciò un’occhiata fulminea al fratello prima di parlarmi, abbassando il tono ad un sussurrò. In mezzo al chiacchiericcio che invadeva l’aria della stanza, fu arduo cogliere con esattezza la sue parole.
“Percepisco la tua irritazione, e Tanya non fa che esserne compiaciuta. State camminando su un filo molto sottile” mi avvertì.
A quel punto tutto mi fu chiaro. Jasper coglieva ogni singolo stato d’animo presente in quella sala, quindi era naturale che la mia gelosia non fosse passata inosservata ai suoi sensi. Forse il mio animo agitato da solo era innocuo, ma unito a quello funesto di Tanya, poteva diventare opprimente per una creatura empatica come lui.
“E’ lei che credevi di poter gestire?” chiesi a Edward, ripensando alla frase enigmatica di poco prima. Lui ispirò una quantità d’aria superflua per i suoi polmoni, poi disse:
“Si, la sua mente è colma di provocazioni.”
Non mi rimaneva che immaginare di che provocazioni si trattassero, e la mia fantasia non mi propose nulla di rassicurante. Cosa aveva dovuto sopportare Edward fino a quel momento?
Cosa le aveva mostrato la mente di Tanya? Iniziai a figurarmi in testa mille scenari dove lei seduceva lui con stratagemmi volgari, con carezze furtive e provocanti, e allora decisi di poter perdere il controllo da un momento all’altro. Avevo in testa il corpo sinuoso di Tanya appiccicato a quello altrettanto perfetto di Edward, quando mi girai a cercare con lo sguardo la vampira rossa.
“Bella!” mi chiamò Jasper, perché stava gustando l’acidulo sapore della mia rabbia e aveva capito quanto fosse fragile l’orlo che mi separava dall’esplosione.
“Bella, amore.” Anche Edward chiamò il mio nome e intanto, posandomi una mano sul braccio, mi teneva seduta al mio posto. Ero fuori di me, perciò mi importava poco il fatto che sarei potuta finire mangiata da una vampira compiacente. Ridicolo: avrebbe anche potuto schiacciarmi tra indice e pollice per una parola di troppo, eppure ero comunque presa dalla frenesia di gettarle addosso ogni sorta di epiteto. Il peggio arrivò quando lei si voltò a fissarmi, un sorriso malizioso sulle sue labbra carnose, che colpì come una freccia la mente di Edward. Capii che le aveva lanciato un’altra immagine mentale proprio in quel momento, perché la stretta sul mio braccio aveva avuto un tremulo spasmo per alcuni istanti.
“Che stronza schifosa!” sibilai. Conseguentemente la situazione precipitò.
Vidi i lineamenti angelici di Tanya tramutare in qualcosa di diabolico, inumano, e poi scattare nella mia direzione con la velocità tipica di ogni vampiro. I miei occhi - che colsero poco di quell’azione - distinsero tuttavia un braccio proteso verso di me, con artigli lunghi e dalla forma allungata, unghie smaltate di fuoco luccicante. Non ebbi paura, al contrario, le gettai altre ingiurie mentre cercavo di liberarmi delle mani fredde che mi bloccavano. E, proprio quando gli artigli mi furono tanto vicini da poterne cogliere l’odore di fresia, un’agitazione convulsa movimentò tutti i presenti. Allora un Cullen si frappose tra me e la morte certa, un altro mi strinse, un altro ancora afferrò il braccio proteso di Tanya. Il tutto si era evoluto con un dinamismo fulmineo, e una coordinazione tale da farmi pensare che avessero pianificato ogni cosa.
“Cazzo” mi sfuggii, chiusa nell’ermetico abbraccio di Alice.



Nota dell'autrice: Forse ho fatto un pò ritardo!!! ^.^" Ma abbiate pietà, con i corsi universitari e tutto il resto, è una vera impresa riuscire ad essere frequenti!! -.-" Purtroppo vado di fretta, perciò non posso rispondervi e ringraziarvi uno per uno, però posso farlo in via generale!! ^.^ Bene, un enorme, stratosferico, infinito, rifulgente, GRAZIE a tutte le commentatrici/commentatori!! =D Siete la forza che mi fa andare avanti a scrivere. E sono contentissima che il cap precedente vi sia piaciuto ^.^ Il piccante è il mio forte, vi avverto! XD
Alla prossima!!!! =^-^=

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Ed ecco un altro capitolo postato di fretta!!! Ringrazio tutti gli autori dei commenti che mi avete lasciato, in particolare Rebecca73 ^.^ la tua è stata una recensione breve, ma toccante. Infatti ho deciso di dedicarti questo capitolo =) è tutto tutto per te!!! ^.^ Sapere che c'è chi mi segue dalla prima ff che ho pubblicato mi tocca il cuore. Spero di non deluderti mai Rebecca =)
E ora, a voi il capitolo....


(Lesson n.21): Ci sono promesse sciocche, e promesse che invece ti riempiono la vita
Si, era proprio Alice quella che mi teneva stretta; e Rosalie quella in piedi davanti a me.
Edward si era occupato di Tanya. Nulla mi ferii più che vedere le sue mani toccare quella pelle tanto vellutata, tanto desiderabile.
Dopodiché un guanto di pace e tranquillità - fatto su misura per me - mi avvolse completamente, impedendo ai sentimenti di traboccare fuori dalla mia carne. Nonostante gli effetti anestetizzanti del potere di Jasper, riuscii a sorprendermi dell’intervento di Rosalie. Credevo che mi odiasse come un contadino odia l’erbaccia invadente nel suo orto, quindi il fatto che fosse lì a difendermi mi costrinse a rimescolare le carte. Evidentemente, c’era molto altro da scoprire sul conto di Rosalie Hale Cullen.
“Sarò meglio chiudere qui la serata” disse un voce autorevole, e subito dopo Carlisle entrò nella mia visuale. Esme, con Emmett dietro di lei, si avvicinò alle altre due vampire: Irina e Kate erano statue immobili ai piedi delle scale che portavano al primo piano della grande casa Cullen, inespressive quanto la fredda roccia.
“Tanya?”
All’esplicito richiamo di Carlisle, Tanya strattonò ringhiando il braccio che Edward teneva stretto, e solo quando lui aprì la mano riuscì a liberarsi. L’antipatia che provava nei miei confronti era equivalente a quella che mi aveva messa nei guai con Charlotte. Su questo avrei dovuto riflettere, perché ora mi sembrava che Rosalie, Charlotte e Tanya avessero tutte una cosa in comune.
“Prima o poi ti stancherai di lei” disse ad un certo punto la vampira dalla lucente chioma rossa, talmente folta e ondulata, da dare l’impressione che avesse vita propria.
“E allora tornerai da me” mormorò suadente a Edward.
La mia rabbia quasi sovrastò i poteri di Jasper, che sentii in difficoltà per l’enorme quantitativo di emozioni che fu costretto a domare. Forse avrei potuto gustarmi il suo volto sorpreso, poiché sapevo che non mi avrebbe mai giudicata capace di sprigionare una tale entità d’ira, ma la stretta portentosa di Alice me lo impedii. Fu a causa di quella che dovetti assistere impotente alla scena che si svolse davanti i miei occhi: Tanya che toccava Edward, il mio Edward.
Trascinò le dita dalle unghie laccate di fiammante rosso, in netto contrasto con la pelle diafana, sulla parte di petto scoperto dalla sua camicia. E lo scrutava con quel tipo di sguardo che tramortisce di libido qualsiasi uomo, corposo di languide promesse. Fissai le perfide dita con occhi sgranati, e desiderai ardentemente incenerirle quando sfiorarono il collo muscoloso e poi la forte mascella.
Fermatela! Gridava la mia voce interiore, ma il corpo era floscio, i muscoli privi d’impulsi.
Quindi la vidi sussurrare al suo orecchio, con un mezzo sorriso che sapevo sarebbe rimasto impresso nei miei ricordi per sempre. Non seppi mai cosa propose al mio uomo, quali passatempi le offrì spudoratamente, però fui oltremodo sollevata quando Edward si allontanò da lei di qualche passo.
“Vattene” fu la sua unica risposta, il suo ordine secco.
Tutto il resto dei presenti non aspettavano altro che una sua parola, e allora tornarono a respirare e fingersi vivi. Carlisle aprì la porta, come chiaro invito a sloggiare, così che Irina e Kate furono scortate fuori. Tanya le seguì, certo… prima però, si prese la soddisfazione di sputarmi addosso il suo veleno, sotto forma di crude parole.
“Sei solo un’incubatrice di carne!” quasi gridò.
“ Quando sarai servita allo scopo, ti butterà via come un giocattolo usato.”
Pur ferita da quel suo macabro pronostico, la vidi uscire dalla mia vita con soddisfazione, pregando nel frattempo che vi rimanesse fuori il più allungo possibile.

Eravamo nella mia stanza da cinque logori minuti, sprecati nel silenzio pensoso di chi, prima di andare a dormire, ha molte riflessioni da elaborare e alle quali porre una conclusione definitiva.
Personalmente, avevo il morale talmente basso che le suole delle scarpe faticavano a spiccicarsi da terra. Rivedevo Tanya e le sue mani accarezzare il torace di Edward, e immaginavo cosa avrei provato se lui avesse ricambiato in qualche modo quelle attenzione. Mi chiedevo se fosse stato tentato, e in quale misura; sentivo le parole della rossa ripetersi, ripetersi e ripetersi, come un’eco inquietante nell’antro più oscuro di una caverna. La parte refrattaria ad ogni mio tentativo di distrazione era quella in cui mi chiamava ‘incubatrice di carne’. Era un appellativo così cinico da mettermi addosso un’infinita tristezza, perché, in definitiva, poteva considerarsi vero.
“Vado a farmi una doccia” dissi, con un entusiasmo praticamente assente e vietandomi di guardarlo.
Mi faceva male vedere quanto fosse splendido nonostante tutto lo schifo che ci era caduto sopra, mentre io ero un disastro assoluto. Essere umana mi pesava troppo in quei momenti, poiché le differenze tra noi spiccavano di più.
Lui non emise un fiato e così io entrai in bagno indisturbata. Sbottonai la camicetta, la tolsi facendola cadere sulle mattonelle profumate di fresco, quindi sgusciai fuori dalla minigonna di jeans. Ecco, l’incubatrice di carne era quasi nuda di fronte allo specchio.
Osservando la mia figura, mi resi conto di quanto malleabile fosse il mio corpo. La carne poteva modellarsi in modo da ospitare un’altra vita senza difficoltà, e a quel punto le linee sinuose si sarebbero ingrossate e la bellezza sarebbe sfiorita. Mi girai di schiena alla porta e studiai il mio ventre piatto, cercando di figurarmelo gonfio di vita. Lo toccavo e lo guardavo, quando d’improvviso un tocco freddo si aggiunse al mio. Spaventata, ma immobile, lasciai che le dita estranee accarezzassero le rotondità morbide del ventre, l’ombelico e poi lo stomaco. Allora alzai lo sguardo e fissai il riflesso di Edward attraverso lo specchio.
“Vuoi una mano per lavarti?” mi propose.
Un invito allettante.
“No grazie” rifiutai, perché comunque non ero in vena.
Lui afferrò al volo la stranezza, perciò mi strinse forte e appoggiando il mento sulla mia spalla, disse: “Raccontami dei tuoi pensieri.”
Fissarlo faceva davvero male, tuttavia era come essere nei panni di uno sfortunato spettatore di un disastro aereo: vorresti distogliere lo sguardo, sai che precipiterà e moriranno tutti, eppure resti a guardare. Per questo ammirai il suo viso, i suoi occhi, le mani bianche che stringevano appena i miei fianchi con una struggente consapevolezza. Ero sadica, mi piaceva notare quanto il suo pallore contrastasse con il mio, e quanto splendido, e perfetto, e divino, fosse in confronto alla mia umana esistenza. Lui avrebbe avuto quell’aspetto fino alla fine del mondo…
“Bella.”
Pronunciò il mio nome con un tono reverenziale, che quasi mi diede i nervi.
Lui era un vampiro! Era immortale, Santo Cielo! Come poteva riservarmi tanto amore?
“Piccola, perché piangi?”
Stavo davvero piangendo? Mi accorse delle lacrime solo quando esse scivolarono giù dalla guancia, per poi volare in un breve tratto che le portò a schiantarsi contro la pelle calda dei miei seni. Studiai il modo con il quale una delle due  piccole gocce, bagnò l’orlo in pizzo del mio reggiseno bianco, e pensai a quanto patetica potevo ancora diventare.
Edward si spostò; per il movimento mi giunse alle narici una zaffata del suo odore squisito. Poi fui coperta da una lunga ombra, intanto che le lampadine della specchiera illuminavano la sua schiena.
“Smetti” mi sussurrò, “ti prego.”
Sebbene fosse la prima volta che lo sentivo pregarmi, continuai a fissare il suo torace anziché il suo viso. Iniziai a tremare quando baciò la scia che mi bagnava lo zigomo, seguendo il percorso segnato sulla guancia e…
Si inginocchiò proprio ai miei piedi! Adesso lo vedevo, vedevo i suoi occhi colmi di amore e le sue labbra, che fresche raccolsero le lacrime posatemi sul seno.
Ci fu un’esplosione nel mio petto, con un risucchio bollente di sentimento che risuonò nelle vene, poi nei muscoli e infine nelle ossa. Avvampai come una torcia imbevuta di alcool, solo che il fuoco bruciava all’interno, dove nessuno lo vedeva.
“Prometti che non mi lascerai” mormorai, “Promettilo.”
Edward entrò nel mio sguardo, frantumò le barriere della coscienza per toccarmi l’anima. La sua presenza nella mia testa profumava di devozione.
“Prometto. Nulla mi separerà da te, mai più.”
Era la verità, solo quella tra noi.
Accolsi il suo capo sul petto, gustandomi la dolce sensazione di tenerlo stretto a me come una mamma con il suo bambino. Una sensazione piena di sfaccettature accattivanti, e non esattamente caste.
“Non mi tradirai mai?”
“Perché dovrei?”
“Esistono molte vampire che vogliono uccidermi per averti. E io sono solo un’umana.”
Alzò il viso per scrutarmi ancora.
“Loro non contano” mi disse, “Io amo te, Bella.”
Ecco, quello era il momento perfetto per finire la mia misera esistenza. Dopo quell’istante, così meraviglioso, così assoluto, così lucente, ci sarebbero state solo cose cattive e amare da affrontare.
Quello era il culmine, l’acme di un’evoluzione pirotecnica, dopo la quale sarebbe subentrato il silenzio della folla e della notte.
Cielo, quanto desiderai fermare il tempo! Quanto pregai affinché accadesse!
“Anch’io ti amo.”
Riuscire a parlare fu arduo, perché prima dovetti rieducare me stessa a respirare. Non avrei mai immaginato che si potesse dimenticare una cosa così elementare.
“Adoro ogni cosa di te” continuò a dire lui. “Adoro la tua cocciutaggine, il tuo coraggio, il tuo buon cuore, il modo intenso con il quale ami, e quello struggente con il quale soffri.”
Intanto che parlava si era alzato, perciò era tornato ad essere alto e imponente. Mi teneva sempre stretta, ma in quella posizione - con la pelle quasi nuda a contatto con la ruvidità dei suoi vestiti – sentivo tutto più compromettente.
“Lo dici solo perché sono in reggiseno e mutandine” sorrisi, perché non lo pensavo davvero.
Anche lui sorrise, nel suo modo particolare, e diede un’occhiata spudorata al mio seno prima di ribattere con la sua solita malizia.
“Bè, senza di quelli direi le stesse cose, se non migliori.”
Risi, lo feci sul serio! Ero felice; volevo ridere, amare, parlare di sdolcinatezze, vivere come se ogni minuto fosse l’ultimo. Stavo bene: mi sentivo una pila energetica pronta a schizzare. In un lampo di lucida consapevolezza, mi paragonai ad una pazza che si lancia fuori da un aereo in volo senza paracadute. Mi ero buttata, stavo volando, e non mi portava quando e come sarei caduta…  
Baciai le labbra fredde del mio vampiro, e quello ricambiò con un ardore bruciante di disperata passione. Facemmo lottare le nostre lingue fino a che la mia mandibola fu esausta: era un pensiero allettante sapere che la sua, invece, era un’instancabile lavoratrice. Infatti si prodigò in manovre sempre più audaci, che man mano mandarono in fiamme le mie guance.
Ad un certo punto sussultai, perché qualcosa di gelido mi aderì alla schiena: erano le piastrelle del bagno, che si appiccicarono alla pelle sudata con una sgradevole audacia. Grazie a quella sensazione però, recuperai in parte la lucidità necessaria per capire che stavamo incamminandoci sul sentiero sbagliato. Presto un lupo avrebbe incominciato ad ululare, e noi, bloccati, l’avremmo maledetto per via della nostra pulsante frustrazione. Ero stanca di arrivare al limitare del piacere, per poi essere costretta a tornare indietro…
“Edward” lo chiamai disperata. Le sue labbra stavano stuzzicando con un’insistenza tale il mio seno, da farmi sentire brividi per tutto il corpo. Gli gettai un’occhiata languida, e decisi di imprimere quella scena nella mia memoria, particolare dopo particolare.
Il pizzo era accartocciato sotto la morbida curva del mio seno, forse per metà strappato. E lui era lì, che raccoglieva nella sua bocca il capezzolo, succhiandolo e tirandolo con i denti mentre mi guardava con occhi famelici.
“Basta, fermati” riuscii ad implorare, ma con scarsa audacia, con scarsa determinazione.
Comunque lui lasciò andare lo stesso il nocciolo rosso di piacere, per poi baciarmi sulle labbra teneramente. Aveva capito, non c’era bisogno di dare spiegazioni o perdersi in discorsi lunghi e complicati. Sapeva cosa mi affliggeva, perciò voleva consolarmi.
“Sta arrivando Alice” disse, con un’aria per nulla entusiasta.
“Quando hai finito raggiungici.”
“Ha cattive notizie?” chiesi.
Lo vidi fissare il vuoto - anche se di fatto guardava me - e capii che stava viaggiando nella testa della sorella alla ricerca di una risposta veritiera. D’improvviso la sua bocca si allargò in un ghigno felice, intanto che gli occhi esprimevano sorpresa e qualcosa che assomigliava molto alla speranza.
Io ero ancora appiccicata alle piastrelle e sospettavo che togliermi di lì sarebbe stato come staccare dello scotch da una tavoletta di plastica bollente. Ansiosa di entrare nella vasca, venni comunque distratta dal fascino del suo sorriso. Doveva aver scoperto qualcosa di tremendamente buono tramite Alice, per sorridere come un gatto in una tana zeppa di topi.
“Allora?”
Edward emise una serie di suoni che dovevano essere parole, le quali uscirono tanto rapide da sfuggire in parte al mio orecchio. Nel marasma però, afferrai di sfuggita l’aggettivo ‘geniale’, accompagnato a qualcosa che mi parve ‘soluzione’. Quindi mi baciò, sulle labbra e tra i seni, prima di uscire come una saetta dal bagno. Mi domandai allora cosa poteva averlo reso tanto entusiasta e - potevo finalmente pensarlo - eccitato.
“Alice deve aver avuto uno dei suoi colpi di genio” mi dissi, e poi riempii la vasca.
Non c’è neppure da chiederlo: di acqua fredda!

