That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Storm in Heaven - III.004
- Per il Cuore, Per il Sangue (1)
Mirzam Sherton
74, Essex Street, Londra - dom. 19 dicembre 1971
Non
riuscivo a prendere sonno quella sera, al rientro dalla cena a
Grimmauld Place: non facevo che girarmi e rigirarmi nel letto, sospeso
a metà tra il dolce pensiero di Sile e delle poche ore che
restavano ormai a separarci, e quello spaventoso della rabbia di
Milord, quando Rodolphus gli avesse consegnato l'anello di Sirius, un
altro inutile gioiello privo di qualsiasi valore. Quello che avevo
fatto era rischioso, lo sapevo, anche perché non avevo idea
di
quando si sarebbero incontrati né potevo conoscere in
anticipo
le loro effettive reazioni, ma, visti quali erano ormai diventati i
sospetti di Rodolphus, era urgente intervenire e ritenevo che metterlo
di fronte a un errore, fosse la strada migliore per farlo desistere
dalla caccia ai danni di Orion e del ragazzo. Lo conoscevo
ormai
da anni: pur nei suoi eccessi, Rodolphus restava fondamentalmente una
persona pragmatica, che senza prove tangibili e inconfutabili, non
avrebbe mai mosso guerra a una delle famiglie più influenti
del
mondo magico, cui, tra l'altro, era anche imparentato,
perciò
quella battuta d'arresto l'avrebbe fatto tornare in sé e,
almeno
per il momento, avrebbe lasciato stare qualsiasi velleità
contro
Orion Black e suo figlio e si sarebbe concentrato, come sua moglie,
solo su me e mio padre, fino a trovare finalmente ciò che
cercava. Certo, quest’aspetto del problema non era
meno
grave, anzi, pertanto dovevo mettere in scena al più presto
anche la seconda parte del mio piano: per il bene di Meissa, era
necessario che agissi prima che tornasse a scuola, soprattutto
perché non mi fidavo di Lestrange jr., ritenevo che avesse
troppo ascendente su Rigel e avevo l'assoluta certezza, pur non
confermata da alcuna prova, che avesse preso parte all'aggressione ai
danni di Sirius. Se ripensavo a quando avevo visto il
giovanissimo
Rabastan Lestrange a Trevillick, mentre seviziava un corvetto, ero
ancora assalito dai brividi: uno così non avrebbe avuto
scrupoli, ne ero convinto, sarebbe arrivato ad affatturare mia sorella
o aggredirla, se l’avesse ritenuto
necessario. Dubitavo
persino che i suoi rapporti col fratello maggiore fossero difficili
quanto il mio caro amico voleva farmi intendere: al contrario,
probabilmente era proprio lui “l'uomo di Hogwarts”,
usato
da Rodolphus per avere notizie dall'interno della scuola e, in qualche
modo, contrastare l'eccessiva influenza del giovane Malfoy nella casa
dei Serpeverde. Aveva ragione mio padre: anche se Rodolphus si era
dimostrato in più di un’occasione un amico
prezioso per
me, la pericolosità insita in quella famiglia non andava mai
sottovalutata, o rischiavo la fine della rana che portò in
spalla uno scorpione. Sospirai...
Che
razza di pensieri, a meno di ventiquattro ore dal mio matrimonio!
Mi chiesi se sarebbe mai arrivato, nella mia vita, il giorno in cui
sarei riuscito a rivedere il cielo, a lasciarmi alle spalle quei
pensieri e quei tormenti, dedicandomi solo alle persone che amavo e a
ciò che sapevo essere giusto per me. Da quando era
diventato reale il mio sogno di una vita accanto a Sile, mi chiedevo
sempre con più urgenza quanto avrebbe impiegato Milord ad
assumere il potere e mettere finalmente fine alla deriva del Mondo
Magico, quanto avrebbe impiegato a ridare al nostro mondo una parvenza
di Normalità: perché non poteva continuare
così… non poteva essere per sempre
così... Non era
possibile che i Purosangue dovessero sottostare a quelle limitazioni,
ma era altrettanto intollerabile continuare con quel clima di terrore e
morte, di notti interminabili fatte d’incubi e sangue...
Quando
avevo avuto il mio primo, vero, incontro con lui, a Little Hangleton,
Milord mi aveva fatto intendere che tutto quell'orrore servisse solo a
piegare i restii, spaventarli, velocizzare un processo inevitabile, e
che presto avrebbe dimostrato al mondo che, oltre alla paura, oltre al
clima di terrore necessario a recidere la perversa condiscendenza che
parte del mondo magico aveva nei confronti dei Babbani, ci sarebbe
stato anche dell'altro, qualcosa di adatto anche alla mia indole... una
rinascita della nostra natura, una riscoperta di quelle
proprietà e quelle potenzialità antiche che il
mondo
magico aveva svenduto per sopravvivere alla convivenza col mondo
babbano. Ripensai alle sue parole...
"Permettimi
di
conoscerti e di farti conoscere quello che solo a pochi rivelo, il
grande progetto, quello che renderà il nostro mondo migliore
per
tutti noi… non c’è solo quello che hai
visto questa
notte, io non c’ero questa notte, perché, come te,
anch’io ho bisogno di altro, tu sei un’anima a me
affine,
Mirzam Sherton… Spero che vorrai vedere di là di
tutto
questo… solo vedere… la ricompensa per te
andrà di
là dei tuoi desideri più
profondi…”
Ancora non avevo visto niente, anzi, Milord,col tempo, non aveva
nemmeno mantenuto i patti: mi aveva promesso che non mi avrebbe mai
costretto a fare qualcosa per cui non ero portato, come uccidere,
invece alla fine mi aveva chiesto di farlo, come prova di
fedeltà e riconoscenza... Ed io, nemmeno ventiquattro ore
prima... Rabbrividii. Come potevo coinvolgere anche Sile in
tutto
questo?
Sile...
Lei che probabilmente, in quel momento, era sveglia e agitata quanto
me, di fronte all’ultima notte che ci avrebbe visto
lontani… o magari, tranquilla e fiduciosa, si era
già
abbandonata al sonno dei giusti, certa che così il tempo
scorresse più rapidamente… Per tutto il giorno
l'avevo
immaginata presa dagli ultimi dettagli, mentre controllava per
l'ennesima volta la perfezione del suo abito e i ricami del suo velo;
l’avevo immaginata nella sua stanza, una stanza in cui non
ero
entrato mai e che invece avrebbe potuto dirmi così tanto di
lei,
mentre accarezzava la coperta del suo letto, consapevole che non vi
avrebbe dormito mai più, che quella sarebbe stata l'ultima
notte
che avrebbe passato da sola, fino alla fine della nostra vita. In
realtà, non eravamo da soli già da un
po’, l'avevo
sentita giorno dopo giorno accanto a me, seppur lontani fisicamente, da
quando l'avevo ritrovata, quella sera a Doire. E ora finalmente niente
ci avrebbe più diviso. Nemmeno Milord o qualsiasi altro
ostacolo
ci avrebbe messo davanti il destino. Non l'avrei
più
permesso, no.
Mancano meno di ventiquattro ore... poi finalmente la nostra vita, la
nostra vera vita avrà inizio.
Sorrisi tra me, nelle ultime settimane non avevo fatto altro che
progettare e vedere nella mente tutto ciò di cui avevamo
fantasticato da ragazzi: ora finalmente avremmo condiviso tutto,
saremmo andati di nuovo a un concerto, avremmo visitato insieme i
luoghi di sua madre, l'avrei coinvolta nel mio sogno di fondare una
squadra di Quidditch delle Terre del Nord, avremmo visto la famigerata
America, il nostro desiderio comune, il segreto di cui nessun altro
sapeva niente. E infine, ma non ultimi... i nostri figli...
Sarebbe passato molto tempo prima che avrei di nuovo chiuso gli occhi:
ero certo che appena gli Anziani avessero stabilito definitivamente che
appartenevamo l'uno all'altra, e gli ospiti ci avessero lasciati liberi
di starcene da soli, non mi sarei più allontanato da lei,
avrei
passato giorni e notti insonne, tenendola, sempre, stretta a me, per
parlare con lei, per giocare con lei, per amarla... e quando avesse
ceduto al sonno tra le mie braccia, sarei rimasto stretto a lei a
osservare il suo profilo, accarezzandole leggero i capelli, vegliando
ininterrottamente per assicurarmi che non sparisse più. Mai
più. Mi alzai, il sonno quella notte, per tanti motivi, non
mi
avrebbe raggiunto con le buone, perciò decisi di aiutarmi
con
una pozione calmante: uscii dalla mia stanza, percorsi il corridoio
oscuro fino alle scale, salii fino alla mansarda e mi diressi verso lo
studio di mio padre, dove, dietro una parete scorrevole, era celata una
credenza di rovere, nei cui cassetti e ripiani c’erano
sistemate
in ordine le erbe e gli ingredienti necessari per le pozioni e le
ampolline con i filtri già pronti. A metà del
corridoio
mi fermai: una tenue luce di candela, nello studio, dimostrava che non
ero l’unico a girare insonne per la casa. Mi affacciai senza
far
rumore, osservando per un po’, non visto, mio padre intento
in
una lettura evidentemente impegnativa, con un bicchiere di vino rosso
in mano e i resti di un paio di sigari nel portacenere di fronte a
sé.
“E quelli che cosa
sono?”
Con la mia migliore aria canzonatoria emersi dalla penombra, lui,
sorpreso e interdetto, sollevò il viso dal libro che stava
leggendo, andando rapidamente a togliersi, un po' imbarazzato, gli
occhiali che gli avevo visto addosso per la prima volta.
“Se ti riferisci a questi...
direi... Uno sgradito dono dei miei quaranta anni...”
Sorrise e mi fece cenno di accomodarmi, io entrai e mi sistemai sulla
poltrona davanti a lui, gli occhi curiosi che cercavano inutilmente di
sbirciare il titolo delle sue interessanti letture.
“Secondo me
l’età c’entra
poco, credo piuttosto sia lo sgradito dono di questi tuoi amati tomi
polverosi... e di questa luce insufficiente, per dilettarsi di... Rune
Antiche, dico bene?”
Mio padre sogghignò e richiuse il libro, poi me lo porse,
vidi
che era un vecchio tomo pieno di polverose rune, rune che
però
parlavano dei riti antichi del Nord: lo guardai interrogativo.
“Che cosa significa? Non
credevo tu avessi bisogno dei libri per sapere queste cose...”
“In realtà
sì, questa volta
sì… queste sono le note di mastro Percival da
Girvan, che
per circa cinquanta anni, tre secoli fa, ha prestato servizio come
maestro di cerimonia per i signori di Herrengton...”
“E da quando ti…
diletti con questo
genere di letture? Senza offesa, ma... non mi sembrano proprio il tuo
genere, qui ci sono solo elenchi infiniti di oggetti, tessuti,
invitati… non capisco…”
“Non temere, non sono
impazzito di colpo,
trovo anch'io tutto questo di una noia mortale, ma a Herrengton non si
celebra un vero matrimonio del Nord ormai da quasi due secoli: tuo zio
ha sposato una Lestrange, tuo nonno una Meyer e mio nonno una Malfoy,
di conseguenza, senza andare troppo indietro nel tempo, non ho nessuno
cui chiedere un parere, nemmeno tra gli Anziani del Consiglio
c'è qualcuno che ne ha visto uno in vita sua...”
“Ma che dici? I Maghi del Nord
sposano
continuamente Streghe del Nord secondo i nostri riti… che
cosa
c’è stavolta di diverso...”
“C'è che tu hai
chiesto un vero
matrimonio tradizionale, Mirzam... ed io ho promesso a te e a Sile e
naturalmente a suo padre, un perfetto matrimonio tradizionale... Sto
solo controllando di non aver dimenticato niente: la tempistica
è assolutamente fondamentale, come pure l'ordine preciso
secondo
cui dovranno disporsi gli Anziani...”
“Io... io credevo di aver
chiesto
semplicemente un matrimonio come quello di Jarvis… un
matrimonio
da celebrare nella nostra terra, al termine dei riti notturni del
Solstizio… non volevo certo farti impazzire con questi
ridicoli
dettagli...”
“Non sono stupidi dettagli,
Mirzam... essendo
tu uno Sherton, il matrimonio dovrà svolgersi nella
grotta... e
come ben sai, nella grotta di Salazar nulla va lasciato al
caso...”
Mio padre, pur serio, sorrise benevolo, l'espressione serena e
vagamente divertita di chi ha appena avuto conferma che, anche se stavo
per lasciare la sua casa per vivere la mia vita, era ancora lontano il
giorno in cui non avrei più avuto bisogno di lui: mi
chiedevo
sempre più spesso come avesse fatto a maturare quella che mi
appariva una conoscenza sconfinata e, soprattutto, ormai iniziavo a
convivere, senza più drammi, con l'idea che, con un padre
simile, era inutile combattere, mi sarei sempre sentito un ragazzino
imbranato.
“Non devi preoccuparti di
nulla, ma goderti la
giornata, Mirzam, lascia fare a me... Ti assicuro che per me e tua
madre tutto questo è un “gioco”
bellissimo ed
emozionante e... soprattutto un ottimo sistema per distrarci dall'idea
che… beh è strano anche per noi pensare che stai
per
volare via...”
Annuii, vagamente rosso in faccia: in tutti quei giorni avevamo
affrontato feste, fornitori, Anziani del Consiglio, amici e parenti che
si complimentavano, avevo avuto quella tragica notte a Diagon Alley e
infiniti pensieri non molto positivi, erano tornati a casa i miei
fratelli, avevo avuto l'ennesimo scontro con Donovan, insomma una
miriade di sollecitazioni che alla fine mi avevano fatto perdere di
vista un aspetto non indifferente. Stavo per iniziare la mia vita con
Sile e questo significava anche che, pur rimanendo il figlio dei miei
genitori, per forza di cose i nostri equilibri sarebbero cambiati
definitivamente.
“Ma non credo tu sia salito
per discutere con
me di Sir Percival da Girvan, Mirzam... Perché sei qui,
invece
che in camera tua a riposare? Lo sai, domani sarà dura per
tutti
e per te in maniera particolare... Anche se non riesci a dormire, ed
è comprensibile, nemmeno io riuscii a dormire la notte prima
di
sposare tua madre... dovresti però rilassarti, stenderti al
buio
e riposarti...”
