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Autore: Afaneia    25/04/2010    2 recensioni
Febe, quattordici anni, studentessa toscana, iscritta al liceo classico. Una stravagante quarta alfa, tra professori troppo belli per essere veri e presidi dal look alternativo. Una vita buia, immersa nella sua solitudine, vissuta cercando di ignorare il senso di vuoto infinito che la sopprime. Perché di giorno ci sono lo splendore del sole e le risate, e di notte il pallore della luna e un'esistenza cupa di cui nessuno si accorge mai. Il contrasto estremo: serenità e malinconia.
Genere: Comico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Grazie mille ad Amaerize

Grazie mille ad Amaerize, The Corpse Bride e Smolly_sev per le recensioni. E chiedo scusa per l'attesa paurosa e per il mio ancor più pauroso calo stilistico. Questo è quel che è venuto fuori.

Buona lettura e grazie a chi ha resistito finora!

 

Quel sabato sera uscii con Sandra. Voleva farsi raccontare tutto per bene: la faccia del prof e quello che aveva detto quando ero andata a rompergli le scatole a casa, solo perché la IV alfa potesse andare in gita in Grecia… Ero vestita come si deve, quella sera, con le ballerine nere, i jeans, una maglia carina e lo spolverino nero, un filo di matita sugli occhi proprio a rimarcare che era sabato sera. Mi sarei vergognata a farmi vedere da Sandra così com’ero di solito, e quella sera lasciai a casa le scarpe col tacco e la minigonna…feci bene, credo.

C’era molta gente, quella sera in giro. A un certo punto vedemmo una ragazza acquattata per terra nel bel mezzo della strada. Le sue amiche cercavano di tirarla su, ma lei restava immobile per terra, come una bambina quando fa la pipì.

- Andiamo via, andiamo sul marciapiede, qui passano le macchine!

- No, io voglio stare qui…lasciatemi qui…- ripeteva la ragazza, impuntandosi per restare dov’era.

- Ti prego, andiamo via, qui non si può stare! Non vedi come ci guardano?

- No…io voglio stare qui…

Aveva la voce bassa, strascicata e petulante. Era completamente ubriaca…ed erano appena le dieci.

- Oh- disse Sandra a quella vista. – Tutto questo è molto “o mio Dio”, credo. Febina, andiamo via.

Si allontanò di qualche passo sul marciapiede buio, poi si voltò perché non accennavo a raggiungerla. Guardavo ancora la ragazza seduta per terra, che ora si stava sistemando per distendersi completamente sull’asfalto. Sandra mi richiamò: - Febe!

Mi riscossi e la seguii. Quella scena mi aveva un po’ impressionato…credo che l’avrei presa diversamente, se fossi stata, quella sera, uguale a loro – stessa sbronza, stessi tacchi e stessi vestiti. Ma quella sera mi sentivo così bene, con quelle comode ballerine nere e quel trucco leggero che aveva richiesto forse quaranta secondi, così rifulgente di normalità, insieme a Sandra, che quella vista mi scosse profondamente.

- Andiamo a vedere quel bar nuovo che hanno aperto sabato scorso- suggerì lei quando la raggiunsi.

- Che bar?

- Quello in fondo alla piazza, di cui distribuivano i volantini all’uscita da scuola, la settimana scorsa.

Già, era vero. Avevano aperto un nuovo locale in centro, un posto molto commerciale, però accogliente e giovanile. Si chiamava Roxane Café. A scuola, parlandone, avevamo detto che probabilmente avrebbe fatto il pienone per un paio di stagioni, finché fosse stato una novità.

Sul marciapiede davanti alla porta c’era un sacco di gente, ma l’entrata era abbastanza libera e riuscimmo a passare senza dover tirare spinte. Tutto era molto colorato all’interno, c’erano divanetti e poltroncine occupate da un po’ di gente. Alcuni erano alticci, ma tutto sommato nella norma del sabato sera. Dietro il bancone, un barista col grembiule nero decorato da un’ampia scritta stava preparando un cocktail. Passando urtai col piede una bottiglia di birra lasciata sul pavimento. La cosa mi fece un po’ schifo, ma prima che potessi anche solo storcere le labbra, dal divanetto accanto al quale stavo passando si levò un coro di no.

- Hai interrotto il gioco della bottiglia!- gridò un ragazzo.

- Fottiti- mi anticipò Sandra rivolta al tipo che aveva appena parlato. Mi afferrò per un braccio e mi trascinò verso la saletta interna, ripetendo: - Che gente…

Ero molto colpita.

La saletta era molto vuota, al confronto. In fondo, alla parete opposta alla porta, c’era un tavolo vuoto con due sole sedie. Sandra me lo indicò. – Che dici, ti va bene quel posto là?

- Andiamo- dissi alzando le spalle. A un tratto, mentre facendoci largo tra sedie e tavolini ci dirigevamo in quella direzione, qualcuno mi toccò un braccio. Mi voltai. Era Fabio.

Mi sembrava bellissimo, quella sera, coi pantaloni bianchi e il piumino blu, e quelle sopracciglia divine, divine, mio Dio, com’era bello…

- Febe- disse. Era sorpreso di trovarmi lì.