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


(Lesson n.22): Una relazione può rafforzarsi solo grazie alle difficoltà che supera
Ebbene, Alice aveva in serbo per noi… davvero un’idea geniale! Ma questo, dal punto di vista molto disinibito di Edward. Dal mio, invece, si vedevano almeno cento punti sui quali discutere tutta la settimana a venire. Primo tra tutti…
“Sono troppo giovane per sposarmi!”
L’espressioni di Alice non perse nulla del suo entusiasmo, nonostante la mia faccia avesse fin da subito dimostrato un livello di choc molto elevato. A Edward brillavano gli occhi e, non riconoscendolo, preferivo evitare di guardarlo per due secondi di troppo. La luce che illuminava le sue iridi bronzee rendevano la faccenda più seria di quanto già non fosse. Sembravano due diamanti che, alla parola ‘matrimonio’, splendevano e rilucevano sempre più di brillantezza.
“Ma, Bella, rifletti qualche minuto. E’ l’unica strada che non ci porta in guerra contro i mutaforma!”
“Alice, non mi sposerò per via di un cavillo diplomatico” sostenni.
“Sarà comunque per amore Bella” ribatté rapida.
Mi sembrò di dover spiegare un concetto elementare ad un ottuso adulto, per giunta laureato! Continuavo a chiedermi come fosse possibile che non cogliesse l’assurdità di quella soluzione, proprio lei che, essendo vampira, doveva possedere un’acutezza superiore alla media.
“Per amore si possono fare mille cose, ma sposarsi è un passo troppo importante, troppo…”
“Definitivo?” concluse per me Edward, che fino a quel momento era rimasto fuori dalla discussione.
Stava seduto sulla poltrona preferita di Charlie, ma con una posa più raffinata di quella che assumeva lui quando vedeva la ‘partita’ con in mano una birra. Lo immaginai, per un breve e terribile istante, sotto le spoglie di mio marito. Quello che provai fu strano, indefinito come un sogno, però intenso e pungente come un crampo improvviso. Emozioni contraddittorie cozzarono nel mio cuore, producendo un’eco che si protrasse fino al ventre e poi giù, dritto alle ginocchia. Fui assalita da furiose vertigini - di quelle che ti danno l’impressione di stare su una giostra - così dovetti risedermi sul divano per non cadere sul tavolino di legno.
“Hai paura” sussurrò lui, fissandomi con sguardo rapace.
Mi venne da ingoiare, anche se in bocca avevo un’aridità insopportabile.
“Stiamo insieme, da quanto Edward?” iniziai a dire, “Da due, tre settimane? Ci vogliono anni per costruire un fidanzamento degno di arrivare al matrimonio. E tu, invece, vuoi prendere la scorciatoia.”
Alice ebbe la compiacenza di stare zitta mentre i nostri occhi interagivano tra loro in una discussione silenziosa. E dopo quella estenuante lotta di sguardi, che non vide alcun vinto, disse:
“Lasciaci soli, Alice.”
“Ma..!”
Edward le scagliò con un’occhiata raggelante, che bloccò la protesta della sorella sul nascere e che la convinse a lasciare la stanza nel giro di pochi istanti. Si diede giusto il tempo di salutarmi con un affettuoso abbraccio, e poi scomparve.
“Sai che è stato inutile” dissi. “Saprà comunque quel che ci diremo.”
“Adesso sento il bisogno di sentire solo i miei pensieri.”
Guardandolo, mi resi conto di quanto era difficile per lui gestire situazioni così critiche. Chissà quant’è snervante, pensai. Doveva possedere una straordinaria capacità di concentrazione per riuscire a riflettere coerentemente, intanto che voci mentali di ogni sorta ti penetrano il cervello.
Io, con la mente confusa che avevo, non sarei mai riuscita a sopportare un potere come quello di Edward.
“E cosa ti dicono i tuoi pensieri?” domandai esitante. Mi incuriosiva sapere il motivo per il quale era diventato tanto chiuso, tanto distaccato. Ma sempre e comunque bellissimo. Anche vederlo così lontano, in quel momento difficile, era per me motivo di struggimento; il cuore veniva pervaso da fitte bollenti di amore e devozione per ogni gesto che compieva, seppur banale. Persino il modo con il quale gonfiava i polmoni per un sospiro rassegnato, mi portava ad amarlo ancora, e ancora, fino alle soglie dell’impossibile. E allora, perché non volevo sposarlo?
Una bella domanda…
Però non era quello il momento per psicanalizzare me stessa e le mie contraddizioni. Tornai a concentrarmi sulla nostra conversazione non appena lo vidi pronto a rispondermi.
“Penso a noi due insieme.” parlò mesto, “Alle lenzuola strette intorno ai nostri corpi nudi, e alle parole che vorrei sussurrarti all’orecchio intanto che sono dentro di te.”
“Ah.”
Non c’era altro che potessi dire.
Avevo le guance in fiamme e gli occhi offuscati dalla visione che era riuscito a suscitato nella mia mente. Era così sensuale, così devastante, che strinsi istintivamente le gambe per l’imbarazzo. Il mio corpo aveva reagito abbondantemente, e quello che aveva fatto, era stato solo parlare. I suoi occhi poi, mi bevevano l’anima e scompigliavano ancor più le mie sensibili percezioni. E sebbene feci uno sforzo immane per tornare coerente, la voce manifestò comunque un lieve tremore.
“Non po-possiamo sposarci solo per raggiungere… quell’obbiettivo” sebbene davvero tanto allettante, finii mentalmente.
“Ne sono consapevole, più di quanto tu creda” mi disse.
Allora chiusi gli occhi e massaggiai le tempie con le punte delle dita: ecco che arrivava il mal di testa! Le sue intenzioni erano ingarbugliate quanto la matassa di fili elettrici che Charlie teneva giù in cantina. Mi ero sforzata di districarli, e quello era il risultato.
D’improvviso il suo profumo si fece intenso, scivolò nei polmoni quasi che fosse un denso succo al sapore di muschio e miele. Sentivo l’alito freddo della sua bocca sul viso, e le mani posate innocentemente su entrambe le mie ginocchia. Grandi e fredde, parevano pallidi ragni in attesa.
“Guardami” mi incitò Edward.
Si era inginocchiato ai miei piedi, come i principi nei film romantici che amavo. Solo che lui non era un principe: era un vampiro, creatura oscura e non di luce. Questo pensiero rese il gesto ancor più eclatante.
“Bella, guardami.”
Lo accontentai, fissando i miei occhi nei suoi. Mi concentrai su quelli, dalla forma allungata e profondi, sovrastati da sopracciglia folte e rossicce. Il colore acceso risaltava sulla pelle lattea, così come la chioma disordinata che si ritrovava. Il naso, dritto e ben delineato, pareva scolpito dalla mano esperta di uno scultore. La forma della mascella poi, squadrata quanto bastava per non sminuire la bellezza delle sue labbra, era intrigante. Sembrava che fosse stato creato apposta per sedurre l’intero universo femminile.
Avrei voluto perdermi in mille elogi mentali, ma avevo un discorso di vitale importanza da portare avanti.
“Ti guardo” sussurrai, dopo il mio accorato studio.
E lui mi chiese: “Cosa vedi?”
Rimasi per un po’ spiazzata. Trascorsi alcuni secondi, iniziai a capire quale fosse la risposta giusta, perché andai più affondo nelle sue iridi. Singolari, uniche per la loro innaturale tonalità, mi trasmettevano calore. Era così strano pensarlo! Qualcosa mi diceva che un essere freddo come un vampiro non avrebbe dovuto possedere uno sguardo del genere. Poi, di colpo, in mente mi balzò  l’espressione ‘uomo innamorato’, e quasi piansi poiché sentivo che quella era la risposta esatta.
Edward, quando vide le lacrime incastrarsi tra le sottili ciglia dei miei occhi, posò una mano gelida sulla guancia e ne raccolse una goccia sul pollice. Quindi mi bagnò il labbro inferiore con quella piccola acqua salata, osservando incantato il modo con il quale si distribuì tra i microscopici spacchi. Scrutò attento la mia lingua, che ne raccolse pigra il sapore, e ruggì sommesso.  
“Resisterti è arduo” disse a mezza voce, “mi ricorda l’astinenza che ho subito quando abbandonai la caccia.”
Lentamente, unimmo le nostre labbra in un bacio delicato. Mi si strinse il cuore per quanto fu struggente la dolcezza che ne scaturì. Era tanta e tanto intensa da poter generare una nuova vita, e forse, un nuovo universo.  
Dalla gola di Edward uscì un suono simile a fusa, ruvide e pesanti come quelle di un grande felino.
“Il sangue animale non era mai abbastanza” disse.
“Mi stai paragonando a della selvaggina?”
Sotto le palpebre pesanti, lo vidi ghignare sardonico. Per un attimo sembrò sul punto di ribattere con una risposta arguta, ma poi la malizia si spense e la sua austera serietà lo pervase.
“Sto cercando di farti capire quanto sono dipendente da te, Bella. Ti ho fatto una promessa, e non la infrangerò, perché morirei se ti lasciassi un’altra volta.”
“Quindi, vorresti sposarmi entro una settimana?”
La domanda sarebbe dovuta essere pregna d’ironia, che purtroppo fu smorzata dalla sua vicinanza. Allora mi diedi dell’incapace, intanto che morivo pateticamente per i suoi sensuali movimenti. Mi aveva afferrato un polso e, guardandomi famelico, ne mordeva delicatamente la parte inferiore. Le vene sotto la sua bocca iniziarono a prudermi ed io abbi un sussulto. Come facevo a pensare, con lui che faceva quelle cose assurde al mio corpo?
“Non una settimana” disse. “Tu, quanto pensi di resistere?”
Se continui così, pensai, molto poco.
“Possiamo fuggire da qualche parte e trovare una posto dove i mutaforma non ci trovino” proposi.
Ma Edward scosse la testa.
“L’ultima cosa che voglio, è consumare la nostra intimità come dei ricercati.”
“Sposarsi adesso è da pazzi, Edward.”
“Aspetteremo.”
“Fino a quando?”
Mi sorrise, accattivante come un uomo di altri tempi catapultato in quest’era moderna. Era troppo bravo, troppo perfetto per entrare nei panni comuni di un banale marito.  
“Fino a quando non ne potremo più” rispose.
Tutto dipendeva quindi dalla nostra resistenza. Forse quella di Edward era all’altezza, per via dei decenni di esperienza che avevano forgiato il suo ferreo autocontrollo. Ma della mia capacità di trattenermi dal saltargli addosso… bè, dubitavo… e non poco.