“Ero salito appunto per
prendere una pozione calmante... ”
“No, meglio di no, Mirzam...
stasera la
soluzione migliore per te è un semplice infuso di erbe e
restartene buono al buio, in silenzio: vedrai che, magari ci metterai
un po’, ma il sonno arriverà da solo; emozione,
stanchezza, eccesso di cibo e di alcool saranno già un mix
devastante, alla fine della giornata di domani, se aggiungessi le
pozioni, ne usciresti distrutto... Se vuoi un consiglio, bevi un
bicchiere ogni tre che te ne offriranno...”
Annuii, non era mia intenzione perdere il controllo, volevo che ogni
singolo istante mi restasse impresso a fuoco nella memoria,
però
era bizzarro vedere mio padre tanto preoccupato e così
ferrato
in materia.
“Vuoi farmi intendere che
parli per esperienza?”
Sorrisi divertito, un po' perché ero davvero curioso di
conoscere qualche succoso aneddoto, un po' per staccare un po' la sua
attenzione da me, come ogni volta che sentivo il nostro livello di
complicità aumentare rapidamente: pur felice di avere un
padre
come lui, con cui parlare di tutto, a volte mi sentivo ancora in
imbarazzo, esattamente come tanti anni prima, quando aveva iniziato a
parlarmi senza tanti giri di parole di come ci si comporta con le
ragazze.
“Dopo che ho conosciuto tua
madre, non mi sono
ubriacato più, lo sai... no, non parlo del mio matrimonio,
ma ho
partecipato a fin troppe cerimonie finite con sposi riportati a casa
caricati in spalla, e spose in lacrime, inferocite e pronte a
vendicarsi... per non parlare poi delle rimostranze delle famiglie...
quasi tutti si aspettano che l'erede sia messo in cantiere fin da
subito... e con lo sposo ridotto in quelle condizioni, puoi capire
quanto sia arduo…”
Sentii le guance diventarmi di colpo rosso fuoco, distolsi da lui lo
sguardo, ma continuavo a sentire su di me i suoi occhi vagamente
divertiti: non sapevo come facesse, ma sembrava che riuscisse sempre a
portare i discorsi dove sapeva di trovarmi in difficoltà.
“Padre...”
Mi fissò. Io fissai lui. Non era più
divertito,
avevo tutta la sua attenzione e capii immediatamente che aspettava
anche lui, da un po', il momento giusto per affrontare quel discorso:
d’altra parte era normale che fosse inevitabile.
“… spero davvero
che non sia anche una
tua aspettativa... voglio dire... Io non vorrei apparirti un ingrato,
ma… qualsiasi cosa tu o Donovan vogliate, sappi fin da
adesso
che io ho intenzione di prendermi del tempo, con Sile, prima
di…”
Altro sospiro lungo, davanti ai suoi occhi che mi fissavano falsamente
enigmatici.
“… prima di
iniziare a rispettare gli
obblighi che so bene di avere verso la nostra famiglia...”
Volevo un figlio, certo, anzi, ne desideravo più di uno, ma
sentivo molto più urgente stare per un po' con Sile, da
soli,
ricominciare a conoscerci facendo un piccolo passo per volta, com'era
avvenuto all'inizio, quell'inizio che era stato pieno di
felicità e perfezione per entrambi. A volte, con
una certa
inquietudine, mi rendevo conto che erano passati quattro anni da
allora, e che in quel periodo era accaduto di tutto, che questo ci
aveva fatto crescere in modo diverso da come immaginavamo allora, per
lo meno io, e che grazie alle mie follie e all'intransigenza di
Donovan, ora eravamo a un passo dall'altare senza aver avuto modo di
conoscerci a fondo, di sapere entrambi quanto eravamo davvero
cambiati. Per questo avevo bisogno di tempo, tempo che avremmo
impiegato a riscoprirci, a riaprire l'uno il cuore all'altra, colmando
quella distanza che gli anni e la vita avevano fatto crescere tra noi.
Solo così saremmo stati in grado di occuparci dei nostri
figli,
se non bene quanto i miei genitori, almeno in maniera dignitosa.
“È strano che tu
abbia questo timore,
Mirzam... almeno nei miei confronti: non ti ho obbligato a sposarti e
tanto meno ho cercato di influenzarti nella scelta della donna da
sposare... Come potrei importi dei figli? Lo sai come la penso: un
bambino non è un mezzo con cui portare avanti una stirpe,
è una persona… una persona che ha bisogno di
amore e
particolari cure per crescere sicuro e felice... Se non ti senti
pronto...”
“No, non è questo
il punto… se
credi questo, ti sbagli... ed io voglio uscire dalla tua casa sicuro
che tu non mi fraintenda... Non si tratta di non sentirsi pronto... Io
sono pronto e voglio dei figli... ma... Ho visto te e la
mamma,
ho visto quanto è diverso il vostro atteggiamento rispetto a
quello di tante altre famiglie... io vorrei... vorrei che un giorno
anche a casa mia i bambini sapessero senza ombra di dubbio di contare
per me, per ciò che sono… come in questa casa noi
contiamo per te e la mamma... Io non voglio che mio figlio
m’impegni solo il tempo di mettere incinta mia moglie, io
voglio
metterlo al mondo per insegnargli ciò che so, per
proteggerlo e
dargli tutto me stesso...”
Non avevo mai visto mio padre sorpreso e colto così in
contropiede come in quel momento, di sicuro non immaginava che quel
discorso diventasse una specie di dichiarazione d’amore
filiale
in piena regola, e per un po’ rimase in silenzio, turbato e
commosso.
“Se hai già capito
tutto questo... non
credo di aver compreso quali siano le tue paure, Mirzam: se affronterai
il futuro deciso a percorrere questa strada, credo che nulla
potrà impedirti di fare un ottimo lavoro... sia con Sile,
sia
con i tuoi figli, quando arriveranno...”
“Io non ho paura,
solo… dopo aver
passato questi ultimi mesi a soddisfare le richieste di tutti senza
discutere, vorrei essere sicuro di non subire altre
interferenze… Credo fermamente che per riuscire a
trasformare
queste teorie in realtà, sia necessario che prima Sile ed io
stiamo per un po' insieme, da soli, abbiamo bisogno di recuperare il
tempo perso... e... non sto parlando solo di… voler andare a
letto con lei... credo che tu abbia capito cosa intendo
davvero...”
Sorrise, annuendo di nuovo, io mi sentivo ridicolo, era assurdo che
provassi ancora imbarazzo a parlare con lui di questi argomenti, ma
sapevo che oltre alle mie abituali inibizioni, quello che provavo in
quel momento era… era una specie d’istinto
protettivo nei
confronti di Sile, perché il nostro universo doveva essere
solo
nostro, esclusivamente, tutti esclusi, compresa la mia famiglia.
“Non l’ho vissuto
sulla mia pelle,
Mirzam, perché il mio vecchio mi ha cacciato di casa e non
voleva certo sapere nulla di me e tua madre: da questo punto di vista
siamo stati fortunati, in effetti… Ho visto però
tanti
amici e posso capire la tua ansia... Se quello che vuoi da me
è
una rassicurazione, ti prometto che non avrai interferenze del genere
da parte mia o di tua madre: nessuno di noi verrà a dirti
quello
che devi, o non devi fare, o quando farlo... Se ne avrai bisogno,
potrai sempre contare sul nostro aiuto, che sia concreto o un semplice
consiglio, questo sì… per esempio…
posso
raccontarti la mia esperienza: tua madre ed io, come ben sai, non
abbiamo aspettato molto ad avere te, e anche se alcuni, come il caro
Orion, hanno parlato di frutto della distrazione e dell'eccessivo
entusiasmo, tu sei qui perché ti abbiamo voluto e ti abbiamo
cercato... Personalmente credo che un periodo tutto vostro sarebbe
perfetto e salutare, se non altro perché non avete potuto
sfruttare a dovere il periodo del fidanzamento per
riscoprirvi…
quanto ai figli… sentirai nel tuo cuore che è
arrivato il
momento e quando accadrà, leggerai questa consapevolezza
anche
negli occhi di Sile, perché è così che
accade
quando due persone diventano davvero una cosa
sola…”
Rimasi senza parole, perché infondo al cuore sapevo che mi
avrebbe parlato così, ma sentirlo, sentire che comprendeva e
condivideva era…
“Sono felice di saperti dalla
mia parte...”
“Io sono e sarò
sempre dalla tua parte,
Mirzam, sempre... Anche quando le tue scelte mi potrebbero sembrare
incomprensibili... io sarò sempre dalla tua
parte...”
“Ne sei sicuro?”
“Credo di avertelo
già dimostrato...
Mirzam… Ora vai, riposati, e domani stai tranquillo, goditi
la
festa serenamente, pensa che hai davanti a te la vita che vuoi con la
donna che ami, e tutte le meschinità della vita spariranno
come
neve al sole... anche Milord...”
“Milord? Cosa
c’entra lui, adesso?”
“Perché so che
qualcosa ti turba e sono
pressoché convinto che sia qualcosa che riguarda
quell’uomo… Sai bene come me che il migliore
regalo, che
potresti fare a te stesso, Mirzam, è lasciar perdere quella
vita
e pensare solo a Sile... Ripensa alle parole che mi hai detto, mi hai
aperto il tuo cuore e mi hai detto quali sono i tuoi progetti, i tuoi
veri progetti, progetti ambiziosi e molto impegnativi... progetti che
non si fondano sull'odio e la guerra... ti lascio a queste riflessioni,
Mirzam, ci vediamo domani...”
Si alzò, ripose il libro tra gli altri, e mi
salutò con
uno dei suoi abbracci, poi lasciò la stanza. Io mi fermai a
riflettere su quelle sue ultime considerazioni, su quella luce strana
che aveva nello sguardo… mi era già nota, era
quella che
aveva ogni volta che era a un passo dalla soluzione di un problema...
Per un attimo mi lasciai cullare dall’idea che forse tutte le
tessere sarebbero andate al proprio posto se avessi seguito il suo
consiglio, che avrei fatto bene a metterlo a parte di quello che avevo
in mente di fare, per avere un consiglio e il suo aiuto. Poi ripensai a
quanto era accaduto alla notte precedente, e rividi me stesso, nella
mia stanza, mentre lanciavo una maledizione senza perdono contro mia
sorella, solo per ottenere in fretta e senza difficoltà
quello
che volevo… Ero già troppo oltre,
troppo… mio
padre non si rendeva conto di cosa ero stato capace di fare…
mio
padre poteva capire e sostenermi, ma non fino a quel punto. Avevo fatto
la mia scelta e la strada era segnata. Quella partita ormai,
l’avrei dovuta giocare da solo.
***
Meissa Sherton
Herrengton Hill, Highlands - lun. 20 dicembre 1971
Quando mi svegliai, per un attimo pensai di essere ancora dispersa nel
mondo dei sogni: non poteva essere vero, non potevo essere davvero a...
Chiusi gli occhi e li riaprii mentre, pur preda di mille domande, gli
angoli della mia bocca si tendevano all'insù in un sorriso:
attorno a me c'erano le ben note mura di pietra, le tende, tirate, del
mio baldacchino, il mondo che avevo lasciato circa quattro mesi prima e
che mi era mancato da morire. Saltai fuori dal letto con un
balzo,
il freddo della pietra sotto i piedi mi diede la conferma definitiva
che non stessi sognando, e, come aprii la finestra e fui travolta dal
freddo pungente del mattino scozzese, sul mio viso prese campo la
luminosità piena della felicità. Dalla
mia torre,
Herrengton, nascosta sotto un lieve strato di neve e ghiaccio, si
apriva come un fiore ai miei piedi: i tetti e i cortili di pietra, i
portici e il profilo delle alte torri, si disponevano nelle forme e nei
disegni a me noti e da troppo presenti solo nei miei
sogni. Era
una serena mattina di timido sole, il vento da nord, stranamente,
appariva leggero e sembrava aver spazzato via, lontano, le fosche nubi
tipiche di quel periodo, il mare verso ovest appariva come una tavola
scintillante: capii subito che non era naturale tutto questo, di
solito, in quel periodo dell'anno, le giornate erano caratterizzate
tutte da una continua, pesante penombra, una coltre di nuvole color del
piombo correva bassa, soffocando tutto, il mare ruggiva minaccioso e
s’infrangeva sugli scogli, sotto forma
d’imbizzarriti
cavalli di spuma. Il miracolo cui stavo assistendo doveva
essere
il dono di nozze della Confraternita al figlio di Herrengton:
probabilmente, da giorni, i vecchi detentori della magia Antica,
salmodiavano, affacciati sui promontori e sulle alte vette,
pronunciando le formule millenarie nella lingua dei padri, evocando e
domando la natura, fino a piegarla alla loro volontà. Molti
consideravano assurde queste capacità, le ritenevano stupide
leggende da raccontare ai bambini prima della buonanotte, come pure
ormai avevano scordato che la magia si può controllare anche
senza una bacchetta: questi e tanti altri aspetti facevano parte di
quel bagaglio di conoscenza che tutta la nostra gente aveva da
millenni, ma che la maggior parte di noi aveva abbandonato accettando
l'idea di “civilizzarsi” per
sopravvivere. Avendo
rimosso parti considerevoli delle proprie conoscenze, delle proprie
capacità e natura, ormai molti non comprendevano
più, non
consideravano più i popoli del Nord come i custodi delle
conoscenze fondamentali, ma solo dei folli o dei maghi pericolosi, da
distruggere. Mi ritrassi, il viso gelido e ormai arrossato dal freddo,
decisi di andare a vedere subito che cosa facevano gli altri,
dall'armadio presi una delle mie vestaglie più calde e le
ciabattine di pelo, poi uscii dalla mia stanza, correndo per le scale,
intenzionata a raggiungere mia madre di sotto. Sentii subito
la
sua voce mentre faceva un elenco a Kreya e la piccola elfa che
rispondeva di sì: sembrava fosse l'ultimo controllo di
quello
che sarebbe servito l'indomani.
“Mamma!”
“Mei, ti sei già
svegliata? Dovresti
restare a dormire, la giornata sarà molto lunga...
”
“Lo so... magari ci torno
dopo... ma... Quand'è che siamo arrivati?”
La mamma sorrise, comprendendo la mia confusione: di solito rientravamo
a casa o con la smaterializzazione, quando uno di noi era ancora a
Herrengton, o con una passaporta, anche se sapevo che esistevano altri
sistemi, meno tradizionali, con cui era possibile addirittura
trasferire una persona mentre stava dormendo. Evidentemente
stavolta papà aveva sfruttato uno di questi metodi originali
e
segreti, di cui avrei saputo qualcosa di più solo una volta
che
fossi cresciuta.
