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Autore: Terre_del_Nord    10/07/2010    22 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is
Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Storm in Heaven - III.004 - Per il Cuore, Per il Sangue (1)

III.004


Mirzam Sherton
74, Essex Street, Londra - dom. 19 dicembre 1971

Non riuscivo a prendere sonno quella sera, al rientro dalla cena a Grimmauld Place: non facevo che girarmi e rigirarmi nel letto, sospeso a metà tra il dolce pensiero di Sile e delle poche ore che restavano ormai a separarci, e quello spaventoso della rabbia di Milord, quando Rodolphus gli avesse consegnato l'anello di Sirius, un altro inutile gioiello privo di qualsiasi valore. Quello che avevo fatto era rischioso, lo sapevo, anche perché non avevo idea di quando si sarebbero incontrati né potevo conoscere in anticipo le loro effettive reazioni, ma, visti quali erano ormai diventati i sospetti di Rodolphus, era urgente intervenire e ritenevo che metterlo di fronte a un errore, fosse la strada migliore per farlo desistere dalla caccia ai danni di Orion e del ragazzo. Lo conoscevo ormai da anni: pur nei suoi eccessi, Rodolphus restava fondamentalmente una persona pragmatica, che senza prove tangibili e inconfutabili, non avrebbe mai mosso guerra a una delle famiglie più influenti del mondo magico, cui, tra l'altro, era anche imparentato, perciò quella battuta d'arresto l'avrebbe fatto tornare in sé e, almeno per il momento, avrebbe lasciato stare qualsiasi velleità contro Orion Black e suo figlio e si sarebbe concentrato, come sua moglie, solo su me e mio padre, fino a trovare finalmente ciò che cercava. Certo, quest’aspetto del problema non era meno grave, anzi, pertanto dovevo mettere in scena al più presto anche la seconda parte del mio piano: per il bene di Meissa, era necessario che agissi prima che tornasse a scuola, soprattutto perché non mi fidavo di Lestrange jr., ritenevo che avesse troppo ascendente su Rigel e avevo l'assoluta certezza, pur non confermata da alcuna prova, che avesse preso parte all'aggressione ai danni di Sirius. Se ripensavo a quando avevo visto il giovanissimo Rabastan Lestrange a Trevillick, mentre seviziava un corvetto, ero ancora assalito dai brividi: uno così non avrebbe avuto scrupoli, ne ero convinto, sarebbe arrivato ad affatturare mia sorella o aggredirla, se l’avesse ritenuto necessario. Dubitavo persino che i suoi rapporti col fratello maggiore fossero difficili quanto il mio caro amico voleva farmi intendere: al contrario, probabilmente era proprio lui “l'uomo di Hogwarts”, usato da Rodolphus per avere notizie dall'interno della scuola e, in qualche modo, contrastare l'eccessiva influenza del giovane Malfoy nella casa dei Serpeverde. Aveva ragione mio padre: anche se Rodolphus si era dimostrato in più di un’occasione un amico prezioso per me, la pericolosità insita in quella famiglia non andava mai sottovalutata, o rischiavo la fine della rana che portò in spalla uno scorpione. Sospirai...

    Che razza di pensieri, a meno di ventiquattro ore dal mio matrimonio!

Mi chiesi se sarebbe mai arrivato, nella mia vita, il giorno in cui sarei riuscito a rivedere il cielo, a lasciarmi alle spalle quei pensieri e quei tormenti, dedicandomi solo alle persone che amavo e a ciò che sapevo essere giusto per me. Da quando era diventato reale il mio sogno di una vita accanto a Sile, mi chiedevo sempre con più urgenza quanto avrebbe impiegato Milord ad assumere il potere e mettere finalmente fine alla deriva del Mondo Magico, quanto avrebbe impiegato a ridare al nostro mondo una parvenza di Normalità: perché non poteva continuare così… non poteva essere per sempre così... Non era possibile che i Purosangue dovessero sottostare a quelle limitazioni, ma era altrettanto intollerabile continuare con quel clima di terrore e morte, di notti interminabili fatte d’incubi e sangue... Quando avevo avuto il mio primo, vero, incontro con lui, a Little Hangleton, Milord mi aveva fatto intendere che tutto quell'orrore servisse solo a piegare i restii, spaventarli, velocizzare un processo inevitabile, e che presto avrebbe dimostrato al mondo che, oltre alla paura, oltre al clima di terrore necessario a recidere la perversa condiscendenza che parte del mondo magico aveva nei confronti dei Babbani, ci sarebbe stato anche dell'altro, qualcosa di adatto anche alla mia indole... una rinascita della nostra natura, una riscoperta di quelle proprietà e quelle potenzialità antiche che il mondo magico aveva svenduto per sopravvivere alla convivenza col mondo babbano. Ripensai alle sue parole...

    "Permettimi di conoscerti e di farti conoscere quello che solo a pochi rivelo, il grande progetto, quello che renderà il nostro mondo migliore per tutti noi… non c’è solo quello che hai visto questa notte, io non c’ero questa notte, perché, come te, anch’io ho bisogno di altro, tu sei un’anima a me affine, Mirzam Sherton… Spero che vorrai vedere di là di tutto questo… solo vedere… la ricompensa per te andrà di là dei tuoi desideri più profondi…”

Ancora non avevo visto niente, anzi, Milord,col tempo, non aveva nemmeno mantenuto i patti: mi aveva promesso che non mi avrebbe mai costretto a fare qualcosa per cui non ero portato, come uccidere, invece alla fine mi aveva chiesto di farlo, come prova di fedeltà e riconoscenza... Ed io, nemmeno ventiquattro ore prima... Rabbrividii. Come potevo coinvolgere anche Sile in tutto questo?
   
    Sile...

Lei che probabilmente, in quel momento, era sveglia e agitata quanto me, di fronte all’ultima notte che ci avrebbe visto lontani… o magari, tranquilla e fiduciosa, si era già abbandonata al sonno dei giusti, certa che così il tempo scorresse più rapidamente… Per tutto il giorno l'avevo immaginata presa dagli ultimi dettagli, mentre controllava per l'ennesima volta la perfezione del suo abito e i ricami del suo velo; l’avevo immaginata nella sua stanza, una stanza in cui non ero entrato mai e che invece avrebbe potuto dirmi così tanto di lei, mentre accarezzava la coperta del suo letto, consapevole che non vi avrebbe dormito mai più, che quella sarebbe stata l'ultima notte che avrebbe passato da sola, fino alla fine della nostra vita. In realtà, non eravamo da soli già da un po’, l'avevo sentita giorno dopo giorno accanto a me, seppur lontani fisicamente, da quando l'avevo ritrovata, quella sera a Doire. E ora finalmente niente ci avrebbe più diviso. Nemmeno Milord o qualsiasi altro ostacolo ci avrebbe messo davanti il destino. Non l'avrei più permesso, no.

    Mancano meno di ventiquattro ore... poi finalmente la nostra vita, la nostra vera vita avrà inizio.

Sorrisi tra me, nelle ultime settimane non avevo fatto altro che progettare e vedere nella mente tutto ciò di cui avevamo fantasticato da ragazzi: ora finalmente avremmo condiviso tutto, saremmo andati di nuovo a un concerto, avremmo visitato insieme i luoghi di sua madre, l'avrei coinvolta nel mio sogno di fondare una squadra di Quidditch delle Terre del Nord, avremmo visto la famigerata America, il nostro desiderio comune, il segreto di cui nessun altro sapeva niente. E infine, ma non ultimi... i nostri figli... Sarebbe passato molto tempo prima che avrei di nuovo chiuso gli occhi: ero certo che appena gli Anziani avessero stabilito definitivamente che appartenevamo l'uno all'altra, e gli ospiti ci avessero lasciati liberi di starcene da soli, non mi sarei più allontanato da lei, avrei passato giorni e notti insonne, tenendola, sempre, stretta a me, per parlare con lei, per giocare con lei, per amarla... e quando avesse ceduto al sonno tra le mie braccia, sarei rimasto stretto a lei a osservare il suo profilo, accarezzandole leggero i capelli, vegliando ininterrottamente per assicurarmi che non sparisse più. Mai più. Mi alzai, il sonno quella notte, per tanti motivi, non mi avrebbe raggiunto con le buone, perciò decisi di aiutarmi con una pozione calmante: uscii dalla mia stanza, percorsi il corridoio oscuro fino alle scale, salii fino alla mansarda e mi diressi verso lo studio di mio padre, dove, dietro una parete scorrevole, era celata una credenza di rovere, nei cui cassetti e ripiani c’erano sistemate in ordine le erbe e gli ingredienti necessari per le pozioni e le ampolline con i filtri già pronti. A metà del corridoio mi fermai: una tenue luce di candela, nello studio, dimostrava che non ero l’unico a girare insonne per la casa. Mi affacciai senza far rumore, osservando per un po’, non visto, mio padre intento in una lettura evidentemente impegnativa, con un bicchiere di vino rosso in mano e i resti di un paio di sigari nel portacenere di fronte a sé.