“Ciao Bella, Edward è appena tornato dalla caccia. Accomodati, cara.”
Esme era il mio idolo. Era così che sarei voluta diventare da grande, oppure, era così che avrei voluto che fosse mia madre. Insomma, era un esempio da adattare a molteplici realtà. La cosa che più apprezzavo in lei, era il fatto che il suo comportamento tanto accondiscendente non era per nulla artefatto. La sua dolcezza, il suo tenero sorriso, erano naturali e sempre presenti. Non si sforzava come facevano molte altre persone, che poi a stento mi salutavano quando le incontravo accidentalmente per strada.
“Vuoi del tè? O una limonata?”
Il suo sorriso mi fece quasi venire voglia di mentire, e dire si, che avevo una gran sete e volevo disperatamente una limonata. Ma non era così: avevo lo stomaco in subbuglio, perciò metterci qualsiasi cosa dentro sarebbe stato un grave affronto alla sua volontà.
“No, ti ringrazio Esme. Voglio solo raggiungere Edward” le dissi, sorridendole educata.
“E’ sotto la doccia, ma puoi aspettarlo nella sua stanza.”
Dopo averla ringraziata per la seconda volta, salii le scale con la mente occupata dal pensiero di Edward tutto bagnato e insaponato. Una settimana prima mi sarei sentita una ninfomane per quel genere di fantasie, ma proprio ieri avevo fatto i conti con quella parte di me stessa. Io e Edward eravamo entranti in un discorso molto intimo e molto piccante, in cui ci siamo raccontati le nostre reciproche fantasie. Inutile spiegare di che genere fossero. Lui era stato il primo ad iniziare, ed io, soggiogata dalla sua splendida voce, ero caduta in fiamme in poco più di mezzo minuto. Ho fatto la restia per un’ora buona, dicendogli che mi imbarazzava enormemente quel gioco, però lui alla fine ha avuto la meglio. Mi ha detto che non dovevo vergognarmi, perché è normale avere fantasticherie sulla persona che ti piace. Si era comportato da uomo adulto, troppo adulto, e io di conseguenza mi sono sentita una bimbetta. Ma, quando ebbi finito di raccontare, fu lui ad ansimare come un ragazzino eccitato. E’ stata una bellissima soddisfazione quella di vederlo ridotto in quel modo a causa delle mie fantasie. Anche se quel giorno non abbiamo fatto altro che accrescere ancor più la nostra frustrazione, ci siamo divertiti.
Con un lieve sorriso sulle labbra, entrai entusiasta nella sua stanza. Sentii lo scroscio della doccia nel suo bagno – il vantaggio di essere un Cullen, è che ognuno ha diritto ad un proprio bagno – e mi accomodai sulla poltrona ad aspettarlo. Per un breve attimo mi chiesi se si fosse portato i vestiti puliti, o se mi avrebbe deliziata della vista di lui in accappatoio mentre sceglieva un jeans e una maglietta. Sperai nella realizzazione della seconda possibilità.
“So a cosa stai pensando” disse d’improvviso una voce calda e smorzata. Guardandomi attorno per tutta la stanza, cercai di capire da dove provenisse. A quel punto la voce incominciò a ridere, e allora compresi che proveniva dalla porta del bagno. Quella era semi aperta – mentre pochi minuti prima non lo era – e lasciava vedere uno specchio ampio, che pareva occupare tutta una parete. Sulla superficie dello specchio si era raccolta una membrana opaca di umidità, che tuttavia catturava l’immagine di un corpo pallido e slanciato. Incantata, osservai quell’ombra chiara rivelarsi nelle parti meno opache dello specchio. Proprio grazie a quelle scoprii che il corpo era del tutto nudo, perché si potevano distinguere bene le cosce muscolose e il ventre tirato in un seducente triangolo di muscoli. Probabilmente smisi di respirare. E rischiai di peggio quando una mano marmorea spazzò via, con un unico e lento gesto, il vapore dalla superficie riflettente.
Mi sentii sull’orlo di un infarto, o di una combustione spontanea. Di me non sarebbe rimasto altro che una macchia sulla pelle bianca di un divano costoso.
Tramite quella striscia di specchio lucido, vidi il ghigno di Edward prendersi gioco di me.
Non si vedevano nient’altro che le sue labbra, che strafottenti mi provocavano .
“Farai meglio a smetterla” sussurrai, un po’ intontita. Il sangue era tutto affluito nella parte inferiore del mio corpo, perciò non sarei potuta arrossire neppur volendo.
Vidi il ghigno allargarsi, le labbra aprirsi, e quello che ne uscì fu una risata melodiosa; essa dilagò dal bagno alla stanza, e dalla stanza fece eco nella mia mente.
Avrei potuto sciogliermi per quel suono, e in verità, lo stavo già facendo…
“Che stronzo” mi venne da grugnire, in un modo molto poco signorile.
Era chiaro che mi stava provocando deliberatamente, e come minimo mi sarei dovuta incazzare di brutto, considerando che non c’era alcuna speranza di portare quel gioco ad un reale sfogo. Invece, friggevo come un pezzo di carne in olio bollente. Ero patetica, mi dicevo, intanto che osservavo la sua figura pallida muoversi in bagno. A tratti coglievo la vista di un pezzo di schiena, e a tratti quello di una coscia, riuscendo a vedere persino parte del suo delizioso fondoschiena. Ma quella, me lo sentivo, era un’occasione che mi avrebbe lasciato l’amaro in bocca.
“Non credevo fosse così tardi.”
“Bè, anche i migliori sbagliano” risposi, benché fossi io quella in netto anticipo. Mi ero presentata mezz’ora prima, perché a casa avevo finito tutte le faccende casalinghe e perché, ammisi, non riuscivo a stargli lontano.
Il mio vampiro preferito sbucò dal bagno con un telo di spugna annodato in vita, bianco al pari della sua pelle. Bellissimo, arrogante, scolpito nel marmo e gocciolante di acqua calda, sembrava pronto per un servizio fotografico.
“Hai intenzione di vestirti?”
“Solo se lo vuoi davvero.”
“Edward…” lo chiamai, imprimendo la voce di avvertimento. Volevo sapesse che stava esagerando, che presto sarei implosa se non fosse tornato ad essere un bravo ragazzo. Altrimenti si sarebbe ritrovato per fidanzata una poltiglia di ormoni e libido.
Con un sopracciglio alzato e la solita faccia da schiaffi, mi chiese: “Troppo mordace?”
Io annui, e allora lui disse di chiudere gli occhi per tre secondi. Mi fece anche contare ad alta voce!
Arrivata al tre, aprii gli occhi e lui era vestito di tutto punto.
“Comodo” dissi, mentre apprezzavo il jeans strappato e il pullover grigio che aveva scelto.
“Quali sono le novità di cui mi parlavi al telefono?”
“Vieni qui, fatti baciare prima.”
Come rinunciare ad un invito tanto allettante? Mi fiondai da lui e stringendolo lo baciai con tutta la passione repressa che aveva suscitato con il suo sporco giochetto.
Per via del sodo allenamento che avevamo intrapreso io e lui, ero diventata molto brava a baciare. Avevo scoperto che bastava muovere la lingua in un certo modo per scatenare gli istinti animali del mio uomo. Lui mi aveva detto che mettere in pratica quella tecnica significava giocare sporco, perciò non esitai a rendergli il favore. Con una lieve torsione della lingua, accarezzai il centro del suo freddo palato e contemporaneamente entrambi canini, appuntiti e letali. Si staccò rapido, producendo uno schiocco umido di labbra.    
“Questa è una sorta di vendetta?” mormorò con voce ruvida. Gli occhi neri di desiderio svelavano quanto fosse eccitato. E quella, bè si, quella fu un’altra soddisfazione da aggiungere alla mia bacheca delle vittorie ottenute. Umana due, Vampiro uno.
“Prendilo come un avvertimento.”
“A volte penso che saresti una vampira perfetta” mi confidò, e io mi sforzai di prenderlo per un complimento. Dal suo punto di vista, strettamente soprannaturale, poteva benissimo esserlo.
“Parlami della novità” lo incitai.
Tenendomi stretta, si sforzò per riacquistare il suo consueto controllo. Da quanto ero vicina, potei vedere il caramello liquido riassorbire il nero onice dei suoi occhi bramosi, quasi che fosse una mutazione spontanea e dolorosa. Era attraente persino quella parte molto inumana di lui. Mi ricordava quanto fosse pericoloso, e quando succedeva, sentivo sempre una stretta nelle viscere del mio ventre; sapevo infatti che, nonostante fosse una creatura letale, non mi avrebbe mai fatto del male. Forse era la stessa sensazione provata dai domatori che si vedono nei circhi, quelli che riescono a non farsi mangiare da una tigre o da un leone, solo grazie ad una sedia e ad una frustra.
“I Doubois lasciano la città” disse. Dritto al punto.
Mi diede alcuni secondi per metabolizzare l’informazione, però iniziò ad agitarsi quando i secondi arrivarono a diventare un minuto.
“Bella?”
“Si, stavo pensando… cosa mi ha fatto precipitare a casa tua?”
Prese un respiro profondo; e quel gesto gonfiò i pettorali quel tanto che bastava a distrarmi per un breve istante. Stavo diventando abile a concentrare la mia attenzione altrove quando succedeva.
“Gabriel ha espresso il desiderio di vederti, per un’ultima volta” spiegò.
Se mi trovavo lì, era perché al vampiro era stato concesso il permesso di vedermi. Chiaramente, Edward non ne era affatto contento. Di sicuro era stato Carlisle a decidere, quindi per lui era impossibile opporsi.
“Non ci sarà altra occasione per lui, poiché gli è stato proibito di avvicinarsi a te dopo l’aggressione” aggiunse.
“E ci vuole un’intera famiglia per tenerlo a bada?”
Si risparmiò la risposta, sostituendola con un’occhiata funesta. Quella mi fece capire che avrebbe anche impiegato un esercito di vampiri, se ne avesse posseduto uno.
“Ok, forse i jeans non sono adatti per l’occasione” cercai di buttarla sul ridere, ma Edward non colse l’ironia.
“Così va benissimo” mi incoraggiò, più serio dell’inquinamento atmosferico.
Potevo essere definita un’ingrata, ma certe volte, avere un fidanzato vampiro e privo di humour era davvero uno schifo.



Nota dell'autrice:
Non ho molto da scrivere, tranne che siamo quasi alla fine!! Bè, mi dispiace ma è così ^.^ Mancano altri due o tre cap e poi chiudo... Sono comunque contenta di aver trovato nuovi lettori! Un grazie collettivo a tutte quelle persone che si sono impegnate a lasciarmi delle recensioni  toccanti, come
Rebecca73, Foolforlove (a proposito, il tuo nick mi è famigliare! L'hai per caso preso da un sito ispirato a Buffy e Spike???) e infine Nym84. Siete state semplici, ma molto lusinghiere ^.^
Thaks all'infinito
.

Approfitto poi per far pubblicità all'altra mia ff, Sulle Punte dei Piedi.
Ve lo dico perchè passerà un pò di tempo prima che torni a pubblicare qualche altra storia!!
Almeno avrete qualcosa (di mio) da lettere nel frattempo ^.^ E lasciatemi dei commenti anche lì, se volete, naturalmente =D Oppure mandatemi qualche e-mail!!! Mi fa sempre piacere leggere le vostre recensioni, anche quelle pretenziose o insoddisfatte!!! ^.^
A presto!! =^.^=
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


 
Recensione di chiara84 [Contatta], del 29/09/2009 - 03:02PM sul capitolo 23: Capitolo 22 - Firmata
Anche a me dispiace di concludere, ma è la cosa giusta da fare ^.^ Continuando non farei che annoiarvi!! Però ti ringrazio per il commento =) Spero di rileggerti altrove!!
Recensione di astrea87 [Contatta], del 28/09/2009 - 08:12PM sul capitolo 23: Capitolo 22 - Firmata
Se ci fosse una strigliata per rimettere in riga Tanya, bè, ci vorrebbero altri tre o quattro capitoli!! E io non ho intenzione di continuare fino a tanto. Mi spiace, ma credo che su questo verrai delusa =(  Ma farò di tutto per concludere alla grande ^.^
Recensione di Glance [Contatta], del 28/09/2009 - 10:03AM sul capitolo 23: Capitolo 22 - Firmata
Ciao Glance ^.^ Il fatto che tu mi abbia seguita fino alla fine mi riempie di gioia!! =) Questo Edward che ho creato lo rivedrai, forse, in altre ff che ho intenzione di scrivere ^.^ Spero davvero di rileggerti ancora!! ^.^
Recensione di Lau_twilight [Contatta], del 27/09/2009 - 07:35PM sul capitolo 23: Capitolo 22 - Firmata
E per questo che la mia Bella è così forte, proprio per resistere al suo fascino eccezionale!! XD Grazie per i complimenti comunque ^.^ Sei troppo buona!!
Recensione di pinkgirl [Contatta], del 27/09/2009 - 07:09PM sul capitolo 23: Capitolo 22 - Firmata
Sono contenta che ti piaccia la mia Bella!! =) perchè ha qualcosa della mia personalità, devo ammetterlo! ^.^ In definitiva, se ci conoscessimo, andremmo d'accordo! ^.^ Grazie comunque per avermi seguita =)
Recensione di bigia [Contatta], del 27/09/2009 - 04:31PM sul capitolo 23: Capitolo 22 - Firmata
Onorata che ti piaccia! =D e si U_U io sono quel tipo di scrittrice che si fa notare molto poco, per via del poco talento ahahah XD scherzi a parte, scriverò altre ff, quindi se vorrai sarà come se questa ff non fosse mai finita! XD io sarei felice di ritrovarti ancora tra le commentatrici comunque ^.^
Recensione di nym84 [Contatta], del 27/09/2009 - 04:27PM sul capitolo 23: Capitolo 22 - Firmata
Grazie per i complimenti nym84 ^.^ Se vorrai lasciarmi una recensione anche sull'altra ff, ne sarei davvero onorata =) Anche critiche e osservazioni sagaci mi stanno benissimo, ok?! ;-) Sono sempre pronta a correggermi e a migliorare!
Recensione di foolforlove [Contatta], del 27/09/2009 - 04:24PM sul capitolo 23: Capitolo 22 - Firmata
LO SAPEVO!! ^.^ Appena ho letto il tuo nick, non ho potuto pensare ad una coincidenza!! Anch'io ho conosciuto il mondo delle ff proprio grazie a quel forum... ma naturalmente all'inizio non facevo altro che leggere! Poi, pian piano ho incominciato anche a scrivere, ma è stato sempre grazie a Buffy e Spike! Quella è stata la prima coppia che in assoluto ho amato =D Mi hanno ispirato moltissimo... la loro storia mi ha davvero commossa...
Naturalmente non possiamo ricordarci una dell'altra, anche perchè all'epoca usavo un'altro nick, ma mi farebbe comunque piacere parlare con te di questa passione che abbiamo in comune ^,^
Recensione di martya_c [Contatta], del 27/09/2009 - 03:54PM sul capitolo 23: Capitolo 22 - Firmata
Hai perfettamente ragione! E' quello il problema quando una ff si allunga. Perde, come hai detto tu, di sapore. Perciò voglio concludere al più presto. Sento che questa ff sta perdendo molto, capitolo dopo capitolo, quindi affretto i tempi. Però ti ringrazione per la fiducia che riponi nella mia storia ^.^ Spero di non deluderti.

 

 

 




(Lesson n.23): Il perdono non è scontato come e quanto la vendetta

Ero circondata da Cullen: uno, in particolare, era appiccicato al mio corpo come un giubbotto antiproiettili. Non c’era nulla che potesse rendere la situazione più tesa, a parte, forse, l’annuncio della fine del mondo.
“Tutto questo è necessario? Dimentichi che mi ha salvata da Charlotte!” mi lamentai con Edward, il giubbotto antiproiettili.
“E’ per il tuo bene, Bella” rispose Alice per lui.
Sbuffai come un cavallo annoiato dalle mosche, perché la loro mi sembrava una misura esagerata.
Se avessero riflettuto meglio, avrebbero capito che Gabriel si era fatto già sfuggire un’occasione per farmi davvero del male. Avrebbe semplicemente potuto lasciare che Charlotte mi dilaniasse la gola.
Invece mi aveva salvata, SALVATA! Perché questo loro non lo capivano?
“Un’altra ragazza umana sarebbe lusingata dall’attenzione di un’intera famiglia di vampiri” mi fece notare Emmett. La sua sembrava un po’ troppo un’accusa. Aprii bocca per ribattere, quando Rose mi precedette con un inaspettato intervento.
“Lei non è come tutte le altre ragazze umane, Emmett.”
Rivolsi alla vampira bionda uno sguardo inquisitore, coscia di risultare un po’ ingrata. Lei aveva appena preso le miei difese, eppure io non mi capacitavo che fosse diventata tanto docile nei miei riguardi. Cercavo di capirne le motivazioni, di scrutare alla ricerca di un particolare sfuggito alla mia coscienza, ma nulla mi era d’aiuto. Come facevo a sentirmi grata, se lei mi aveva sempre riservato nient’altro che astio? Quello che provavo era soprattutto sospetto.
“Comportatevi come da stabilito” li richiamò all’ordine Edward. Contemporaneamente, Carlisle e Esme si ponevano di fronte alla porta per accogliere l’atteso Doubois.
Valutai il viso concentrato di Edward prima di guardare oltre l’ingresso, pensando che sarebbe stato meglio per Gabriel stare ben attento a quel che faceva. Ogni gesto sarebbe potuto essere un passo falso, e un passo falso una condanna certa.
Edward era furioso, lo sentivo, ma la cosa che più mi spaventava era la sete di sangue presente nei suoi occhi di onice. Mi venne da paragonarlo a una bomba ad orologeria, pronta a scoppiare in una casa piena di vampiri innocenti. Poi riflettei su quanto suonasse stonato l’oggettivo ‘innocente’ su di loro, che bevevano sangue per sopravvivere, e persi così il filo iniziale dei miei pensieri.
“E’ qui” disse qualcuno, ma per quanto era assorta, non ne riconobbi la voce.
La porta di pesante legno intagliato venne aperta, e oltre questa c’era Gabriel, che ci scrutava attento e rigido. Tutto il suo essere, a partire dal viso tirato e a finire con la postura delle spalle, annunciava allerta. Stava facendo un’enorme sforzo a stare lì in piedi, in mezzo a sette Cullen.
Era evidente, ma allora… perché sforzarsi in quel modo? E per cosa, poi?
Per me, la ragazza che era quasi riuscito a violentare?
Un’emozione indistinta mi strattonò le viscere, facendomi sentire lusingata e insieme molto triste. Triste perché sapevo di non poter ricambiare in nessun modo, anche desiderando un nuovo inizio, lui sarebbe sempre rimasto un vampiro pericoloso per la mia stessa vita.
“Ti sono stati concessi cinque minuti, perciò sintetizza il tuo discorso” parlò brusco Edward, con un tono di letale minaccia. Forse aveva sentito i pensieri di Gabriel farsi troppo prolissi, ma comunque il suo comportamento stava diventando sgarbato, oltre che irritante.
“Sarò il più coinciso possibile, Edward Cullen” ribatté Gabriel che, nonostante l’umiliazione subita, continuava ad apparire regale ed elegante. La cicatrice sulla sua guancia era sbiadita in un colore pallido quasi quanto il suo carnato, però spiccava per quanto era lucida e irrimediabilmente invadente. Avrebbe accompagnato la sua eternità, pensai. Come ricordo di un affronto recato alla donna di un Cullen.
“Prima di partire, volevo porti le miei più sincere scuse, ma cerise” mi disse, guardando dritto nei miei occhi, come se ci fossi solo io in quella stanza.
“Ho abusato della tua gentilezza e della tua delicata ingenuità, ho cercato di prenderti con la forza, e per questo, credimi, faccio orrore a me stesso. Ma provengo da un’era lontana, in cui i principati venivano basati e sorretti dall’eredità di sangue. Per quelli del mio secolo, avere una progenie era più essenziale dell’onore. Veniva considerata una ricchezza, un investimento” fece una pausa. Nel suo sguardo si riflettevano i fantasmi di ricordi appartenenti a epoche lontane. Mi sembrò così malinconico, che per un attimo cedetti e guardai altrove. Tutta quell’emozione lo rendeva un uomo afflitto, distrutto dal tempo, e cancellava allo stesso tempo l’idea di vampiro spietato che avevo di lui. Ancora una volta, ebbi compassione per quella creatura, senza sentire quella sensazione sbagliata o fuori posto.
“Sarei un barbaro se considerassi questa che ti ho fornito, una valida giustificazione per quello che ho fatto. Tuttavia, è tutto ciò che possiedo, tutto ciò che posso darti” concluse.
La vista mi si era offuscata e le guance me le sentivo bagnate. Quando parlai, la voce tremò come una foglia secca scossa dal vento invernale.
“Accetto le tue scuse Gabriel” dissi, e intanto, mezza dozzina di occhi mi guardarono stupiti.
Tra questi, non c’era quello di Jasper. Ma c’era quello di Edward.
“E ti ringrazio, perché non hai permesso a Charlotte di togliermi la vita.”
Desideravo abbracciarlo, perché la desolazione nei suoi occhi era per me troppa da sostenere. Avrei voluto cancellarla con una carezza, renderlo di nuovo forte e sicuro di sé come quando l’avevo conosciuto. Ma due braccia metalliche mi trattenevano, impedendomi di avvicinarmi a quella che poteva essere la mia morte.
Gabriel era sorpreso - lo si vedeva dalla sua espressione - però anche sereno e molto grato. A differenza di tutti gli altri vampiri, che mi guardavano come se fossi stata una scarpa parlante, lui accettava il mio gesto. Commosso, si rivolse a Edward, dicendo:
“Quello che tieni tra le braccia è il più grande dei doni. Un angelo capace di perdono, che ti redime” e poi concluse con un “Abbine cura” intriso di tenerezza.
“Mi ha scelto” rispose Edward, il tono solenne. “Il minimo che possa fare, è donarle tutto me stesso.”
Tra loro passò qualcosa, come un’intesa, un cenno del capo e uno scambio di sguardi che decretò il concludersi delle ostilità. Edward aveva letto nell’animo di Gabriel, e in quello non ci aveva visto nient’altro che pentimento.
Il vampiro francese fece un inchino galante e, mentre ancora era chinato, svanì in una foschia chiara e una folata di vento gelido. Non aveva mai varcato la soglia di casa Cullen, non si era avvicinato più di guanto richiedesse la situazione. Rispettoso, e straordinariamente intelligente.
“Non lo rivedrò mai più?” chiesi, sentendomi molto triste al pensiero. Come se fosse partito un carissimo amico, le lacrime mi sgorgavano copiose dagli occhi.
Edward mi girò nel suo abbraccio e, tenendomi per la vita, mi asciugò le guance usando la punta del pollice. Mi sostenne il mento, così che potei vedere il suo volto attraverso un patina acquosa di liquido salato.
“Un giorno, forse, tra molto tempo” mi disse.
Lo strinsi forte, affondando il viso nel materiale soffice del suo pullover e lasciandomi confortare come una bambina. L’odore muschiato che emanava quasi mi diede il capogiro.
Mi sussurrò all’orecchio parole francesi, dal tono dolce e pregno di tenerezza. Anche se non sapevo cosa mi stesse dicendo, percepivo un amore di sconfinato conforto in quei sussurri. La sua pronuncia poi era sensuale, fluida e più perfetta  di quella di un francese originale. Così la tristezza si tramutò in delicate sfumature di eccitazione, che andarono dalle tonalità pallide a quelle forti, facendomi sentire brividi di freddo quando in realtà ero più che accaldata.
Il potere della sua voce era sensazionale. E se avesse continuato a usare quella lingua su di me, il ricordo di Gabriel non sarebbe stato così insopportabile.