“Di notte, poco prima
dell'alba, mentre tu e i
tuoi fratelli stavate dormendo: vi ho preparato un infuso calmante ieri
sera, ma evidentemente per te era troppo leggero...”
“Ah, era a quello che
serviva... a me non andava, così non l'ho bevuto
tutto!”
Arrossii, mia madre sorrise, complice, e annuì: sapevo che
nemmeno a lei piacevano gli infusi da bere prima di andare a dormire e
che in quel momento avevo tutta la sua comprensione.
“So che muori dalla voglia di
sbirciare i
preparativi, e che non ti calmerai finché non l'avrai fatto,
perciò vai... fai un giro veloce e poi torna qui, ma
ricordati… se non ti ritrovo nel tuo letto a dormire entro
un'ora, ti chiuderò nella torre, stanotte, e non vedrai
nulla
del matrimonio di tuo fratello... fila!”
Mi avvicinai, le stampai un bacio sulla guancia e corsi via, prendendo
uno dei dolcetti che Kreya aveva sistemato sulla tavola appena mi aveva
visto arrivare e , come una furia, mi riversai nel cortile,
immergendomi finalmente, ammirata, in quella che per me era la nostra
unica, vera casa. Ricordando che le lancette scorrevano veloci, iniziai
a guardare tutto, registrando ogni singolo dettaglio: anche se non
avessi saputo nulla della cerimonia, sarebbe stato palese che non ci si
stava preparando per un’occasione qualsiasi, se non altro per
l’andirivieni di elfi impegnati in duemila mansioni nel
cortile
delle rose. Mio padre, che sembrò non essersi accorto del
mio
arrivo, dirigeva i lavori dal lato opposto del cortile, ordinando a
Doimòs e a una nutrita schiera di elfi di sistemare tutto il
necessario per i fuochi magici alla fine della festa; intanto, tre
squadre di elfetti stavano correndo qua e là per raggiungere
le
varie balconate e le torri e disporre alla perfezione gli stendardi
della Confraternita, la torre più alta, quella in cui si
trovavano le nostre stanze, era già abbellita da un
gonfalone
gigante con i colori delle Terre del Nord. Altre due schiere stavano
piazzando lungo i portici di pietra, a intervalli regolari, tutta una
serie di bracieri e fiaccole, altri liberavano le luci danzanti che si
sarebbero illuminate al crepuscolo e le fatine canore, altri, infine,
con la magia sollecitavano la fioritura fuori stagione degli alberi. Al
centro del cortile, a terra, notai che erano state tracciate le quattro
rune che indicavano il nord, il sud, l'est e l'ovest e al centro un
braciere particolarmente grande in cui, di lì a poco, un
elfo
avrebbe dovuto bruciare per tutto il tempo le erbe che garantivano la
tenuta della cupola protettiva sulla tenuta. Col naso
all’insù e piena di meraviglia, scansai all'ultimo
un paio
di elfi che trasportavano un gigantesco stendardo verso la torre sud
del maniero e, di corsa, mi avviai verso l’ala in cui stavano
allestendo la sala da pranzo e il giardino in cui ci sarebbe stato il
ballo: il lungo corridoio che immetteva in quegli ambienti era stato
svuotato, non c'erano più broccati e sculture, né
cassettoni dorati o lampadari di cristallo, non capivo il
perché
di quella radicale trasformazione, ora sembrava tutto austero, grigio e
tristemente spoglio. Percorsi tutto il lungo corridoio notando che
erano spariti anche i ritratti degli avi e raggiunsi infine la sala in
cui era custodita Habarcat: lì ebbi la sconvolgente sorpresa
di
trovare concentrata in uno spazio ristretto tutta la magnificenza di
Herrengton. L’effetto era potente e voluto: dopo
aver
attraversato quel lungo corridoio privo di qualsiasi ornamento, si
accedeva a quella specie di sacello, in cui i tendaggi che velavano la
fiamma di Habarcat erano già stati tolti e la verde, pura,
lucentezza della fiamma riverberava sulla superficie lucida dei marmi e
sulle pareti, completamente decorate dal maestoso albero genealogico
che rappresentava tutte le famiglie purosangue. Mi avvicinai
circospetta e affascinata alla parete in cui campeggiava il ramo di
Herrengton, vidi che accanto era già apparso l'albero dei
Kelly
e che tutto era predisposto per veder tracciato il nome di Sile accanto
a quello di Mirzam. Dietro di me, esattamente di fronte a
quella
parte dell’arazzo, era stato allestito un piccolo altare, su
cui
erano già stati disposti tre pugnali rituali e, a terra, era
stato sistemato un braciere, su cui probabilmente, con precauzione, mio
padre avrebbe dovuto collocare Habarcat, utilizzata, anche se non avevo
idea del come, durante la celebrazione della parte finale dei riti.
All’improvviso sentii un rumore sordo di ceramica che
rovinava a
terra, di corsa, mi affacciai nella stanza attigua, che da sempre era
usata come sala da pranzo e vidi un povero elfo semi sotterrato sotto
una pila impressionante di piatti, che sgusciava via, dolorante, per
poi lanciarsi al volo contro il muro, per punirsi di quello
scempio. Nella sala era stato già allestito un
immenso
tavolo e numerosi altri, più piccoli, riempivano il resto
dell’ambiente: non avevo idea della magnificenza che avrebbe
raggiunto alla fine, ma già ora, pur in piena fase
preparatoria,
tutti quei pizzi, quei candelabri, quelle posate lucenti e le pareti
allestite con i quadri di tutti i nostri antenati, disposti come se
fossero stati invitati anch’essi alle nozze, dava a
quell’ambiente un’aria di particolarmente
fastosa. Infine, mentre i rintocchi dell’orologio a
pendolo
mi ricordavano le minacce di mia madre, mi affacciai nel giardino, dove
vidi allestiti un’enorme tenda, dai veli color pastello e i
fiocchi di pizzo intrecciati ai fiori, e un palco, su cui avrebbero
preso posto i musicisti; le fontane, tutte intorno, erano
già
state incantate, così che versassero acqua colorata e
profumata,
in cui erano sciolte essenze che favorivano la predisposizione a godere
di quell’atmosfera idilliaca. Era magnifico, per un
attimo
mi fermai sulla porta, con la testa appoggiata sullo stipite, mentre la
fantasia correva e immaginavo mio fratello, bellissimo nel suo abito
chiaro, che stringeva a sé la sua Sile, ballavano per ore e
ore,
davanti alla rapita ammirazione di tutti quanti e alla fine si
baciavano, sotto un cielo tempestato di stelle. Sospirai, e
decisi
di rientrare, prima di far infuriare la mamma, speranzosa che i
delicati effluvi delle fontane incantate mi aiutassero a sognare me
stessa che ballavo con la grazia di una principessa, accompagnata dal
mio principe dagli occhi grigi e il nome di stella.
***
Sirius Black
12, Grimmauld Place, Londra - lun. 20 dicembre 1971
Mi ridestai di soprassalto, confuso: nel percepire
l'oscurità
che, filtrando dall'esterno attraverso le imposte e i tendaggi,
permeava completamente la mia stanza, temetti di essermi svegliato nel
cuore della notte, ma quando arrivai alla finestra, mi resi conto che,
al contrario, era già di nuovo sera. Incredibile: avevo
dormito
un giorno intero... Com'era possibile che i miei non mi avessero
mandato a chiamare? Forse l'avevano fatto apposta, forse mentre io
dormivo loro erano andati a Herrengton per il matrimonio di Mirzam
lasciandomi a casa da solo, con Kreacher, per punirmi... Agitato, presi
le prime cose che trovai per vestirmi e uscii sul pianerottolo,
trovandolo completamente immerso nella penombra, angosciato, scesi un
ramo di scale e finalmente sentii in lontananza, con un inaspettato
sollievo, la voce di mia madre che riprendeva un elfo. No, non mi
avevano lasciato da solo a Grimmauld Place. Risalii fino alla mia
camera, raggiunto il pianerottolo, sentii provenire dalla stanza di
Regulus i rumori tipici di qualcuno che si stava svegliando:
perfetto... Con un sorriso soddisfatto rientrai nella mia stanza e mi
sedetti sul letto: ora che il momento del timore era passato, potevo
cercare di schiarirmi le idee.
La sera precedente, Regulus ed io eravamo stati mandati a dormire prima
ancora che se ne fossero andati tutti e, per una volta, ero andato di
sopra volentieri, anche perché mi sentivo esausto dopo una
serata a dir poco spaventosa: prima l'interrogatorio dei miei carissimi
nonni, poi l'incontro con Lestrange, infine non ero stato in grado di
scambiare due parole in pace con Meissa, perché ogni volta
che
mi si era presentata un'occasione, mia madre aveva sempre trovato una
scusa per tenermi lontano da lei. Tra l'altro, delle persone di cui
m’importava qualcosa, a quel punto non era rimasto
più
nessuno, tutti gli Sherton erano andati via già da un po',
persino Mirzam e suo padre non erano rimasti a chiacchierare con gli
altri. Restavano solo le orride, vecchie cariatidi, come nonno Pollux,
il vecchio Lestrange, Yaxley e Rookwood e pochi altri, che si stavano
trattenendo con papà e zio Cygnus per parlare di temi
delicati e
noiosi, quei temi capaci di rendere nervoso persino mio padre. L'ultima
a salutarmi, col suo ghigno indisponente, fu proprio mia cugina
Bellatrix: ero stato abile a evitarla per tutta la sera, come mi era
stato chiesto, ma, alla fine, non avevo potuto sottrarmi ai suoi saluti
e lei non si era voluta privare di quella ghiotta occasione per
deridermi e insultarmi. Una volta chiuso in camera, mi ero
immalinconito un po' al pensiero che, fino a un anno prima, stando in
camera con Regulus, quello era sempre stato il momento in cui
approfittavamo della distrazione dei nostri genitori, ancora occupati
con gli ospiti, per passare un po' di tempo stesi sul letto a ridere e
giocare, ripercorrendo a modo nostro la serata appena trascorsa e
scimmiottando il modo di camminare o di ridere o di mangiare di qualche
ospite particolarmente buffo.
Così, per non deprimermi ancora di più, avevo
finito col
rimuginare sulle strane frasi che aveva usato Mirzam per riprendersi
l'anello e sullo smeraldo che era comparso dal nulla e che aveva messo
tanto in agitazione il vecchio Phineas: mi chiedevo da dove venisse e
perché fosse tanto importante, e se era quella la ricompensa
che
mi aveva augurato Mirzam. Per me, erano tutti dei pazzi, sì,
persino Alshain: quell'anello che tutti cercavano era brutto e non
valeva niente, io l'avevo visto, non capivo perché degli
adulti
si fissassero a quel modo, con una puntigliosità degna dei
bambini piccoli. Era stato a quel punto che avevo sentito Kreacher
bussare alla porta di Regulus, quindi era venuto anche da me, con
l'infuso di erbe che mio padre ci faceva preparare sempre, soprattutto
dopo serate movimentate come quella, per conciliarci il sonno.
Evidentemente stavolta quello stupido elfo aveva esagerato con le dosi,
oppure mio padre gli aveva ordinato proprio di drogarci,
perché
entrambi ci stavamo svegliando dopo un’intera giornata di
sonno!
Andai alla scrivania, preda di un tragico sospetto, aprii il primo
cassetto e controllai che lo smeraldo fosse ancora nella scatola in cui
l’avevo messo la sera prima, e naturalmente... Era dove
l'avevo
lasciato: evidentemente mi ero fatto suggestionare troppo, mi sembrava
di vivere una di quelle storie di spie che davano al cinema e di cui
avevo sentito parlare alcuni ragazzi più grandi a
Grifondoro.
Stavo ammirando per l'ennesima volta quella pietra, chiedendomi quale
fosse il suo segreto, quando Kreacher, dandomi appena il tempo di
nasconderlo in tasca, entrò nella mia stanza con l'abito,
che
avrei dovuto indossare quella notte, e la solita espressione schifata
stampata sul muso.
“La Signora vuole che
padroncino indossa sotta mantello nero...”
Lo depose con cura sul letto, accanto a me, bofonchiando qualcosa sui
Grifondoro nella sacra casa dei Black e zompettò via,
guardandomi in tralice, senza rivolgermi apertamente una parola di
più: poco dopo lo sentii bussare alla porta di Regulus e
prostrarsi davanti a lui, omaggiandolo quasi fosse Salazar Slytherin in
persona. Sorrisi tra me, mandandolo allegramente a quel paese, come
avevo sentito fare uno dei fratelli Prewett una volta a scuola, e andai
baldanzoso nel bagno per lavarmi: infondo cosa m’importava di
quello stupido elfo e di tutto il resto se, finalmente, mi si
prospettava un'altra magnifica avventura?
*
Quando uscii dalla mia camera, Regulus era già pronto sul
pianerottolo, un'espressione che conoscevo bene, risoluta come si
conviene a un vero Black, ma con un'accesa nota di curiosità
e
impazienza stampata in faccia: eravamo tornati entrambi indietro nel
tempo, alla vivida emozione che avevamo condiviso, proprio un anno
prima, all'idea di passare la nostra prima, intera, giornata con gli
Sherton. Non mi sembrava vero, ma era passato un anno anche dalla prima
volta che avevo visto Mei: la prima, certo, se si escludevano le decine
di volte che c’eravamo frequentati anni addietro e di cui,
non
finivo mai di rammaricarmene, nessuno di noi aveva più
memoria.
Sorrisi tra me: chissà quanto eravamo stati buffi da
piccoli!
Mio fratello, nel suo bell'abito scuro con gli inserti argentei
tipicamente Slytherin, i morbidi riccioli scuri, che scendevano
ordinatamente a decorargli il viso, mettendo in risalto gli occhi che
entrambi avevamo ereditato da nostro padre, notò la mia aria
assorta e compiaciuta e passò all’istante
dall'entusiasmo
alla preoccupazione.
“Non starai pensando a uno dei
tuoi stupidi scherzi, vero Sirius? Non oggi, ti prego!”