    “E quelli che cosa sono?”

Con la mia migliore aria canzonatoria emersi dalla penombra, lui, sorpreso e interdetto, sollevò il viso dal libro che stava leggendo, andando rapidamente a togliersi, un po' imbarazzato, gli occhiali che gli avevo visto addosso per la prima volta.

    “Se ti riferisci a questi... direi... Uno sgradito dono dei miei quaranta anni...”

Sorrise e mi fece cenno di accomodarmi, io entrai e mi sistemai sulla poltrona davanti a lui, gli occhi curiosi che cercavano inutilmente di sbirciare il titolo delle sue interessanti letture.

    “Secondo me l’età c’entra poco, credo piuttosto sia lo sgradito dono di questi tuoi amati tomi polverosi... e di questa luce insufficiente, per dilettarsi di... Rune Antiche, dico bene?”

Mio padre sogghignò e richiuse il libro, poi me lo porse, vidi che era un vecchio tomo pieno di polverose rune, rune che però parlavano dei riti antichi del Nord: lo guardai interrogativo.

    “Che cosa significa? Non credevo tu avessi bisogno dei libri per sapere queste cose...”
    “In realtà sì, questa volta sì… queste sono le note di mastro Percival da Girvan, che per circa cinquanta anni, tre secoli fa, ha prestato servizio come maestro di cerimonia per i signori di Herrengton...”
    “E da quando ti… diletti con questo genere di letture? Senza offesa, ma... non mi sembrano proprio il tuo genere, qui ci sono solo elenchi infiniti di oggetti, tessuti, invitati… non capisco…”
    “Non temere, non sono impazzito di colpo, trovo anch'io tutto questo di una noia mortale, ma a Herrengton non si celebra un vero matrimonio del Nord ormai da quasi due secoli: tuo zio ha sposato una Lestrange, tuo nonno una Meyer e mio nonno una Malfoy, di conseguenza, senza andare troppo indietro nel tempo, non ho nessuno cui chiedere un parere, nemmeno tra gli Anziani del Consiglio c'è qualcuno che ne ha visto uno in vita sua...”
    “Ma che dici? I Maghi del Nord sposano continuamente Streghe del Nord secondo i nostri riti… che cosa c’è stavolta di diverso...”
    “C'è che tu hai chiesto un vero matrimonio tradizionale, Mirzam... ed io ho promesso a te e a Sile e naturalmente a suo padre, un perfetto matrimonio tradizionale... Sto solo controllando di non aver dimenticato niente: la tempistica è assolutamente fondamentale, come pure l'ordine preciso secondo cui dovranno disporsi gli Anziani...”
    “Io... io credevo di aver chiesto semplicemente un matrimonio come quello di Jarvis… un matrimonio da celebrare nella nostra terra, al termine dei riti notturni del Solstizio… non volevo certo farti impazzire con questi ridicoli dettagli...”
    “Non sono stupidi dettagli, Mirzam... essendo tu uno Sherton, il matrimonio dovrà svolgersi nella grotta... e come ben sai, nella grotta di Salazar nulla va lasciato al caso...”

Mio padre, pur serio, sorrise benevolo, l'espressione serena e vagamente divertita di chi ha appena avuto conferma che, anche se stavo per lasciare la sua casa per vivere la mia vita, era ancora lontano il giorno in cui non avrei più avuto bisogno di lui: mi chiedevo sempre più spesso come avesse fatto a maturare quella che mi appariva una conoscenza sconfinata e, soprattutto, ormai iniziavo a convivere, senza più drammi, con l'idea che, con un padre simile, era inutile combattere, mi sarei sempre sentito un ragazzino imbranato.

    “Non devi preoccuparti di nulla, ma goderti la giornata, Mirzam, lascia fare a me... Ti assicuro che per me e tua madre tutto questo è un “gioco” bellissimo ed emozionante e... soprattutto un ottimo sistema per distrarci dall'idea che… beh è strano anche per noi pensare che stai per volare via...”

Annuii, vagamente rosso in faccia: in tutti quei giorni avevamo affrontato feste, fornitori, Anziani del Consiglio, amici e parenti che si complimentavano, avevo avuto quella tragica notte a Diagon Alley e infiniti pensieri non molto positivi, erano tornati a casa i miei fratelli, avevo avuto l'ennesimo scontro con Donovan, insomma una miriade di sollecitazioni che alla fine mi avevano fatto perdere di vista un aspetto non indifferente. Stavo per iniziare la mia vita con Sile e questo significava anche che, pur rimanendo il figlio dei miei genitori, per forza di cose i nostri equilibri sarebbero cambiati definitivamente.

    “Ma non credo tu sia salito per discutere con me di Sir Percival da Girvan, Mirzam... Perché sei qui, invece che in camera tua a riposare? Lo sai, domani sarà dura per tutti e per te in maniera particolare... Anche se non riesci a dormire, ed è comprensibile, nemmeno io riuscii a dormire la notte prima di sposare tua madre... dovresti però rilassarti, stenderti al buio e riposarti...”
    “Ero salito appunto per prendere una pozione calmante... ”
    “No, meglio di no, Mirzam... stasera la soluzione migliore per te è un semplice infuso di erbe e restartene buono al buio, in silenzio: vedrai che, magari ci metterai un po’, ma il sonno arriverà da solo; emozione, stanchezza, eccesso di cibo e di alcool saranno già un mix devastante, alla fine della giornata di domani, se aggiungessi le pozioni, ne usciresti distrutto... Se vuoi un consiglio, bevi un bicchiere ogni tre che te ne offriranno...”

Annuii, non era mia intenzione perdere il controllo, volevo che ogni singolo istante mi restasse impresso a fuoco nella memoria, però era bizzarro vedere mio padre tanto preoccupato e così ferrato in materia.

    “Vuoi farmi intendere che parli per esperienza?”

Sorrisi divertito, un po' perché ero davvero curioso di conoscere qualche succoso aneddoto, un po' per staccare un po' la sua attenzione da me, come ogni volta che sentivo il nostro livello di complicità aumentare rapidamente: pur felice di avere un padre come lui, con cui parlare di tutto, a volte mi sentivo ancora in imbarazzo, esattamente come tanti anni prima, quando aveva iniziato a parlarmi senza tanti giri di parole di come ci si comporta con le ragazze.

    “Dopo che ho conosciuto tua madre, non mi sono ubriacato più, lo sai... no, non parlo del mio matrimonio, ma ho partecipato a fin troppe cerimonie finite con sposi riportati a casa caricati in spalla, e spose in lacrime, inferocite e pronte a vendicarsi... per non parlare poi delle rimostranze delle famiglie... quasi tutti si aspettano che l'erede sia messo in cantiere fin da subito... e con lo sposo ridotto in quelle condizioni, puoi capire quanto sia arduo…”

Sentii le guance diventarmi di colpo rosso fuoco, distolsi da lui lo sguardo, ma continuavo a sentire su di me i suoi occhi vagamente divertiti: non sapevo come facesse, ma sembrava che riuscisse sempre a portare i discorsi dove sapeva di trovarmi in difficoltà.

    “Padre...”

Mi fissò. Io fissai lui. Non era più divertito, avevo tutta la sua attenzione e capii immediatamente che aspettava anche lui, da un po', il momento giusto per affrontare quel discorso: d’altra parte era normale che fosse inevitabile.

    “… spero davvero che non sia anche una tua aspettativa... voglio dire... Io non vorrei apparirti un ingrato, ma… qualsiasi cosa tu o Donovan vogliate, sappi fin da adesso che io ho intenzione di prendermi del tempo, con Sile, prima di…”

Altro sospiro lungo, davanti ai suoi occhi che mi fissavano falsamente enigmatici.

    “… prima di iniziare a rispettare gli obblighi che so bene di avere verso la nostra famiglia...”

Volevo un figlio, certo, anzi, ne desideravo più di uno, ma sentivo molto più urgente stare per un po' con Sile, da soli, ricominciare a conoscerci facendo un piccolo passo per volta, com'era avvenuto all'inizio, quell'inizio che era stato pieno di felicità e perfezione per entrambi. A volte, con una certa inquietudine, mi rendevo conto che erano passati quattro anni da allora, e che in quel periodo era accaduto di tutto, che questo ci aveva fatto crescere in modo diverso da come immaginavamo allora, per lo meno io, e che grazie alle mie follie e all'intransigenza di Donovan, ora eravamo a un passo dall'altare senza aver avuto modo di conoscerci a fondo, di sapere entrambi quanto eravamo davvero cambiati. Per questo avevo bisogno di tempo, tempo che avremmo impiegato a riscoprirci, a riaprire l'uno il cuore all'altra, colmando quella distanza che gli anni e la vita avevano fatto crescere tra noi. Solo così saremmo stati in grado di occuparci dei nostri figli, se non bene quanto i miei genitori, almeno in maniera dignitosa.

