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Autore: Afaneia    01/07/2010    2 recensioni
Febe, quattordici anni, studentessa toscana, iscritta al liceo classico. Una stravagante quarta alfa, tra professori troppo belli per essere veri e presidi dal look alternativo. Una vita buia, immersa nella sua solitudine, vissuta cercando di ignorare il senso di vuoto infinito che la sopprime. Perché di giorno ci sono lo splendore del sole e le risate, e di notte il pallore della luna e un'esistenza cupa di cui nessuno si accorge mai. Il contrasto estremo: serenità e malinconia.
Genere: Comico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Ok.  Ho accumulato un ritardo pazzesco e non ho assolutamente nessuna giustificazione se non questa: che non mi veniva assolutamente niente. Questo capitolo l'ho scritto a spizzichi e bocconi nelle prossime settimane. E lo posto scusandomi del fatto che sicuramente non compensa i mesi d'attesa.

Grazie comunque a Smolly_sev e ad Amaerize per il continuo sostegno, e in generale a chi ha il coraggio di continuare a seguire. Buon capitolo!

 

 

- Perché hai insistito tanto per parlarmi?- chiesi a Fabio quel lunedì, quando ci incontrammo davanti alla macchinetta del caffè. Quel giorno mi sembrava più alto: indossava un cappotto nero e una sciarpa blu scuro. Si guardava intorno con gli occhi rivolti alle porte a vetri della palestra. Fuori faceva molto freddo.

- Non lo so, Febe…quando ti ho spedito le rose, non mi hai fatto sapere quasi niente…

- Che cosa volevi che ti dicessi? Anche a me dispiace che sia andata a finire così…ma d’altronde…l’abbiamo deciso insieme, ti ricordi?

- Sì- disse Fabio, ma lo disse a bassa voce e con una qualche esitazione, come se se ne convincesse in quel momento. Andai alla macchinetta e tirai fuori il portafogli per comprarmi qualcosa. Fabio mi raggiunse e mi scostò la mano prima che potessi infilare una moneta nella macchinetta. A sua volta tirò fuori il portafogli e mi chiese: - Che cosa vuoi?

- Non importa, lascia stare.

- No, dai…ci tengo.

- Un tè – dissi dopo un momento di silenzio. Fabio continuò a parlare digitando il codice sulla macchinetta.

- Senti, abbiamo sbagliato entrambi, anche se non so dove. Ti chiedo per favore di riprovarci…non dico di rimetterci insieme, sarebbe imbecille, ti chiedo soltanto di uscire di nuovo qualche volta. Per vedere se in fondo in fondo una possibilità ce l’abbiamo ancora.

Presi in mano il bicchierino di carta pieno del tè che la macchinetta aveva sputato fuori. Era bollente e iniziai a soffiarci dolcemente sopra. Dopo un po’ gli chiesi: - Ti piaccio ancora tanto?

Non rispondeva. Insistei: - Forse non te la dà nessuna, eh?

Continuava a stare zitto. Guardava con quei suoi occhi grandi e languidi tanto belli la gente fuori che fumava, le coppie che si baciavano… Finalmente disse: - Sono uscito con un’altra dopo di te, una del ’93. Forse la conosci: fa la quinta ginnasio…

Mi ripromisi di chiedere a Niccolò. – Come si chiamava?

- Benedetta…tu però non le dire nulla! Non per me, per te: vedrai che la tua classe andrà in giro con la sua, chissà che non ti faccia qualcosa…

- Va bene. Ma che c’entra lei, ora?

- Era per dirti che era molto diversa da te. Siamo usciti insieme solo due o tre volte…

- Cos’aveva? – E chissà che gallinella smorfiosa mi figuravo…Fabio lo capì senza che glielo dicessi.

- No, no…era brava, lei…però…

- Non era come me?- gli chiesi.

- In un certo senso. La realtà è che non era come me.

Lo guardavo, e poiché non mi ricambiava, lo afferrai per un braccio e lo costrinsi a chinare lo sguardo. – Cosa intendi dire?

- Lei non era…voglio dire…non mi capiva.

Tacevo, perché neppure io capivo cosa volesse dire. Cercò di spiegare meglio. – Tu l’hai sempre capito, perché fumo così tanto.

No, non l’avevo capito, l’avevo saputo…nel momento stesso in cui, fumando, con gli occhi lucidi e la voce bassa, lenta e meccanica, mi aveva raccontato di suo fratello. Feci cenno di sì col capo. Fabio mi guardò e mi disse, sorridendo tristemente: - Io, a lei, non ho mai detto nulla di…ma anche se l’avessi fatto, lei non avrebbe capito. Avrebbe detto: ma allora sei cretino, smetti di fumare! E in effetti, non lo apprezzava comunque…ch fumassi.

- Era simpatica?- gli domandai.

- Sì…era simpatica…però non mi ci trovavo. Sembrava sempre che facesse finta di essere qualcun altro quando uscivamo. Non so se era questo ad allontanarci…

Non mi infastidiva che parlasse di lei. Sembrava che lo facesse per rimarcare, ancora una volta, la differenza che intercorreva tra me e lei: me come Febe Doria, la sua ragazza storica, il suo mitico tentativo fallito, la sua delusione più grande e il suo più misero fallimento, e lei come rappresentante delle altre, di tutte le altre di con cui era stato, con cui era andato, con cui aveva provato a costruire qualcosa che però era morto prima ancora di nascere non solo come progetto, ma anche come idea.

- Penso che se con lei avesse funzionato, magari sarebbe andata avanti a lungo, magari saremmo stati insieme un sacco e saremmo anche stati bene, ma non ci sarebbe stata…quell’empatia particolare…capisci?

- Ho capito- dissi.