Superandolo, nemmeno gli risposi: quando faceva così, quando
con
i suoi pregiudizi nei miei confronti si dimostrava il degno figlio di
nostra madre, non lo vedevo più come un fratello, ma come
una
piccola piattola guastafeste, perciò, per il solo gusto di
farlo
agitare ancora di più, gli lanciai un'occhiataccia poco
raccomandabile, lasciandomelo alle spalle, più perplesso e
timoroso di prima. In realtà, non avevo alcuna
intenzione
di mettermi nei guai, non ero così sciocco, ma l'idea di
uscire
finalmente da quella casa opprimente, di ritornare a Herrengton, di
rivedere Alshain e la sua famiglia in quei luoghi affascinanti che mi
avevano rapito l'anima, mi metteva addosso un'euforia difficile da
contenere.
“Allora, pulce, resterai
ancora molto
lì impalato? Hai preso tutto? Hai fatto tutto quello che ti
ha
ordinato “mammina”? Guarda che se non ti muovi, lei
si
arrabbierà, e non poco: siamo già in ritardo!
Immagino
che non ti piaccia quando lei se la prende anche con te,
vero?”
Lo guardavo, sornione e irridente, cinque o sei scalini più
in
basso, Regulus rimase per un po’ assorto, prima di decidersi
a
scendere: lo conoscevo abbastanza da sapere che aveva rapidamente
ragionato su tutto, cercando di scovare un errore nelle sue azioni che
potesse far infuriare nostra madre; infine, rassicurato di avere, come
sempre, la coscienza a posto, era tornato in sé. Sogghignai:
io
non mi sarei mai lasciato manipolare così, mai e poi
mai! Scendendo le scale, però, sentii anche dentro
di me
l'impazienza di partire offuscata all'idea dell'esame fiscale cui ci
avrebbe sottoposto nostra madre, appena ci avesse visto: era quello
l'ultimo, decisivo pegno da pagare a una giornata che, per il resto, si
prospettava carica di divertimento e di libertà. D'altra
parte,
l'unica punizione che temevo, essere lasciato a casa da solo, era una
possibilità impraticabile persino per lei, almeno per quel
giorno, poiché la mia assenza avrebbe scatenato nei nostri
confronti nuove chiacchiere da parte delle malelingue e mia madre non
avrebbe sottoposto se stessa e la nostra famiglia a un'umiliazione
simile a causa mia. No, se avesse trovato giusto punirmi, e
sapevo
che ai suoi occhi il fatto stesso che fossi vivo meritava una
punizione, avrebbe rimandato la cosa a tempi più consoni,
prendendosi con calma le proprie soddisfazioni, come aveva fatto appena
avevo rimesso piede a casa. Sospirai. Sistemandomi
l'abito,
altrettanto scuro ed elegante ma senza i dettagli che richiamavano la
tradizione Slytherin della mia famiglia - “Sarebbe una
provocazione oltremodo oltraggiosa!” così
aveva strepitato mia madre contro Phineas, che le aveva suggerito di
farmi indossare comunque, a quella festa, la spilla di famiglia con i
colori Serpeverde a dimostrazione che i Black ritenevano il mio
Smistamento solo un errore di quel vecchio Cappello ammuffito -,
lasciai che Regulus mi raggiungesse, poi scendemmo il resto delle scale
insieme, in silenzio, perché non era il caso di riempire
quella
penombra soffocante con le nostre voci festose: nostra madre, infatti,
non sarebbe stata felice nel saperci in armonia. Per lo stesso motivo,
arrivati quasi in fondo alla scalinata, per distanziarlo, mi lanciai
come una furia, superando con un unico balzo gli ultimi cinque gradini
e atterrando addosso a Kreacher, che inaspettatamente era uscito
proprio in quel momento dalla Sala dell'Arazzo, carico come un mulo.
“Stupido Elfo idiota, stai
sempre tra i piedi!”
Mentre recuperavo l'equilibrio, Kreacher, con ancora un paio di
tovaglie tenute miracolosamente in salvo sulla testa,
sgattaiolò
via, più o meno illeso, raccattando rapido e allucinato
tutti i
tovaglioli che gli erano caduti a terra nello scontro, borbottando dei
confusi insulti rivolti ai Rinnegati e andando poi, sicuramente, a
stirarsi le orecchie per non essere riuscito a evitare ai preziosi
pizzi della sua adorata padrona un tragico, quanto indecoroso, contatto
con il pavimento. Mia madre, che si stava sistemando, con dei
rapidi tocchi di bacchetta, gli ultimi riccioli ribelli, accortasi del
caos in corridoio, con mia sorpresa non mi
“Cruciò”
né m’insultò, ma si limitò a
fulminarmi con
un'occhiata carica di disprezzo attraverso il monumentale specchio
incorniciato d'argento della Sala dell'Arazzo, di sicuro più
preoccupata per la sorte delle sue adorate tovaglie che per quella
delle ossa del nostro vecchio Elfo; mio padre, invece, incurante come
sempre di quanto era appena accaduto, stava in piedi davanti al
caminetto, in impaziente attesa, controllando il suo orologio da
taschino e sembrò tranquillizzarsi solo quando, dietro di
me,
Regulus fece il suo abituale ingresso pacato, degno di un principe.
“Era ora! Vi rendete conto di
quanto è
tardi? Spero almeno che abbiate riposato a sufficienza: la pozione che
vi ho fatto somministrare da Kreacher, ieri sera, serve a concentrare
tutte insieme le ore di sonno di cui avremmo necessità in
due
giorni, così da poter mantenere lucidità e
attenzione per
oltre ventiquattro ore di seguito. Funziona sempre, con tutti, ma da
voi due ormai mi aspetto persino l'impensabile, quindi... se
doveste sentirvi stanchi e irrequieti prima di essere tornati a casa,
dovrete bere un secondo filtro, che vi garantirà altre sei
ore
di veglia, vi esorto, però, a ricorrervi solo se
assolutamente
necessario, perché, combinati insieme, gli effetti
collaterali
delle due pozioni sono molto fastidiosi.”
Regulus lo guardò attento: al contrario di me, che ne avevo
solo
un totale ribrezzo, provava da sempre timore reverenziale e profonda
curiosità per quei dannati filtri puzzolenti che, per
passatempo, papà “intrugliava” nei
sotterranei. Nostro padre, naturalmente, disinteressato
com'era
nei nostri confronti, non si era mai accorto di nulla, doveva essere
stato Alshain a scoprire, durante il nostro soggiorno in Scozia, la
“vocazione” innata che mio fratello aveva per le
pozioni e
parlargliene, perché ora notavo un inusuale, vago,
compiacimento
negli occhi di papà, mentre spostava il suo sguardo da me a
Regulus e vedeva quanto fosse preso dalle sue parole. Non che
potesse declamare pubblicamente quanto fosse orgoglioso di lui, certo,
infondo si trattava sempre di nostro padre, del gelido ed enigmatico
Orion Black, ma era intuibile nei confronti di mio fratello, qualcosa
di più dell'interesse che di solito riservava a noi e... ai
suoi
calzini vecchi. Kreacher ricomparve in quel momento dalle cucine, tutto
trafelato, mettendo fine ai miei sproloqui mentali; porse al suo
adorato padrone due fialette identiche di una densa pozione color
madreperla, che poi papà ci offrì con modi
cerimoniali e
la classica espressione seria e minacciosa. Che stupido ero stato!
Avevo giustamente trovato strano aver riposato quasi per un giorno
intero, ma arrovellandomi sui motivi, ero arrivato alle teorie
più disparate, senza avvicinarmi nemmeno lontanamente
all'unica
risposta logica e sensata: nostro padre desiderava soltanto che
affrontassimo al meglio una giornata che sarebbe stata esaltante,
certo, ma anche molto faticosa.
“Stasera valgono le stesse
raccomandazioni che
vi faccio sempre e, in particolare, quelle che vi ho fatto un anno fa;
la Passaporta si attiverà tra pochi minuti, il viaggio
sarà lungo quindi vi esorto a mantenere la massima
concentrazione di cui siete capaci. Vi ricordo anche che all'arrivo ci
ritroveremo nella foresta di Herrengton, quella che avete superato in
volo sugli Ippogrifi quest'estate, e...”
Non mi sfuggì l'occhiata risentita di nostra madre, che non
aveva ancora digerito che quello “stramaledetto e sciagurato
scozzese” del nostro padrino avesse messo in pericolo la vita
del
suo “adorato Regulus” con “le sue idee
balzane da
irresponsabile”: questo aveva strepitato l'estate precedente,
dopo aver beccato mio fratello e me, in camera mia, poco prima che
partissi per Hogwarts, tutti presi a rievocare, sognanti, alcuni
momenti salienti della nostra vacanza nelle Highlands. Mio
padre
parve non accorgersene o forse, per evitare ulteriori, ben note,
scenate, fece finta di niente e continuò, tedioso, con le
sue
raccomandazioni.
“... ormai ne conoscete il
potere,
perciò guai a voi se vi allontanerete da me, per qualsiasi
vostro stupido motivo! Vi consiglio di ubbidire senza discutere, di
osservare tutto con attenzione e soprattutto in silenzio! Altrimenti
una volta a casa... Sapete già cosa vi aspetta! Intesi? Ora
indossate i mantelli e andiamo!”
“Non aspettiamo la
mamma?”
Regulus interruppe la sequela di secchi ordini di nostro padre
dirottando l'attenzione di tutti noi sulla mamma, di nuovo
apparentemente disinteressata alla nostra conversazione: era acconciata
e vestita per una festa, con una toga nuova, nera, più ricca
e
magnificente del solito, ma con una generosa, profonda, scollatura che
rendeva quell'abito poco adatto a qualsiasi cerimonia che si fosse
svolta all'aperto, figurarsi poi alla rigida, lunga, notte scozzese che
avremmo dovuto affrontare. All'inizio, la speranza, improvvisa e
inaspettata, che non sarebbe venuta con noi si limitò a
farmi
brillare gli occhi, per poi trasformarsi in una specie di formicolio di
piacere che si diffuse in tutto il mio corpo, appena Kreacher
tornò con i nostri pesanti mantelli neri: erano solo tre.
Aumentò ancora di più quando mio padre
indossò il
suo, aggiustandosi per bene il cappuccio sul viso e invitandoci a fare
altrettanto, mentre la mamma, senza fretta, continuava a sistemarsi i
riccioli allo specchio, poi ordinò a Kreacher di portarle lo
scrigno che teneva in camera, dubbiosa che quella scelta, una catena
d'argento che reggeva un medaglione tempestato di smeraldi disposti a
pentacolo, fosse la collana più adatta su quel vestito.
Infine,
quando papà si avvicinò per salutarla, sentii
esplodere
in me una specie di mistica beatitudine: ero libero, ero davvero
libero, l'odiosa megera non sarebbe venuta con noi!
“Vi raggiungerò
domani, con gli zii e
le vostre cugine, in tempo per il Rito nuziale e il banchetto. Come
ormai sapete, non sono ammesse donne che non siano delle Sherton, sulla
spiaggia di Herrengton, durante i Sabba! Per quanto mi riguarda, ne
sono ben felice, non avevo alcuna intenzione di congelarmi, come l'anno
scorso, vagando, per una notte intera, per quegli stupidi
boschi!”
“Ma non è vero
che...”
Immaginai quale fosse l'obiezione di Regulus, avevamo visto un paio di
giovani Streghe che non avevano nulla a che fare con gli Sherton sulla
spiaggia di Herrengton, prima della cerimonia delle Rune di Mirzam:
ricordavo ancora l'amarezza e la delusione profonda di Alshain verso i
propri Confratelli, la sua difficoltà a trattenere la
rabbia,
davanti alla scena di un gruppo di Maghi del Nord che si defilavano
rapidi per smaterializzarsi chissà dove con quelle
donne. E
conoscevo bene nostra madre: se avesse saputo una cosa del genere,
l'avrebbe di certo usata al momento più inopportuno,
perciò diedi una leggera gomitata a mio fratello per farlo
tacere. Regulus, non capendo le mie intenzioni, mi
guardò
male, risentito, nostra madre stava per intervenire contro di me in sua
difesa ma papà, temendo di essere coinvolto in uno dei
nostri
soliti drammi familiari e perdere così l'appuntamento con la
Passaporta, fece finta di non aver visto nulla e riprese rapidamente il
controllo della situazione. Dall'occhiata ostile di mia madre,
però, capii che lo scontro era solo rimandato, al nostro
ritorno
mi avrebbe fatto scontare anche questo.
“A parte i Maghi e le Streghe
del Nord, in
realtà, stasera non sarebbe ammesso nessun altro, ma a noi
è stato concesso il privilegio di partecipare
perché voi
siete i figliocci di Alshain ed io il padrino di Mirzam. I Riti
pubblici, visibili a tutti quanti, saranno celebrati al maniero solo
domani mattina. Vi spiegherò tutto un po’ alla
volta, ora
andiamo, perché si sta facendo davvero tardi! A domani,
Walburga:
mi raccomando, non fare tardi e riposati, perché
sarà una
lunga e intensa giornata.”
Le diede un casto bacio sulla guancia e con la mano sinistra
cercò addirittura di accarezzarle delicatamente il viso,
gesti a
dir poco strani a casa nostra, ma lei si sottrasse rigida e risentita,
lo sguardo ancora più freddo del solito.
“Appena sarò
pronta, raggiungerò
gli altri a Manchester e lì festeggerò il
Solstizio come
si conviene, da secoli, a famiglie come la nostra, Orion... Cosa che
dovresti fare anche tu, sei ancora in tempo... sai bene che, stasera,
Cygnus avrà un ospite importante... molto, molto
importante...”
Non compresi il valore di quell'ultima informazione, notai appena lo
sguardo esaltato e carico di vita di mia madre e il pallore che rapido
si diffuse sul volto di mio padre, senza però chiedermene la
ragione, perché la mia mente era corsa a ripensare alle
noiose
feste del Solstizio celebrate alla maniera di nonno Pollux, molto
diverse da quella che avevo ammirato l'anno precedente, a Loch
Moidart. Bastava osservare i Black in occasioni simili, per
capire
quanto avesse ragione Alshain: per la maggior parte dei Maghi, gli
antichi Sabba avevano perso da tempo il loro significato originale, per
diventare semplici appuntamenti in cui si banchettava e si bruciavano
nei falò erbe e vecchi oggetti. I grandi Riti del
nostro
passato erano ormai diventati eventi svuotati di sacralità e
sentimento, gesti inutili, puramente esteriori, come tutto
ciò
su cui si fondavano le nostre patetiche e formali vite. Mio padre
sospirò, turbato, io lo guardai: mi chiedevo se fosse
successo
qualcos'altro, che non sapevo, negli ultimi mesi, o se le sue stranezze
fossero tutte dovute al mio Smistamento; stavo persino sospettando che
fosse la mia lontananza da casa a permettermi di notare nei suoi gesti
delle incoerenze, magari c'erano sempre state ma io, restando a stretto
contatto con lui, finora non ero riuscito mai a percepirle.