“Vuoi un bicchiere d’acqua, cara? Sei molto pallida.”
“Ti ringrazio Esme.”
Esme si precipitò in cucina, e intanto io pensavo che dell’acqua non avrebbe influito affatto sulla mia carnagione. Sarebbe rimasta bianca comunque.  
In casa Cullen un po’ ti tensione si era sciolta in pozze di profonde riflessioni, che rimasero inascoltate perché Edward era uscito per seguire Gabriel. Con lui c’erano Jasper, Emmett e Carlisle.
Volevano accertarsi che i Doubois lasciassero davvero il territorio, e magari dare un ultimo saluto diffidente prima che partissero. Io proprio non capivo come si potesse decidere di salutare una famiglia che avevi detestato fino a pochi istanti prima. Ma evitai di parlare, poiché infondo erano vampiri, e il loro modo di pensare viaggiava su binari diversi dai miei.
“Avevo previsto la decisione di Gabriel due giorni fa” disse Alice, “ma solo oggi è diventata toccante. Lui aveva in mente qualcosa di più distaccato e formale.”
Osservai la mia migliore amica, chiedendomi cosa intendesse dire in realtà.
“Mi è sembrato già molto formale” considerai. Infatti credevo che il suo modo di parlare era stato fin troppo regale, persino per lui.
“E no Bella, lui si è emozionato! Forse tu non l’hai sentito, ma Jasper si.”
Sorridendomi, prese una mia mano e la strinse nella sua, asciutta e fresca. Nel frattempo arrivò Esme, con in mano un bicchiere di cristallo decorato da fini ed elaborate incisioni.
“Era da tempo che desideravo usarlo!” esclamò. “Ne ho un intero set, ma non ho mai l’occasione di metterlo in mostra” disse, allegra come una bambina entusiasta il giorno del suo compleanno.
Le sorrisi sinceramente, accettando il bicchiere d’acqua e manovrandolo con cautela. Evitai di stimare un costo per il pezzo di cristallo che tenevo in mano, perché sapevo che la cifra mi avrebbe causato dei tremori.
Cosa se ne faceva Esme di un set di bicchieri di cristallo, se nessuno della famiglia poteva bere qualcosa all’infuori del sangue? Forse era un hobby, mi dissi, come collezionare scarpe o automobili.
“Sono tutti molto fieri di te, Bella.”
Guardai le due vampire con occhi grandi, mentre riflettevo su cosa avesse potuto renderle fiere di me. Non avevo fatto nulla, da quanto ricordassi, di particolarmente brillante.
“Il tuo perdono ci ha spiazzati” mi chiarì Alice.
Presi molto sul serio le sue parole, ma solo poiché sapevo quanto fosse difficile spiazzare una veggente. Tuttavia, non vedovo la mia scelta degna ti tanta attenzione, come loro mi volevano far credere.
“E’ stato normale” inizia a dire, ma un secco ‘no’ mi frenò dal proseguire. La voce era stata quella di Rosalie, che ora mi era di fronte, tra la madre e la sorella.
“Non lo è stato, affatto.”
“Stai insinuando che sono fuori di testa?”       
Pronunciai la domanda con stizza e una punta di sarcasmo. Ero sulla difensiva, e probabilmente stavo soltanto peggiorando il nostro già teso rapporto. Dalla mia avevo la scusa che non sapevo mai cosa aspettarmi da Rose. Soprattutto in quel momento.
“No, Isabella, sto dando ragione a Jasper. Lui ha detto che questa cosa ti fa onore, e io sono d’accordo con lui. Quello che hai fatto, non lo devi sottovalutare” si chiarì.
Nei suoi occhi vidi una scintilla di emozione simile a qualcosa come il rispetto, o l’accettazione.
Mi ritrovai spiazzata da quello sguardo, tanto caldo da farmi credere che Rosalie, la gelida Rosalie, fosse sotto l’influenza di qualche potere soprannaturale. Forse esisteva un vampiro capace di manipolare le emozioni a proprio piacimento. E forse quel vampiro era arrivato a Fronks e si stava divertendo con i Cullen…
“Ho iniziato a capirti, Isabella.”
“Bella” la corressi.
Lei mi sorrise con le sue labbra perfette e toccate di rosa luccicante, e io capii cosa voleva significare: dovevamo procedere a piccoli passi io e lei. Aveva passato molti anni a chiamarmi in molti modo diversi, tutti spiacevoli, perciò usale il mio nome per intero poteva essere solo un miglioramento. Magari tra un decina di anni mi avrebbe chiamata Bella, ma non ora, non subito.
“Ok, quindi, cosa ti ha fatto cambiare idea?” chiesi, mentre l’occhio mi cadeva su Esme e lo sguardo eloquente che lanciò ad Alice. Era un modo per dirle di sparire, e infatti entrambe scomparvero entro pochi secondi. Tuttavia, ero riuscita a cogliere lo sbuffo di Alice, e quello rendeva chiaro quanto poco gradisse il fatto di non poter assistere. Rosalie invece crucciò la fronte, come se stesse cercando le parole giuste, ma senza dare segno di aver notato la gentilezza.
“Non credo ci sia stato un momento preciso…forse il tuo modo di affrontare i mutaforma mi ha impressionata. Hai gestito quel Jacob con una dignità piena di fierezza, e anche di fronte alla minaccia di Tanya non ti sei ammorbidita.”
“Tu e Tanya siete molto amiche?”
Il sopracciglio biondo e rifinito di Rosalie si alzò, fin quasi a raggiungere l’attaccatura dei capelli.
“Ha una ragnatela di smagliature sul sedere, lo sapevi?”
Non potei fare almeno di ridere.
“Immagino che questo sia un ‘no’.”
“Lo è.”
Era assurdo, ma io e Rosalie Hale avevamo trovato una cosa che ci accumunava: l’antipatia per Tanya. Rasentava l’odio, e probabilmente era sufficiente a spingerci ad aprire un fan club che inneggiasse la pena di morte per le vampire rosse e sfacciate come lei.
Io e Rosalie parlammo molto quel giorno, ma l’argomento non si scostò mai da Tanya e le sue sorelle, quindi fu un discorso mirato. Grazie a lei scoprii che Edward aveva concesso una possibilità a Tanya quando io giocavo ancora con le bambole, e che Tanya l’aveva sprecata per un altro vampiro. Rimasi scioccata; tradire Edward per me era impensabile! Sarebbe stato come sputare sull’oro, per accontentarsi del bronzo. Ma, naturalmente, oltre che stupita ero anche molto, molto arrabbiata. Perché Edward si era tenuto per sé quell’importante particolare della sua vita? Mi feci questa e altre domande mentre carpivo dalla conversazione più risposte di quante avrei voluto. Una novità che in assoluto odiai, fu l’ultima confidenza di Rosalie: Tanya era ancora in città. Irina e Kate erano tornate a casa, non prima di aver criticato la scelta della sorella però. Le tre avevano avuto una discussione ancor prima di partire, una che riguardava il motivo per cui far visita ai Cullen. Per Kate e Irina era una visita di piacere, ma per Tanya… affatto.
“Credi che attaccherà di nuovo?” chiesi preoccupata alla mia nuova confidente.
“Sarebbe una dannata stupida se lo facesse” rispose, con un tocco di sarcasmo nella voce.
Tuttavia, rimasi in allerta. Forse quella vampira non era una stupida, però aveva un buon motivo per restare a Fronks. Anche uno schiocco privo d’immaginazione avrebbe colto la minaccia dietro la sua presenza.
“Voi due avete finito di confabulare?! Vi ho concesso fin troppo tempo!” intervenne la squillante voce di Alice. Allegra come un fringuello a primavera, piroettò dalla cucina al salotto con un sorriso stampato in volto. Persino con un jeans super aderente riusciva a essere agile come se avesse una gonna svolazzante. Le rivolsi un sorriso e, intanto che si sedeva alla mia sinistra, mi venne un’idea.
“Alice, tu sai cosa hai in mente Tanya?”
Il visino da folletto che mi fissava si intristì di un tono, e sulle labbra comparve un mezzo broncio.
Probabilmente si aspettava un’accoglienza migliore.
“Non ho pensato fosse necessario controllarla. C’è già Edward che si occupa di lei” disse.
Allora la mia rabbia si ingigantii, perché anche quell’informazione mi era stata preclusa. Edward poteva anche essere un vampiro immortale, ma se avesse avuto un po’ di buon senso, avrebbe evitato di farlo capitare un’altra volta. Ora, invece, non gli rimaneva che tremare.

Li vidi attraverso il buio della notte. Erano quattro macchie bianche che spiccavano per la loro lucentezza, perciò non fu difficile. Ebbi il tempo di pensare a quanto sembrassero dei fantasmi, tanto erano pallidi e inquietanti in tutto quell’oscuro verde.
“I nostri uomini sono arrivati” disse Esme, andando ad aprir loro la porta.
Io rifiutai di girarmi, così quando Edward entrò, la prima cosa che vide fu la mia schiena. A braccia incrociate, continuai a fissare il paesaggio notturno fuori dalla porta finestra. Lui capì subito che c’era qualcosa che decisamente non quadrava.
“Dannazione” lo sentii imprecare.
Aveva visto la nostra conversazione nella testa di Rosalie, quindi sapeva cosa lo aspettava, una volta tornati a casa.
      