- Ah…ciao- dissi. Ero tutta rossa in viso. Se ne accorse e, distogliendo lo sguardo da me per trovare qualcosa di carino da dire, vide Sandra che mi aspettava e la salutò cortesemente, un poco imbarazzato. Tornò a concentrarsi su di me. – Com’è?

- Bene- risposi guardando per terra. Poi, furiosa con me stessa per mostrarmi così stupida e debole, sollevai con forza gli occhi e lo guardai direttamente. – E tu?

- Bene, bene- disse lui guardando alle proprie spalle. I suoi amici erano in piedi attorno a un tavolo dal quale si erano probabilmente alzati e lo aspettavano, fingendo di non accorgersi che parlava con me. Sorrisi e gli dissi:

- Vuoi andare da loro?

- No, ti volevo… non ci siamo più parlati, da quella volta delle rose.

- Non ci siamo parlati per tutta l’estate- gli ricordai con semplicità.

- Lo so. Ma a te va bene così? Insomma, che non ci parliamo, e tutto?

Ero stupita da quella domanda. Mi misi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e forzatamente risposi: - Non lo so. A te?

Fabio sospirò, e mio Dio, quel sospiro mi fece quasi bruciare gli occhi da quanto triste mi sembrava che fosse…

- Senti…un po’ mi dispiace che sia finita così, Febe. Lo so che tu non mi credi, che non te ne importa, ma scusa, abbiamo buttato via tutto un anno…

- Non so cosa dirti, Fabio- dissi scuotendo il capo. Mi diressi verso Sandra…e mentre mi voltavo e Fabio mi fermava, vidi che lei aveva tirato fuori il telefono e fingeva di chiamare, e nel frattempo mi faceva cenno di continuare. Rassegnata, mi rivolsi di nuovo verso di lui.

- Non ti va di riprovarci?

- Per farsene di cosa?

- Come, per farsene di cosa?- Sembrava arrabbiato, adesso. Cercai di spiegarmi.

- Scusami, ma secondo te come andrebbe a finire? Io penso alle mie cose e tu alle tue…un altro anno così, molto bello, molto bello!

Credetti che mi sarei messa a piangere, lì per lì. Fabio se ne accorse. Mi sorrise, adesso, perché capì che dicevo così solo per difendermi. Rimase in silenzio per qualche secondo.

- Febe, se ragioni così resterai zitella fino in tomba- disse, ma era affettuoso, ora. Rimasi spiazzata e pensai che avesse ragione. – Se un pomeriggio uscissimo, potremmo parlarne per bene. Che ne dici?

Io volevo dire di no, volevo dirgli di andare a fumare un po’ fuori per rinfrescarsi le idee. E nel momento in cui stavo per dirgli questo, mi ricordai quel suo vezzo che aveva, quando uscivamo insieme, di mettersi a fumare canticchiando: Mama, ooooh, I don’t want to die… Sospirai.

- Senti, lunedì ci incontriamo a scuola e se ne parla, va bene? Così vediamo se è il caso o no.

Pensavo di liquidarlo, così dicendo. Insisté: - A scuola…a scuola dove?

- Non lo so, a ricreazione in palestra, alla macchinetta del caffè. Ci vediamo lì. Va bene?

- Va bene.

Era soddisfatto adesso. Si chinò e cercò di darmi un bacio sulla guancia, ma lo cacciai, dicendo decisamente: - No.- Sorrise schermendosi e ripetendo:

- Va bene, va bene…come vuoi.- Ma era contento. Mi salutò e tornò dai suoi amici, che già da qualche minuto non vedevano l’ora di uscire dal locale. Andai da Sandra che, immediatamente, chiuse il cellulare ponendo fine alla sua finta chiamata.

- A chi telefonavi?- le chiesi sorridendo.

- Alla mia amica cornuta- replicò seriamente. – Non so bene chi sia. Come è andata?

Mi misi a sedere. – Gli ho detto che a scuola se ne parla.

- Uh uh, Febe rimorchia!- disse ridendo e sedendosi a sua volta di fronte a me. – Ma non ti vedo allegra. Cosa c’è?

Non volevo dirlo. Ci pensai su per un momento, poi dissi: - Io non credo che possa funzionare.

Si fece seria, ora. Si protese verso di me e poggiando la borsetta sul tavolo chiese: - Perché?

- Perché…non lo so.

- Ma ti piace ancora?

Guardai da un’altra parte. – Non lo so…sono un po’ confusa.

- Febe- mi disse. – Si vede che ti piace ancora.

Non risposi a quella domanda. Sospirando, iniziai col dire: - Io non credo che possiamo andare avanti così. Io non sono in grado di tenere in piedi una relazione…e neanche lui lo è.

- Perché no?

- Credo che sia perché entrambi abbiamo avuto dei problemi in passato…problemi abbastanza grossi. Ma vogliamo fare finta che non ci siano mai stati, e non riusciamo a stare bene con noi stessi…figurati con qualcun altro!