“È il
momento!”
Osservai l'oggetto che mio padre teneva in mano, una vecchia copia del
Daily Prophet, dalle pagine color seppia e l'inchiostro rosso ruggine:
in prima pagina campeggiava una foto di circa trenta anni prima che
mostrava il mio preside, Albus Dumbledore, vittorioso al termine del
suo scontro con Gellert Grindelwald, il temibile Mago
Oscuro. Stringemmo forte, tra le dita, tre dei quattro angoli
del
giornale e subito questo sembrò incendiarsi,
accartocciandosi su
se stesso, la stanza perse corporeità e noi fummo sbalzati
via,
lontano, in un viaggio che parve infinito. Alla fine toccammo di nuovo
terra, una terra immersa nelle tenebre e ricoperta da un sottile e
soffice strato di neve polverosa che celava pericolose lastre di
ghiaccio.
Di nuovo a Herrengton...
Sentii il sangue scorrermi dentro impetuoso tanto da rendermi di nuovo
vivo e felice. Un sottilissimo spicchio di luna crescente occhieggiava
sopra un'alta schiera di alberi, che si dispiegava dinanzi a noi simile
a un muro invalicabile, la foresta si muoveva come un corpo unico,
animata da un lieve respiro, ondeggiando al soffiare della brezza che
saliva dal mare: non riuscivo a vederlo, al buio, né a
capire da
che parte fosse, perché sembrava circondarci, rumoreggiando
cupo
tutto intorno e sotto di noi. Con sollievo, mi resi conto che non era
freddo come avevo temuto: una delle solite Magie del Nord ci proteggeva
dalla rigida notte scozzese, benché il cielo punteggiato da
una
moltitudine di stelle luccicanti, fosse terso e del tutto sgombro di
nuvole. Di fronte e intorno a noi, qua e là, il buio era
continuamente rotto da lampi che si susseguivano, sempre più
frequenti, a testimoniare l'arrivo degli ultimi invitati, che si
materializzavano, arrivavano con le Passaporte o impiegavano altri
mezzi più o meno convenzionali. Senza indugiare, ci mettemmo
in
marcia dietro a nostro padre, che avanzava sicuro verso gli alberi,
orientandosi con le stelle e aiutandosi con la luce della sua bacchetta
per rischiarare il percorso davanti a noi ed evitare gli ostacoli.
Quando ci immergemmo nella foresta, papà mise il braccio
destro
attorno alle spalle di mio fratello, aggrappandosi a lui e al contempo
proteggendolo, come se ne andasse della sua stessa vita, ma non fece
altrettanto con me, cosa di cui infondo non mi sorpresi: nonostante
tutte le stranezze di quei giorni, infatti, non mi aveva rivolto
nemmeno una parola dopo la predica al termine del “processo
di
famiglia”. Durante la marcia nel bosco, però, la
situazione cambiò rapidamente e inaspettatamente: all'inizio
mi
guardò risoluto, imponendomi di restare alla sua sinistra,
poi,
vedendo che avevo difficoltà a star dietro al suo incedere
energico e finivo spesso con lo scivolare qualche metro alle sue
spalle, prima decise di rallentare, tanto da avermi sempre un paio di
passi davanti a lui, poi finì col prendere anche me sotto la
sua
ala protettiva. Incrociai un paio di volte il suo sguardo e mi sorprese
non vedere nei miei confronti la solita espressione esasperata, quella
che usava per darmi dell'incapace senza nemmeno sprecare fiato e
parole, c'erano, invece, una serenità e una benevolenza a
dir
poco inusuali; e l'impazienza con cui mi cercarono i suoi occhi, per
tutto il tempo, invece di procurarmi la solita inquietudine, mi
trasmisero un particolare senso di appartenenza. Doveva essere
l'effetto dell'atmosfera di quei luoghi, o di una qualche Magia messa
in atto dai Maghi del Nord per predisporre gli ospiti alla condivisione
della felicità degli Sherton: m’imposi di non
pensare, di
non fare congetture, di non farmi domande e soprattutto di non sognare
troppo, per non farmi male al risveglio, quando sarebbe finito tutto e
tutto fosse tornato come sempre. Perché, lo sapevo, era
inutile
illudersi: con la mia famiglia, tutto, prima o poi, tornava
com’era sempre stato. Mi limitai ad assaporare quei brevi
momenti, stretto a lui, respirando da vicino il suo profumo buono e
costoso e sentendo attraverso le vesti il calore del suo abbraccio, la
mente vuota, com’era già accaduto alcune estati
prima a
Zennor. E alla fine, con un brivido, percepii la mia ferma
volontà di ribellarmi a lui e al suo modo di essere, che da
tempo mi si agitava dentro violenta, dissolversi come il mio fiato nel
gelo della notte. (1)
Diversi minuti dopo, con gli altri, uscii dal fitto del bosco e da
quella specie di apnea e mi sentii di nuovo più lucido: mi
guardai attorno, eravamo in una radura più piccola,
delimitata
da un ampio cerchio di tende, con i tradizionali falò accesi
all’ingresso e i tappeti e le pelli dispiegati a terra, su
cui
Streghe e Maghi del Nord, nelle loro tuniche tradizionali, bevevano le
loro misteriose bevande fumanti. Avanzammo, disorientati da quella
folla, finché nostro padre non individuò al
limitare del
bosco, dalla parte opposta della radura, una ricca tenda con i simboli
degli Sherton, al cui ingresso, in attesa, riconobbi il volto noto
dell'Elfo personale di Alshain, Doimòs.
“Eccola, la tenda destinata a
noi è
laggiù! Ve lo dico un'ultima volta: guai a voi se vi trovo a
ficcare il naso dove non dovete, hai capito Sirius? E ora aprite bene
le orecchie: il Rito cui stiamo per assistere pare sia più
antico persino del legame di Salazar Slytherin con queste Terre, ma per
una serie di ragioni, non è più stato celebrato
da oltre
due secoli... Nessuno dei presenti, nemmeno tra i più vecchi
Maghi della Confraternita, ha mai assistito a questa Cerimonia, prima
di questa notte. Spero vi sia più chiaro, adesso, quale
privilegio vi sia stato concesso e per quale motivo ho preferito
portarvi con me che lasciarvi seguire vostra madre a casa di Cygnus:
pretendo che siate degni non solo del nome che portate, ma anche e
soprattutto del favore che il vostro padrino vi ha accordato... Se
metterete in imbarazzo me o, ancor peggio, Alshain... ”
“... ce la farai pagare
cara...”
Mio padre mi fissò e annuì, guardai Regulus, era
terrorizzato come ogni volta che nostro padre ci faceva una delle sue
prediche. Di solito io ero annoiato dai suoi discorsi sull'onore, sulla
famiglia, sull'orgoglio Black e Serpeverde, e su tutto ciò
che
per lui era importante e che a me non interessava affatto, da tempo
avevo persino imparato a curarmi poco dei suoi avvertimenti e delle sue
minacce, perché, anche comportandomi
“bene”, i miei
trovavano sempre una scusa valida, quando volevano punirmi. Quella
notte però, sentire che le sue parole non erano vuote come
sempre, vederlo animato dal fuoco vivo della sua amicizia per Alshain e
dal desiderio autentico che aprissimo gli occhi su qualcosa
d’importante, mi fece condividere col cuore la sua
volontà
e, coinvolto, lo rassicurai con il mio sguardo: poteva fidarsi anche di
me.
Se solo fosse
sempre così, tra noi... Se lo vedessi così
appassionato
per qualcosa che non sia il vuoto senso del decoro... forse
riuscirei a...
No, è meglio non volare troppo in alto con la fantasia!
Nella tenda, Doimòs ci aiutò a eseguire i Riti
purificatori con l'acqua e gli unguenti, poi ci vestimmo con tuniche
simili a quelle che avevamo indossato un anno prima e infine ci
avvolgemmo nei nostri caldi mantelli scuri: per tutto il tempo ripensai
a quando avevo spiato Alshain durante la sua vestizione, alla prima
volta che avevo visto le misteriose Rune tracciate sul suo corpo, alla
curiosità e all'ammirazione che avevo provato per lui e per
il
mondo che rappresentava. Mio padre controllò il suo
orologio e, appurato che mancava ormai poco alla mezzanotte, ci
ordinò di uscire, in tempo per vedere gli Sherton emergere
dalla
loro tenda: era la più grande, sul lato opposto della radura
e,
come già sapevo, si poteva riconoscere dagli stemmi della
Confraternita e di Salazar, che vi erano stati ricamati sopra in un
lontanissimo passato. Un vecchio si mise alla testa di una lunga
processione di Maghi e Streghe che si formò all'istante,
riconoscendo dal lento movimento delle stelle che era giunta l'ora di
introdursi di nuovo nel fitto del bosco: Alshain, stretto nel suo
mantello scuro, il cappuccio calato sul viso, si accodò
proprio
alle spalle del vecchio, portando il prezioso fodero che conteneva la
spada di Hifrig legato alla cintola, dietro di lui riconobbi dalla
statura prima Mirzam poi Rigel, anch'essi incappucciati, seguiti da
vicino da Deidra e Meissa, entrambe con il capo velato. Tutti gli altri
Maghi si mossero ordinatamente dietro di loro, reggendo delle fiaccole,
noi, con nostro padre ci ritrovammo a circa metà della fila,
ed
entrammo nel bosco quando ormai la testa della processione non si
vedeva più, immersa nel fitto intrico di rovi e alberi;
com'era
già successo un anno prima, appena il bosco si
aprì in
una nuova radura, una Strega anziana, che si era messa alle spalle di
Deidra e Meissa, levò alto il braccio sinistro e tutte le
donne
si staccarono dalla processione per fermarsi e disporsi lì,
al
buio, in cerchio, noi invece continuammo ad avanzare, fino a
raggiungere una quercia isolata, tra i cui rami spiccava un ricco,
inconfondibile cespuglio di vischio. Mi guardai attorno: nella penombra
rossastra creata dalle fiaccole, capii che eravamo su uno degli speroni
di roccia a picco sul mare, dietro di noi si era richiuso il bosco,
davanti e intorno c'erano solo gli orridi strapiombi, le rocce
acuminate, il cielo infinito e l'oceano tempestoso, le onde che
ululavano sotto di noi, il vento che ci portava addosso l'aria gelida
mista all'odore inconfondibile della salsedine. La potenza stessa di
quella terra sembrava permearci, esaltarci, entrare in noi attraverso
la pelle e il respiro: ci dava potere e... vita. Appena la vidi, la
quercia dall'aspetto millenario, isolata, esposta alle correnti, che si
ergeva come un tempio a sfidare la forza della natura, mi chiesi se
fosse un caso che fosse nata proprio lì, o se fosse
piuttosto
l'ultima reliquia rimasta di un Bosco Sacro più esteso, ma
quando sentii la potenza di Herrengton sulla pelle e poi nel corpo,
compresi che la scelta di quel luogo rispondeva a una precisa ragione,
che quel suolo celava una storia che, prima o poi, sarei riuscito a
conoscere. Guardai mio padre, la sua occhiata mi diceva che forse aveva
indovinato i miei pensieri, immaginai che, al momento opportuno, avrei
avuto le risposte che cercavo proprio da lui, com'era già
successo in passato, così in silenzio seguii gli altri; ci
disponemmo in cerchio, il Mago che ci aveva guidato fin lì
fece
i tre giri attorno alla quercia, disegnò con la spada, a
terra,
nella neve, proprio nel punto più proteso sopra l'oceano, il
Cerchio del Sole e vi accese nel mezzo un falò, poi parlando
in
gaelico si rivolse ai quattro punti cardinali, travolto quasi
completamente dalla potenza del vento che sembrava spirare sempre
più violento: quando finì di recitare le sue
formule, il
vento si placò di colpo e, sotto di noi, il mare smise di
ululare. Immaginai, colpito da quella misteriosa potenza, che
fosse questo uno dei motivi per cui i Maghi del Nord non accettavano
estranei nelle loro Terre e perché alcuni, al Ministero,
avevano
tanta paura di loro.
Mirzam, unico tra tutti noi, si sollevò il cappuccio e con
sorpresa, alla luce delle fiaccole, ammirai il suo volto, ripulito
dalla barba fluente che gli avevo visto poche ore prima a Grimmauld
Place, a parte un piccolo ciuffo rossastro che aveva ancora sul mento;
anche i capelli erano stati tagliati e apparivano incredibilmente corti
per gli standard di uno Sherton. Regulus parve sorprendersi anche
più di me per quel visibile dettaglio.
“Che cosa ha fatto ai capelli?
Fino a poche ore fa aveva quella bella coda di capelli scuri!”
“Fa parte dei sacrifici dei
Riti di
Rinnovamento: oggi Mirzam ha passato tutto il giorno da solo, per
purificarsi nella Grotta della Sorgente, ha bagnato le sue Rune con gli
infusi di erbe magiche e infine si è tagliato i capelli e la
barba, per offrirsi rinnovato a Herrengton e alla nuova fase della sua
vita. Se non capiterà nulla che lo porti a un nuovo
sacrificio
prima del tempo, lascerà crescere i capelli fino al giorno
della
nascita del suo primo figlio. Il loro intero corpo, non solo la pelle,
è infatti una tela su cui Herrengton traccia il Cammino
dell'Esistenza.”
“Non prenderà delle
Rune per il matrimonio?”
“Certo, e stavolta a fargliele
sarà
proprio suo padre, non un sacerdote qualunque. Adesso fate silenzio e
osservate: quello che uscirà ora dal cerchio è
Duncan
MacPherson, il maestro di Alshain, un Mago molto potente, noto in tutte
le Terre del Nord, e non solo, con il soprannome di Fear.”
