Spin off di “Teenagers – A new day has come” di Mimi18. Non necessita la
lettura di quest’ultima per capire la trama, ma io la consiglio vivamente, se
amate il rosaH.
Alla
Mimuccia,
perché mi ha
prestato gentilmente
metà del suo
neurone,
dato che il mio è
scappato
abbandonandomi al
Destino Infausto.
Ciccio, torna a
casa, per carità!
Amore è una parola
troppo grande.
Non sai mai quando
arriva, ma quando passa ti lascia segni indelebili
sulla pelle, nella
mente, nell’anima.
Amore ti acceca, ti
accarezza, ti fa battere forte il cuore, ti fa vedere le
cose
sotto una
prospettiva perennemente felice.
Ma Amore, quando ti
abbandona, ti distrugge.
H
e a r t B r e a k e
r
Kiba osservava
Hinata di nascosto, quando erano in classe.
Non per la paura di
essere beccato da un professore, e neanche per la preoccupazione che un compagno
potesse vederlo e poi sfotterlo a morte. Semplicemente perché era più bello in
quel modo.
Gli piaceva
guardare il suo profilo elegante e raffinato, come quello di una principessa: il
naso fine e dritto, le guance rosa e un po’ pallide, la carnagione chiara, le
labbra fini e rosse come ciliegie. La frangia che le accarezzava le ciglia, i
capelli ormai lunghi, lisci, che le coprivano la schiena e si muovevano con
leggerezza quando dalle finestre aperte entrava un po’ di vento. I suoi occhi
erano socchiusi, mentre con la testa Hinata viaggiava lontano dalla lezione,
dall’aula, da tutti, perfino da Kiba. E lui si era chiesto più volte cosa le
frullasse per la testa, voleva sapere ogni cosa di lei, a cosa
pensava.
Non lo seppe mai,
neanche quando un pomeriggio d’inverno decisero di mettersi insieme.
Kiba era
consapevole che fino a quel momento, nel cuore dell’amica, c’era sempre e solo
stato Naruto; sapeva che c’era una buona percentuale che lei lo rifiutasse, ma
questo non lo aveva fermato dal rivelarle i suoi sentimenti. Erano anni che
andava avanti quell’amore nascosto e non corrisposto, anni in cui la gelosia lo
aveva corroso fin nel profondo, anni in cui riceveva i suoi sorrisi sinceri e
pieni di affetto, che lo facevano morire. Hinata non aveva mai saputo l’effetto
devastante che aveva su di lui.
Kiba non l’aveva
premeditata quella dichiarazione: gli era venuta all’improvviso, dal cuore,
senza una ragione, un perché. Era bastato vederla avvolta nella giacca, con la
sciarpa che le copriva anche il naso, mentre lo aspettava dagli allenamenti. Lei
aveva il club di musica che la impegnava fino a tardi, e gli faceva piacere
tornare a casa con lui, quando potevano.
Con ancora indosso
la tuta da calcio e un asciugamano sulle spalle, Kiba le si era avvicinato,
notando le mani rosse per il freddo della ragazza.
«Fa un freddo cane,
potevi andare a casa invece di aspettarmi.» Le aveva fatto notare con
gentilezza, sentendosi in colpa.
«Non importa Kiba,
a me fa piacere. E poi non ho così freddo, è solo una tua impressione.» Rispose
Hinata ridendo, cercando di nascondere l’evidenza. Mai una volta da quando la
conosceva, Kiba l’aveva vista arrabbiarsi con qualcuno. Se ci fosse stata una
qualsiasi altra ragazza al suo posto, per esempio Sakura o Ino, quella avrebbe
sbuffato scocciata, lo avrebbe accusato della sua poca sensibilità, montato su
una discussione infinita su nemmeno lui sapeva cosa. Invece Hinata era semplice,
aveva l’innata attitudine a farsi piacere le persone indistintamente, a non dare
fastidio al prossimo, ad aiutare gli altri quando ne avevano bisogno.
«Hinata, io ti
amo.» Glielo disse con la stessa delicatezza con cui le chiedeva di comprare una
bottiglia di acqua durante la pausa pranzo. Non si rese nemmeno conto della sue
parole, fino a che non vide gli occhi cerulei della ragazza spalancarsi dallo
stupore.
