Ok. Ho accumulato un ritardo pazzesco e
non ho assolutamente nessuna giustificazione se non questa: che non mi veniva
assolutamente niente. Questo capitolo l'ho scritto a spizzichi e bocconi nelle
prossime settimane. E lo posto scusandomi del fatto che sicuramente non compensa
i mesi d'attesa.
Grazie comunque a Smolly_sev e ad Amaerize per
il continuo sostegno, e in generale a chi ha il coraggio di continuare a
seguire. Buon capitolo!
- Perché hai insistito tanto per parlarmi?- chiesi a
Fabio quel lunedì, quando ci incontrammo davanti alla macchinetta del caffè.
Quel giorno mi sembrava più alto: indossava un cappotto nero e una sciarpa blu
scuro. Si guardava intorno con gli occhi rivolti alle porte a vetri della
palestra. Fuori faceva molto freddo.
- Non lo so, Febe…quando ti ho spedito le rose, non mi
hai fatto sapere quasi niente…
- Che cosa volevi che ti dicessi? Anche a me dispiace
che sia andata a finire così…ma d’altronde…l’abbiamo deciso insieme, ti ricordi?
- Sì- disse Fabio, ma lo disse a bassa voce e con una
qualche esitazione, come se se ne convincesse in quel momento. Andai alla
macchinetta e tirai fuori il portafogli per comprarmi qualcosa. Fabio mi
raggiunse e mi scostò la mano prima che potessi infilare una moneta nella
macchinetta. A sua volta tirò fuori il portafogli e mi chiese: - Che cosa vuoi?
- Non importa, lascia stare.
- No, dai…ci tengo.
- Un tè – dissi dopo un momento di silenzio. Fabio
continuò a parlare digitando il codice sulla macchinetta.
- Senti, abbiamo sbagliato entrambi, anche se non so
dove. Ti chiedo per favore di riprovarci…non dico di rimetterci insieme, sarebbe
imbecille, ti chiedo soltanto di uscire di nuovo qualche volta. Per vedere se in
fondo in fondo una possibilità ce l’abbiamo ancora.
Presi in mano il bicchierino di carta pieno del tè che
la macchinetta aveva sputato fuori. Era bollente e iniziai a soffiarci
dolcemente sopra. Dopo un po’ gli chiesi: - Ti piaccio ancora tanto?
Non rispondeva. Insistei: - Forse non te la dà nessuna,
eh?
Continuava a stare zitto. Guardava con quei suoi occhi
grandi e languidi tanto belli la gente fuori che fumava, le coppie che si
baciavano… Finalmente disse: - Sono uscito con un’altra dopo di te, una del ’93.
Forse la conosci: fa la quinta ginnasio…
Mi ripromisi di chiedere a Niccolò. – Come si chiamava?
- Benedetta…tu però non le dire nulla! Non per me, per
te: vedrai che la tua classe andrà in giro con la sua, chissà che non ti faccia
qualcosa…
- Va bene. Ma che c’entra lei, ora?
- Era per dirti che era molto diversa da te. Siamo
usciti insieme solo due o tre volte…
- Cos’aveva? – E chissà che gallinella smorfiosa mi
figuravo…Fabio lo capì senza che glielo dicessi.
- No, no…era brava, lei…però…
- Non era come me?- gli chiesi.
- In un certo senso. La realtà è che non era come me.
Lo guardavo, e poiché non mi ricambiava, lo afferrai per
un braccio e lo costrinsi a chinare lo sguardo. – Cosa intendi dire?
- Lei non era…voglio dire…non mi capiva.
Tacevo, perché neppure io capivo cosa volesse dire.
Cercò di spiegare meglio. – Tu l’hai sempre capito, perché fumo così tanto.
No, non l’avevo capito, l’avevo saputo…nel momento
stesso in cui, fumando, con gli occhi lucidi e la voce bassa, lenta e meccanica,
mi aveva raccontato di suo fratello. Feci cenno di sì col capo. Fabio mi guardò
e mi disse, sorridendo tristemente: - Io, a lei, non ho mai detto nulla di…ma
anche se l’avessi fatto, lei non avrebbe capito. Avrebbe detto: ma allora sei
cretino, smetti di fumare! E in effetti, non lo apprezzava comunque…ch fumassi.
- Era simpatica?- gli domandai.
- Sì…era simpatica…però non mi ci trovavo. Sembrava
sempre che facesse finta di essere qualcun altro quando uscivamo. Non so se era
questo ad allontanarci…
Non mi infastidiva che parlasse di lei. Sembrava che lo
facesse per rimarcare, ancora una volta, la differenza che intercorreva tra me e
lei: me come Febe Doria, la sua ragazza storica, il suo mitico tentativo
fallito, la sua delusione più grande e il suo più misero fallimento, e lei come
rappresentante delle altre, di tutte le altre di con cui era stato, con cui era
andato, con cui aveva provato a costruire qualcosa che però era morto prima
ancora di nascere non solo come progetto, ma anche come idea.
- Penso che se con lei avesse funzionato, magari sarebbe
andata avanti a lungo, magari saremmo stati insieme un sacco e saremmo anche
stati bene, ma non ci sarebbe stata…quell’empatia particolare…capisci?
- Ho capito- dissi.
Fabio sospirò. – Dimmi che cosa ne pensi,
Febe…altrimenti non saprò come regolarmi. Se mi dici che non vuoi più rivederci
andrò a cercare qualcun’altra con cui istaurare la stessa empatia così
particolare, anche se sarà difficile…ma se non mi dici niente resterò sempre
così, perché è così che io sono fatto.