Provai un brivido, quando sentii pronunciare quel nome e con
un’ansia notevole rividi nella mente scene spaventose
vissute,
per fortuna, solo in sogno. Osservai il vecchio Mago, che aveva
condotto il Rito fino a quel momento, rientrare nel cerchio e al suo
posto emergerne un altro, dalle lunghe chiome canute sciolte sulle
spalle ampie, completamente vestito di bianco: si avvicinò
all’albero con una falce dorata e pronunciò in
gaelico le
formule che raccontavano, come sapevo dall'anno precedente, la morte
del Vecchio Sole e la nascita del Sole Nuovo. Io non ascoltai nessuna
di quelle parole, ipnotizzato dalla figura del Maestro, che emanava un
magnetismo potente, quasi fosse un tutt'uno con quella Terra: alto e
magro, anche alla luce del falò vedevo che aveva la pelle
cotta
dal sole, il volto, uscito dagli abissi del tempo, era segnato da una
fitta rete di profonde rughe mentre i suoi occhi...
Merlino...
Pur in quella luminosità alterata, riuscivo a percepire
l'acciaio di quegli occhi, occhi che, da soli, sarebbero stati capaci
di fendere l'oscurità più profonda. Quasi in
tranche,
mentre osservavo quella figura muoversi con un'agilità
inaspettata e parlare con una voce potente e imperiosa, la Strega
anziana, che aveva guidato le donne a distaccarsi da noi, riapparve dal
bosco seguita da quattro ragazzine velate, che si disposero attorno a
Fear tendendo un panno candido sotto la quercia, così che,
quando avesse tagliato il vischio con la falce, il sacro grappolo non
si sarebbe sporcato cadendo a terra. Non fui l'unico a restare sorpreso
nel riconoscere tra le quattro ragazzine la figura inconfondibile di
Meissa.
“Quella è...
”
Mio padre annuì vedendo lo stupore di Regulus e riprese a
bassa voce le sue spiegazioni.
“Ogni anno partecipano quattro
bambine
diverse, perché il Rito prevede solo ragazzine di undici
anni
compiuti: prima è rischioso per loro, perché non
hanno le
Rune ai piedi, mentre dopo... per secoli le Streghe del Nord si sono
sposate il giorno del dodicesimo compleanno, e con il matrimonio...
diventavano inadatte.”
“Meissa però non si
sposerà a dodici anni, vero?”
Regulus lo disse con la stessa voce allarmata che avrei usato io se
avessi formulato la domanda per primo, e come me attese con ansia la
risposta: conoscendo Alshain, una barbarie del genere era a dir poco
impensabile, ma ero comunque stato assalito da una fastidiosa
agitazione.
“Direi proprio di no... Questa
era la norma in
passato, oggigiorno, situazioni del genere sono molto più
rare.”
“Come nel caso di nonno
Pollux?”
“Esatto. Vostro nonno ha
rispettato la
volontà espressa da suo padre, come si conviene a un vero
Black!”
“Vuoi dire che per il bene
della famiglia
anche a Regulus o a me potrebbe essere imposto di sposarci a tredici
anni? Non ci credo! È assurdo!”
“È proprio
ciò che sto dicendo,
invece, Sirius! Ognuno di noi, prima di ogni altra cosa, deve pensare
al bene della famiglia, alla sua prosperità e sopravvivenza:
voi
due siete ancora troppo giovani e immaturi, e spero vivamente, per
tutti, che ci sia ancora molto tempo prima che dobbiate affrontare
certe situazioni, perché, conoscendovi, combinereste solo
disastri, ma... Il futuro spesso ci sorprende e noi dobbiamo essere
preparati ad affrontarlo al meglio! Sempre!”
Guardai mio padre: era angoscia quella che gli leggevo negli occhi? Ci
stava confidando, a modo suo, quello che aveva vissuto sulla sua pelle?
O era quello che stava architettando per noi, in nome della sacra
Casata dei Black?
“Mirzam, però...
perché loro possono fare quello che vogliono?”
“Fare ciò che
vogliono? Lo credi
davvero? Apri gli occhi, Sirius! Hanno solo imparato nel tempo come far
convergere i propri interessi e quelli della famiglia! Se anche voi
due, crescendo, imparerete a sfruttare le situazioni a vostro
vantaggio, vi accorgerete che non è così
difficile fare
il proprio dovere senza rinunciare a niente. Al contrario, opponetevi
al bene della famiglia e ciò che vi resterà in
mano
sarà solo polvere! Ragionate seriamente fin da ora sulle mie
parole. E ora... zitti!”
Notai un'occhiata perplessa di Regulus, che non compresi, mio padre, se
la notò, fece finta di nulla, guardando entrambi con una
risolutezza che non ammetteva repliche, io ripresi a seguire il Rito,
ma mi ripromisi di indagare: mi accorgevo sempre quando mio fratello mi
nascondeva qualcosa e in quel momento c'era qualcosa che lui sapeva ed
io no. La Strega anziana si avvicinò al nostro cerchio,
seguita
dalle quattro ragazzine, distribuì il vischio, del vino e
delle
focacce, mentre Fear tracciò a terra la Croce Celtica e
invocò gli Spiriti dei Padri; infine spense il fuoco dopo
averne
preso un tizzone e con quello, guidata indietro, di nuovo, la
processione attraverso il folto bosco, accese il falò al
centro
del cerchio formato dalle donne. Quando finalmente ci ritrovammo tutti
insieme attorno al fuoco, furono pronunciati i Riti di benvenuto al
Nuovo Anno, le Streghe si scoprirono il capo e si levarono nell'aria i
canti rituali nella lingua del Nord, che durarono per tutta la notte.
Mirzam si avvicinò al falò, la Strega anziana
prese erbe
e incensi e li bruciò nel fuoco, mentre il figlio di
Herrengton
si spogliava lentamente delle sue ricche vesti, restando coperto, alla
fine, solo da una serie di fitte fasce che gli celavano il sesso, poi
si distese a terra, supino, le braccia lungo i fianchi, gli occhi
chiusi e le dita affondate nella fredda neve. Le quattro ragazzine
tesero un velo d’impalpabile seta e lo fecero cadere
lentamente a
coprirgli il corpo, la Strega gettò le vesti abbandonate nel
fuoco, insieme ai resti dei capelli e della barba, poi fu lasciato
lì, da solo, per ore, con le bambine in piedi, disposte
secondo
i punti cardinali, che gli davano le spalle, come delle guardie,
impedendo simbolicamente a chiunque, Creatura, Mago o Spirito, di
avvicinarsi. I giovani più grandi diedero il via alla Danza
delle Spade, tutti gli altri presenti si rilassarono e si abbandonarono
alla convivialità: alcuni mangiavano e bevevano, altri
parlavano
e osservavano, altri ancora si cimentarono in danze più
profane.
Da lontano, non staccai gli occhi da Alshain: mi sembrava molto
preoccupato, quasi assente, non lo vidi parlare con nessuno, gli occhi
fissi sulla figura immobile di suo figlio, che non mosse mai un solo
muscolo, come se fosse stato pietrificato; anche Deidra e Rigel non si
lasciarono coinvolgere dai festeggiamenti, e Meissa, al pari delle
altre tre ragazzine, non ebbe un solo istante di cedimento. Mi chiedevo
se non fosse pericoloso, restarsene così a lungo immobili,
nudi,
esposti a quella temperatura ma, cogliendo le nostre espressioni
dubbiose, papà, pur assorto dai movimenti fluidi e dalle
figure
cabalistiche della Danza delle Spade, e preso in un enigmatico gioco di
sguardi a distanza col suo migliore amico, rassicurò me e
Regulus affermando
“... in questo momento Mirzam
ha anche più caldo di noi!”
Quando ormai mancava poco più di un'ora all'alba, vedemmo
salire
in cielo, dal mare, un lampo rosso, come se qualcuno avesse lanciato un
Incantesimo di segnalazione: di colpo i canti e i balli si fermarono,
tutti guardarono verso Mirzam, che si mosse per la prima volta dopo
tante ore. La Strega anziana si avvicinò con Fear al
giovane,
finalmente in piedi, lei iniziò a ripassare con un
inchiostro
rosso le Rune che Mirzam aveva sul collo, sulle mani e sui piedi, sul
petto e sulla schiena, poi brandì il falcetto dorato che il
vecchio Mago le aveva offerto e tagliò di netto il ciuffo di
peli che aveva ancora sul mento, ferendolo. Fear, rapido,
lasciò scorrere sulla ferita l'acqua conservata in un corno
d'argento che sanò all'istante il taglio, lasciando al suo
posto
una cicatrice fatta di una sottile serie di Rune.
“Quella, ragazzi, è
l'acqua della
Sorgente di Herrengton, è usata in tutti i Riti del Nord: da
questo momento Mirzam è pronto! Ora dovrà entrare
nel
bosco e da lì dovrà scendere alla Grotta di
Salazar dove
lo attenderemo. Prima di riunirsi a noi, però, deve
raggiungere
Sile e portarla con sè. E tutto questo dovrà
compiersi
prima che il disco del Sole emerga completamente dai flutti...
”
“E farà in tempo?
Noi ci abbiamo messo
ore a scendere alla spiaggia, quest'estate, e non c'era la neve e...
qui la foresta sembra molto più fitta! Che cosa accadrebbe
se
non ci riuscisse?”
“Ci riuscirà,
Regulus, deve riuscirci... altrimenti non ci sarà nessun
matrimonio.”
“In che senso? Ormai gli
invitati stanno arrivando da tutto il Regno!”
“Nel senso peggiore che tu
possa immaginare,
Sirius. Questi Riti antichi sono stati abbandonati, negli ultimi
secoli, perché molto pericolosi: a un certo punto, in
passato,
gli Sherton ebbero persino difficoltà a sposarsi,
perché
nessuno voleva rischiare di morire per mischiarsi a loro!”
“Allora perché
hanno deciso di recuperare queste tradizioni?”
“I giovani del Nord sono
abituati fin da
piccoli alla durezza delle prove legate alle Rune e sentono sempre il
bisogno di vincere le sfide con se stessi: Mirzam e Sile sono entrambi
molto legati alle Tradizioni del Nord, e con il “Matrimonio
Tradizionale” sanno di poter dimostrare a tutti l'assoluta
serietà delle proprie intenzioni. Benché poco
entusiasta,
Alshain, non è riuscito a dissuaderli e ha dovuto cedere,
soddisfacendo, tra le altre, anche questa richiesta. Ora,
però,
muoviamoci, perché si sta formando la fila.”
Alshain si alzò, levò la destra e
attirò su di
sé, senza parlare, l'attenzione di tutti: nel silenzio
totale,
senza incantesimi verbali, evocò in mezzo al cerchio
un’ara di pietra, su cui era incastonato il piedistallo di
una
bilancia dorata con due piatti; con un potente “Wingardium
Leviosa” fece in modo che restasse librata a un metro e mezzo
da
terra, sospesa all'interno di una specie di palla evanescente che la
isolava dalle interferenze di qualsiasi cosa, vibrazione, calore, la
circondasse. Sherton materializzò poi, dal nulla, un piccolo
vasetto, lo incantò così che s'innalzasse a
mezz'aria
sopra la bilancia e vi rimanesse sospeso: lentamente, da un piccolo
foro sul fondo, iniziò a cadere sui due piattini una polvere
iridescente che si distribuiva equamente, in modo che un piatto non si
sbilanciasse mai rispetto all’altro. Estrasse poi la
bacchetta
d’argento dalla cintola e con un colpo secco, rivolto verso
il
mare, produsse un intenso getto di luce dorata che illuminò
il
cielo a giorno: pochi minuti dopo, l'equilibrio si spezzò e
uno
dei due piatti sembrò reggere un peso superiore
all’altro,
con la polvere iridescente che cadeva più veloce e
concentrava
il suo flusso solo sul piatto destro. Un brivido mi percorse la
schiena, non sapevo cosa significasse, ma ero convinto che non fosse un
buon presagio: guardai mio padre, per la prima volta
dall’inizio
dei Riti, non solo apparve poco propenso a parlare, ma addirittura lo
vidi più preoccupato di Regulus e me. Mi voltai, Mirzam si
stava
inoltrando nella foresta, da solo: mi chiesi cosa ci fosse realmente
lì dentro di tanto temibile, cosa gli sarebbe successo e,
soprattutto, se l'avrei più rivisto. Infine, pressato dalla
folla che si stava disponendo ordinatamente in una nuova processione al
seguito di Fear e Alshain, che con la loro Magia reggevano e libravano,
sopra le loro teste, l'ara di pietra, mi accodai agli altri, rincuorato
nel sentire la presenza di mio padre e di mio fratello dietro di me.
***
Lord Voldemort
Howgill Fells, Cumbria - 20/21 dicembre 1971
Il vento scuoteva violento gli alberi spogli, le
nuvole si rincorrevano, cariche di tempesta, ovunque regnava
l'oscurità, rotta a tratti dallo spicchio di luna nel cielo
e
dal fuoco delle fiaccole portate dagli Elfi; l'aria gelida penetrava
attraverso i tessuti, costringendo la comitiva, appena materializzata,
a infagottarsi sempre più nei propri ricchi e caldi mantelli
e
ad alzare sul viso baveri e stole costose. La processione,
rapida e silenziosa,
attraversò il bosco, fino a raggiungere una radura: tutti,
uomini e donne, si fermarono, si disposero in cerchio attorno al
falò che i primi Elfi, spediti da oltre un'ora, avevano
già acceso e tenevano vivo bruciandovi erbe magiche ed
essenze. Nessuno disse parole o fece gesti che
sottintendessero un rituale ma, rispondendo a una consuetudine che si
ripeteva uguale a se stessa ormai da generazioni, due figure, un Mago e
una Strega, si avvicinarono al fuoco, sollevarono il cappuccio,
mostrando i volti anziani e impassibili alla luce rossiccia delle
fiamme, estrassero, con le dita cariche di gioielli, da sotto il
mantello due sfarzosi sacchettini, che tenevano alle rispettive
cintole, e gettarono il contenuto nel falò, recitando a
bassa
voce, un misto d'invocazione per ottenere la protezione su se stessi e
la propria Famiglia e maledicendo tutti quelli che recavano danno al
loro prestigio e ai loro interessi. Uno dopo l'altro, tutti i
Maghi e le Streghe, oltre
una trentina di persone accomunate da legami di Sangue, si
avvicinarono, ripetendo gli stessi gesti e le stesse preghiere,
dopodiché si ritrassero in silenzio al proprio posto, in
attesa
di mettere fine a quella riunione. Solamente io e l'ombra al mio
fianco, per tutto il
tempo, rimanemmo distaccati dagli altri, al limitare del bosco: non
avevamo richieste da fare agli dei antichi, al Sole o a qualsiasi altra
Entità superiore, confidavamo solo in noi stessi, nella
potenza
della nostra Magia e nella solidità del comune progetto,
ormai
prossimo al compimento. Imponente, stretto nel mio mantello
scuro che
rifulgeva per semplicità e sobrietà in quello
scintillio
di lusso e apparenza, osservavo attento quella sequela di gesti vuoti e
parole vane e sorridevo, falsamente compiaciuto, di quella che
consideravo solo stupida superstizione. Sognavo da anni il giorno in
cui anche ciò
che restava di quelle tradizioni antiche, ma ormai svuotate di
significati e convinzione, sarebbe stato spazzato via, sconfitto dal
ritorno a una Fede Pura, da un Ordine Nuovo, di cui sarei stato
Principe e Giudice, forte di ciò che nessuno mai, nemmeno il
mio
potente e glorioso antenato, aveva sognato: vincere il tempo, la
storia, addirittura la Morte, diventando io stesso il dio immortale
davanti al quale tutto il mondo, magico e non, si sarebbe prostrato.