«Come, scusa?»
Chiese frastornata lei, mentre le guance assumevano un insolito colore
rosso.
«Cioè, io… oh,
accidenti!» Imprecò Kiba, prendendosi la testa tra le mani. Non era certo così
che se l’era immaginata quella dichiarazione, nelle sue fantasie più intime
c’era una stupenda premessa di parole dolci, sorrisi, e carezze; dopo, lui le
prendeva il viso fra le mani e le dichiarava tutto il suo affetto, con gli occhi
lucidi di sentimento e passione. Lei annuiva con piccoli “Oh, Kiba-kun!” e si lasciava baciare,
come nella migliore delle favole. A quel punto le fantasie di Kiba assumevano
una piega alquanto erotica e poco pudica, che difficilmente si sarebbero
avverate, se non con un miracolo.
«Mi spiace,
Hinata.» Si ritrovò a dire con la testa bassa.
«Pe-per cosa? Non
hai fatto niente di male…»
«Non era certo così
che… insomma, scusa. Dimentica tutto, sono un vero
impiastro.»
Adesso sul volto di
Hinata non solo c’era sorpresa, ma anche smarrimento,
dubbio.
«Kiba, tu… ecco,
hai detto una cosa molto bella.» Gli disse Hinata, ormai il viso paragonabile
solo al pomodoro più maturo. Non sapeva neanche lei cosa dire, come comportarsi,
come tirarlo su di morale.
«Se ti fa piacere,
io… io posso dimenticare come mi hai chiesto, ma solo a una
condizione.»
Kiba la guardò
aggrottando le sopracciglia, mentre con la mente voleva già essere scappato
lontano.
«Che tu a tua volta
dimentichi ciò che sto per dirti…» Hinata prese un profondo respiro, mente i
battiti del cuore non accennavano a diminuire e la testa le girava come una
trottola, accaldata, «… anche tu mi piaci, Kiba.»
Nel ricordare
questo episodio, al giovane Inuzuka sarebbe piaciuto raccontare che i due,
scopertosi innamorati, suggellarono la loro unione con profondo bacio. Ma Hinata
da sempre era stata una ragazza fragile e vulnerabile, e presa dalle forti
emozioni a cui era stata sottoposta all’improvviso, svenne nelle braccia del
ragazzo. E quello, come un principe azzurro, distendendola sul letto
dell’infermeria, aspettò che la sua Bella Addormentata aprisse gli occhi per
donarle finalmente il tanto agognato bacio che entrambi
aspettavano.
Non sono mai stato
bravo con le parole.
E anche tu, con la
tua timidezza, spesso e volentieri non riuscivi a esprimere
i tuoi
sentimenti.
Ma stavamo bene
così, avevamo imparato a conoscerci così bene,
che ci capivamo con
uno sguardo, con un gesto.
La prima volta che
abbiamo fatto l’amore, Hinata, mi sono
sentito finalmente
vivo.
Prima di te ho
avuto altre ragazze che hanno occupato il mio letto,
e solo a pensarci
mi vergogno come un ladro,
perché non le
amavo, le usavo per colmare il vuoto che mi lasciavi nel cuore, tutte le volte
che ti vedevo con Naruto.
Quel giorno c’era
qualcosa di strano nell’aria.
Forse era la
primavera appena arrivata, con quell’aria frizzante e quel vento caldo e
piacevole che metteva di buon umore tutti; Kiba non poteva saperlo, ma stava
bene quel giorno, si sentiva carico e pieno di energie e credeva che niente e
nessuno potesse rovinargli quel momento di benessere.
«E così, Shikamaru,
hai concluso…» Ridacchiò Choji, attirando su di sé l’attenzione dell’intera
squadra. L’interpellato nascose il viso verso il basso, armeggiando con le
stringhe delle scarpette da calcio per guadagnare tempo e sperando che i suoi
compagni non avessero capito l’allusione di Akimichi.
«Che cosa hai
concluso, Shikamaru?»
«Non credo che
siano affari che vi riguardino.» Rispose il giovane, maledicendo Choji con uno
sguardo assassino.