Era la prima volta che dicevo una cosa del genere ad alta voce e mi vergognai molto di averla detta. Sandra mi guardò. – Lui, che cosa ha… di…

- Anche i suoi sono divorziati, e lui l’ha presa un po’ peggio di me- spiegai a malincuore. – Quando aveva sei anni lo portavano a parlare con uno psicologo perché per lui era difficilissimo da accettare…lui ora vive con suo padre e ha rotto i rapporti con sua mamma: non le parla più, non la vede più…non è che la odi, è che non se la sente di vederla. Ma suo padre è molto felice che lui non la veda più e gli fa dei regali. Invece suo fratello quando poteva prendeva il treno e andava a trovarla (lei sta a Bologna) e per questo suo padre non gli comprava mai niente più del necessario.

- Oddio- disse lei colpita, a bassa voce. Annuii.

- Oddio…è quello che ho detto anche io. Ma aspetta. Suo fratello era più grande di lui, ma non mi ricordo di che anno…– Presi fiato. Giocherellavo col portachiavi della mia borsa, ma lasciai perdere e appoggiai ambo le mani sul tavolo. – E’ morto a ventidue anni di tumore ai polmoni e Fabio ci è stato male da schifo. – Sandra era ora a bocca aperta. So cosa pensava: ventidue anni… Alzai le spalle. – Fabio dice che fumava come un turco…Io non so quanto, ma tanto, tanto per davvero…non lo so. È stato allora che ha iniziato a fumare.

- Perché ha iniziato? Per reagire allo shock?

- No. Non credo che fosse per quello. Lui…- alzai gli occhi. – E’ un cretino. Lui ha una paura fottuta di morire giovane, di morire come suo fratello…e fuma perché dice che fumare lo avvicina a Dio e a suo fratello. È uno stupido e io glielo dico sempre…Cazzo, quanto è stupido. Perché il fumo sale, capisci? E non ha intenzione di smettere.

- Per questo l’hai lasciato? Perché fuma e…

- No, non me ne frega niente. Ci siamo lasciati perché era la cosa migliore…per me, io gliele compro anche, le sigarette. Non me ne importa, perché so che non è il fumo sarà qualche cos’altro, capito? Ma farà sempre qualcosa d’idiota…anche solo per dimostrare a tutti che lui è nobile e triste. Che ci vuoi fare?

Sandra restava in silenzio, colpita. Alzò lo sguardo e chiese: - E tu?

- Io…io niente, io. Io ho avuto dei problemi, lo sai. Il divorzio…

- Quand’è che i tuoi hanno divorziato?

- Boh, nel 2001…avevo sette anni. Ma l’ho presa bene.

- E quand’è che tuo babbo si è risposato?

- Due anni fa…nel…credo che sia stato nel duemilasei. Ma io l’ho presa bene.

Aggrottò le sopracciglia con fare perplesso. Disse: - I tuoi problemi sono con tua madre, no?

Scossi il capo, stanca, guardando altrove. – Non lo so, Sandra…la mamma non mi ascolta, non mi parla. Mi fa fare quello che voglio, qualunque cosa voglio, purché io non rompa le palle. E io sto bene così, mi diverto, ho un sacco di soldi e posso andare dove mi pare, con chi mi pare, quando mi pare, perché lei non mette regole… Non è che mi odia, accidenti, no. Però siamo così…

- Così lontane- disse Sandra.

Le fui grata per averlo detto. – Questo forse è volere bene, Sandra, ma non fare il mio bene, perché quello è un’altra cosa. Non è comprarmi lo stereo e i vestiti e i dischi e tutto quello che voglio, e farmi fare le quattro di mattina senza sapere dove sono e con chi sono e se mi diverto…quello è un’altra cosa. Con mia madre non ho rapporti. Con mio padre non ho rapporti, perché si vergogna a parlare con me come con un’estranea…e anche questo non è volere bene. Però tu capisci, a me non manca nulla: ho i soldi e una casa, studio e ho tre pasti caldi al giorno, e tutto quello che voglio…come faccio a dire che sono infelice?

- La felicità non è nei soldi, Febe- disse Sandra a bassa voce,

- No, ma nei soldi c’è l’impossibilità di dire: io sono infelice. I bambini che muoiono di fame, quelli sì che sono infelici. Quelli malati, forse loro sono infelici. Ma io e Fabio la pensavamo alla stessa maniera… abbiamo troppe cose per essere infelici. Che la felicità non sia nei soldi, è un luogo comune.

Sandra scosse il capo, perché non la pensavamo alla stessa maniera. Mi disse:- E quindi…con Fabio?

- Non lo so, Sandra…io non lo so se mi piace ancora, non lo so!- esclamai disperata. E poi lei disse qualcosa che mi lasciò a bocca aperta…che mi fece capire quanto bene mi conoscesse già. Guardandomi negli occhi, disse queste parole: - Lo so, Febe, che non lo sai più…lo vedo.

Lo vedeva nei miei occhi…lo capiva guardandomi.

Quella sera, o meglio quella notte, restammo per ore a parlare al Roxane, fino all’una e mezzo o qualcosa di simile…e io non sapevo come ringraziarla di avermi ascoltato, e di avermi capito.

   
 
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