Fabio sospirò. – Dimmi che cosa ne pensi, Febe…altrimenti non saprò come regolarmi. Se mi dici che non vuoi più rivederci andrò a cercare qualcun’altra con cui istaurare la stessa empatia così particolare, anche se sarà difficile…ma se non mi dici niente resterò sempre così, perché è così che io sono fatto.

Finii di bere in silenzio quel mio tè ormai tiepido, mentre Fabio aspettava una parola da parte mia. Finalmente gli dissi: - Ascoltami… Nessuno di noi due è in grado di tenere in piedi una relazione.

- Febe, se non ci proviamo non sapremo mai…

- Ci abbiamo provato, accidenti, Fabio, ci abbiamo provato fino a sfinirci!- sbottai. – Eppure non è bastato. E tu ci hai riprovato anche con quella, e non ci sei riuscito, e per amor di Dio, ma chi vogliamo prendere in giro? Mi piacerebbe uscire di nuovo, ma…se dobbiamo provare, così, solo per perdere tempo…alla fine lo sai che non ne varrebbe la pena.

Mi fissò in silenzio per un momento, quindi chiese: - Il tuo è un no?

- E’ un no, già.

- Va bene, allora…come vuoi.- disse freddamente. Sembrava parecchio scocciato, ma io che cosa gli avevo detto che non fosse preparato a sentire?

- Ora non ti arrabbiare…

- No, e chi si arrabbia?- replicò. E aggiunse guardandomi negli occhi: - Certo che…complimenti. Andando avanti così, Febina, di sicuro riuscirai a costruire qualcosa di molto duraturo. Complimenti per davvero.

E tirò fuori una sigaretta dalla tasca e si diresse verso la porta. Suonava la campanella in quel momento, ma si piazzò fuori della palestra e accesa una sigaretta iniziò a fumare.

Lo inseguii fuori. Quando vidi che si metteva appoggiato al muro, con la sua sigaretta a guardare il vuoto con aria scazzata non ci vidi più e sbottai: - Se non ti va di accettare quello che pensa la gente non domandarglielo nemmeno, hai capito?

Mi ignorò deliberatamente. A quel punto dissi qualche cosa di orribile, di disgustoso, qualche cosa che mi vergogno non soltanto a raccontare, ma semplicemente a ricordare: - Continua a fumare fino a distruggerti i polmoni come lui e crepa, razza di deficiente!

 

E mi voltai e me ne andai in classe, mentre alle mie spalle Fabio sgranava gli occhi e la sigaretta gli cadeva dalle dita.

Trascorsi la lezione come in un sogno, senza parlare né riflettere, e me ne andai via senza salutare nessuno, separata ormai da tutto e da tutti. Ma a casa, a casa mia, finalmente mi accorsi di quello che avevo detto, mi accorsi della gratuita violenza e crudeltà delle mie parole… Presi il cellulare e gli mandai un messaggio per chiedergli scusa, ma scrissi quasi a caso, senza accorgermene, e forse quello che scrissi fu un insieme goffo di parole e di giustificazioni…Presto mi arrivò la risposta. La lessi con le lacrime agli occhi. Diceva: Lascia perdere. Se sei una stronza non ci hai molta colpa. Ma ti consiglio di cambiare carattere perché sennò ti fai del male da sola.

Incominciai a piangere. Non soltanto per quello che aveva detto, ma soprattutto perché io sapevo qual’era la verità: che era vero quello che lui diceva, e che davvero mi stavo facendo del male da sola, forse…in tutti i sensi.

Fu una delle giornate più orribili della mia vita. Non riuscivo a smettere di piangere. Continuavo a pensare che Fabio aveva ragione, che anche se lui fosse finito come suo fratello, io sarei comunque finita molto peggio, sarei finita così com’ero. Pensavo che avevo perso Fabio per la mia stupida testardaggine, che non avrei mai trovato qualcuno di così simile a lui, di così simile a me…

Mia madre mi trovò seduta sul pavimento della mia camera con lo stereo a palla. Ascoltavo continuamente la stessa canzone, “Mi Ameresti” di Renato Zero. Doveva essere la settima volta che la rimettevo da capo, o qualche cosa del genere, e io piangevo come non avevo mai fatto. Ma non soltanto per Fabio, piangevo per tutto, soprattutto perché quella volta dopo mesi mi ero sentita di nuovo la ragazza vuota della terza media, quella che era uscita con Fabio per curiosità e che si era aggrappata a lui perché per una volta le sembrava di aver trovato qualcuno di diverso da tutti gli altri. Era quella la verità, alla fine, e lo sapeva anche lui e forse per quello ci eravamo lasciati: mi ero appoggiata al suo petto perché speravo che potesse aiutarmi, potesse farmi cambiare, e poi mi ero accorta che stava nella merda più di me. Per qualche mese ci eravamo aiutati, ma quando poi avevamo creduto di star meglio, alla fine ci eravamo allontanati di nuovo…e ora ci cercavamo per la seconda volta per trovare un po’ di sollievo.

Sentii il suono dei tacchi di mia madre sulla soglia di camera mia e mi voltai verso di lei: mi fissava con gli occhi stravolti, fissava il mio corpo accasciato contro la libreria e i cd che avevo sparso per terra cercando quello giusto: - Febe…

- Ho litigato con Fabio!- dissi con una voce infranta, spezzata, che non era mia, che mi sembrava di sentire in un film. Dissi soltanto questo, e credo che lei abbia capito, quella volta. S’inginocchiò sul pavimento e mi abbracciò. E piansi addosso a lei per un sacco di tempo, senza spiegarle niente, senza riuscire a far altro che singhiozzare e dire: - Fabio mi odia, mi odia!

   
 
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