Finii di bere in silenzio quel mio tè ormai tiepido,
mentre Fabio aspettava una parola da parte mia. Finalmente gli dissi: -
Ascoltami… Nessuno di noi due è in grado di tenere in piedi una relazione.
- Febe, se non ci proviamo non sapremo mai…
- Ci abbiamo provato, accidenti, Fabio, ci abbiamo
provato fino a sfinirci!- sbottai. – Eppure non è bastato. E tu ci hai riprovato
anche con quella, e non ci sei riuscito, e per amor di Dio, ma chi vogliamo
prendere in giro? Mi piacerebbe uscire di nuovo, ma…se dobbiamo provare, così,
solo per perdere tempo…alla fine lo sai che non ne varrebbe la pena.
Mi fissò in silenzio per un momento, quindi chiese: - Il
tuo è un no?
- E’ un no, già.
- Va bene, allora…come vuoi.- disse freddamente.
Sembrava parecchio scocciato, ma io che cosa gli avevo detto che non fosse
preparato a sentire?
- Ora non ti arrabbiare…
- No, e chi si arrabbia?- replicò. E aggiunse
guardandomi negli occhi: - Certo che…complimenti. Andando avanti così, Febina,
di sicuro riuscirai a costruire qualcosa di molto duraturo. Complimenti per
davvero.
E tirò fuori una sigaretta dalla tasca e si diresse
verso la porta. Suonava la campanella in quel momento, ma si piazzò fuori della
palestra e accesa una sigaretta iniziò a fumare.
Lo inseguii fuori. Quando vidi che si metteva appoggiato
al muro, con la sua sigaretta a guardare il vuoto con aria scazzata non ci vidi
più e sbottai: - Se non ti va di accettare quello che pensa la gente non
domandarglielo nemmeno, hai capito?
Mi ignorò deliberatamente. A quel punto dissi qualche
cosa di orribile, di disgustoso, qualche cosa che mi vergogno non soltanto a
raccontare, ma semplicemente a ricordare: - Continua a fumare fino a
distruggerti i polmoni come lui e crepa, razza di deficiente!
E mi voltai e me ne andai in classe, mentre alle mie
spalle Fabio sgranava gli occhi e la sigaretta gli cadeva dalle dita.
Trascorsi la lezione come in un sogno, senza parlare né
riflettere, e me ne andai via senza salutare nessuno, separata ormai da tutto e
da tutti. Ma a casa, a casa mia, finalmente mi accorsi di quello che avevo
detto, mi accorsi della gratuita violenza e crudeltà delle mie parole… Presi il
cellulare e gli mandai un messaggio per chiedergli scusa, ma scrissi quasi a
caso, senza accorgermene, e forse quello che scrissi fu un insieme goffo di
parole e di giustificazioni…Presto mi arrivò la risposta. La lessi con le
lacrime agli occhi. Diceva: Lascia perdere. Se
sei una stronza non ci hai molta colpa. Ma ti consiglio di cambiare carattere
perché sennò ti fai del male da sola.
Incominciai a piangere. Non soltanto per quello che
aveva detto, ma soprattutto perché io sapevo qual’era la verità: che era vero
quello che lui diceva, e che davvero mi stavo facendo del male da sola, forse…in
tutti i sensi.
Fu una delle giornate più orribili della mia vita. Non
riuscivo a smettere di piangere. Continuavo a pensare che Fabio aveva ragione,
che anche se lui fosse finito come suo fratello, io sarei comunque finita molto
peggio, sarei finita così com’ero. Pensavo che avevo perso Fabio per la mia
stupida testardaggine, che non avrei mai trovato qualcuno di così simile a lui,
di così simile a me…
Mia madre mi trovò seduta sul pavimento della mia camera
con lo stereo a palla. Ascoltavo continuamente la stessa canzone, “Mi Ameresti”
di Renato Zero. Doveva essere la settima volta che la rimettevo da capo, o
qualche cosa del genere, e io piangevo come non avevo mai fatto. Ma non soltanto
per Fabio, piangevo per tutto, soprattutto perché quella volta dopo mesi mi ero
sentita di nuovo la ragazza vuota della terza media, quella che era uscita con
Fabio per curiosità e che si era aggrappata a lui perché per una volta le
sembrava di aver trovato qualcuno di diverso da tutti gli altri. Era quella la
verità, alla fine, e lo sapeva anche lui e forse per quello ci eravamo lasciati:
mi ero appoggiata al suo petto perché speravo che potesse aiutarmi, potesse
farmi cambiare, e poi mi ero accorta che stava nella merda più di me. Per
qualche mese ci eravamo aiutati, ma quando poi avevamo creduto di star meglio,
alla fine ci eravamo allontanati di nuovo…e ora ci cercavamo per la seconda
volta per trovare un po’ di sollievo.
Sentii il suono dei tacchi di mia madre sulla soglia di
camera mia e mi voltai verso di lei: mi fissava con gli occhi stravolti, fissava
il mio corpo accasciato contro la libreria e i cd che avevo sparso per terra
cercando quello giusto: - Febe…
- Ho litigato con Fabio!- dissi con una voce infranta,
spezzata, che non era mia, che mi sembrava di sentire in un film. Dissi soltanto
questo, e credo che lei abbia capito, quella volta. S’inginocchiò sul pavimento
e mi abbracciò. E piansi addosso a lei per un sacco di tempo, senza spiegarle
niente, senza riuscire a far altro che singhiozzare e dire: - Fabio mi odia, mi
odia!