    “È strano che tu abbia questo timore, Mirzam... almeno nei miei confronti: non ti ho obbligato a sposarti e tanto meno ho cercato di influenzarti nella scelta della donna da sposare... Come potrei importi dei figli? Lo sai come la penso: un bambino non è un mezzo con cui portare avanti una stirpe, è una persona… una persona che ha bisogno di amore e particolari cure per crescere sicuro e felice... Se non ti senti pronto...”
    “No, non è questo il punto… se credi questo, ti sbagli... ed io voglio uscire dalla tua casa sicuro che tu non mi fraintenda... Non si tratta di non sentirsi pronto... Io sono pronto e voglio dei figli... ma...  Ho visto te e la mamma, ho visto quanto è diverso il vostro atteggiamento rispetto a quello di tante altre famiglie... io vorrei... vorrei che un giorno anche a casa mia i bambini sapessero senza ombra di dubbio di contare per me, per ciò che sono… come in questa casa noi contiamo per te e la mamma... Io non voglio che mio figlio m’impegni solo il tempo di mettere incinta mia moglie, io voglio metterlo al mondo per insegnargli ciò che so, per proteggerlo e dargli tutto me stesso...”

Non avevo mai visto mio padre sorpreso e colto così in contropiede come in quel momento, di sicuro non immaginava che quel discorso diventasse una specie di dichiarazione d’amore filiale in piena regola, e per un po’ rimase in silenzio, turbato e commosso.

    “Se hai già capito tutto questo... non credo di aver compreso quali siano le tue paure, Mirzam: se affronterai il futuro deciso a percorrere questa strada, credo che nulla potrà impedirti di fare un ottimo lavoro... sia con Sile, sia con i tuoi figli, quando arriveranno...”
    “Io non ho paura, solo… dopo aver passato questi ultimi mesi a soddisfare le richieste di tutti senza discutere, vorrei essere sicuro di non subire altre interferenze… Credo fermamente che per riuscire a trasformare queste teorie in realtà, sia necessario che prima Sile ed io stiamo per un po' insieme, da soli, abbiamo bisogno di recuperare il tempo perso... e... non sto parlando solo di… voler andare a letto con lei... credo che tu abbia capito cosa intendo davvero...”

Sorrise, annuendo di nuovo, io mi sentivo ridicolo, era assurdo che provassi ancora imbarazzo a parlare con lui di questi argomenti, ma sapevo che oltre alle mie abituali inibizioni, quello che provavo in quel momento era… era una specie d’istinto protettivo nei confronti di Sile, perché il nostro universo doveva essere solo nostro, esclusivamente, tutti esclusi, compresa la mia famiglia.

    “Non l’ho vissuto sulla mia pelle, Mirzam, perché il mio vecchio mi ha cacciato di casa e non voleva certo sapere nulla di me e tua madre: da questo punto di vista siamo stati fortunati, in effetti… Ho visto però tanti amici e posso capire la tua ansia... Se quello che vuoi da me è una rassicurazione, ti prometto che non avrai interferenze del genere da parte mia o di tua madre: nessuno di noi verrà a dirti quello che devi, o non devi fare, o quando farlo... Se ne avrai bisogno, potrai sempre contare sul nostro aiuto, che sia concreto o un semplice consiglio, questo sì… per esempio… posso raccontarti la mia esperienza: tua madre ed io, come ben sai, non abbiamo aspettato molto ad avere te, e anche se alcuni, come il caro Orion, hanno parlato di frutto della distrazione e dell'eccessivo entusiasmo, tu sei qui perché ti abbiamo voluto e ti abbiamo cercato... Personalmente credo che un periodo tutto vostro sarebbe perfetto e salutare, se non altro perché non avete potuto sfruttare a dovere il periodo del fidanzamento per riscoprirvi… quanto ai figli… sentirai nel tuo cuore che è arrivato il momento e quando accadrà, leggerai questa consapevolezza anche negli occhi di Sile, perché è così che accade quando due persone diventano davvero una cosa sola…”

Rimasi senza parole, perché infondo al cuore sapevo che mi avrebbe parlato così, ma sentirlo, sentire che comprendeva e condivideva era…

    “Sono felice di saperti dalla mia parte...”
    “Io sono e sarò sempre dalla tua parte, Mirzam, sempre... Anche quando le tue scelte mi potrebbero sembrare incomprensibili... io sarò sempre dalla tua parte...”
    “Ne sei sicuro?”
    “Credo di avertelo già dimostrato... Mirzam… Ora vai, riposati, e domani stai tranquillo, goditi la festa serenamente, pensa che hai davanti a te la vita che vuoi con la donna che ami, e tutte le meschinità della vita spariranno come neve al sole... anche Milord...”
    “Milord? Cosa c’entra lui, adesso?”
    “Perché so che qualcosa ti turba e sono pressoché convinto che sia qualcosa che riguarda quell’uomo… Sai bene come me che il migliore regalo, che potresti fare a te stesso, Mirzam, è lasciar perdere quella vita e pensare solo a Sile... Ripensa alle parole che mi hai detto, mi hai aperto il tuo cuore e mi hai detto quali sono i tuoi progetti, i tuoi veri progetti, progetti ambiziosi e molto impegnativi... progetti che non si fondano sull'odio e la guerra... ti lascio a queste riflessioni, Mirzam, ci vediamo domani...”

Si alzò, ripose il libro tra gli altri, e mi salutò con uno dei suoi abbracci, poi lasciò la stanza. Io mi fermai a riflettere su quelle sue ultime considerazioni, su quella luce strana che aveva nello sguardo… mi era già nota, era quella che aveva ogni volta che era a un passo dalla soluzione di un problema... Per un attimo mi lasciai cullare dall’idea che forse tutte le tessere sarebbero andate al proprio posto se avessi seguito il suo consiglio, che avrei fatto bene a metterlo a parte di quello che avevo in mente di fare, per avere un consiglio e il suo aiuto. Poi ripensai a quanto era accaduto alla notte precedente, e rividi me stesso, nella mia stanza, mentre lanciavo una maledizione senza perdono contro mia sorella, solo per ottenere in fretta e senza difficoltà quello che volevo… Ero già troppo oltre, troppo… mio padre non si rendeva conto di cosa ero stato capace di fare… mio padre poteva capire e sostenermi, ma non fino a quel punto. Avevo fatto la mia scelta e la strada era segnata. Quella partita ormai, l’avrei dovuta giocare da solo.

***

Meissa Sherton
Herrengton Hill, Highlands - lun. 20 dicembre 1971

Quando mi svegliai, per un attimo pensai di essere ancora dispersa nel mondo dei sogni: non poteva essere vero, non potevo essere davvero a... Chiusi gli occhi e li riaprii mentre, pur preda di mille domande, gli angoli della mia bocca si tendevano all'insù in un sorriso: attorno a me c'erano le ben note mura di pietra, le tende, tirate, del mio baldacchino, il mondo che avevo lasciato circa quattro mesi prima e che mi era mancato da morire. Saltai fuori dal letto con un balzo, il freddo della pietra sotto i piedi mi diede la conferma definitiva che non stessi sognando, e, come aprii la finestra e fui travolta dal freddo pungente del mattino scozzese, sul mio viso prese campo la luminosità piena della felicità. Dalla mia torre, Herrengton, nascosta sotto un lieve strato di neve e ghiaccio, si apriva come un fiore ai miei piedi: i tetti e i cortili di pietra, i portici e il profilo delle alte torri, si disponevano nelle forme e nei disegni a me noti e da troppo presenti solo nei miei sogni. Era una serena mattina di timido sole, il vento da nord, stranamente, appariva leggero e sembrava aver spazzato via, lontano, le fosche nubi tipiche di quel periodo, il mare verso ovest appariva come una tavola scintillante: capii subito che non era naturale tutto questo, di solito, in quel periodo dell'anno, le giornate erano caratterizzate tutte da una continua, pesante penombra, una coltre di nuvole color del piombo correva bassa, soffocando tutto, il mare ruggiva minaccioso e s’infrangeva sugli scogli, sotto forma d’imbizzarriti cavalli di spuma. Il miracolo cui stavo assistendo doveva essere il dono di nozze della Confraternita al figlio di Herrengton: probabilmente, da giorni, i vecchi detentori della magia Antica, salmodiavano, affacciati sui promontori e sulle alte vette, pronunciando le formule millenarie nella lingua dei padri, evocando e domando la natura, fino a piegarla alla loro volontà. Molti consideravano assurde queste capacità, le ritenevano stupide leggende da raccontare ai bambini prima della buonanotte, come pure ormai avevano scordato che la magia si può controllare anche senza una bacchetta: questi e tanti altri aspetti facevano parte di quel bagaglio di conoscenza che tutta la nostra gente aveva da millenni, ma che la maggior parte di noi aveva abbandonato accettando l'idea di “civilizzarsi” per sopravvivere. Avendo rimosso parti considerevoli delle proprie conoscenze, delle proprie capacità e natura, ormai molti non comprendevano più, non consideravano più i popoli del Nord come i custodi delle conoscenze fondamentali, ma solo dei folli o dei maghi pericolosi, da distruggere. Mi ritrassi, il viso gelido e ormai arrossato dal freddo, decisi di andare a vedere subito che cosa facevano gli altri, dall'armadio presi una delle mie vestaglie più calde e le ciabattine di pelo, poi uscii dalla mia stanza, correndo per le scale, intenzionata a raggiungere mia madre di sotto. Sentii subito la sua voce mentre faceva un elenco a Kreya e la piccola elfa che rispondeva di sì: sembrava fosse l'ultimo controllo di quello che sarebbe servito l'indomani.