«Io credo, invece,
che questi siano anche affari di Ino, dico bene?» Kiba mostrò i canini nel
sorridere sornione, mentre gli amici ridevano complici e segretamente desiderosi
di sentire le confessioni di Nara.
«Abbiamo fatto
sesso, contenti?! Siete insopportabili.» Sbottò Shikamaru esasperato, non
potendo evitare che le guance gli si tingessero leggermente di rosso. I compagni
di squadra se ne accorsero, aumentando il suono delle risate e degli
schiamazzi.
«E così anche il
nostro cervellone non è più vergine! Meno uno, chi manca adesso?» fece Kiba,
puntando i propri occhi su Neji. Quello non disse niente, tornando a bere dalla
bottiglietta d’acqua minerale, chiaro segno che con lui il giovane Inuzuka non
avrebbe trovato altro sano pettegolezzo.
«Direi che manca il
nostro buon vecchio Naruto… oppure ci nascondi qualche ragazza
nell’armadio?»
Il biondo fece un
sorriso di circostanza, mettendo in mostra i denti bianchi, cercando di far
sviare l’argomento su qualcos’altro. Ma Kiba aveva ingranato la marcia e niente
poteva distrarlo dal suo piccolo divertimento personale, punzecchiare i compagni
sulla loro vita privata.
«Andiamo,
volpacchiotto! Non mi dirai che ti stai conservando per
Sakura?!»
«Perché
probabilmente lei non si sta conservando per te…» Aggiunse Shikamaru a
malincuore, senza cattiveria.
Ma Naruto non
sembrava particolarmente colpito dalla questione, era soltanto… a disagio? Fu
quello che dedusse Neji, osservandolo attentamente dalla panchina su cui si era
seduto affaticato.
«Dunque c’è stata
qualcuna, Naruto! Dai, dicci chi è!»
Kiba a volte era
più insistente e fastidioso di una piattola. Il giovane Uzumaki si ostinava a
non spiccicare parola, stranamente timoroso, e Neji cominciò a capire perché.
«Kiba, lascia
perdere…» consigliò al ragazzo, colto da un moto di pietà non tanto verso di
lui, quanto per i suoi nervi.
«E dai, non sei
curioso? Naruto, parla!»
Anche Shikamaru e
Choji capirono che se Naruto non parlava (il che era strano, proprio lui che non
teneva mai la bocca chiusa), era perché la ragazza in questione, al momento,
usciva con qualcuno di loro lì presenti. E non fu difficile scoprire
chi.
Kiba perse il suo
sorriso, quando notò i compagni, a disagio proprio come Naruto, cercare di
sviare la sua attenzione sulla faccenda.
Gli fu piuttosto
semplice fare due più due.
«Sei stato con
Hinata.» Affermò con risolutezza, guardando l’amico biondo che, messo davanti
all’evidenza, alzò lo sguardo, sinceramente mortificato.
«Kiba, è successo
parecchio tempo fa. Lei non…» Non fece in tempo a concludere la frase che un
cazzotto gli arrivò dritto allo zigomo sinistro, facendolo indietreggiare di
diversi passi.
«Kiba, no!
Accidenti, che seccatura!» Imprecò Shikamaru avvicinandosi al compagno con tutto
l’intento di calmarlo, ma quello lo ignorò, buttandosi a capofitto contro
Naruto, intraprendendo una rissa coi fiocchi, di quelle che si vedono solo nei
film.
Naruto rispondeva
come meglio poteva agli attacchi del compagno, cercando però di non fargli male:
conosceva quella rabbia, la gelosia, un sacco di volte l’aveva provata lui
stesso quando vedeva Sakura che se ne andava con Sasuke.
«Siete impazziti?!»
Un urlo stridulo arrivò dalle tribune e la coda fluttuante di Ino Yamanaka si
fece largo tra la folla, guardando con occhi sbarrati la scena che le si
presentava davanti.
«Neji, sei grande e
grosso, dividili!» Sbraitò Tenten, sconvolta, pregando tutti i santi che
conosceva che nessun professore si accorgesse di quello che stava capitando:
tutti i presenti sarebbero finiti nei guai.