“Mio Signore... ”
Mi voltai ma non risposi, accarezzai con lo sguardo
la figura devota al mio fianco, il cui Nome e il cui Sangue erano
carichi di storia, nobiltà e purezza: quel Nome apriva
qualsiasi
porta, poteva piegare buona parte del mondo magico ai propri voleri,
eppure si offriva a me, metteva al mio servizio la propria potenza e la
propria persona, con umiltà e sottomissione. Un piacere
ancora più intenso e ottenebrante
del godimento fisico s’impossessò di me, mi fece
vibrare e
bruciare, pieno d'orgoglio per me stesso, per aver già
cancellato l'onta di una nascita imperfetta grazie alla mia potenza
magica, alle mie imprese, al mio prestigio. Assaporai il
preludio della vittoria, consapevole che quello era solo l'inizio. I
miei seguaci stavano reclutando ogni giorno nuove
leve per il mio esercito e questo mi esaltava non solo
perché il
mio trionfo definitivo si faceva più vicino, ma
perché
dimostrava che molti avevano compreso il mio ruolo di guida, di
Benefattore del Mondo Magico, colui che, affrontando una
realtà
statica e agonizzante, permetteva a tanti giovani volenterosi di
diventare veri uomini, versando sangue impuro e contribuendo alla
realizzazione del Nuovo Corso, di quel mondo giusto che molti ormai
chiedevano a gran voce. Guardai di nuovo la ricca comitiva riunita
davanti
al fuoco e ripensai alla serata appena trascorsa: ero stato invitato
con gli onori di un re presso famiglie di alto lignaggio, avevo
raccolto molti consensi, molte promesse di denaro e di appoggi, facendo
leva come al solito sulla deriva del Ministero, sulle
difficoltà
e le umiliazioni subite dai Purosangue, sulla necessità di
un
cambio dei vertici. In realtà quella sera non avevo
reclutato
nessuno, non avevo impresso il marchio dei miei devoti su nessun nobile
braccio, ma non me ne dispiacevo, perché una vittoria piena
e
completa non si ottiene solo sul campo di battaglia: occorreva anche
tessere reti di relazioni ed era questo che avevo chiesto e ottenuto
dalle mie amicizie influenti, quelle che, per vanità o
codardia,
non se la sentivano di correre rischi e sporcarsi le mani, quindi
pagavano per far tacere le proprie coscienze, davano il proprio
contributo sostenendo economicamente la causa e fornendomi agganci ai
massimi livelli della politica. Sì, era stata una serata
proficua, molto proficua e nei giorni successivi... Se tutto fosse
andato secondo programma, il
Ministero della Magia sarebbe passato in mani più abili e,
soprattutto, amiche entro la fine dell'anno; subito dopo, avrei
ottenuto il controllo completo del Wizengamot e, alla fine, sarebbe
saltato anche il posto, e soprattutto la testa, di un certo, maledetto,
vecchio, che da troppo tempo osava frapporsi tra me e il mio sogno
più grande: Hogwarts. Sì, volevo Hogwarts sopra
ogni altra cosa,
volevo guidare e plasmare personalmente tutte quelle giovani menti, per
evitare che cadessero in errore: in un modo o nell'altro, presto ci
sarei riuscito. I miei piani avrebbero goduto di una notevole
accelerazione se avessi dominato la fiamma di Herrengton e esteso il
mio potere sui luoghi che spettavano per Diritto di Sangue all'erede di
Salazar Slytherin: appena ci fossi riuscito, persino i più
cauti, uomini influenti come Arcturus e Orion Black, resi troppo pigri
e pavidi dalla vita comoda e dai privilegi, avrebbero messo da parte i
propri dubbi e mi avrebbero sostenuto, senza ulteriori indugi. E ora,
finalmente, era arrivato il giorno della svolta per me e per l'intero
mondo magico.
“Mio Signore, i fuochi son
quasi spenti ...”
Non mi voltai, ma mi lasciai andare ugualmente, per
pochi attimi, alla grazia di quella voce: strinsi gli occhi e
ripercorsi nella mente, trepidante e bramoso, la vista delle sue
fattezze piene e perfette che, invitanti sotto gli abiti costosi, si
offrivano a me, a me che da mesi giocavo a fingermi indifferente. Un
tempo, nei giorni ingiuriosi del mio passato,
avevo promesso a me stesso che mi sarei preso qualsiasi cosa volessi,
in qualsiasi modo, per il semplice fatto che tutto mi spettava di
diritto, avevo iniziato con gli insulsi trofei strappati alle mie
giovani vittime, avevo proseguito scegliendo con cura maniacale le
reliquie dei Fondatori, in cui conservare i frammenti della mia stessa
Anima. Quel giuramento, da qualche mese, comprendeva anche
lei, la donna del mio discepolo più devoto, il frutto
più
bello e malvagio di una delle famiglie più pure
d'Inghilterra:
presto avrei goduto pienamente, in ogni modo possibile, anche di lei,
traendo la massima soddisfazione, prima ancora di assaporarne la carne
e il sangue, nel vederne a lungo la nobiltà e la purezza
prostrate ai miei piedi, nell'ammirarne l'orgoglio trasformarsi in
supplica, vinta dal desiderio, che già sentivo forte in lei,
di
farsi usare, violare, marchiare da me, il suo Signore. Pregustavo nella
mente quel gioco, ma m'imponevo
cautela, perché il desiderio poteva dimostrarsi anche per me
una
sottile forma di debolezza, qualcosa che poteva rendermi umano e
tangibile: per questo negli anni avevo imparato a dominarmi, rendendomi
pienamente padrone di tutto, a cominciare da me stesso.
“Il nuovo giorno
cambierà le sorti del mondo magico... Sei pronta, Bellatrix?
”
“Oggi, mio Signore?”
“Sì, oggi... Sempre
che tu non abbia paura di affrontare gli Sherton!”
Ghignai, vedendo l'odio diffondersi negli occhi di ossidiana nera della
giovane al mio fianco. Nell'istante stesso in cui la mia bacchetta
aveva
marchiato la pelle diafana di Bellatrix Black in Lestrange,
accogliendola nella cerchia ristretta dei miei devoti, in quell'attimo
di debolezza che le avevo strappato, fatta di straniamento e dolore e
piacere mentale, ero riuscito a penetrare nei suoi ricordi, leggendo
come in un libro aperto ciò che volontariamente non avrebbe
mai
ammesso nemmeno con se stessa: la rabbia feroce, ancora palpitante, per
il rifiuto, il dolore per l'umiliazione subita, il desiderio di
vendicarsi sul responsabile diretto e su tutti coloro che avevano
contribuito in un modo o nell'altro alla sua sconfitta. A
cominciare dal suo sposo: Rodolphus Lestrange.
“Per Voi sono pronta a tutto,
Mio Signore! Nulla mi fermerà!”
Sorrisi: com'era infondo simile a me, quella creatura ferita! Conoscevo
quella rabbia, me ne ero cibato per anni,
e grazie ad essa, alla fine, avevo cancellato Tom Riddle ed ero
diventato per l'intero mondo magico “Lord
Voldemort”,
“Milord”, “Colui che non deve essere
nominato”. La stessa rabbia rendeva lei la devota perfetta:
mi
sarei servito di tutto quell'odio folle e feroce a mio vantaggio, mi
sarei nutrito fino in fondo della sua potenza ancora acerba,
plasmandola e guidandola.
Così come godrò, infine, del suo ventre.
Nonostante mostrasse ancora, a volte, gli
atteggiamenti irritanti tipici delle antiche famiglie, non riuscivo a
disprezzare Bellatrix Black in Lestrange come disprezzavo la maggior
parte del mondo da cui veniva, quello che avevo conosciuto nei miei
anni a Hogwarts, fatto di Slytherin bramosi di sangue, certo, ma
rammolliti, viziati, svogliati, incapaci di darsi delle regole, di
prefiggersi uno scopo che non fosse il tornaconto personale; traditori
anch'essi, perché, indolenti e vili, non avevano mosso un
dito
mentre il Mondo Magico cadeva nel baratro. Bella, invece, era diversa,
la sua anima riconosceva
e tendeva al Bene Superiore, per questo se avesse mantenuto appieno
ciò che mi aspettavo da lei, alla fine l'avrei ricompensata,
concedendole la vendetta agognata e innalzandola al di sopra di tutti
gli altri. Anche perché, al contrario della maggior
parte di coloro che si avvicinavano a me, supplici, cercando di trarre
un meschino profitto, Bellatrix Black provava nei miei confronti una
devozione pura e autentica: cercava di compiacermi solo per guadagnarsi
la mia stima, desiderava essere apprezzata per le proprie
capacità, essere giudicata per se stessa, non per il nome
che
portava, voleva essere solamente“Bellatrix”, non la
figlia
o la moglie di un uomo influente.
“Non voglio che tu corra
rischi inutili:
domani, al momento giusto, un insospettabile eseguirà i miei
ordini e tu approfitterai del diversivo per prendere ciò che
voglio... ”
Gli occhi di Bellatrix s’infiammarono,
credendo forse di cogliere nelle mie parole un po' di premura nei suoi
confronti: già grata che le dimostrassi tanta fiducia da
affidarle un incarico estremamente importante, la sua venerazione per
me si accrebbe ancora di più. Mi ripromisi di premiare tanta
dedizione
concedendole il privilegio di assistere al mio ingresso trionfale nelle
Terre del Nord, godendo in prima fila dello scempio che avrei fatto di
quella specie di rinnegato di Alshain Sherton e dei suoi familiari.
“Non farne parola con
Rodolphus, però,
ho affidato anche a lui un compito importante, e non voglio che sia
distratto!”
“Un compito importante? Mio
signore, non
voglio mancarVi di rispetto ma... ne siete certo? La malevolenza del
giovane Sherton ha spesso tratto vantaggio proprio
dall'ingenuità del mio sposo...”
“Ho un'alta opinione di
Rodolphus, Bellatrix,
lo ritengo il migliore dei miei discepoli, l'unica pecca che
eventualmente posso trovargli sei tu, è la venerazione che
prova
per te che, a volte, lo fa essere manchevole nei miei confronti...
pertanto dovrai essere accorta, perché puoi essere la nostra
carta vincente, come la nostra rovina...”
La giovane fece un chiaro cenno di umile assenso, il
suo entusiasmo e la sua baldanza avevano lasciato in parte il posto
alla mortificazione per il velato rimprovero e soprattutto alla gelosia
e al risentimento verso il suo sposo, che ancora una volta avevo
definito il migliore tra i miei seguaci. Sorrisi, avevo scelto con cura
le parole da usare,
quelle che sapevo avrebbero spinto Bellatrix a fare di tutto, anche
l'impossibile, per portare a termine la missione: in quei pochi mesi
avevo imparato come ottenere il meglio da lei, come sollecitarla
toccando di volta in volta le corde giuste, come esaltarne l'impeto e
la determinazione dimostrandole un sincero interesse, o scatenarne
l'odio feroce verso gli Sherton, riaprendo antiche ferite.
Ciò che mi divertiva particolarmente,
però, era alimentare la rivalità reciproca tra
Bella e
suo marito, anche perché ne traevo, alla fine, un
incredibile
vantaggio. Bellatrix voleva guadagnarsi sul campo il rispetto
dei compagni e il mio favore, dimostrando chiaramente di valere come
persona e come Strega, al di là delle parentele importanti,
ma
il suo desiderio segreto andava ben oltre: voleva essere la migliore
tra tutti, prendere il posto di Rodolphus al mio fianco, e infliggergli
così la più terribile delle umiliazioni, a
parziale
risarcimento di quelle subite. Da parte sua, Rodolphus, pur
preso
profondamente da lei, aveva intuito quelle trame e cercava in ogni modo
di impedire che si concretizzassero, non poteva permettersi, infatti,
di perdere la posizione di prestigio che aveva assunto negli ultimi
anni al mio fianco e ancor meno di subire l'umiliazione di essere
scalzato da una donna, da sua moglie per giunta: pur ricco e potente,
infatti, Rodolphus non era ancora riuscito ad affrancarsi del tutto
dalla figura di suo padre, un uomo che non perdeva occasione per
umiliarlo, dandogli dell'incapace, perché l'erede che tutta
la
famiglia Lestrange aspettava, tardava ad arrivare.
“Non essere turbata: domani,
finalmente
metterò fine a tanti, troppi errori... e tu godrai della
giusta
ricompensa... ora vai...”
La donna s’inginocchiò davanti a me,
grata, raccolse la mia mano e se la portò alle labbra,
perdendosi in un bacio caldo e voluttuoso sulla mia pelle fredda:
sentii il calore di quel bacio penetrare nella mia carne, scivolare
dentro fin negli abissi più oscuri della mia mente e del mio
corpo, incendiarmi il sangue e accendermi infine di folle
desiderio. Abbassai lo sguardo su di lei, turbato: era
lì, compiaciuta, prostrata con devozione ai miei piedi, una
figura completamente avvolta di oscurità, i suoi occhi,
fissi
nei miei, fiammeggianti, erano due pozzi neri in cui si agitavano i
fantasmi del desiderio, carichi della promessa di futuri, ben
più intimi onori. Alla fine si alzò, lasciando
intravvedere,
furtiva e maliziosa, dal cappuccio, parte della pelle nivea del suo
collo e il corvino setoso dei suoi capelli, poi scivolò via,
per
raggiungere le altre ombre e occupare il suo posto tra quanti
chiedevano ancora alle fiamme sostegno per il nuovo anno. La guardai,
per un'ultima volta, poi mi
smaterializzai tra gli alberi, pregustando le delizie che il futuro mi
avrebbe donato. Ormai, mancava davvero poco all'alba.