    “Mamma!”
    “Mei, ti sei già svegliata? Dovresti restare a dormire, la giornata sarà molto lunga... ”
    “Lo so... magari ci torno dopo... ma... Quand'è che siamo arrivati?”

La mamma sorrise, comprendendo la mia confusione: di solito rientravamo a casa o con la smaterializzazione, quando uno di noi era ancora a Herrengton, o con una passaporta, anche se sapevo che esistevano altri sistemi, meno tradizionali, con cui era possibile addirittura trasferire una persona mentre stava dormendo. Evidentemente stavolta papà aveva sfruttato uno di questi metodi originali e segreti, di cui avrei saputo qualcosa di più solo una volta che fossi cresciuta.

    “Di notte, poco prima dell'alba, mentre tu e i tuoi fratelli stavate dormendo: vi ho preparato un infuso calmante ieri sera, ma evidentemente per te era troppo leggero...”
    “Ah, era a quello che serviva... a me non andava, così non l'ho bevuto tutto!”

Arrossii, mia madre sorrise, complice, e annuì: sapevo che nemmeno a lei piacevano gli infusi da bere prima di andare a dormire e che in quel momento avevo tutta la sua comprensione.

    “So che muori dalla voglia di sbirciare i preparativi, e che non ti calmerai finché non l'avrai fatto, perciò vai... fai un giro veloce e poi torna qui, ma ricordati… se non ti ritrovo nel tuo letto a dormire entro un'ora, ti chiuderò nella torre, stanotte, e non vedrai nulla del matrimonio di tuo fratello... fila!”

Mi avvicinai, le stampai un bacio sulla guancia e corsi via, prendendo uno dei dolcetti che Kreya aveva sistemato sulla tavola appena mi aveva visto arrivare e , come una furia, mi riversai nel cortile, immergendomi finalmente, ammirata, in quella che per me era la nostra unica, vera casa. Ricordando che le lancette scorrevano veloci, iniziai a guardare tutto, registrando ogni singolo dettaglio: anche se non avessi saputo nulla della cerimonia, sarebbe stato palese che non ci si stava preparando per un’occasione qualsiasi, se non altro per l’andirivieni di elfi impegnati in duemila mansioni nel cortile delle rose. Mio padre, che sembrò non essersi accorto del mio arrivo, dirigeva i lavori dal lato opposto del cortile, ordinando a Doimòs e a una nutrita schiera di elfi di sistemare tutto il necessario per i fuochi magici alla fine della festa; intanto, tre squadre di elfetti stavano correndo qua e là per raggiungere le varie balconate e le torri e disporre alla perfezione gli stendardi della Confraternita, la torre più alta, quella in cui si trovavano le nostre stanze, era già abbellita da un gonfalone gigante con i colori delle Terre del Nord. Altre due schiere stavano piazzando lungo i portici di pietra, a intervalli regolari, tutta una serie di bracieri e fiaccole, altri liberavano le luci danzanti che si sarebbero illuminate al crepuscolo e le fatine canore, altri, infine, con la magia sollecitavano la fioritura fuori stagione degli alberi. Al centro del cortile, a terra, notai che erano state tracciate le quattro rune che indicavano il nord, il sud, l'est e l'ovest e al centro un braciere particolarmente grande in cui, di lì a poco, un elfo avrebbe dovuto bruciare per tutto il tempo le erbe che garantivano la tenuta della cupola protettiva sulla tenuta. Col naso all’insù e piena di meraviglia, scansai all'ultimo un paio di elfi che trasportavano un gigantesco stendardo verso la torre sud del maniero e, di corsa, mi avviai verso l’ala in cui stavano allestendo la sala da pranzo e il giardino in cui ci sarebbe stato il ballo: il lungo corridoio che immetteva in quegli ambienti era stato svuotato, non c'erano più broccati e sculture, né cassettoni dorati o lampadari di cristallo, non capivo il perché di quella radicale trasformazione, ora sembrava tutto austero, grigio e tristemente spoglio. Percorsi tutto il lungo corridoio notando che erano spariti anche i ritratti degli avi e raggiunsi infine la sala in cui era custodita Habarcat: lì ebbi la sconvolgente sorpresa di trovare concentrata in uno spazio ristretto tutta la magnificenza di Herrengton. L’effetto era potente e voluto: dopo aver attraversato quel lungo corridoio privo di qualsiasi ornamento, si accedeva a quella specie di sacello, in cui i tendaggi che velavano la fiamma di Habarcat erano già stati tolti e la verde, pura, lucentezza della fiamma riverberava sulla superficie lucida dei marmi e sulle pareti, completamente decorate dal maestoso albero genealogico che rappresentava tutte le famiglie purosangue. Mi avvicinai circospetta e affascinata alla parete in cui campeggiava il ramo di Herrengton, vidi che accanto era già apparso l'albero dei Kelly e che tutto era predisposto per veder tracciato il nome di Sile accanto a quello di Mirzam. Dietro di me, esattamente di fronte a quella parte dell’arazzo, era stato allestito un piccolo altare, su cui erano già stati disposti tre pugnali rituali e, a terra, era stato sistemato un braciere, su cui probabilmente, con precauzione, mio padre avrebbe dovuto collocare Habarcat, utilizzata, anche se non avevo idea del come, durante la celebrazione della parte finale dei riti. All’improvviso sentii un rumore sordo di ceramica che rovinava a terra, di corsa, mi affacciai nella stanza attigua, che da sempre era usata come sala da pranzo e vidi un povero elfo semi sotterrato sotto una pila impressionante di piatti, che sgusciava via, dolorante, per poi lanciarsi al volo contro il muro, per punirsi di quello scempio. Nella sala era stato già allestito un immenso tavolo e numerosi altri, più piccoli, riempivano il resto dell’ambiente: non avevo idea della magnificenza che avrebbe raggiunto alla fine, ma già ora, pur in piena fase preparatoria, tutti quei pizzi, quei candelabri, quelle posate lucenti e le pareti allestite con i quadri di tutti i nostri antenati, disposti come se fossero stati invitati anch’essi alle nozze, dava a quell’ambiente un’aria di particolarmente fastosa. Infine, mentre i rintocchi dell’orologio a pendolo mi ricordavano le minacce di mia madre, mi affacciai nel giardino, dove vidi allestiti un’enorme tenda, dai veli color pastello e i fiocchi di pizzo intrecciati ai fiori, e un palco, su cui avrebbero preso posto i musicisti; le fontane, tutte intorno, erano già state incantate, così che versassero acqua colorata e profumata, in cui erano sciolte essenze che favorivano la predisposizione a godere di quell’atmosfera idilliaca. Era magnifico, per un attimo mi fermai sulla porta, con la testa appoggiata sullo stipite, mentre la fantasia correva e immaginavo mio fratello, bellissimo nel suo abito chiaro, che stringeva a sé la sua Sile, ballavano per ore e ore, davanti alla rapita ammirazione di tutti quanti e alla fine si baciavano, sotto un cielo tempestato di stelle. Sospirai, e decisi di rientrare, prima di far infuriare la mamma, speranzosa che i delicati effluvi delle fontane incantate mi aiutassero a sognare me stessa che ballavo con la grazia di una principessa, accompagnata dal mio principe dagli occhi grigi e il nome di stella.