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


(Lesson n.24): La rabbia è la scintilla che spesso accende la passione
La macchina procedeva veloce sull’asfalto. Sebbene dentro ci fosse un dolce tepore, dovuto al riscaldamento acceso, l’atmosfera continuava a rimanere gelida come l’alba invernale.
Mentre guardavo il paesaggio buio scorrere fuori dal finestrino, riflettevo sulla mia rabbia, arrovellandola ancora di più. Un grosso errore. Stava diventando una palla incandescente di risentimento e frustrazione, così pensai di trovare un modo per distrarmi, prima che esplodesse in mille micidiali pezzi. Mi concentrai allora sui tronchi neri che sfrecciavano uno dietro l’altro sotto i miei occhi, e cercai di farmeli risultare interessanti.
Stavo quasi per rinunciare, quando notai una macchia rossa tra questi. Era veloce, rimbalzante e inarrestabile. Procedeva spedita tra la vegetazione, saltando a volte da un ramo all’altro, senza mai rallentare. Ero sul punto di chiedermi quale animale in natura fosse capace di tenere il passo di una Aston Martin lanciata a tutta velocità, ma ci vollero pochi secondi per arrivare ad una conclusione. La risposta arrivò prima della domanda, devastando ogni altra possibilità.
Certamente i mutaforma facevano parte della natura, però non come si potrebbe immaginare. Erano legati ad una forma animale, e questo significava forse che erano più che umani. Creature ostinate si, come quel Jacob. Sorrisi: proprio quella sera non ci serviva la supervisione di un mutaforma.
Ero troppo sconfortata per pensare di deviare su un programma lussurioso…
… o almeno, così credevo.
“Quando sarò stufo, potrei anche decidere di assaggiare sangue di lupo. Sarebbe meglio per lui non essere nei paraggi quel giorno.”
“Non dici sul serio” dissi convinta, ma il silenzio che seguì mi fece dubitare delle mie stesse parole.
La sua espressione era tanto seria quanto micidiale, e mi indusse subito a ricordare gli occhi crudeli di una tigre. Freddi e inespressivi, ti trasmettono sete di sangue, voglia di uccidere, insieme alla possibilità reale di farlo.
“Se dovesse succedere, considerati fuori dalla mia vita, perché non ho intenzione di frequentare un assassino!”
La sua bocca si allungò su una sola estremità, disegnando un ghigno dal sapore insopportabilmente amaro.
“Lo stai già facendo Bella, sei seduta nella macchina di un assassino da oltre cinque minuti.”
Strinsi i denti e cercai allo stesso tempo qualcosa di sensato da dire. Ebbene, dopo molti istanti rinunciai. Prima o poi avrei dovuto rassegnarmi anche a quella verità.
“Stai cercando di peggiorare la tua già precaria situazione, o cosa?” chiesi furiosa.
Lui non rispose, e il silenzio mi diede la possibilità di notare le nocche delle sue mani: tese in modo selvaggio, esprimevano tutta la sua letale forza. Per un attimo ebbi paura di vedere il volate sbriciolarsi tra le su dita.
“Che diritto hai di essere tanto incazzato? Non sei tu quello che ha scoperto che il suo ragazzo è un bugiardo!” gli rinfacciai.
“Non ti ho mai mentito.”
“Però hai omesso, un mucchio di cose direi. E questo è come mentire!”
“Rosalie doveva stare fuori da questa faccenda.”
“Rosalie mi ha aperto gli occhi!” quasi gridai.
Scuotendo incredula la testa, tornai a guardare la strada.
“Che stupida idiota sono stata, a pensare che un uomo centenario non abbia mai avuto una relazione con altre donne.”
La voce mi uscii talmente sfibrata e disillusa, da mettermi in uno stato di profonda autocommiserazione. Avevo camminato tra le nuvole per tutto il tempo, senza guardare ai fatti concreti della nostra relazione. Primo punto: quante ‘ex’ avrei dovuto aspettarmi di incontrare? Secondo: c’era qualche umana tra loro?
Terzo: come diavolo sarei riuscita a sopravvivere a tutte quante?
Un’umana non dovrebbe mai essere messa a confronto con delle vampire, perché questo causa acuti stati di depressione ogni volta. Il divario era troppo vasto, troppo stridente, anche solo per poter sperare.
“Ne abbiamo già parlato” disse pacato, “loro non contano nulla, Bella.”
Stava guardando me, invece che la strada. E nonostante la pericolosità di quella leggerezza, mi scoprii poco preoccupata. Ormai avevo capito una cosa di Edward: non si faceva sorprendere. Qualsiasi percentuale di pericolo era stata già valutata dal suo cervello, ed elaborata per ridurla allo zero per cento.  
“Non è questo il punto.”
“E qual è allora?” chiese irritato. Potevo sentire quanto fosse frustato dal fatto che i miei pensieri gli fossero preclusi. L’aveva ritenuta una seccatura tempo addietro, ma sapevo che in quel momento giudicava quello un reale problema. Sarebbe stato semplice, facile entrarmi nella testa, sondare ogni punto di rottura creato dalla conversazione con Rosalie, e poi rimediare.
Bè, ero contenta. Finalmente stava conoscendo meglio i suoi limiti.
“Bella” chiamò, e il suo tono si fece più basso e ringhiante dal mio nome in poi. “Dimmi qual è il dannato problema!”
Fissai il cruscotto prima di parlare, certa che guardarlo negli occhi mi avrebbe solo messa in una posizione di svantaggio.
“Sarò stata anche un’illusa, però tu avresti dovuto dirmi di Tanya quando hai saputo che stava arrivando in città.”
Ci fu una breve pausa, un sospiro ruvido, il sinistro scricchiolio del cedevole materiale di cui era fatto il volante, e poi, di nuovo, solo il rumore sommesso del motore. Era apparentemente concentrato sulla strada, che scorreva sempre più spedita sotto le quattro ruote. Decisi di continuare, perché era giusto mettere in ballo tutto ciò che in quell’istante poteva ballare.  
“Sapevi quali erano le sue reali intenzioni, sapevi che veniva per sedurti, eppure hai voluto tenere tutto segreto. Non hai condiviso il problema con me, preferendo nascondermi la relazione che avete avuto in passato.”
Ancora nessuna reazione, nessun intervento.
“Poi hai scelto di tenerla d’occhio tu, quando avresti potuto affidare ad Alice questo compito. E anche questo piccolo particolare, l’hai tenuto nascosto. Perché?”
Il silenzio che scaturì da quella semplice domanda si protrasse fino al viale di casa mia. Nel frattempo, minuto dopo minuto, il morale mi si era sporcato; era diventato di un nero intenso e lucido quanto il dorso di uno scarafaggio.
Quando la macchina inchiodò sulla gaia, scesi di fretta e senza indugi, perché non mi sentivo in grado di sopportare un secondo di più quel maledetto mutismo. E lui cosa fece? Nulla!
 Rimase seduto al suo posto e lasciò che io arrivassi alla porta, poi dentro casa. Ferita nel profondo, salii le scale sotto gli occhi di Charlie che – saggiamente - non mi chiese nulla. Dopo aver chiuso la porta a chiave, mi fiondai sul mio letto ancora vestita, soffocandomi la faccia nel cuscino.
Forse non avrei dovuto essere così diretta, mi dissi. Forse era meglio tacere e far finta di nulla.
Ma era necessario affrontare il discorso, no? Se avessi sorvolato su una questione tanto importante, avrei commiserato me stessa per tutto il resto della vita. E le persone forti non si commiserano, giusto? Bè, io ero forte… si, lo ero, mi dissi. Anche se stavo affogando nella tristezza, ero forte. Sarei emersa anche da quello schifo, e allora Edward Cullen sarebbe stato solo un ricordo seppellito sotto una montagna di buon senso. Nessun altro uomo, o vampiro, avrebbe potuto distruggermi peggio di come lui aveva già fatto.
Perché ero così drastica? Stavo soffrendo, ecco perché! Mentire a me stessa dicendomi che avrei lasciato Edward, mi faceva sentire più sollevata perché mi dava l’illusione che potevo sottrarmi facilmente da tutti quei problemi.
“Bella?”
La sua calda voce emerse dall’oscurità come una melodia oscura, dimenticata dal tempo.
Mi fece immobilizzare e rabbrividire in sincrono. Solo in quell’istante mi resi conto di quanto ardente fosse stato il desiderio che mi seguisse, anche se la razionalità negava spudoratamente che un sentimento simile fosse mai nato.   
“Piccola?”
Cercando di darmi un contegno, mi girai per cercarlo con lo sguardo. Era entrato dalla finestra – come era sua abitudine fare – e non osava avvicinarsi ancora al mio letto. Aveva l’aria affranta, o forse impietosita. Che aspetto patetico dovevo avere! La cosa migliore che avrei potuto fare in quel momento, era di chiudermi in bagno e restarci fino alla fine dei miei giorni.
“Vattene” mi sentii dire. Stranamente, il cervello aveva dato l’ordine alla bocca senza che io me ne accorgessi.
Mi parve di vederlo sorridere, ma per via del buio non mi venne da esserne certa.
“Lo farò solo quando questa faccenda sarà del tutto chiarita” rispose.
“L’hai chiarita benissimo tu, nel momento in cui ti sei ammutolito!” mi trattenni a stento dal gridare. La voce tuttavia uscì instabile e intrisa di pianto.
“Dovevo riflettere sulla tua domanda” si giustificò.
Quasi mi venne voglia di strangolarlo, poiché il tono si era mantenuto calmo e privo di inflessione, come se fosse convinto della sua innocenza! Non aveva capito che il suo silenzio aveva implicato una tragica conclusione? Che qualsiasi ragazza l’avrebbe preso come una conferma a tutte le sue paure? Certo, lui era un vampiro, perciò la sua ragione si discostava non poco da tutto ciò che io definivo ‘scontato’. Allora questo doveva giustificarlo?
Ebbene, dopo il mio lungo sproloquio mentale, mi ritrovai ancora più confusa. Perciò conclusi che, se c’era un buon momento per smettere di pensare, quello era arrivato. Piuttosto ottusa e disorientata, fissai il vampiro in attesa di… bè, di qualcosa.
“Mi dispiace di averti fatta preoccupare.”
Ecco, quello colpiva il segno. Ma le scuse, seppur dolcissime, erano comunque arrivate in ritardo. Per lo meno, dovevo pensarla così.
Sentivo il pressante bisogno di punirlo con ore – o forse giorni – di silenzio, dopo avergli detto una cosa tipo: “Ho bisogno di riflettere.” Purtroppo però, la soluzione più crudele richiedeva una buona dose di autocontrollo, del quale, mi resi tristemente conto, in assoluto era scarsa. Si trattava dunque di prendere una fondamentale decisione; allora tirai su col naso e mi buttai in un accorato studio delle mie lenzuola, perdendo tempo per riflettere. Nel frattempo, Edward si avvicinò. Me ne accorsi quando sul tappeto ai piedi del mio letto, comparvero un paio di scarpe da ginnastica firmate: a occhi e croce, un quarantacinque, pensai.
“Hai intenzione di torturarmi con il tuo silenzio?” mi chiese, meno dolce dell’ultima volta.
Non sapere cosa mi passava per la testa lo irritava.
“Si, penso che il mio silenzio sia un’ottima idea” affermai vendicativa.
Vidi nei suoi occhi la sorpresa, perché non si sarebbe mai aspettato un comportamento aggressivo in quel particolare momento. Forse credeva che una donna piangente può essere solo fragile, ma tutte Noi sappiamo che dalle lacrime prendiamo buona parte della nostra forza.
Dopo alcuni secondi però riuscì comunque a recuperare e, muovendosi agile come un gatto, si piazzò di fronte al mio viso. La sua voce fu dura e al contempo carezzevole, quando disse:
“Potrei spezzarlo facilmente Bella.” E poi, sussurrando a punto tale da non poterlo quasi udire, aggiunse: “Basterebbe accarezzarti nei punti giusti.”
Incantata, catturata, sognante, sospirai, intanto che cercavo di lottare contro l’impulso di fiondarmi sulle sue labbra. Quei rossi cuscinetti provocatori, che cacciavano e modellavano frasi oscenamente peccaminose, mi stavano chiamando. Le desideravo, le bramavo con lo sguardo ma poi… quasi vicina a toccarle, rimasi delusa quando d’un tratto scomparvero insieme al loro proprietario.
Edward era sparito come un fantasma alle prima luci del mattino, e al suo posto c’era mio padre, appena entrato dalla porta. Charlie era sempre passato per un tipo silenzioso, tuttavia il suo modo di muoversi non lo era. Tendeva a pestare troppo i piedi sul pavimento quando camminava, quasi che volesse rendere facile, per umani e vampiri, prevedere il suo arrivo. Proprio per questo non mi spigavo il fatto che lui fosse lì, sulla soglia della mia stanza, a studiarmi così come avrebbe fatto uno psicologo con il suo primo paziente.
“Tutto okay, piccola?” fece.
“Emm, si. Credo di si.”
“Ti ho visto salire piangendo, perciò-”
“Sono ok Charlie, davvero.”
Lui sembrò sul punto di girarsi e uscire, invece rimase dov’era, con una sorta d’incertezza negli occhi. Ma il peggio arrivò quando si mise seduto al mio fianco, appoggiandomi una delle sue grosse mani sulla spalla.
“Centra per caso quel Cullen?”
Dentro di me venne pronunciato un ‘cazzo’ esaustivo, di quelli che mi capitava di pronunciare solo nei momenti difficili. Però quello fu in qualche modo diverso. Un decoro di profondo imbarazzo, infatti, lo differenziava da tutte le altre volte.
“Io… io non penso che tu voglia davvero saperlo” dissi francamente.
Allora Charlie tolse la mano dalla mia spalla e prese un profondo respiro. Significava che stava esercitando pazienza sul suo temperamento, che gli suggeriva invece di iniziare a gridare.
“Bella, tu sai bene che è troppo vecchio per te!”
Oh, pensai, molto più di quanto credi. Naturalmente le mie parole non furono quelle.
“Certo che lo so papà, ma purtroppo saperlo cambia ben poco.”
Si agitò da seduto, mentre le vene sulle tempie cominciavano a gonfiarsi.
“Smettila di fare l’ostinata! Quelli della sua età vogliono solo una cosa dalle ragazze giovani come te. Capisci Bella?”
Aveva parlato con calma artefatta, quasi che avessi ancora dieci anni. E come per naturale conseguenza, io mi atteggiai subito ad adulta, perché sentivo di avere qualcosa da dimostrargli.
Ero cresciuta, ecco cosa volevo mostrare. Credevo che una faccia dura avrebbe chiarito quel concetto, e lui a quel punto avrebbe capito che sapevo quali conseguenze stavo andando incontro.
 “Credimi” dissi “i miei coetanei puntano alla stessa identica cosa!”
Ammutolito dalla mia irremovibile espressione, e forse quasi impressionato, Charlie grugnì d’indignazione. Quel bizzarro suono mi era famigliare: annunciava una pausa, lo usava spesso per farmi capire che la questione non era chiusa e che quindi ne avremmo riparlato.
Era ormai tardi, perciò si alzò pesantemente per raggiunse la porta sotto il mio sguardo attento. Dopo un borbottio simile ad una frettolosa ‘Buonanotte’, uscì e lasciò così nella stanza un odore fresco di malumore. Contai i passi di mio padre fino all’ultimo, poi aspettai il cigolio della porta che preannunciava quello della chiave girata nella toppa e, infine, più nulla.
“Allora…” ronfò d’improvviso la voce melodiosa di Edward.  
“Allora cosa?” chiesi, mentre i battiti cardiaci mi acceleravano. Avevo la sensazione che il cuore mi stesse esplodendo in petto, ma non per via dello spavento. C’era qualcosa di accattivante nel fatto che fossi incapace di vederlo, come se lui fosse l’essenza stessa di quella oscurità a tratti tenue che riempiva la mia stanza. Negli angoli più scuri il buio mi sembrò vivo, respirante, pericoloso quanto un carnivoro affamato. E lui poteva essere nascosto in quegli anfratti, il respiro poteva essere benissimo il suo, così come la fame che ne inorridiva la sostanza. Il pericolo, conclusi, era reale...
“Dove eravamo rimasti?” mormorò suadente il buio.
La sua voce era dappertutto, circondava e avvolgeva, facendomi sentire in trappola. Impossibile capire da dove provenisse e arrivare alla fonte.
Era solo un giochetto, mi dissi. Tutto era una finzione, un modo per vedermi spaventata, ma i brividi che mi assalirono furono generati da una paura concreta. Stava esagerando, decretai.
L’ultima goccia fu un semplice tocco, gelido e lieve come la carezza della morte sul mio braccio, che quasi mi fece gridare terrorizzata.
“Ora basta! Finiscila!” pronuncia decisa. E lui, non so se per pietà o altro, mi diede ascolto.
Come per opera di una macabra magia, si materializzò alle mie spalle e mi cinse la vita con affetto.
Dunque era tornato ad essere più umano che vampiro, e magari quello era il momento giusto per fargliela pagare. Non sapevo, infatti, quanto tempo mi avrebbe concesso sotto quelle spoglie comuni.
“Sei andato da Tanya, prima di raggiungermi?”
Si impietrì. Fissavo le braccia incrociate strette sopra il mio stomaco, intanto che percepivo il suo naso freddo sul collo non emettere più alcun respiro.
“Avevi intenzione di dirmelo, prima o poi?” continuai imperterrita.
Niente, ancora silenzio. Allora rincarai la dose.
“Le hai giurato eterno amore così come hai fatto con me?”
“No, mai” rispose finalmente.
Ma la sua fu una risposta insoddisfacente. Pretendevo di più da chi mi aveva promesso un’eternità di amore e devozione.
“Spiegami perché.”
“Perché cosa?”
“Perché mi hai tenuto nascosto che controllavi la mente di Tanya, perché hai deciso di farlo tu invece che delegare Alice!”
Riprese a respirare - me ne accorsi dal sospiro che mi accarezzò la pelle – e scomparve per riapparirmi davanti, con un’espressione seria come non gli avevo mai visto. Era diversa da quella che aveva sfoggiato quando mi aveva tratta in salvo, era differente dalla minaccia con la quale obbligava i fratelli ad obbedirgli. Quella era una severità antica, di quelle vecchie di secoli, forgiate dall’esperienza.  
“Ritenevo fosse una mia responsabilità” disse.
“Come mai?”
“Era venuta per me.”
Quella non era una novità; io per prima avevo esternato quella conclusione venti minuti prima. Probabilmente era rimasto spiazzato dal fatto che ci fossi arrivata da sola, perché credeva che il mio intuito da umana fosse limitato tanto da tralasciare una cosa così evidente. Ero ancora afflitta da complessi di inferiorità, oppure il suo era un peccato di presunzione? Forse dipendeva dalla sua età – quella reale, non quella per la quale sarebbe apparso per sempre.
“Continua” incitai, mentre gli occhi mi si assottigliavano di sospetto.
Allora Edward prese a camminare per la stanza, mancando di guardarmi negli occhi intanto che si accendeva una sigaretta con il suo accendino a benzina. Parlò con il filtro stretto tra le labbra, quindi le lettere gli uscirono strascicate e a tratti un po’ smorzate.
“Quando Tanya ha saputo di te, si è subito adoperata per convincere le sorelle a mobilitarsi e venire così a conoscerti. In realtà aveva un piano ben preciso, che sarebbe passato troppo all’occhio se fosse venuta da sola.”
“Scommetto che il fine di questo piano prevedeva te sopra di lei” intervenni rabbiosa, con il veleno che sprizzava da ogni parola.
Lui si girò veloce per guardarmi e dopo una lunga pausa pronunciò solo un secco ‘si’. Stringendo i denti, gli feci segno di proseguire.
“E’ stata molto prevedibile. Ho assecondato le sue mosse e poi aspettato il momento giusto per parlarle.”
Mi sforzai a non immaginare loro due, soli, in un bosco, lontano da tutto e tutti, con solo l’intento di parlare. Avrei rischiato di cadere in un raptus omicida se l’avessi fatto, eppure l’immagine mi si materializzò lo stesso davanti. Fui brava a controllarmi, perché Edward era ancora lì quando tornai alla realtà. Non era né ferito, né in fin di vita come avevo sperato, ma vivo – in un certo senso.
“E’ cosa sei riuscito a ricavare?” chiesi a denti stretti.
Da bravo vampiro ignorò deliberatamente il tono autoritario della mia voce e, cacciando il fumo dalle narici, rispose:
“Più di quello che immaginassi.”
Poi si appoggiò alla scrivania, con un’aria annoiata e la sigaretta tra le dita. Mi sentii rabbrividire per via dello sguardo bramoso con il quale esaminò tutto il mio corpo, sebbene fosse in parte celato da colorati cuscini. Avevo cercato di evitare che il suo fascino mi colpisse, però quello era devastante, un’arma letale.
“L’ho convinta a lasciare la città proprio qualche ora fa” annunciò.
La sigaretta si stava consumando millimetro dopo millimetro, facendo salire al soffitto un rivolo sottile di sinuoso fumo grigio, mentre io immagazzinavo quell’ultima informazione.
“Come hai fatto?” decisi infine di chiedere, pur non volendo. Se c’era un modo per morire, quello di sapere fino a che punto Edward aveva usato la sua persuasione era il modo più doloroso per farlo.
“Non potevo usare la violenza su di lei, tuttavia la conosco abbastanza da sapere alcune cosette molto interessanti. Inoltre leggere la mente altrui risulta molto utile, a volte. L’ho ricattata, questo è tutto.”
Per la seconda volta in pochi minuti mi si assottigliarono sospettosamente gli occhi. Scrutai attenta il modo con il quale tirò fumo dal cilindro, e poi il gesto seducente che adoperava sempre quando lo cacciava dalla bocca. In tutto quel frangente non facemmo che studiarci, e io potei capire dal suo sguardo quanto fosse eccitato. Ero riuscita a stuzzicarlo con la mia gelosia, tanto efficacemente quanto avrebbe fatto un languido spogliarello. Mi sentii ad un tratto potente, sicura come lo ero stata in rare occasioni nella mia vita.
“Domani ti farò altre domande” decretai. E alzandomi dal letto mi apprestai a raggiungerlo, intanto godevo della fame che cresceva man mano nei suoi occhi. Quando non ci fu più alcuna distanza tra noi, il nero assoluto aveva ormai mangiato tutto il bronzo vivace delle sue iridi.
“Posso sapere quali?” chiese, con la sua voce galante.
“Bè, una di queste vuole capire perché mi hai tenuto nascosta la relazione tra te e quella subdola stronza-”
“E’ una storia vecchia, che risale all’epoca in cui tu eri una bambina” fece notare, mentre mi scrutava dall’alto della sua mascolina altezza.
Era una giusta osservazione, disse la parte razionale del mio cervello, che però venne soffocata prepotentemente da un senso sfrenato di possesso. Così posai una mano sul suo pettorale, quello sotto il quale avrebbe dovuto risuonare il rombo del suo cuore, e sussurrai:
“Adesso sono una donna, che vuole conoscere il passato del suo uomo. Intensi?”
Incantato a fissarmi le labbra, annuì con sguardo perso. La sigaretta cadde sul pavimento, solo per metà consumata. Le lanciai un’occhiata distratta prima di sentirmi afferrata, sollevata di peso, e sbattuta sulla scrivania dopo pochi istanti. Tutto avvenne con una tale rapidità, da non darmi il tempo di capire cosa fosse realmente successo. Vidi quaderni, matite, libri volare dappertutto, e il mio orsacchiotto di pezza lanciato sul letto, mentre una bocca gelida mi baciava come se volesse divorarmi.
Edward era mezzo disteso su di me, con un ginocchio piegato sul bordo della scrivania per non gravare di peso sul mio torace. Incrociai le caviglie sopra il suo sedere e spinsi, gemendo quando percepii distintamente il suo desiderio attraverso i jeans. La mia testa galleggiava in un oceano di calore liquido, e i pochi sensi rimasti vigili mi dicevano che c’era una lingua che sul mio collo stava diventando sempre più audace. Lungo la pelle si trascinò per segnare una scia di singolare frescura, chiusa poi da un morso dolcemente deciso, che catturò la carne tenera sotto il mio orecchio.
“Non sottovalutare le parole di tuo padre, Bella” mi sussurrò roco.
“A volte anch’io riesco a desiderare solo una cosa guardandoti.”
Sospirando, lo fissai con palpebre pesanti e un fermento nelle viscere. Sentivo l’agitazione attanagliare a tal punto i miei muscoli, da farli tremare come se fossero preda del terrore. E invece era eccitazione… si, la riconoscevo dalla morsa che sentivo nel ventre e il calore incendiario appiccato più in basso.
“Dimmi cosa” arrancai con la voce. Sebbene fossi succube di una potente lussuria, ero ancora capace di ragionare, seppur in minima parte.
“Averti” rispose semplicemente Edward. Con lo sguardo sempre fisso nel mio, mi sbottonò rapido i jeans, per poi afferrarli, farli scivolare via dal bacino e infine dalle gambe. Gettò l’indumento sulla sedia girevole accanto a noi, quindi guardò le mie semplici mutandine verdi come se fossero carta da regalo avvolta attorno ad un dolcetto.
“Possederti” continuò a dire, muovendo il palmo fresco della mano lungo la mia coscia. E poi concluse con un sussurro ruvido al mio orecchio: “Renderti del tutto mia. Fino allo sfinimento, fino al punto di farti gridare Basta con quanto fiato hai in gola.”
Ora ansimavo. Le sue parole avevano scavato un tunnel, schiantato il mio cuore e aperto una vorace ardente tra le mie gambe. Lo desideravo in un modo malato, insano, completamente privo di ragione o logica. Ero soggiogata dal desiderio primordiale di morderlo, mangiarlo, entrare a far parte del suo organismo in un modo inconcepibile e forse anche un po’ depravato. Ma in quell’uragano di sensazioni c’era un chiodo lucido, che non si smuoveva…
“Il mutaforma” riuscii a sussurrare, mentre lui strofinava il naso gelido sulla rotondità del mio ventre, qualche centimetro più sotto dell’ombelico e pochi millimetri lontano dall’elastico delle mutandine.
Nel pronunciare quel nome, avevo creduto fermamente di smorzare di colpo la nostra passione, però mi ricredetti quando vidi il suo sorriso. Il mio vampiro dalla dentatura splendente aveva una soluzione, me lo sentivo.
“Per questa volta, non sarà un problema” annunciò.
Nei suoi occhi vidi la certezza che nulla e nessuno ci avrebbe interrotti. Allora iniziai a tremare forte, perché sapevo cosa aveva in mente. E chissà, mi chiesi, se sarei sopravvissuta.  