Neji, aiutato da
Kankuro, prese Kiba per le spalle, cercando con fatica di trattenere la sua
furia.
Era stato sciocco e
forse un po’ scontato da parte di Kiba pensare che Naruto non avesse avuto
rapporti con altre ragazze. Era stato ancora più stupido non accorgersi che
l’unica ragazza ufficiale del biondo era stata proprio Hinata.
La sua
Hinata.
Questo pensiero non
lo fece calmare, tutt’altro lo fece arrabbiare ancora di più, dimenandosi con
violenza dalla stretta dei compagni.
Naruto, affaticato
e malconcio, respirava a fatica, trattenuto per una spalla da Gaara; con la coda
dell’occhio vide la figura di Sakura che si allontanava da loro e si maledì per
tutto quel putiferio. La vide sfrecciare al di là del cancello del campo,
andando a imbattersi proprio in Hinata Hyuuga, trafelata, che correva come non
aveva mai corso in vita sua verso di loro.
Anche Kiba seguì lo
sguardo del biondo e i suoi occhi si incontrarono con quelli bianchi della
ragazza, che non ci mise molto a capire cosa stesse
capitando.
Avrebbe voluto dire
qualcosa, chiedere a Kiba di ragionare e di parlarne, evitare che cominciasse a
picchiare anche gli altri, ma all’improvviso fu superata da Hatake-sensei che
senza troppe cerimonie prese i due giovani per le maglie e li trascinò
all’interno dell’edificio scolastico.
Sarebbe svenuta
nuovamente, se il senso di colpa non le avesse attanagliato così forte lo
stomaco, tanto da non riuscire a muovere un muscolo.
Quel pomeriggio
sono crollate tutte le mie certezze.
Eri sempre la mia
dolce Hinata, quella ragazza fragile e delicata che tutte le
volte
che la baciavo
arrossiva come una bambina.
Eri sempre la mia
Hinata, ma in un modo diverso.
Non ero arrabbiato
con te, e nemmeno con quella testa quadra di Naruto;
ero soltanto geloso
e invidioso, perché non mi sono mai reso conto che in tutti questi anni, mentre
io mi distruggevo per un amore che credevo impossibile,
tu vivevi la tua
vita, facevi le tue esperienze.
Mi dispiace, per
non essere un fidanzato migliore.
Hinata aprì piano
la porta del tetto, notando la figura di Kiba seduta a terra, che fumava una
sigaretta con tutta tranquillità. Indossava ancora la tuta da calcio, sporca di
terra, erba e sangue.
«Possiamo parlare?»
Lui non le disse
niente, limitandosi soltanto ad alzarsi in piedi.
«Non… non volevo
che lo sapessi in questo modo.»
«A quanto pare non
volevi nemmeno che lo sapessi.» Le rispose in tono acido, tirando una lunga
boccata di fumo. Era rimasto un’ora dentro l’ufficio di Tsunade-sama, sorbendosi
una paternale infinita sul perché era sbagliato fare a botte, che la violenza
non porta alla soluzione dei problemi. A lui non fregava trovare una soluzione,
voleva solo sfogare la rabbia e la delusione che in quel momento portava dentro
di sé.
Si era sempre
rassegnato al fatto che il primato del cuore di Hinata lo detenesse Naruto: era
un dato di fatto e non poteva farci niente. Ma almeno sperava che il primato di
fidanzato, quello serio con cui una ragazza decide di diventare donna, spettasse
a lui. Ed era sciocco prendersela per una cosa del genere, lui che di ragazze ne
aveva avute parecchie; ma Hinata era diversa, tutto quello che aveva fatto con
lei era stato diverso.
Era stata la prima
ragazza a cui aveva detto di amarla.
La prima con cui
aveva immaginato di fare l’amore.
L’unica con cui si
vedeva per il resto della vita.
«Kiba, io… io non
voglio giustificarmi per quello che ho fatto. Tu… noi… eravamo amici,
all’epoca.» Fece una pausa, cercando le parole giuste per non ferirlo. Non
poteva negare il fatto che prima avesse amato un’altra persona, non poteva
assolutamente farlo.