***

Sirius Black
12, Grimmauld Place, Londra - lun. 20 dicembre 1971

Mi ridestai di soprassalto, confuso: nel percepire l'oscurità che, filtrando dall'esterno attraverso le imposte e i tendaggi, permeava completamente la mia stanza, temetti di essermi svegliato nel cuore della notte, ma quando arrivai alla finestra, mi resi conto che, al contrario, era già di nuovo sera. Incredibile: avevo dormito un giorno intero... Com'era possibile che i miei non mi avessero mandato a chiamare? Forse l'avevano fatto apposta, forse mentre io dormivo loro erano andati a Herrengton per il matrimonio di Mirzam lasciandomi a casa da solo, con Kreacher, per punirmi... Agitato, presi le prime cose che trovai per vestirmi e uscii sul pianerottolo, trovandolo completamente immerso nella penombra, angosciato, scesi un ramo di scale e finalmente sentii in lontananza, con un inaspettato sollievo, la voce di mia madre che riprendeva un elfo. No, non mi avevano lasciato da solo a Grimmauld Place. Risalii fino alla mia camera, raggiunto il pianerottolo, sentii provenire dalla stanza di Regulus i rumori tipici di qualcuno che si stava svegliando: perfetto... Con un sorriso soddisfatto rientrai nella mia stanza e mi sedetti sul letto: ora che il momento del timore era passato, potevo cercare di schiarirmi le idee.
La sera precedente, Regulus ed io eravamo stati mandati a dormire prima ancora che se ne fossero andati tutti e, per una volta, ero andato di sopra volentieri, anche perché mi sentivo esausto dopo una serata a dir poco spaventosa: prima l'interrogatorio dei miei carissimi nonni, poi l'incontro con Lestrange, infine non ero stato in grado di scambiare due parole in pace con Meissa, perché ogni volta che mi si era presentata un'occasione, mia madre aveva sempre trovato una scusa per tenermi lontano da lei. Tra l'altro, delle persone di cui m’importava qualcosa, a quel punto non era rimasto più nessuno, tutti gli Sherton erano andati via già da un po', persino Mirzam e suo padre non erano rimasti a chiacchierare con gli altri. Restavano solo le orride, vecchie cariatidi, come nonno Pollux, il vecchio Lestrange, Yaxley e Rookwood e pochi altri, che si stavano trattenendo con papà e zio Cygnus per parlare di temi delicati e noiosi, quei temi capaci di rendere nervoso persino mio padre. L'ultima a salutarmi, col suo ghigno indisponente, fu proprio mia cugina Bellatrix: ero stato abile a evitarla per tutta la sera, come mi era stato chiesto, ma, alla fine, non avevo potuto sottrarmi ai suoi saluti e lei non si era voluta privare di quella ghiotta occasione per deridermi e insultarmi. Una volta chiuso in camera, mi ero immalinconito un po' al pensiero che, fino a un anno prima, stando in camera con Regulus, quello era sempre stato il momento in cui approfittavamo della distrazione dei nostri genitori, ancora occupati con gli ospiti, per passare un po' di tempo stesi sul letto a ridere e giocare, ripercorrendo a modo nostro la serata appena trascorsa e scimmiottando il modo di camminare o di ridere o di mangiare di qualche ospite particolarmente buffo.
Così, per non deprimermi ancora di più, avevo finito col rimuginare sulle strane frasi che aveva usato Mirzam per riprendersi l'anello e sullo smeraldo che era comparso dal nulla e che aveva messo tanto in agitazione il vecchio Phineas: mi chiedevo da dove venisse e perché fosse tanto importante, e se era quella la ricompensa che mi aveva augurato Mirzam. Per me, erano tutti dei pazzi, sì, persino Alshain: quell'anello che tutti cercavano era brutto e non valeva niente, io l'avevo visto, non capivo perché degli adulti si fissassero a quel modo, con una puntigliosità degna dei bambini piccoli. Era stato a quel punto che avevo sentito Kreacher bussare alla porta di Regulus, quindi era venuto anche da me, con l'infuso di erbe che mio padre ci faceva preparare sempre, soprattutto dopo serate movimentate come quella, per conciliarci il sonno. Evidentemente stavolta quello stupido elfo aveva esagerato con le dosi, oppure mio padre gli aveva ordinato proprio di drogarci, perché entrambi ci stavamo svegliando dopo un’intera giornata di sonno! Andai alla scrivania, preda di un tragico sospetto, aprii il primo cassetto e controllai che lo smeraldo fosse ancora nella scatola in cui l’avevo messo la sera prima, e naturalmente... Era dove l'avevo lasciato: evidentemente mi ero fatto suggestionare troppo, mi sembrava di vivere una di quelle storie di spie che davano al cinema e di cui avevo sentito parlare alcuni ragazzi più grandi a Grifondoro. Stavo ammirando per l'ennesima volta quella pietra, chiedendomi quale fosse il suo segreto, quando Kreacher, dandomi appena il tempo di nasconderlo in tasca, entrò nella mia stanza con l'abito, che avrei dovuto indossare quella notte, e la solita espressione schifata stampata sul muso.

    “La Signora vuole che padroncino indossa sotta mantello nero...”

Lo depose con cura sul letto, accanto a me, bofonchiando qualcosa sui Grifondoro nella sacra casa dei Black e zompettò via, guardandomi in tralice, senza rivolgermi apertamente una parola di più: poco dopo lo sentii bussare alla porta di Regulus e prostrarsi davanti a lui, omaggiandolo quasi fosse Salazar Slytherin in persona. Sorrisi tra me, mandandolo allegramente a quel paese, come avevo sentito fare uno dei fratelli Prewett una volta a scuola, e andai baldanzoso nel bagno per lavarmi: infondo cosa m’importava di quello stupido elfo e di tutto il resto se, finalmente, mi si prospettava un'altra magnifica avventura?


*

Quando uscii dalla mia camera, Regulus era già pronto sul pianerottolo, un'espressione che conoscevo bene, risoluta come si conviene a un vero Black, ma con un'accesa nota di curiosità e impazienza stampata in faccia: eravamo tornati entrambi indietro nel tempo, alla vivida emozione che avevamo condiviso, proprio un anno prima, all'idea di passare la nostra prima, intera, giornata con gli Sherton. Non mi sembrava vero, ma era passato un anno anche dalla prima volta che avevo visto Mei: la prima, certo, se si escludevano le decine di volte che c’eravamo frequentati anni addietro e di cui, non finivo mai di rammaricarmene, nessuno di noi aveva più memoria. Sorrisi tra me: chissà quanto eravamo stati buffi da piccoli! Mio fratello, nel suo bell'abito scuro con gli inserti argentei tipicamente Slytherin, i morbidi riccioli scuri, che scendevano ordinatamente a decorargli il viso, mettendo in risalto gli occhi che entrambi avevamo ereditato da nostro padre, notò la mia aria assorta e compiaciuta e passò all’istante dall'entusiasmo alla preoccupazione.

    “Non starai pensando a uno dei tuoi stupidi scherzi, vero Sirius? Non oggi, ti prego!”

Superandolo, nemmeno gli risposi: quando faceva così, quando con i suoi pregiudizi nei miei confronti si dimostrava il degno figlio di nostra madre, non lo vedevo più come un fratello, ma come una piccola piattola guastafeste, perciò, per il solo gusto di farlo agitare ancora di più, gli lanciai un'occhiataccia poco raccomandabile, lasciandomelo alle spalle, più perplesso e timoroso di prima. In realtà, non avevo alcuna intenzione di mettermi nei guai, non ero così sciocco, ma l'idea di uscire finalmente da quella casa opprimente, di ritornare a Herrengton, di rivedere Alshain e la sua famiglia in quei luoghi affascinanti che mi avevano rapito l'anima, mi metteva addosso un'euforia difficile da contenere.

    “Allora, pulce, resterai ancora molto lì impalato? Hai preso tutto? Hai fatto tutto quello che ti ha ordinato “mammina”? Guarda che se non ti muovi, lei si arrabbierà, e non poco: siamo già in ritardo! Immagino che non ti piaccia quando lei se la prende anche con te, vero?”