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Ebbene si, sono tornata ^.^ Strano ma vero. Ringrazio tutte le lettrici che mi hanno incitato a tornare con le loro email!! Era comunque mia intenzione continuare, ma diciamo che loro mi hanno dato la spinta che ci voleva per riprendere il prima possibile. Altrimenti ci avrei messo più tempo, ecco ^.^"
 Bene, premetto che i post non saranno assidui, perchè continuo ad avere problemi di tempo e impegni di ogni sorta. Quindi dovrete avere ancora molta pazienza, anche se ormai siamo alla fine. Ora vi lascio alla lettura, ma prima:
QUESTO CAPITOLO HA CONTENUTI SESSUALI CHE POTREBBERO TURBARE LE GIOVANI MENTI, PERCIò, SE SIETE DEI MINORENNI, VI CONSIGLIO VIVAMENTE DI NON LEGGERE. PIUTTOSTO IMPEGNATE IL VOSTRO TEMPO CON ATTIVITà PIù SALUTARI PER LA VOSTRA ANIMA!! PERCHè QUESTE LETTURE VI DISTRUGGONO, ANCHE SE NON VE NE ACCORGETE... 


(Lesson n.25): La ragione spesso non basta a frenare il puro istinto

In testa avrei dovuto avere mille e più domande, tuttavia la realtà era ben diversa: il mio cervello era gloriosamente vuoto, atto a sentire e a gustarsi ogni languida carezza piuttosto che perdersi in ragionamenti sensati. Era come se solo una parte di esso fosse accesa, mentre tutto il resto rimaneva soppiantato da istinti puramente carnali. Ciò che riuscivo a pensare era tutto sceso in termini di ‘volere’ e ‘godere’, perciò non feci domande.
Guardai ammirata il gesto fluido con il quale Edward si tolse il suo maglioncino, e la pelle glabra del suo torace, modellata su muscoli scultorei.
“Toglili” mormorai incoerente, riferendomi ai suoi jeans. Allora lui sorrise arrogante e con un cenno del capo mi fece capire che non mi avrebbe accontentata. Invece sbottonò i primi tre bottoni della mia camicetta, così che il reggiseno scoordinato uscisse in bella vista sotto i suoi occhi di pece. Era uno di quelle classici, bianchi e privi di merletti di sorta, perché quando l’avevo scelto quella mattina tutto avevo pensato forche alla possibilità che Edward lo vedesse. Nonostante la svista, che avrebbe dovuto imbarazzare persino le radici dei miei capelli, mi inarcai verso di lui per farmi meglio ammirare. Edward colse l’invito con un ruggito di apprezzamento e, cogliendomi del tutto impreparata, mi strappò via quel pezzo di stoffa. Non avevo idea di come avesse fatto, né del trucchetto che aveva adoperato per risparmiare la camicia, rimasta intatta al suo posto.    
“Cazzo” pronunciai gemente, intanto che lui raccoglieva nella sua bocca uno dei due miei piccoli noccioli rossi. Potevo sentire la sua lingua ruvida sfregare lasciva sulla pelle sensibile, le labbra che accompagnavano il movimento di quest’ultima, mentre il suo fresco respiro mi accapponava la pelle. Edward sembrò accorgersene, così parlò guardando quei brividi nascere e morire.
“Mi piace sentirti parlare così” ronfò suadente.
Ansimando intrecciai le dita nei suoi capelli bronzei e lo spinsi a continuare. Accarezzai con lo sguardo ciò che riuscivo a vedere da quella angolazione, ossia le spalle ampie, i pettorali e parte all’addome piatto. Era perfetto. E io mi trovavo quasi nuda sotto di lui, pronta a ricevere il frutto del suo amore. Mentre assaporavo fino in fondo quell’improvviso delirio di onnipotenza, presi a fissare i bottoni lucenti della patta dei jeans come se potessero slacciarsi da soli. Sembrò esserci un movimento lì in basso, al quale il mio ventre rispose con una contrazione. Accaldata, sentii la voce di Edward sussurrarmi all’orecchio.
“Bella, smettila di guardarmi in quel modo.” Ansimava. Forse come non l’avevo sentito mai.
“Altrimenti?”
“ …potrei decidere di mangiarti” mi disse, ma anziché una minaccia, ne uscì fuori quasi una proposta.
“Oh ti prego, fallo!” annaspai speranzosa, perché quello era la prima tra le mie fantasie erotiche migliori.
Edward soffiò sul mio collo un paio di volte, prima di scivolare felino lungo il mio corpo. Catturai la sensazione che la sua pelle gelida mi diede quando strusciò contro la mia e la feci prigioniera: avrei ricorso a quel ricordo tutte le notti avvenire.  
Sceso dalla scrivania, si sistemò sui calcagni e tra le mie gambe aperte. Mi diede un’occhiata da quella posizione, soffermandosi più del dovuto sul mio petto ansimante e in parte celato dalla camicetta, per poi guardare quello che aveva davanti. In trepidazione, osservai come le sue narici si allargarono per catturare appieno il mio aroma e non mi sfuggì il ruggito debole che seguii quel gesto.
“Calda” disse; nello stesso istante una delle sue mani si posò sull’interno coscia, facendo pressione per aprirmi ulteriormente. Non mancai di gemere, preda della folle passione.
“Bagnata” aggiunse, quando le dita dell’altra mano toccarono la stoffa che copriva il mio intimo eccitato. Dopodiché affondò il viso proprio lì, facendomi gridare come un’ossessa.
“Morbida” lo sentii ringhiare l’ultima parola, come se si stesse trattenendo dal divorarmi. Per un attimo pensai alla paura, a quella strana emozione che in quell’istante avrei dovuto provare. Com’è che non arrivava? Forse dipendeva dalle sue labbra, che lente mi stavano baciando e venerando? Oppure dalle sue mani? Le sue mani…
“Cielo!” esclamai, poiché quelle avevano strappato le mutandine con ferocia, e ora mi tenevano fermi i fianchi mentre una lingua si muoveva provocante su di me. Lisciava senza pudore ogni parte, sopra e sotto, dentro e fuori. E io morivo, stavo morendo sotto la frenesia dei suoi movimenti.
Sebbene fossi sicura che se avessi continuato a gemere e a lamentarmi in quel modo, Charlie si sarebbe svegliato, ero incapace di darmi un freno. Artigliavo il legno sotto di me, afferravo i bordi della scrivania con movimenti convulsi, inarcavo la schiena per darmi un ritmo. E in tutta quella follia, non mi accorsi di aver afferrato i capelli di Edward con ferocia e che probabilmente mi sarebbero rimasti in mano se non avessi allentato la presa. Comunque lui sembrò tutt’altro che attento a quel particolare, troppo impegnato ad alternare la lingua alle dita. Le aveva aggiunte con un mio sussulto, perché quelle erano davvero gelide e scivolarono nel mio intimo senza preavviso.
Ero certa che all’inizio ne fossero solo due, ma quando le sue labbra passarono a succhiare il mio piccolo triangolino di carne arrossato, ne diventarono quasi certamente tre.
“Più forte!” mi ritrovai a pregare, con un tono talmente lascivo da risultare agonizzante.
Nell’aria si sprigionò un ruggito basso e ruvido, che fece tremare la carne sotto la bocca di Edward; dopodiché, gli sciacquettii umidi prodotti dalle sue dita acquisirono un ritmo più cadenzato. Divenne determinato, più veloce e meno dolce. La delicatezza sparì e tra le gambe ebbi l’impressione di ritrovarmi un animale. Fissai i suoi occhi neri nei miei e vi vidi la fame. Fame di me, mi resi conto. Quello fu l’argine spezzato, che riversò sul mio corpo il piacere di un volo ad alta quota. Il picco arrivò con un suo affondo potente, seguito da brividi e spasmi che squassarono il mio utero. Gettai la testa indietro, pronta a gridare, quando la sua bocca fulminea catturò la mia e così l’urlo rimbalzò dentro di lui, spegnendosi dopo pochi attimi.
Forse persi coscienza per la forte emozione, perché tutto ad un tratto mi ritrovai sul mio letto con Edward affianco. Mi sentivo rilassata, come se ogni tensione e ogni ansia fosse stata spazzata via da quell’onda travolgente di piacere. Quell’onda però, mi aveva lasciata bagnata dalla testa ai piedi. Non era una sensazione molto piacevole, quella.
“Sei dannatamente bravo” dissi in un sussurro, dopo che mi ebbe sollevato e stretto tra le braccia.
Ora che stavo sul suo grembo mi accorsi che portava ancora i jeans, mentre anche la mia camicia era sparita, perciò ero del tutto nuda.
“Sei innamorato dei tuoi pantaloni?” chiesi, intanto che gli strusciavo il naso lunga la linea del collo. Una sua mano mi lisciava la schiena come se fossi stata una gattina, con tenerezza e dedizione.
“Non particolarmente” rispose, un po’ vago.
“Devono essere scomodi.”
“Più che altro, stretti. E maledettamente dolorosi.”
Sorrisi sapendo che non mi avrebbe vista, e feci scendere una mano ad accarezzargli lo stomaco e poi l’ombelico. Le carezze sulla mia schiena cessarono nel momento esatto in cui le dita toccarono la patta dei suoi jeans. Indugiai alcuni secondi, prima di slacciare il primo bottone di ferro dalla sua asola. Stavo per dedicarmi agli altri, certa che con quelli avrei dovuto usare entrambe le mani, quando lui mi afferrò deciso il polso. Repentino, cambiò la mia posizione in poche mosse, così che mi trovai a cavalcioni su di lui. Quindi mi strinse il mento tra due dita e ci guardammo.
Aveva i capelli rossicci disordinati più del solito, la pelle pallida a tratti luccicante, e le iridi gli erano diventate insolitamente rosse, dando un tocco selvaggio al suo aspetto sexy. Credevo di sapere che quelle potessero diventare solo nere, ma davanti avevo la certezza di aver sbagliato supposizione. Cosa le rendeva di quel colore? mi chiesi.
Promisi a me stessa di fargli quella domanda, in un altro luogo, in un altro momento.
“Cosa stai guardando?” gli chiesi, poiché il suo sguardo era tanto intenso quanto penetrante.
“Una giovane donna accaldata” disse, “con le labbra arrossate per via dei baci e gli occhi colmi di passione.”
Dopo avergli sorriso, mi avvicinai lentamente al suo orecchio.
“Lascia che ti mostri quanto ti amo, così come tu hai fatto con me” sussurrai.
Sapevo infatti dell’incertezza di Edward, e dei suoi pensieri sempre pieni di apprensione. Avevo capito che non intendeva andare infondo, perché aveva promesso che il vero sesso sarebbe arrivato solo dopo il matrimonio, e così sarebbe stato. Nonostante fosse stato sul punto di mandare all’aria tutto il suo stoicismo, era ritornato in sé appena in tempo per capire che la situazione poteva degenerare se io avessi preso una qualsiasi iniziativa. Credeva di essere incapace di controllarsi, ma io confidavo troppo nel suo irreprensibile autocontrollo per non fidarmi di lui.
Approfittando dell’evidente dilemma nel quale era caduto, finii di spogliarlo il più in fretta possibile. Fui presa da una forte aspettativa e un’altrettanta forte curiosità quando infilai la mano per raggiungere il suo sesso. Lo trovai eccitato, un po’ umido, ma sempre gelido al tatto. Quando lo toccai, non mi sfuggii il gemito trattenuto a stento dalle sue labbra e il sospiro che venne mentre lo esploravo affondo. Sembrò sciogliersi sotto le mie carezze, che man mano si fecero più audaci.
Nella mia inesperienza, lisciavo quel muscolo con un misto di ansia e delicatezza, pronta a cogliere ogni sua smorfia per capire se stavo facendo bene o male. Dopo qualche istante acquistai sicurezza dai suoi bassi gemiti e il respiro accelerato, perciò presi a massaggiarlo veloce. Nel frattempo mi godevo la sua espressione: gli occhi chiusi, la testa inclinata, la bocca leggermente dischiusa e la fronte aggrottata per quello che pareva quasi un piacere doloroso.
Cielo, è bellissimo, pensai. Ed era tutto mio.
“Bella” ansò, appena prima di baciarmi con vorace appetito. Poi una mano mi trattenne la testa per i capelli, e un’altra mi fermò dal dargli piacere. Stavo giusto per protestare vivamente, quando mi bloccai vedendolo allontanarsi per uscire dai pantaloni più in fretta di quanto avesse mai fatto. Tornò e con imponenza mi stese sotto di lui, lasciandomi credere che mi avrebbe presa con forza. Me l’ero cercata, ammisi, spaventata dal fatto che avessi intaccato irrimediabilmente la sua forza di volontà.
Stava davvero per succedere! Pensò il mio cervello terrorizzato, quando mi aprì le gambe e vi si insinuò dentro. Perciò mi preparai al dolore. Poi però…
“Aahm!” un gemito proruppe lamentoso dalla mia gola.
Non era quello che mi aspettavo, per cui mi sollevai appena per capire cosa stesse facendo. Aveva creato una culla perfetta per il suo sesso eccitato grazie alle labbra umide del mio intimo che, caldo, lo avvolgevano. Il contatto tra noi avrebbe potuto creare del vapore, perché lui era gelido quanto io ero bollente.
“Co-cosa…?” balbettai incoerente. In un attimo avevo perso tutta la mia sicurezza, però questo dipendeva in buona parte dal piacere snodato che provavo; infatti si stava strusciando su di me con lenti movimenti del bacino. Quello si muoveva, a tratti convulsamente, e ad ogni affondo mi mandava scariche intense in tutto il corpo. La punta del suo sesso sbatteva sul punto giusto e con la pressione giusta, un’altalena di godimento che presto mi avrebbe mandata fuori di testa.
“Avanti piccola, non lo trattenere” sussurrò la sua voce rauca, intanto che stringeva una mia coscia con una forza tale da lasciarne di sicuro dei lividi.
“Anc.. ahm.. anche tu!” mi riuscì di dire, tra un lamento e l’altro.
Lo guardai ghignare affannato.
“Prima le donne” disse.
Allora afferrai le sue spalle e mi inarcai in modo da stringerlo forte e dargli quindi più piacere.
La mia idea funzionò, poiché subito le spinte aumentarono insieme ai suoi bassi gemiti, tanto ruvidi da darmi i brividi. Ero vicinissima all’esplosione, però desideravo che Edward provasse piacere così come lo stavo provando io. Volevo soddisfarlo, restituirgli tutto l’amore che mi aveva regalato con quel misero atto fisico, lontano mille miglia dal vero sesso. Così pensai a cosa lo faceva impazzire, perdere il controllo e, trovata la risposta, mi avvicinai al suo orecchio.
“Veloce, oh si, veloce. Fammi godere.”
“Bella” ansimò.
Il ritmo si fece forsennato: era vicino.
“Oh si! Fammelo sentire tutto!”
Ruggì come una bestia selvaggia, perdendo del tutto il controllo. Lasciò la mia coscia martoriata per stringere invece il bacino e angolarlo diversamente. Quella fu una trovata geniale, che decretò la fine. L’orgasmo mi inondò la carne e con un ultimo, agonizzante affondo, Edward mi raggiunse.
Riversò sul mio ventre il suo piacere con una serie di movimenti convulsi, mentre una mano era giunta a coprirmi la bocca per frenare le urla che sicuramente ne sarebbero fuoriuscite.
Infine crollò su di me, e io non mi lamentai del peso solo per via dell’incoscienza nella quale ero caduta. A differenza del primo orgasmo, quello mi aveva privato di tutte le ossa, lasciandomi la sensazione di essere un massa molliccia e invertebrata. Persino le palpebre faticavano a muoversi.
Edward sospirò sul mio collo, dopodiché si spostò per appoggiare il capo sul seno. Ebbi giusto la forza di accarezzargli la chioma rossiccia prima di abbandonarmi alla stanchezza. E, sebbene stessi sul punto di addormentarmi, riuscii comunque a sentire il suo sussurro delicato dirmi che mi amava. Avrei voluto rispondergli che anch’io lo amo, tanto da star male, ma calò il sipario sulla realtà e io fui preda del dolce sonno.