***
Mirzam Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971
La foresta si richiuse alle mie spalle,
inghiottendomi: tutto intorno a me c'erano solo odore di resina mista a
salsedine, freddo e oscurità. Conoscevo
già quella sensazione di
smarrimento, l'avevo provata sei mesi prima, la notte di Litha, prima
di assumere le mie ultime Rune, ma in quella circostanza mi erano stati
concessi più tempo, dei vestiti, una scopa e una spada. E,
soprattutto, a essere in gioco, allora, era solo la mia vita.
Probabilmente, anche in quest'occasione, il Rito
avrebbe unito al peregrinare nella foresta quello negli abissi
più oscuri della mia mente, perciò mi aspettavo
che
presto sarebbero iniziate delle visioni che mi avrebbero fatto perdere
il senso della realtà. L'ultima volta non era stata una
bella esperienza,
avevo avuto prova di cosa sarei stato capace di fare, se solo avessi
lasciato libero sfogo ai miei istinti e, mentre ero impegnato ad
affrontare uno dei miei demoni personali, non mi ero accorto di un
orso, uscito dalla foresta, intenzionato a fare di me uno spuntino
notturno. Ne avevo ancora le cicatrici addosso. Feci un respiro
profondo, chiusi gli occhi e
affondai un altro passo nella neve gelida: la morsa del freddo mi
addentò il piede, divenne una specie di fuoco che mi avvolse
la
caviglia e risalì come una miriade di spilli ardenti fino al
polpaccio, penetrò sempre più nelle mie carni,
mandandomi
stilettate di dolore alle ossa, alle ginocchia, mi percorse tutto il
corpo, ottenebrante, attraverso le terminazioni nervose, ed esplose
come uno shock lancinante nel cervello. Avevo imparato, negli anni, a
sopportare il dolore e
ormai non era più la sofferenza a spaventarmi, al contrario
temevo la perdita di controllo, perché in quel frangente non
me
la potevo assolutamente permettere. Dovevo concentrarmi e trovare in me
stesso la forza
per reagire, dovevo sbrigarmi a compiere delle scelte razionali, prima
che i miei sensi, uno dopo l'altro, si appannassero e a guidare tutte
le mie azioni rimanesse solo l'istinto, la voce che portavo dentro. A
quel punto avrei solo potuto pregare Merlino e
tutti i Fondatori, come avevo già fatto per ore steso nella
neve, coperto solo da un impalpabile velo, sperando che la mia voce
parlasse la stessa lingua di Herrengton, che la mia fede in
ciò
che ero e in ciò che portavo nel cuore fosse sufficiente a
convincere il potere della mia Terra a lottare al mio fianco per
salvarci. Mi restava poco tempo ed io dovevo sfruttarlo per
aiutare quell'intuito, indirizzarlo verso una scelta consapevole: avevo
provato a prepararmi, a lungo, e ormai pensavo di sapere come fare per
aggirare almeno alcuni degli ostacoli.
“A
sinistra. Deve essere qui, da qualche
parte. La pioggia non può averlo cancellato. Devo
trovarlo… Devo camminare per una decina di metri, tenendo
sempre
la mia sinistra fino a un... ”
Avevo studiato il percorso migliore in quei mesi, da
quando avevo capito che avrei dovuto raggiungere la spiaggia dopo i
Riti notturni di Yule: avevo visitato di nascosto, più
volte, in
varie ore del giorno e della notte, la radura della quercia e avevo
scoperto che, a pochi metri dall'inizio della boscaglia, nascosto dai
rami di un vecchio ippocastano e dai rovi, scendeva un sentiero ripido.
Era pericoloso, certo, ma era il più facile e
il più rapido da trovare, così non avrei perso
troppo
tempo vagando nel bosco, esponendomi alle false lusinghe della foresta
e, con un po’ di sangue freddo, necessario viste le
asperità, sarei riuscito a scendere molto velocemente,
perché era più diretto rispetto agli altri che
avevo
scoperto aprirsi qua e là. Ritrovai l'albero con il segno
che avevo lasciato
pochi giorni prima, una Runa incisa sul tronco a un'altezza di circa un
metro e mezzo e ricoperta da una sostanza vegetale fosforescente, per
vederla anche al buio: per fortuna, nonostante le intemperie,
l'impiastro non si era sciolto ed io ero ancora abbastanza lucido da
notarlo. Mossi un passo, poi un altro e un altro ancora, di
fronte a me, i rovi e le sterpaglie non mutarono disposizione, seguendo
un gioco sibillino che mi confondesse la mente, trovai anzi facilmente
il percorso che cercavo e iniziai ad affrontarlo. Deglutii, era molto
ripido e irregolare, la pioggia
e il ghiaccio lo rendevano scivoloso e in molti punti impervio, ma mi
ero allenato ad affrontarlo persino scalzo e bendato, mettendo in conto
che, come l'ultima volta, Herrengton potesse privarmi della
sensibilità fisica per costringermi a usare solo i sensi
interiori. Con la coda dell'occhio, vidi che dalla base degli
alberi e tra i ciottoli iniziava a formarsi una nebbiolina
azzurrognola: dalle esperienze precedenti capii che Herrengton si
preparava a mandarmi i suoi messaggeri e a quel punto avrei dovuto fare
ancora più attenzione per non perdere tempo prezioso,
suggestionato dalle visioni. Poco dopo, emerse dagli alberi,
tagliandomi la
strada, uno dei Centauri che vivevano nella foresta: dalle precedenti
esperienze e dalle raccomandazioni di mio padre, sapevo che non dovevo
prestare attenzione ad eventuali suggerimenti, ma la Creatura non mi
disse nulla, si limitò ad alzare l'indice destro verso il
cielo,
verso un punto in cui il folto del bosco si apriva un po’,
concedendo uno scorcio sull'orizzonte e sul mare, poi si
gettò
di nuovo nella boscaglia. Seguendo la sua indicazione notai una luce
soffusa
che si stava levando rapidamente da est, annunciando l'approssimarsi
dell'alba. Non sapevo a quali prove Herrengton sottoponesse il
pazzo che decideva di affrontarla dopo le Rune dei ventuno anni,
nemmeno mio padre mi era stato d'aiuto, perché non si era
sposato secondo i Riti del Nord, tanto meno con un Matrimonio
Tradizionale; vedendo però che le ombre non riuscivano a
sconfiggere la luce dell'alba, trasformandosi in immagini vivide,
m'illusi che il Centauro volesse avvertirmi che, stavolta, non ci
sarebbero stati tranelli mentali, che la prova consisteva, solo, in una
corsa contro il tempo. Tempo di cui ero scarsamente provvisto! Lasciai
da parte tutta la mia cautela e avanzai nel
bosco, deciso: smisi di camminare e iniziai a correre, saltando lieve
come uno stambecco tra i massi. Là dove era possibile,
appena la foresta si
apriva e il sentiero si proiettava a piombo sulla spiaggia sottostante,
cercavo il punto più adatto per calarmi lungo la parete di
roccia, usando le radici degli alberi più robusti per
sostenermi, tagliando in questo modo i tornanti del sentiero per
recuperarlo solo alcuni metri più in basso, quando non
potevo
fare altrimenti. A un tratto, il percorso affondò di nuovo
nel
folto della vegetazione e lì sentii una risata dietro di me:
era
così malefica e foriera di sventura che, udendola, mi si
gelò il sangue, immaginai fosse il canto di qualche Creatura
sinistra che abitava la foresta, giunta lì per farmi
materialmente del male o, peggio ancora, per farmi perdere il senno.
Quando però tra gli alberi comparve Bellatrix
Black, stretta in un succinto abito rosso, provocante, che mi guardava
con la chiara intenzione di sedurmi, risi tra me, diedi le spalle alla
visione e ripresi a correre senza più voltarmi indietro.
“Se le prove sono queste, stavolta non ho
motivo di preoccuparmi: ho passato da un pezzo le turbe che avevo a
quindici anni... ”
Sentii improvvisamente levarsi, tra la vegetazione,
un vento leggero, simile a un sospiro, m’investì,
mi
accarezzò la nuca e mi scivolò lentamente
addosso, lungo
la schiena, come una mano umida e gelida che mi fece contorcere dentro,
mi avvolse e mi penetrò attraverso la pelle, entrando poi
nel
mio stomaco e restando lì, come una presenza minacciosa.
Maledissi me stesso e la mia stupidità: con
la mia irriverenza, avevo appena sfidato quella Terra indomita e
potente e ora uno Spirito malvagio sembrava entrato in me, pronto a
farmi pentire, al momento giusto, della mia superbia. Ripresi a
correre, finché la boscaglia si
aprì nuovamente sull'oceano, guardai giù, la
costa era a
una ventina di metri sotto di me, spaziai con lo sguardo sul placido
specchio d'acqua, ringraziando gli dei perché il mare, ora,
sembrava tranquillo: ero quasi giunto alla fine, dovevo superare solo
quell'ultimo dislivello, e questo mi rendeva fiducioso, anche se la
parte restante del sentiero era scoscesa e insidiosa. Fu allora che
arrivò, inaspettato, il terzo,
e forse ultimo, messaggero: a Litha, la foresta mi aveva mandato
l’immagine di tutti coloro con cui avevo avuto dei conti in
sospeso, i finti Babbani che avevano aggredito me e mia madre, Ted
Tonks, Corso, Pucey, la stessa Bellatrix e Donovan Kelly, mettendo alla
prova la mia capacitò di resistere alle provocazioni e,
soprattutto, ai miei istinti più o meno violenti, persino
alla
mia volontà di privare alcuni di loro della vita. Stavolta,
però, non riuscivo a capire quale
fosse il legame tra i tre messaggeri: ero addirittura convinto che il
Centauro non fosse una visione ma una Creatura in carne e ossa, troppo
vivida la luce che avevo colto nei suoi occhi quando si era avvicinato.
L'immagine che avevo di fronte in quel frangente, al
contrario di Bella, mi stava facendo tremare le gambe per un'emozione
potente e misteriosa, che sapevo di portare inconsciamente dentro di me
da anni: la guardai ammirato, poteva essere una visione del futuro o la
semplice materializzazione di una speranza. Ritto di fronte a me, c'era
un bambino di circa
cinque anni, vestito con una verde tunica del Nord, i lisci capelli
corvini che gli arrivavano alle spalle, celando in parte la Runa di
Herrengton che portava al collo; mi guardava con gli stessi occhi di
Sile, sorridendo sereno, consapevole di rappresentare tutto
ciò
che, nel profondo del mio cuore, volevo davvero dalla vita. Quando mi
diede le spalle e lentamente mi precedette
lungo il sentiero, io lo seguii, senza bisogno d’inviti o
parole,
sicuro che seguendolo avrei trovato la spiaggia in tempo, senza
incappare in qualche errore, sicuro che lasciandomi guidare da lui
avrei ritrovato facilmente Sile e, insieme, saremmo finalmente entrati
nella grotta di Salazar. Di colpo, però, il bambino cadde e
sparì, come inghiottito dalla terra, mi guardai attorno per
cercarlo, ma vidi a loro volta gli alberi piegarsi e scomparire, il
sentiero di fronte a me s'interruppe, trasformato in
un’orrenda
voragine, che si apriva perpendicolarmente sulla spiaggia sottostante.
Urlai, carico d'orrore: non c’erano appigli,
né per me, né per il bambino, non potevo saltare
perché non c’erano massi sottostanti, non
c’erano
radici con cui calarsi e non potevo tuffarmi in mare, perché
sotto di me c’erano solo rocce, che si levavano verso il
cielo
come corone di artigli di pietra. Mi ritrassi terrorizzato, sconvolto,
non potevo, non
volevo guardare di sotto: anche se era stata solo una visione, non
sarei mai riuscito a tollerare la vista di quel bambino, mio figlio,
steso senza vita tra gli scogli, il suo sangue macchiare la neve, come
poche notti prima aveva fatto il sangue della mia prima vittima. Fu
allora che iniziai a capire: quelle visioni
avevano a che fare con la vita che avevo deciso di seguire, mi
mostravano ciò che potevo avere e ciò che
rischiavo di
perdere per sempre, se non avessi fatto più attenzione nel
compiere le mie scelte. Non finii di elaborare quei pensieri,
né
riuscii a pronunciare in tempo alcun Incantesimo di difesa: il terreno
iniziò a franare davanti a me, mi voltai per ritornare
indietro,
di corsa, ma anche la strada che avevo finora percorso scomparve,
inghiottita nella voragine che si era aperta sotto i miei piedi. Fui
risucchiato a mia volta nel vuoto, tra quelle
rocce che sembravano solo aspettare di cibarsi del mio sangue.
No!
Non posso morire così, non prima di...
Vidi il cielo appena rischiarato inghiottito nel
buio della voragine ed io con lui: i miei pensieri
s’infransero e
con essi tutte le mie sensazioni. Forse avevo solo perso i sensi... O
forse... Ero già morto.
*continua*
NdA:
Inizio con i consueti ringraziamenti a quanti hanno letto e recensito,
aggiunto a preferiti, seguiti, ricordati, ecc…
nota 1) Orion prende sotto la sua ala Regulus e non Sirius, poi ci
ripensa: se vi ricordate, quando Mirzam porta Andromeda su una delle
spiagge di Herrengton, le dice “Qui non ci è
possibile mentire sui nostri sentimenti”. La Magia delle
Terre del Nord, in chi percorre i suoi luoghi, fa venir fuori
ciò che si ha nell'anima (fino agli eccessi visti quando
Mirzam e Jarvis stavano per uccidersi), quindi anche Orion subisce
questo influsso: se all'inizio abbraccia Regulus perché gli
è stato ordinato da Walburga di difenderlo, mentre si tiene
alla larga da Sirius per fingersi distaccato, addentrandosi nella
foresta abbraccia entrambi i suoi figli, non più
perché deve farlo ma perché vuole farlo.
Analogamente, Sirius non può mentire a se stesso su
ciò che prova per suo padre, quel sentimento fatto di paura
di soffrire e, nello stesso tempo, di speranza di essere ancora
accettato, di riuscire a fare breccia in quel cuore che a volte non gli
appare così gelido come l'ha sempre percepito.
Un bacione!!!
Valeria
Scheda
Immagine
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