Lo guardavo, sornione e irridente, cinque o sei scalini più in basso, Regulus rimase per un po’ assorto, prima di decidersi a scendere: lo conoscevo abbastanza da sapere che aveva rapidamente ragionato su tutto, cercando di scovare un errore nelle sue azioni che potesse far infuriare nostra madre; infine, rassicurato di avere, come sempre, la coscienza a posto, era tornato in sé. Sogghignai: io non mi sarei mai lasciato manipolare così, mai e poi mai! Scendendo le scale, però, sentii anche dentro di me l'impazienza di partire offuscata all'idea dell'esame fiscale cui ci avrebbe sottoposto nostra madre, appena ci avesse visto: era quello l'ultimo, decisivo pegno da pagare a una giornata che, per il resto, si prospettava carica di divertimento e di libertà. D'altra parte, l'unica punizione che temevo, essere lasciato a casa da solo, era una possibilità impraticabile persino per lei, almeno per quel giorno, poiché la mia assenza avrebbe scatenato nei nostri confronti nuove chiacchiere da parte delle malelingue e mia madre non avrebbe sottoposto se stessa e la nostra famiglia a un'umiliazione simile a causa mia. No, se avesse trovato giusto punirmi, e sapevo che ai suoi occhi il fatto stesso che fossi vivo meritava una punizione, avrebbe rimandato la cosa a tempi più consoni, prendendosi con calma le proprie soddisfazioni, come aveva fatto appena avevo rimesso piede a casa. Sospirai. Sistemandomi l'abito, altrettanto scuro ed elegante ma senza i dettagli che richiamavano la tradizione Slytherin della mia famiglia - “Sarebbe una provocazione oltremodo oltraggiosa!” così aveva strepitato mia madre contro Phineas, che le aveva suggerito di farmi indossare comunque, a quella festa, la spilla di famiglia con i colori Serpeverde a dimostrazione che i Black ritenevano il mio Smistamento solo un errore di quel vecchio Cappello ammuffito -, lasciai che Regulus mi raggiungesse, poi scendemmo il resto delle scale insieme, in silenzio, perché non era il caso di riempire quella penombra soffocante con le nostre voci festose: nostra madre, infatti, non sarebbe stata felice nel saperci in armonia. Per lo stesso motivo, arrivati quasi in fondo alla scalinata, per distanziarlo, mi lanciai come una furia, superando con un unico balzo gli ultimi cinque gradini e atterrando addosso a Kreacher, che inaspettatamente era uscito proprio in quel momento dalla Sala dell'Arazzo, carico come un mulo.

    “Stupido Elfo idiota, stai sempre tra i piedi!”

Mentre recuperavo l'equilibrio, Kreacher, con ancora un paio di tovaglie tenute miracolosamente in salvo sulla testa, sgattaiolò via, più o meno illeso, raccattando rapido e allucinato tutti i tovaglioli che gli erano caduti a terra nello scontro, borbottando dei confusi insulti rivolti ai Rinnegati e andando poi, sicuramente, a stirarsi le orecchie per non essere riuscito a evitare ai preziosi pizzi della sua adorata padrona un tragico, quanto indecoroso, contatto con il pavimento. Mia madre, che si stava sistemando, con dei rapidi tocchi di bacchetta, gli ultimi riccioli ribelli, accortasi del caos in corridoio, con mia sorpresa non mi “Cruciò” né m’insultò, ma si limitò a fulminarmi con un'occhiata carica di disprezzo attraverso il monumentale specchio incorniciato d'argento della Sala dell'Arazzo, di sicuro più preoccupata per la sorte delle sue adorate tovaglie che per quella delle ossa del nostro vecchio Elfo; mio padre, invece, incurante come sempre di quanto era appena accaduto, stava in piedi davanti al caminetto, in impaziente attesa, controllando il suo orologio da taschino e sembrò tranquillizzarsi solo quando, dietro di me, Regulus fece il suo abituale ingresso pacato, degno di un principe.

    “Era ora! Vi rendete conto di quanto è tardi? Spero almeno che abbiate riposato a sufficienza: la pozione che vi ho fatto somministrare da Kreacher, ieri sera, serve a concentrare tutte insieme le ore di sonno di cui avremmo necessità in due giorni, così da poter mantenere lucidità e attenzione per oltre ventiquattro ore di seguito. Funziona sempre, con tutti, ma da voi due ormai mi aspetto persino l'impensabile, quindi...  se doveste sentirvi stanchi e irrequieti prima di essere tornati a casa, dovrete bere un secondo filtro, che vi garantirà altre sei ore di veglia, vi esorto, però, a ricorrervi solo se assolutamente necessario, perché, combinati insieme, gli effetti collaterali delle due pozioni sono molto fastidiosi.”

Regulus lo guardò attento: al contrario di me, che ne avevo solo un totale ribrezzo, provava da sempre timore reverenziale e profonda curiosità per quei dannati filtri puzzolenti che, per passatempo, papà “intrugliava” nei sotterranei. Nostro padre, naturalmente, disinteressato com'era nei nostri confronti, non si era mai accorto di nulla, doveva essere stato Alshain a scoprire, durante il nostro soggiorno in Scozia, la “vocazione” innata che mio fratello aveva per le pozioni e parlargliene, perché ora notavo un inusuale, vago, compiacimento negli occhi di papà, mentre spostava il suo sguardo da me a Regulus e vedeva quanto fosse preso dalle sue parole. Non che potesse declamare pubblicamente quanto fosse orgoglioso di lui, certo, infondo si trattava sempre di nostro padre, del gelido ed enigmatico Orion Black, ma era intuibile nei confronti di mio fratello, qualcosa di più dell'interesse che di solito riservava a noi e... ai suoi calzini vecchi. Kreacher ricomparve in quel momento dalle cucine, tutto trafelato, mettendo fine ai miei sproloqui mentali; porse al suo adorato padrone due fialette identiche di una densa pozione color madreperla, che poi papà ci offrì con modi cerimoniali e la classica espressione seria e minacciosa. Che stupido ero stato! Avevo giustamente trovato strano aver riposato quasi per un giorno intero, ma arrovellandomi sui motivi, ero arrivato alle teorie più disparate, senza avvicinarmi nemmeno lontanamente all'unica risposta logica e sensata: nostro padre desiderava soltanto che affrontassimo al meglio una giornata che sarebbe stata esaltante, certo, ma anche molto faticosa.

    “Stasera valgono le stesse raccomandazioni che vi faccio sempre e, in particolare, quelle che vi ho fatto un anno fa; la Passaporta si attiverà tra pochi minuti, il viaggio sarà lungo quindi vi esorto a mantenere la massima concentrazione di cui siete capaci. Vi ricordo anche che all'arrivo ci ritroveremo nella foresta di Herrengton, quella che avete superato in volo sugli Ippogrifi quest'estate, e...”

Non mi sfuggì l'occhiata risentita di nostra madre, che non aveva ancora digerito che quello “stramaledetto e sciagurato scozzese” del nostro padrino avesse messo in pericolo la vita del suo “adorato Regulus” con “le sue idee balzane da irresponsabile”: questo aveva strepitato l'estate precedente, dopo aver beccato mio fratello e me, in camera mia, poco prima che partissi per Hogwarts, tutti presi a rievocare, sognanti, alcuni momenti salienti della nostra vacanza nelle Highlands. Mio padre parve non accorgersene o forse, per evitare ulteriori, ben note, scenate, fece finta di niente e continuò, tedioso, con le sue raccomandazioni.

    “... ormai ne conoscete il potere, perciò guai a voi se vi allontanerete da me, per qualsiasi vostro stupido motivo! Vi consiglio di ubbidire senza discutere, di osservare tutto con attenzione e soprattutto in silenzio! Altrimenti una volta a casa... Sapete già cosa vi aspetta! Intesi? Ora indossate i mantelli e andiamo!”
    “Non aspettiamo la mamma?”

Regulus interruppe la sequela di secchi ordini di nostro padre dirottando l'attenzione di tutti noi sulla mamma, di nuovo apparentemente disinteressata alla nostra conversazione: era acconciata e vestita per una festa, con una toga nuova, nera, più ricca e magnificente del solito, ma con una generosa, profonda, scollatura che rendeva quell'abito poco adatto a qualsiasi cerimonia che si fosse svolta all'aperto, figurarsi poi alla rigida, lunga, notte scozzese che avremmo dovuto affrontare. All'inizio, la speranza, improvvisa e inaspettata, che non sarebbe venuta con noi si limitò a farmi brillare gli occhi, per poi trasformarsi in una specie di formicolio di piacere che si diffuse in tutto il mio corpo, appena Kreacher tornò con i nostri pesanti mantelli neri: erano solo tre. Aumentò ancora di più quando mio padre indossò il suo, aggiustandosi per bene il cappuccio sul viso e invitandoci a fare altrettanto, mentre la mamma, senza fretta, continuava a sistemarsi i riccioli allo specchio, poi ordinò a Kreacher di portarle lo scrigno che teneva in camera, dubbiosa che quella scelta, una catena d'argento che reggeva un medaglione tempestato di smeraldi disposti a pentacolo, fosse la collana più adatta su quel vestito. Infine, quando papà si avvicinò per salutarla, sentii esplodere in me una specie di mistica beatitudine: ero libero, ero davvero libero, l'odiosa megera non sarebbe venuta con noi!
 