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Vi ringrazio per i complimenti troppo buoni che ho ricevuto ^.^
Offro come regalo di Buon Natale e Felice Anno Nuono questo piccolo capitolo.
Spero che vi piaccia =)
AUGURI!! CHE LA PACE E LA GIOIA VI ACCOMPAGNINO IN QUESTI SANTI GIORNI ^.^


(Lesson n.26): Liberi da ogni insicurezza, si diventa capaci di qualsiasi cosa

A svegliarmi fu il rumore di una porta chiusa con poco riguardo.
Grugnii.
Mio padre era proprio un bruto.
Un motore si accese nel vialetto e il suo scoppiettio penetrò i vetri chiusi della mia finestra per arrivarmi dritto dritto alle orecchie. Persino le tende chiuse non riuscirono ad attutire l’insopportabile suono. Infilai la testa sotto il cuscino e attesi fino a quando la macchina di mio padre tolse il disturbo, rombando lungo il vialetto per regalarmi infine una beata quiete.
Sospirando felice mi girai supina, sorridente perché il sonno stava per tornare a prendermi. Però avevo freddo - sentivo la pelle delle braccia incresparsi in brividi gelati e i seni inturgidirsi - perciò pensai di cercare il piumone con una mano per coprirmi. Sempre tenendo gli occhi chiusi, andai a tentoni sul materasso, quando mi accorsi ad un tratto della stranezza di quella situazione. Tutte le percezioni ricevute dal mio cervello mi dicevano di essere nuda, ma non ne capivo il motivo. Perché avevo rinunciato al pigiama quando fuori il maltempo imperversava? Intontita e confusa, increspai la fronte, appena prima di sentire la pesantezza del piumone avvolgermi senza che la mia mano avesse contribuito in alcun modo.
“Buongiorno” mormorò una voce sensuale e accattivante, che io conoscevo benissimo.
Fu proprio quella a svegliare la parte razionale della mia coscienza, la quale riportò a galla i ricordi della notte passata.
Edward nudo.
La bocca di Edward.
La lingua di Edward.
Edward gemente.
“Uch!”
Senza che potessi evitarlo, arrossii d’un botto e uno squittio imbarazzato uscii dalla mia gola. Come se mi avesse carpito i pensieri, la voce prese a ridere di gusto e con un tale calore da farmi tremare tutta. Allora giunsi a conclusione che quello era un risveglio da sconsigliare ai deboli di cuore.
“Speravo di vederti arrossire, ma non credevo mi avresti accontentato così presto” disse a mezza voce Edward, con un tono divertito che rendeva la frase leggera.      
Quasi sorrisi alle sue parole. Quasi. Il motivo per il quale non mi venne di farlo del tutto, era la mano gelata che sul mio stomaco si era sistemata con disinvoltura. Aprii gli occhi esitante e ad accogliermi fu il viso sorridente del mio vampiro che, sistemato su un fianco, sostenuto da un braccio, mi fissava come se fossi stata l’ottava meraviglia del mondo. Ma era lui ad essere meraviglioso, con i suoi occhi bronzei e le labbra rosse come ciliegie mature, in netto contrasto con la carnagione lattea.
“Buongiorno” fu quello che mi uscii dalla bocca, nonostante non avessi ancora deciso di usarla.
Non so per quale motivo, però mi venne in mente all’improvviso il modo con il quale mi ero comportata con lui durante tutto il nostro ‘piccolo giochetto’. Ricordare le parole sfacciate che gli avevo sussurrato, le carezze che gli avevo elargito, ebbe l’effetto di farmi impallidire come se avessi visto un serpente sbucare da sotto il cuscino.
“Bella?” mi chiamò lui, increspando la fronte perplesso quando di colpo mi girai prona per affondare la faccia tra le lenzuola. Ero incapace di affrontarlo e sebbene riconoscessi una buona dose di infantilismo nel mio comportamento, continuai a nascondermi come una ladra ai suoi occhi.
“Bella?”
“No!”
“No cosa?!”
“No!”
Forse sorrise, ma di questo come potevo esserne certa? Quello di cui ero sicura invece, era qualcosa che dipendeva solo dalla mia pelle e dalle sensazioni che stava provando nell’essere accarezzata dalle dita agili di Edward. Infatti aveva preso a lisciarmi la schiena, seguendo la spina dorsale fino a sfiorare i fianchi caldi di lenzuola. Il piumone rimaneva dov’era, a nascondermi le spalle e il viso, mentre lui si muoveva sotto di esso. Mi arrivò tanto vicino che potei cogliere senza difficoltà la temperatura fresca emanata dal suo corpo e il respiro profumato di miele.
Proprio quando ero sul punto di abbandonarmi a quelle squisite percezioni, la sua mano uscì allo scoperto per sollevare di poco le coltri, facendomi irrigidire. Non ebbi il tempo di chiedere cosa stesse combinando, che dalla sua gola proruppero delle fusa vibranti di lampante apprezzamento, e allora capii: stava guardando il mio fondoschiena!
“Ti invoglierei a girarti, se solo i miei occhi non si fossero posati su qualcosa di dannatamente allettante.”
“Stai rasentando il volgare” lo ribeccai. E per farlo, mi ero girata a guardare l’espressione arrogante con la quale sottolineò la sua vittoria. Era riuscito a farmi uscire dal mio nascondiglio, l’infame.
“Non dovrei ricorre a questi stratagemmi, ma mi ci hai costretto” si giustificò.
Mi dimostrai ancora più infantile sbuffando e dandogli la schiena, tuttavia ero precipitata in una situazione del tutto nuova per me, che non avevo mai avuto rapporti di sorta con i ragazzi. Edward era stato il primo a solcare quelle acque inesplorate, perciò era il primo a vedermi appena sveglia la mattina e a toccarmi come aveva fatto e stava tutt’ora facendo. In effetti si era avvicinato di soppiatto, silenzioso al pari di un’ombra mi aveva abbracciato, e ora mi stringeva al suo corpo marmoreo in un modo che stava risvegliando i miei sensi. Sentivo il torace fresco appiccicato alla schiena calda, la gamba muscolosa sulla mia, il braccio sopra il fianco e la mano sul ventre. Ma il contatto sconvolgente, quello che minava la mia sanità mentale, era provocato dal suo sesso eccitato, duro e freddo tra le mie natiche. Sospirai, già preda di una forte lussuria, mentre Edward mi sfiorava il collo e la spalla con baci leggeri.
“Anche questo è uno stratagemma?” chiesi, prima di perdere anche la volontà di parlare.
“Potrebbe” rispose, sempre ligio al suo dovere.
“Serve per rimandare la fatidica domanda?”
“Quale domanda?”
Stava tergiversando, e ne ebbi la conferma quando la mano dal ventre passò al seno, che strinse dolcemente facendomi annaspare. Per un attimo dimenticai l’importante argomento che stavo per gettare con molta crudeltà su quel fantastico momento, però poi tornò la ragione a farsi sentire. Ero fiera di me, perché riuscivo a pensare nonostante le dita di lui avessero preso a stuzzicarmi uno e l’altro capezzolo.
“La domanda che ci conduce a questo. Ah!” mi sfuggì un gemito, ma ripresi. “Dov’è Jacob?”
Le sue dita smisero di torturarmi per pochi secondi, stettero immobili, e ripresero infine con più insistenza. Questa volta non trattenni un lamento di puro godimento, poiché alternò il massaggio al movimento del suo bacino, che prepotentemente portava i nostri sessi a sfregarsi.
“Abbiamo altre due ore prima che torni” sussurrò lieve al mio orecchio. “Vuoi davvero sprecare questo prezioso tempo in spiegazioni?”
Cielo, la tentazione di assecondare i suoi movimenti era allettante così come la sua proposta. Avevo l’intimo in fiamme e non desideravo altro che sentire il suo muscolo duro contro la mia pelle bagnata, ma…
“Da dove… ahww… de-deve tornare?”
Si posizionò più in basso e fece scivolare il sesso tra le mie gambe, poi rispose:
“Alaska.”
La punta grassa e umida prese a sbattere contro il mio clitoride dal basso, ma non era abbastanza, perciò lui aggiunse le dita in quella tortura. Grazie alla temperatura decisamente alta della mia carne, quella parte di lui incastrata strettamente tra le mie labbra si riscaldò a sua volta. Era delirio puro.
“Cosa c’è in Alaska?” chiesi tutto d’un fiato. Ero infatti certa, che se avessi esitato, la voce si sarebbe spezzata e tremando sarebbe scomparsa in alti gemiti.
Ebbi l’impressione di avergli posto la domanda chiave, cui rispettiva risposta Edward era decisamente riluttante a darmi. Lo capii dalla frenesia improvvisa che sommerse di colpo i suoi movimenti, dall’impegno con il quale toccò e sfregò il mio corpo, quasi che volesse cancellare con la passione il ricordo di Jacob dalla mia mente. A quel punto non potevo ignorare il fatto che mi stesse palesemente nascondendo qualcosa, ancora una volta. Quindi feci quello che una donna sa fare per innata competenza: presi in mano la situazione.
Con delicatezza separai i nostri sessi per girarmi verso di lui e baciare la sua invitante bocca, intanto che una mia mano scendeva ad afferrarlo. Era bagnato dei miei umore a tal punto che l’odore arrivava persino al mio olfatto umano.
“Dimmi cosa c’è in Alaska.” Perentoria, mi impegnai a strappargli ogni pensiero coerente dalla testa con il movimento sempre più intenso del mio massaggio. Però lui, oltre a gemere e a baciarmi, non accennava a rispondere. Allora lo spinsi sulla schiena e, a cavalcioni sulle sue cosce muscolose, continuai a torturarlo mentre leccavo prima l’uno poi l’altro capezzolo. Mi sentivo un amazzone, potente e autoritaria, perché un invincibile vampiro stava morendo di passione sotto di me. Perciò impressi nella mia voce una coercizione che ero sicura l’avrebbe costretto a parlare, ebbro di piacere com’era.
“Cosa c’è in Alaska, Edward?”
Prese a spingere il bacino per accompagnare i miei movimenti, e notando la sua fronte aggrottata e i denti ringhianti, capii che era vicino all’apice. Tuttavia riuscì a digrignare una parola:
“Minaccia.”
“Minaccia?”
Ma a quel punto venne ruggendo e imprecando; mi riversò sulla mano e sulla pancia il suo seme e poi si abbandonò con un ansito alle lenzuola. Rimasi sbalordita dalla bellezza che sprigionava, e da quello che io stessa gli avevo fatto, per cui la questione “Jacob” passò per un attimo in secondo piano. Ero stata davvero capace di dargli un orgasmo sconvolgente? Io, che avevo sempre sofferto per la scarsa autostima che mi ritrovavo? Io, che credevo di non essere mai abbastanza per un vampiro secolare quale lui era? Io, l’insignificante Bella Swan? Inizia a rivalutare molte cose in quei pochi secondi e arrivai anche a pensare che il mio Edward doveva amarmi davvero molto, per trarre tanto piacere da delle semplici carezze. Infondo, quello che avevo fatto era lontano dai sofisticati giochi di seduzioni di donne ben più esperte di me. Quindi lui aveva goduto perché ero stata io a fargli quello. Il suo amore era sul serio grande come diceva!
Lo abbracciai stretto quando arrivai a quella conclusione e lui sospirando mi strinse dolcemente a sé, ancora un po’ scosso. Lo sentii affondare il volto nella pelle soffice del mio collo e cercare rifugio lì intanto che parlava sommesso.
“Ora capisci quanto ti amo Bella? Sono in tuo potere, amore. Di me, puoi fare quello che vuoi.”
Le sue parole mi fecero rabbrividire. Potevo vedere i nostri ruoli capovolti: non ero io quella succube, e forse non lo ero mai stata. Se Edward fosse rimasto fuori dalla mia vita, sarei riuscita comunque ad andare avanti nel mio percorso senza di lui. Il mio vampiro mi aveva sconvolto l’esistenza, ma solo perché non riusciva a starmi lontano. Il cuore mi esplose di gioia immensa e assoluta, di un amore ora libero da ogni paura, da ogni insignificante incertezza. Lui non mi avrebbe lasciata, perché semplicemente non poteva. Mi balenò per un istante la parola ‘matrimonio’ in testa e, chissà perché, quella non mi sembrò più tanto assurda. Tutto sommato saremmo comunque rimasti legati. Per sempre.
“Raccontami di questa minaccia” gli chiesi teneramente.
E allora Edward iniziò a spiegare.


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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