«Siamo stati
insieme per tre mesi, e io volevo sinceramente bene a Naruto. Ne ero innamorata,
Kiba. Lui… lui mi voleva e mi vuole bene, certo, ma non mi ama e mai lo
farà.»
«Mi stai dicendo
che si è approfittato di te?» Chiese l’Inuzuka con una punta di
rabbia.
«No! Per carità…
Kiba, non volevo dire questo! Insomma… avevamo quindici anni e… lui era
intraprendente, curioso. Non sai quante volte, dopo che io e te ci siamo messi
insieme, Naruto mi abbia detto che se avesse potuto tornare indietro, non
avrebbe rifatto lo stesso errore. Ti vuole bene, è un tuo
amico.»
Kiba non sembrava
del tutto convinto. Continuò a non guardarla negli occhi, spengendo sotto la
scarpa la sigaretta ormai consumata.
Hinata si
contorceva le mani, pensando e ripensando cosa avrebbe dovuto dire per fargli
capire meglio la posizione difficile in cui si trovava.
«Kiba, lui è stato
il primo ragazzo a cui ho voluto bene, il primo che mi ha trattata come una
ragazza, una donna, e non soltanto come l’impacciata cugina di Neji Hyuuga. Ma
tu… sei una cosa differente. Se non fosse così, a quest’ora non starei con
te.»
Il ragazzo alzò gli
occhi, osservando che il cielo era diventato scuro e che il sole era ormai
prossimo al tramonto. Il vento aumentò, sollevando di poco la gonna di Hinata,
che non si curò di tenerla ferma con le mani.
Kiba le si
avvicinò, fermandosi a pochi centimetri dal suo corpo che tremava
impercettibilmente; le spostò la frangia con le dita, posandole un bacio leggero
sulla fronte, come un fratello fa con la propria
sorellina.
«Kiba…»
«Torna a casa.
Voglio restare solo.»
«Kiba, non
puo-»
«Sono confuso,
Hinata. Non cercarmi. Io… devo riflettere.»
La ragazza tirò su
col naso, non dando però segno di voler piangere. Tornò sui suoi passi, si
fermò, e nuovamente tornò da Kiba, che con sguardo spento osservava ogni suo più
piccolo movimento.
«Ti amo.»
In tanti mesi in
cui si erano frequentati, era la prima volta che Hinata glielo diceva. Si era
sempre limitata a un “ti voglio bene” sincero, che a lui era sempre
bastato.
In tanti mesi in
cui si erano frequentati, fu la prima volta che Kiba non le
rispose.
Hinata, ti ricordi
quel giorno che siamo stati al mare?
Abbiamo passeggiato
per un’ora sul bagnasciuga, poi ti ho sollevata su una
spalla
e vestita ti ho
buttata in acqua.
Tu sei riemersa
sconvolta, circondata dalle bollicine, non riuscendo a credere che avessi osato
fare una cosa del genere.
Hai cominciato a
schizzarmi e alla fine sei riuscita a trascinarmi in acqua a con te, ridendo
come non ti avevo mai sentito ridere da quando ci
conosciamo.
E’ grazie a questi
piccoli ricordi che mi rendo conto che forse, quella sera sul tetto della
scuola, i tuoi sentimenti erano sinceri e non dettati dal
caso,
dalle
circostanze.
E quella tua
dichiarazione è mille volte più vera e sincera di tutte le mie messe
assieme.
Sei cresciuta prima
di me e io nemmeno me ne sono accorto.
Mentre tu diventavi
grande,
io restavo ancora
un bambino che si divertiva a fare le risse con gli
amici.
Il tempo di essere
Peter Pan è finito.
E’ ora di
crescere.
Note di una che non
sa cosa ha scritto:
Questa fanfic è
stata scritta parecchie settimane fa e non ho avuto il coraggio di rileggerla,
prima di postarla. Non mi sembra neanche niente di eccezionale, ma è la prima
KibaHina che scrivo e dato che di fic su di loro ce ne sono poche (con molto
rammarico), ho deciso di dare il mio piccolo e insignificante contributo alla
causa.
Si ringrazia
infinitamente Akami per il
betaggio.
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