    “Vi raggiungerò domani, con gli zii e le vostre cugine, in tempo per il Rito nuziale e il banchetto. Come ormai sapete, non sono ammesse donne che non siano delle Sherton, sulla spiaggia di Herrengton, durante i Sabba! Per quanto mi riguarda, ne sono ben felice, non avevo alcuna intenzione di congelarmi, come l'anno scorso, vagando, per una notte intera, per quegli stupidi boschi!”
    “Ma non è vero che...”

Immaginai quale fosse l'obiezione di Regulus, avevamo visto un paio di giovani Streghe che non avevano nulla a che fare con gli Sherton sulla spiaggia di Herrengton, prima della cerimonia delle Rune di Mirzam: ricordavo ancora l'amarezza e la delusione profonda di Alshain verso i propri Confratelli, la sua difficoltà a trattenere la rabbia, davanti alla scena di un gruppo di Maghi del Nord che si defilavano rapidi per smaterializzarsi chissà dove con quelle donne. E conoscevo bene nostra madre: se avesse saputo una cosa del genere, l'avrebbe di certo usata al momento più inopportuno, perciò diedi una leggera gomitata a mio fratello per farlo tacere. Regulus, non capendo le mie intenzioni, mi guardò male, risentito, nostra madre stava per intervenire contro di me in sua difesa ma papà, temendo di essere coinvolto in uno dei nostri soliti drammi familiari e perdere così l'appuntamento con la Passaporta, fece finta di non aver visto nulla e riprese rapidamente il controllo della situazione. Dall'occhiata ostile di mia madre, però, capii che lo scontro era solo rimandato, al nostro ritorno mi avrebbe fatto scontare anche questo.

    “A parte i Maghi e le Streghe del Nord, in realtà, stasera non sarebbe ammesso nessun altro, ma a noi è stato concesso il privilegio di partecipare perché voi siete i figliocci di Alshain ed io il padrino di Mirzam. I Riti pubblici, visibili a tutti quanti, saranno celebrati al maniero solo domani mattina. Vi spiegherò tutto un po’ alla volta, ora andiamo, perché si sta facendo davvero tardi! A domani, Walburga: mi raccomando, non fare tardi e riposati, perché sarà una lunga e intensa giornata.”

Le diede un casto bacio sulla guancia e con la mano sinistra cercò addirittura di accarezzarle delicatamente il viso, gesti a dir poco strani a casa nostra, ma lei si sottrasse rigida e risentita, lo sguardo ancora più freddo del solito.

    “Appena sarò pronta, raggiungerò gli altri a Manchester e lì festeggerò il Solstizio come si conviene, da secoli, a famiglie come la nostra, Orion... Cosa che dovresti fare anche tu, sei ancora in tempo... sai bene che, stasera, Cygnus avrà un ospite importante... molto, molto importante...”

Non compresi il valore di quell'ultima informazione, notai appena lo sguardo esaltato e carico di vita di mia madre e il pallore che rapido si diffuse sul volto di mio padre, senza però chiedermene la ragione, perché la mia mente era corsa a ripensare alle noiose feste del Solstizio celebrate alla maniera di nonno Pollux, molto diverse da quella che avevo ammirato l'anno precedente, a Loch Moidart. Bastava osservare i Black in occasioni simili, per capire quanto avesse ragione Alshain: per la maggior parte dei Maghi, gli antichi Sabba avevano perso da tempo il loro significato originale, per diventare semplici appuntamenti in cui si banchettava e si bruciavano nei falò erbe e vecchi oggetti. I grandi Riti del nostro passato erano ormai diventati eventi svuotati di sacralità e sentimento, gesti inutili, puramente esteriori, come tutto ciò su cui si fondavano le nostre patetiche e formali vite. Mio padre sospirò, turbato, io lo guardai: mi chiedevo se fosse successo qualcos'altro, che non sapevo, negli ultimi mesi, o se le sue stranezze fossero tutte dovute al mio Smistamento; stavo persino sospettando che fosse la mia lontananza da casa a permettermi di notare nei suoi gesti delle incoerenze, magari c'erano sempre state ma io, restando a stretto contatto con lui, finora non ero riuscito mai a percepirle.

    “È il momento!”

Osservai l'oggetto che mio padre teneva in mano, una vecchia copia del Daily Prophet, dalle pagine color seppia e l'inchiostro rosso ruggine: in prima pagina campeggiava una foto di circa trenta anni prima che mostrava il mio preside, Albus Dumbledore, vittorioso al termine del suo scontro con Gellert Grindelwald, il temibile Mago Oscuro. Stringemmo forte, tra le dita, tre dei quattro angoli del giornale e subito questo sembrò incendiarsi, accartocciandosi su se stesso, la stanza perse corporeità e noi fummo sbalzati via, lontano, in un viaggio che parve infinito. Alla fine toccammo di nuovo terra, una terra immersa nelle tenebre e ricoperta da un sottile e soffice strato di neve polverosa che celava pericolose lastre di ghiaccio.

    Di nuovo a Herrengton...

Sentii il sangue scorrermi dentro impetuoso tanto da rendermi di nuovo vivo e felice. Un sottilissimo spicchio di luna crescente occhieggiava sopra un'alta schiera di alberi, che si dispiegava dinanzi a noi simile a un muro invalicabile, la foresta si muoveva come un corpo unico, animata da un lieve respiro, ondeggiando al soffiare della brezza che saliva dal mare: non riuscivo a vederlo, al buio, né a capire da che parte fosse, perché sembrava circondarci, rumoreggiando cupo tutto intorno e sotto di noi. Con sollievo, mi resi conto che non era freddo come avevo temuto: una delle solite Magie del Nord ci proteggeva dalla rigida notte scozzese, benché il cielo punteggiato da una moltitudine di stelle luccicanti, fosse terso e del tutto sgombro di nuvole. Di fronte e intorno a noi, qua e là, il buio era continuamente rotto da lampi che si susseguivano, sempre più frequenti, a testimoniare l'arrivo degli ultimi invitati, che si materializzavano, arrivavano con le Passaporte o impiegavano altri mezzi più o meno convenzionali. Senza indugiare, ci mettemmo in marcia dietro a nostro padre, che avanzava sicuro verso gli alberi, orientandosi con le stelle e aiutandosi con la luce della sua bacchetta per rischiarare il percorso davanti a noi ed evitare gli ostacoli. Quando ci immergemmo nella foresta, papà mise il braccio destro attorno alle spalle di mio fratello, aggrappandosi a lui e al contempo proteggendolo, come se ne andasse della sua stessa vita, ma non fece altrettanto con me, cosa di cui infondo non mi sorpresi: nonostante tutte le stranezze di quei giorni, infatti, non mi aveva rivolto nemmeno una parola dopo la predica al termine del “processo di famiglia”. Durante la marcia nel bosco, però, la situazione cambiò rapidamente e inaspettatamente: all'inizio mi guardò risoluto, imponendomi di restare alla sua sinistra, poi, vedendo che avevo difficoltà a star dietro al suo incedere energico e finivo spesso con lo scivolare qualche metro alle sue spalle, prima decise di rallentare, tanto da avermi sempre un paio di passi davanti a lui, poi finì col prendere anche me sotto la sua ala protettiva. Incrociai un paio di volte il suo sguardo e mi sorprese non vedere nei miei confronti la solita espressione esasperata, quella che usava per darmi dell'incapace senza nemmeno sprecare fiato e parole, c'erano, invece, una serenità e una benevolenza a dir poco inusuali; e l'impazienza con cui mi cercarono i suoi occhi, per tutto il tempo, invece di procurarmi la solita inquietudine, mi trasmisero un particolare senso di appartenenza. Doveva essere l'effetto dell'atmosfera di quei luoghi, o di una qualche Magia messa in atto dai Maghi del Nord per predisporre gli ospiti alla condivisione della felicità degli Sherton: m’imposi di non pensare, di non fare congetture, di non farmi domande e soprattutto di non sognare troppo, per non farmi male al risveglio, quando sarebbe finito tutto e tutto fosse tornato come sempre. Perché, lo sapevo, era inutile illudersi: con la mia famiglia, tutto, prima o poi, tornava com’era sempre stato. Mi limitai ad assaporare quei brevi momenti, stretto a lui, respirando da vicino il suo profumo buono e costoso e sentendo attraverso le vesti il calore del suo abbraccio, la mente vuota, com’era già accaduto alcune estati prima a Zennor. E alla fine, con un brivido, percepii la mia ferma volontà di ribellarmi a lui e al suo modo di essere, che da tempo mi si agitava dentro violenta, dissolversi come il mio fiato nel gelo della notte. (1)
Diversi minuti dopo, con gli altri, uscii dal fitto del bosco e da quella specie di apnea e mi sentii di nuovo più lucido: mi guardai attorno, eravamo in una radura più piccola, delimitata da un ampio cerchio di tende, con i tradizionali falò accesi all’ingresso e i tappeti e le pelli dispiegati a terra, su cui Streghe e Maghi del Nord, nelle loro tuniche tradizionali, bevevano le loro misteriose bevande fumanti. Avanzammo, disorientati da quella folla, finché nostro padre non individuò al limitare del bosco, dalla parte opposta della radura, una ricca tenda con i simboli degli Sherton, al cui ingresso, in attesa, riconobbi il volto noto dell'Elfo personale di Alshain, Doimòs.