(Lesson n.27): I guai non vengono mai da soli
Il clan Quilente aveva dei problemi. E belli grossi. Grazie a quello che Edward mi aveva raccontato, avevo capito quanta responsabilità quei mutaforma reggevano sulle loro spalle abbronzate. Non l’avrei mai immaginato, e per questo mi sentii un pizzico in colpa per aver sottovalutato il loro ruolo.
“Gradiresti dei biscotti, Bella? Sono usciti dal forno appena due ore fa!” mi annunciò con entusiasmo Esme. Lei continuava ad essere una vampira strana, come testimoniava il fatto che aveva cucinato dei biscotti nonostante la sua impossibilità di mangiarli. Per cortesia le sorrisi e accettai l’offerta, un po’ preoccupata perché non avevo mai mangiato qualcosa preparato da una creatura esente di gusto. Quei biscotti potevano benissimo essere stati preparati con un quintale di zucchero, o una decina di uova, e il suo palato ne avrebbe ignorato comunque la differenza.   
“Non ci intratteniamo molto, Esme.”
“Oh su Edward, Bella sarà affamata!” intervenne Alice.
Edward ebbe la decenza di non ribattere mentre io arrossivo senza ritegno di fronte al suo occhiolino, un gesto di complicità che sottointese troppi significati e una sola certezza: Alice, ovviamente, aveva visto come avevamo trascorso la notte – e forse anche la mattinata.
“Allora ti preparo anche un tè” aggiunse Esme. Al contrario della figlia, non fu invadente e sorvolò con indifferenza sull’evidente insinuazione di Alice. Una vampira strana, ma educata.
“Ti ringrazio Esme, sei troppo buona.”
Sorrise con dolcezza scomparendo poi qualche secondo dopo, e io supposi fosse in cucina come ogni perfetta padrona di casa. In effetti le ero davvero grata, poiché nonostante non l’avrei mai ammesso, ero affamata. L’attività alla quale ci eravamo dedicati io e il mio vampiro quella mattina si era prolungata sino ai miei limiti umani, come aveva avuto cura di sottolineare Edward. Lui avrebbe continuato a darmi piacere ancora per molte ore, aveva detto, ma io ero tanto stremata che quella mi era parsa una minaccia di tortura piuttosto che un’allettante promessa. Così avevamo deciso di trascorre la nostra ultima ora senza Jacob a casa Cullen, dove Alice avrebbe avuto cura di spiegarmi i dettagli della storia che Edward mi aveva fornito solo in grandi linee. Sospirando mi sistemai meglio affianco a lui, che mi stringeva a sé con un braccio. Il divano sul quale eravamo seduti, ero lo stesso che aveva visto consumarsi il nostro ‘quasi’ rapporto ancor prima di iniziare per davvero. Lì Jacob ci aveva sorpresi e fermati per la prima volta.   
“Era più che consenziente, credimi” disse ad un tratto Edward, guardando la sorella con sguardo torvo. Di certo aveva letto una domanda nel suo cervello, una di quelle che a voce è difficile pronunciare.
“Che lo fosse non fa differenza” rispose lei, e con una mano protesa in un gesto di altri tempi, lo apostrofò altezzosa. “Tu l’hai sedotta, perciò è come se l’avessi obbligata a farlo. Una brava ragazza non fa certe cose. Non alla prima notte, almeno!”
Iniziai seriamente a preoccuparmi; Alice si stava riferendo alla notte trascorsa insieme e, più che altro, a come l’avevamo trascorsa.
“Cosa stai dicendo Alice?”
“Rilassati Bella, sono convinta che non è colpa tua.”
“M-ma i-io…tu non dovresti impicciarti!”
“Mi sento in dovere di farlo, se ti vedo in procinto di usare la bocca in quel modo su mio fratello!”
Avvampai di un colpo, tanto violentemente che la vista mi si offuscò e la stanza girò così forte da farmi pensare fossi piombata al centro di una giostra. Ebbi paura di svenire per la vergogna e di sicuro non c’era nulla che avessi potuto dire, anche volendo. Così, piuttosto che svanire sotto forma di uno sbuffo di fumo come avrei voluto, mi nascosi tra la spalla e il collo di Edward. Lui mi cinse forte la vita e accarezzò teneramente i miei capelli, mentre – ne ero certa – scoccava un’occhiata assassina alla sorella. Mi aspettavo che la rimproverasse o che la minacciasse di non giudicare mai più cose tanto intime, promettendole magari atroci sofferenze se l’avesse fatto, invece ad Alice non disse nulla. Però a me sussurrò all’orecchio…
“Qualunque cosa lei dica, la tua bocca rimarrà comunque la cosa che più mi ha fatto impazzire.”
Allora sorrisi, perché a dispetto di tutto, mi era piaciuto avere quel potere su di lui. Solo io riuscivo a farlo impazzire. Era una soddisfazione che andava oltre l’imbarazzo, oltre ciò che era ritenuto lecito, oltre la definizione d’indecenza che la società esprimeva. Quello che avevo fatto, l’avrei rifatto comunque se fossi tornata indietro.
Alice sbuffò, quasi indignata, ma non andò avanti a snocciolare quel discorso.
“Tutto sommato, sono contenta che abbiate avuto modo di sfogarvi” disse, “perché Jacob vi rimarrà alle calcagna per molto tempo prima che un altro impegno lo porti fuori città.”
Mi intristii a sentire quella profezia. La continenza che ci aspettava sarebbe parsa infinita, me lo sentivo.
“I nuovi arrivati non saranno così furbi.”
“Ti sbagli Edward. Questa mattina, mentre eri impegnato, ho avuto un’altra visione.”
Vidi il mio vampiro accigliarsi, come se fosse contraddetto dal fatto che un’esperienza sessuale gli avesse precluso essenziali informazioni.
“I nuovi arrivati si terranno ben nascosti per circa cinque o sei mesi. I Quilente sono riusciti ad ucciderne tre, perciò sono rimasti in cinque. Rimangono una famiglia piuttosto numerosa, ma non rischieranno di avere nuove perdite. Aspetteranno, facendo credere ai mutaforma di non essere più una minaccia. Jacob ha deciso che interverrà solo quando sarà strettamente necessario, perché si fida poco a lasciarvi di nuovo senza una balia.”
“Cosa l’ha spinto questa volta a lasciarci soli?” chiesi.
Alice mi sorrise in modo furbesco e dalla sua gola proruppe un risolino sottile tuttavia elegante.
“Era convinto che nulla sarebbe successo tra noi” spiegò Edward.
E la sorella aggiunse:
“Vi ha seguiti nel tragitto che avete fatto da qui a casa a tua. Vi ha sentiti litigare, e poi ti ha vista uscire dalla macchina di Edward e Edward rimanere lì, senza seguirti. Ha supposto che foste troppo arrabbiati l’un con l’altra per aver voglia di provare nuove esperienze, sottovalutando chiaramente la passione che vi unisce.”
Strabuzzai gli occhi: povero Jacob! Lo avevamo aggirato e messo nel sacco – in senso metaforico, ovvio – quando lui non aveva fatto altro che adempiere al suo dovere di mutaforma. Avevo da poco appreso, infatti, che i Quilente avevano l’obbligo morale di scacciare tutti i vampiri pericolosi e non solo quelli entrati in Fronks. Per questo si erano spostati in massa verso l’Alaska, per via di un clan assortito di vampiri giovani, i quali si erano fatti notare a tal punto che la voce dello scompiglio era arrivata fino alle orecchie tese dei mutaforma.
“E questo avvale l’opinione che ho su di lui” borbottò Edward crucciato.
Lo ignorai, e osservando l’assenso sul volto di Alice, mi venne spontanea una domanda.
“Ma credevo che i tuoi poteri fossero incapaci di vedere il futuro dei mutaforma!”
“E’ così. Ho lavorato sul futuro tuo e di Edward per seguire le sue mosse, il resto non è altro che l’insieme di logiche intuizioni” chiarì.
Mi venne naturale annuire, un po’ colpita dal suo modo pragmatico di agire, e ringraziai per i biscotti e il tè che Esme mi porse in una deliziosa tazza di finissima porcellana. Lei mi sorrise dolce come lo zucchero e poi scomparve di nuovo. Allora presi a sorseggiare il liquido caldo con gusto, sovrappensiero, e proprio quando ero sul punto di provare ad assaggiare i biscotti fatti in casa di Esme, Edward disse alla sorella:
“Sei dannatamente esagerata, Alice!”
Ecco, doveva aver letto qualcos’altro nella sua mente; sperai fosse un pensiero meno imbarazzante del precedente. Poi guardai il biscotto… chissà se sarei morta dopo il primo morso? In quel caso sarebbe stata una fine rapida.
“Mi dispiace per te, Edward, ma il mio ragionamento è privo di ogni esagerazione” ribatté Alice.
Nel frattempo, stavo annusando il biscotto per cercare di capire dall’odore se sarei morta o meno tra atroci sofferenze. Il suo aspetto non incuteva timore – era perfettamente tondo e giallo, liscio e privo di bozzi sulla superficie dorata – però sapevo grazie all’esperienza quanto le apparenze potesse ingannare.
“Dimentichi che sono stato nel suo cervello. So come ragiona.”
“Ora sei tu a sottovalutare la situazione! Non fare il suo stesso errore, fratello. Il suo fiuto è abbastanza forte da percepire il tuo profumo su di lei!”
Alice si stava infervorando parecchio, notai, intanto che spezzavo l’impasto friabile per studiarlo anche all’interno.
“Su di lei c’è sempre il mio odore. Quello che è successo non ha cambiato le cose” rispose Edward, solo apparentemente calmo. Sotto la superficie bronzea dei suoi occhi si intravedeva una briciola di irritazione, che pian piano andava ingigantendosi. Queste informazioni le carpii mentre tenevo in mano le due metà del biscotto spezzato e decidevo quale delle due avrei provato per prima.
“Stupido! Tu non riesci a sentirlo perché sei assuefatto dal suo profumo, ma ogni parte di lei emana il tuo odore. E non parlo di quello della tua traccia! Quando Jacob lo sentirà, così come l’ho sentito io, scoppierà una guerra!” quasi urlò la sorella. Al che, smisi di analizzare la composizione molecolare della creazione di Esme, e prestai più attenzione alla loro discussione.
Edward si era crucciato profondamente e dopo aver guardato torvo Alice, spostò i suoi occhi arrabbiati su di me. Mi sentii a disagio, perché entrambi mi stavano studiando con morbosa attenzione. Ora sapevo come si era sentito il biscotto fino a pochi secondi prima. Non era una bella sensazione, in effetti.
“Cosa?” chiesi, rossa in viso.
“Hai fatto una doccia prima di scendere?”
La domanda me la lanciò Edward, con una disinvoltura tipica di un arrogante faccia da schiaffi.
“Certo!” affermai, sentendomi accusata. “Non ti ricordi? Ti sei persino offerto di lavarmi la schiena!”
“Allora il tuo odore è più forte di quanto immaginassi” ragionò Alice.
“Cosa diamine succede?”
Mi era sfuggito qualcosa, ovvio. Tutta colpa del biscotto! Maledetto!
Dal petto di Edward proruppe un ringhio burbero, di chi è momentaneamente indisposto e poco incline a dare spiegazioni, così fu la mia cara amica a parlare per lui.
“Il vostro approccio è stato troppo intimo Bella. Quello che ha fatto Edward ha lasciato sul tuo corpo un odore particolare, di maschio, di possessione e accoppiamento. Immagino che sia colpa del tuo sangue. Probabilmente esalta l’odore del vampiro che ti marchia con la sua traccia, oppure dipende esclusivamente da Edward… o entrambe le cose!”
“Oh, cielo.”
Ero allibita. Perché la nostra vita sentimentale doveva implicare tutte quelle complicazioni?
“E cosa succederà quando Jacob…?”
Non riuscii a concludere la mia domanda, già presa dall’immaginazione: nella mia mente c’era un lupo rossiccio molto incazzato che chiamava a raccolta la sua tribù, con l’unico intento di farci a pezzetti.
“Presumerà che abbiate avuto un rapporto completo. A quel punto riterrà il patto violato e si sentirà in dovere di intervenire con la sua gente. Saresti in pericolo, perché non correrebbero mai il rischio di lasciarti libera sapendo che potresti essere incinta di un mostro.”
Alice si rese conto del suo errore troppo tardi. La parola ‘mostro’ fece scattare Edward, che ruggendo alla sorella le si parò davanti con la velocità di una saetta.
“Edward!” lo chiamai allarmata. Non avrei mai voluto che Alice venisse di nuovo punita, anche se, dovevo ammettere che la sua pessima scelta di parole aveva colpito pure me. Mai avrei creduto che la mia amica considerasse malato ciò che sarebbe potuto nascere da me e suo fratello.
“Edward, ti prego calmati!”
Ma lui continuava a ringhiare contro Alice, del tutto immobile e un po’ intimidita, finché non entrò Carlisle nella stanza. Un attimo prima era sull’uscio del salotto, un attimo dopo era vicino al figlio, con una mano posata sulla sua spalla per intimargli di indietreggiare. Carlisle, biondo e bello come un Dio greco, era sempre stato il mio idolo; in quel momento il mio livello di stima nei suoi confronti arrivò a livelli inimmaginabili.
“Avrete modo di chiarire civilmente il punto di vista di Alice più tardi” disse in tono diplomatico il dottore. “Ora riaccompagna Bella a casa.”
Edward annuì in segno di assenso, sebbene fosse ancora nero dalla rabbia. Il ‘punto di vista di Alice’ – come l’aveva chiamato Carlisle – doveva avergli recato una delusione tale da ferirlo. Se era così, allora preferivo ignorare i reali pensieri della mia amica, perché altrimenti non l’avrei più considerata come ora facevo.
“Bella?”
“Si Carlisle!”
“Ti dispiacerebbe fare un’altra doccia una volta arrivata a casa? Sono sicuro che la tua igiene personale sia impeccabile, ma dobbiamo cercare di togliere quell’odore dal tuo corpo.”  
“Certo.”
Appena prima di girarmi per prendere il mio impermeabile, mi spuntò Jasper davanti. Era impeccabile e impassibile come sempre, ma mi rivolse un microscopico sorriso di incoraggiamento prima di annunciare a tutti i presenti che aveva percepito una bolla di malumore avvicinarsi.
Doveva essere Jacob, disse, perché la sua andatura era più veloce di un qualsiasi umano tuttavia più lenta di un normale vampiro.
“Il suo arrivo era previsto tra mezz’ora!” esclamò Alice, che odiava essere colta di sorpresa.
Non avrebbe mai potuto prevedere quell’improvviso cambio di programma, considerata la sua incapacità di vedere il futuro dei mutaforma. Carlisle invece si dimostrò preparato e senza farsi prendere dall’ansia, disse:
“Ti conviene trasportarla, Edward. Non sareste altrettanto veloci con la macchina.”
Vidi la mascella di Edward serrarsi e ad un tratto i suoi lineamenti parvero farsi duri. Era ovvio che stesse implodendo dalla rabbia, così evitai di lamentarmi quando mi prese bruscamente sulle spalle per trasportarmi fuori. Non mi aveva neppure dato il tempo di allacciare le braccia e le gambe al suo corpo, per cui la mia posizione era quella di un sacco di patate, issato sulla spalla come un peso morto.
Sfrecciamo nella foreste e fui tanto intrepida da cercare di fare due cose contemporaneamente: trovare un appiglio saldo e tenere così alta la testa, e stringere bene gli occhi in modo da ignorare la velocità con la quale viaggiavamo. Alla fine trovai i passanti dei jeans e mi aggrappai a quelli.
“Sarà meglio che tu non insista troppo, amore. Non vorrei trovarmi privo di pantaloni quando saremo arrivati” disse sarcastico il mio vampiro. Potevo immaginare il ghigno sfrontato sulle sue labbra. Come poteva scherzare in un momento simile?!
“Eppure sono certa che ne non ti dispiacerebbe!”
Lui rise di gusto alla mia battuta, perciò la rabbia che aveva dimostrato pochi minuti fa doveva essere del tutto scemata.
Il viaggio finì dopo pochi istanti e, aperti gli occhi, fui sorpresa nel constatare che eravamo nel mio bagno. Era entrato in casa senza che mi accorgessi di nulla!
“Spogliati” mi intimò, quasi che il suo fosse un ordine.
“Risolveremo ben poco se hai intenzione di fare quello che penso tu voglia fare.”
Contro ogni mia aspettativa, rimase serio.
“Hai cinque minuti per toglierti di dosso il mio odore. Strofina forte i punti dove più ti ho toccata” disse e, nonostante il momento fosse critico, fallì nel nascondere la lussuria negli occhi e nella voce. Sicuramente il ricordo di come mi aveva toccata aveva risvegliato il suo lato selvaggio così come quelle stesse immagini stavano ora invadendo la mia mente. Il modo con il quale mi fissava poi, mi scoraggiava a tornare coerente, portandomi sulla rotta della perdizione. Troppo intensi, troppo vicini erano i ricordi delle ore trascorse insieme. E nel rendermi conto che avrei potuto mandare all’aria ogni precauzione per cedere al piacere di stare con lui, giunsi alla conclusione che urgeva un cambiamento radicale.
Una decisione che ci avrebbe tolto da quegli impicci, che non mi avrebbe costretta a fare docce riparatrici o a preoccuparmi del mio odore, che avrebbe reso invalicabile il nostro legame e privata la nostra intimità. A quel punto non avrei dovuto vergognarmi per quello che mi sembrava giusto fare per dargli piacere, e nessuno avrebbe potuto criticare qualcosa.
“Bella?”
Mi ero dilungata troppo con le mie riflessioni.
“Mhm, si.”
“Quattro minuti” puntualizzò Edward.
“Arriverà così presto?”
“Anche prima se trova la mia traccia.”
Allora mi attivai come un soldato al quale fosse stato lanciato un ordine e mi spogliai veloce davanti a lui, badando poco alla forma ma più alla praticità. La mia intenzione era lungi dal sembrare sexy ai suoi occhi, così uscii dal maglione e dal reggiseno in un gesto solo e tirai giù i jeans insieme alle mutandine. Quindi entrai nella vasca da bagno e attivai il getto dell’acqua al massimo. Mentre strofinavo la spugna ruvida sulla pelle, sentii Edward consigliarmi di passarla sul ventre e poi una frusta d’aria gelida sulla pelle bagnata mi disse che era sceso di sotto con la sua super velocità. Lo maledissi mentalmente: era evidente che avesse dimenticato cosa significhi avere freddo!
“BELLA?!”
“Cazzo!”
Quello che mi aveva chiamata era mio padre!
“STO IN BAGNO CHARLIE!!” gridai.
Per fortuna Edward aveva pensato di chiudere la porta, perché altrimenti mi sarei uccisa per uscire dalla vasca. Avevo sfidato la morte già una volta e portavo ancora i segni del grosso livido a forma di rubinetto sul sedere. Non chiedetemi come ci ero riuscita; neppure io lo so!
“Bella?”
“Si Charlie!”
La voce di mio padre ora era molto vicina, come se fosse dietro la porta. Il mio cuore prese a battere forte, anche se sapevo benissimo che le capacità di Edward non avrebbero potuto tradirlo e che quindi Charlie avrebbe ignorato la sua presenza fino ad un suo eventuale cambio di idee.
“C’è un cane” mi disse. Dal tono mi sembrò sconcertato, quasi che il pensiero di un cane nei pressi di casa nostra fosse un fatto troppo assurdo da accettare.
“Ah si?! E ora dov’è?” chiesi con aria innocente; nel mentre mi strofinavo più forte la pelle già arrossata.  
“Non ne sono sicuro. Quando sono entrato si era appena sistemato sotto l’albero” borbottò perplesso.
Accidenti! pensai. L’albero di cui stava parlando, l’unico albero nelle immediate vicinanze di casa, si affacciava in corrispondenza della finestra della mia stanza. Jacob aveva forse intenzione di entrarci? E se lì avesse incontrato Edward, cosa sarebbe successo in quel caso? Una lotta tra entità soprannaturali era fuori discussioni… mi distruggerebbero la stanza! Conclusi disperata.
“Forse dovresti cacciarlo” proposi, con la voce più bassa di due o tre toni. Il mutaforma mi aveva sentita comunque?
Mio padre rimase in silenzio, e ciò mi fece credere che stesse realmente considerando quella alternativa. Nel frattempo afferrai un telo e mi ci avvolsi dentro, perché pensavo di aver consumato e irritato abbastanza la mia pelle. Mi stavo raccogliendo i capelli umidi in una pinza viola quando Charlie prese di nuovo a parlare.
“Non sarebbe male avere un cane da guardia.”
COSA? Ero impazzita! Charlie non aveva davvero pronunciato quelle parole!
Mi fiondai alla porta e l’aprii che ero ancora avvolta dal lungo telo di spugna rosa. Vidi mio padre spalancare gli occhi e volgere lo sguardo altrove, imbarazzato.
“Cosa vorresti dire?” chiesi, a metà tra l’essere minacciosa e disperata.
“C-che quello sembra un cane in forze. Potremmo tenerlo come cane da guardia.”
La mascella mi cadde sul pavimento.
Un cane ululò nel mio giardino.
Mi dissi di essere sicuramente impazzita.
L’ululato di un cane poteva sembrare una risata umana? Una risata umana divertita e piena?
Ebbene, dopo tutto quello che avevo visto, sapevo che anche quello era possibile.  
 

 
 

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