    “Eccola, la tenda destinata a noi è laggiù! Ve lo dico un'ultima volta: guai a voi se vi trovo a ficcare il naso dove non dovete, hai capito Sirius? E ora aprite bene le orecchie: il Rito cui stiamo per assistere pare sia più antico persino del legame di Salazar Slytherin con queste Terre, ma per una serie di ragioni, non è più stato celebrato da oltre due secoli... Nessuno dei presenti, nemmeno tra i più vecchi Maghi della Confraternita, ha mai assistito a questa Cerimonia, prima di questa notte. Spero vi sia più chiaro, adesso, quale privilegio vi sia stato concesso e per quale motivo ho preferito portarvi con me che lasciarvi seguire vostra madre a casa di Cygnus: pretendo che siate degni non solo del nome che portate, ma anche e soprattutto del favore che il vostro padrino vi ha accordato... Se metterete in imbarazzo me o, ancor peggio, Alshain... ”
    “... ce la farai pagare cara...”

Mio padre mi fissò e annuì, guardai Regulus, era terrorizzato come ogni volta che nostro padre ci faceva una delle sue prediche. Di solito io ero annoiato dai suoi discorsi sull'onore, sulla famiglia, sull'orgoglio Black e Serpeverde, e su tutto ciò che per lui era importante e che a me non interessava affatto, da tempo avevo persino imparato a curarmi poco dei suoi avvertimenti e delle sue minacce, perché, anche comportandomi “bene”, i miei trovavano sempre una scusa valida, quando volevano punirmi. Quella notte però, sentire che le sue parole non erano vuote come sempre, vederlo animato dal fuoco vivo della sua amicizia per Alshain e dal desiderio autentico che aprissimo gli occhi su qualcosa d’importante, mi fece condividere col cuore la sua volontà e, coinvolto, lo rassicurai con il mio sguardo: poteva fidarsi anche di me.

    Se solo fosse sempre così, tra noi... Se lo vedessi così appassionato per qualcosa che non sia il vuoto senso del decoro...  forse riuscirei a...
    No, è meglio non volare troppo in alto con la fantasia!

Nella tenda, Doimòs ci aiutò a eseguire i Riti purificatori con l'acqua e gli unguenti, poi ci vestimmo con tuniche simili a quelle che avevamo indossato un anno prima e infine ci avvolgemmo nei nostri caldi mantelli scuri: per tutto il tempo ripensai a quando avevo spiato Alshain durante la sua vestizione, alla prima volta che avevo visto le misteriose Rune tracciate sul suo corpo, alla curiosità e all'ammirazione che avevo provato per lui e per il mondo che rappresentava. Mio padre controllò il suo orologio e, appurato che mancava ormai poco alla mezzanotte, ci ordinò di uscire, in tempo per vedere gli Sherton emergere dalla loro tenda: era la più grande, sul lato opposto della radura e, come già sapevo, si poteva riconoscere dagli stemmi della Confraternita e di Salazar, che vi erano stati ricamati sopra in un lontanissimo passato. Un vecchio si mise alla testa di una lunga processione di Maghi e Streghe che si formò all'istante, riconoscendo dal lento movimento delle stelle che era giunta l'ora di introdursi di nuovo nel fitto del bosco: Alshain, stretto nel suo mantello scuro, il cappuccio calato sul viso, si accodò proprio alle spalle del vecchio, portando il prezioso fodero che conteneva la spada di Hifrig legato alla cintola, dietro di lui riconobbi dalla statura prima Mirzam poi Rigel, anch'essi incappucciati, seguiti da vicino da Deidra e Meissa, entrambe con il capo velato. Tutti gli altri Maghi si mossero ordinatamente dietro di loro, reggendo delle fiaccole, noi, con nostro padre ci ritrovammo a circa metà della fila, ed entrammo nel bosco quando ormai la testa della processione non si vedeva più, immersa nel fitto intrico di rovi e alberi; com'era già successo un anno prima, appena il bosco si aprì in una nuova radura, una Strega anziana, che si era messa alle spalle di Deidra e Meissa, levò alto il braccio sinistro e tutte le donne si staccarono dalla processione per fermarsi e disporsi lì, al buio, in cerchio, noi invece continuammo ad avanzare, fino a raggiungere una quercia isolata, tra i cui rami spiccava un ricco, inconfondibile cespuglio di vischio. Mi guardai attorno: nella penombra rossastra creata dalle fiaccole, capii che eravamo su uno degli speroni di roccia a picco sul mare, dietro di noi si era richiuso il bosco, davanti e intorno c'erano solo gli orridi strapiombi, le rocce acuminate, il cielo infinito e l'oceano tempestoso, le onde che ululavano sotto di noi, il vento che ci portava addosso l'aria gelida mista all'odore inconfondibile della salsedine. La potenza stessa di quella terra sembrava permearci, esaltarci, entrare in noi attraverso la pelle e il respiro: ci dava potere e... vita. Appena la vidi, la quercia dall'aspetto millenario, isolata, esposta alle correnti, che si ergeva come un tempio a sfidare la forza della natura, mi chiesi se fosse un caso che fosse nata proprio lì, o se fosse piuttosto l'ultima reliquia rimasta di un Bosco Sacro più esteso, ma quando sentii la potenza di Herrengton sulla pelle e poi nel corpo, compresi che la scelta di quel luogo rispondeva a una precisa ragione, che quel suolo celava una storia che, prima o poi, sarei riuscito a conoscere. Guardai mio padre, la sua occhiata mi diceva che forse aveva indovinato i miei pensieri, immaginai che, al momento opportuno, avrei avuto le risposte che cercavo proprio da lui, com'era già successo in passato, così in silenzio seguii gli altri; ci disponemmo in cerchio, il Mago che ci aveva guidato fin lì fece i tre giri attorno alla quercia, disegnò con la spada, a terra, nella neve, proprio nel punto più proteso sopra l'oceano, il Cerchio del Sole e vi accese nel mezzo un falò, poi parlando in gaelico si rivolse ai quattro punti cardinali, travolto quasi completamente dalla potenza del vento che sembrava spirare sempre più violento: quando finì di recitare le sue formule, il vento si placò di colpo e, sotto di noi, il mare smise di ululare. Immaginai, colpito da quella misteriosa potenza, che fosse questo uno dei motivi per cui i Maghi del Nord non accettavano estranei nelle loro Terre e perché alcuni, al Ministero, avevano tanta paura di loro.
Mirzam, unico tra tutti noi, si sollevò il cappuccio e con sorpresa, alla luce delle fiaccole, ammirai il suo volto, ripulito dalla barba fluente che gli avevo visto poche ore prima a Grimmauld Place, a parte un piccolo ciuffo rossastro che aveva ancora sul mento; anche i capelli erano stati tagliati e apparivano incredibilmente corti per gli standard di uno Sherton. Regulus parve sorprendersi anche più di me per quel visibile dettaglio.

    “Che cosa ha fatto ai capelli? Fino a poche ore fa aveva quella bella coda di capelli scuri!”
    “Fa parte dei sacrifici dei Riti di Rinnovamento: oggi Mirzam ha passato tutto il giorno da solo, per purificarsi nella Grotta della Sorgente, ha bagnato le sue Rune con gli infusi di erbe magiche e infine si è tagliato i capelli e la barba, per offrirsi rinnovato a Herrengton e alla nuova fase della sua vita. Se non capiterà nulla che lo porti a un nuovo sacrificio prima del tempo, lascerà crescere i capelli fino al giorno della nascita del suo primo figlio. Il loro intero corpo, non solo la pelle, è infatti una tela su cui Herrengton traccia il Cammino dell'Esistenza.”
    “Non prenderà delle Rune per il matrimonio?”
    “Certo, e stavolta a fargliele sarà proprio suo padre, non un sacerdote qualunque. Adesso fate silenzio e osservate: quello che uscirà ora dal cerchio è Duncan MacPherson, il maestro di Alshain, un Mago molto potente, noto in tutte le Terre del Nord, e non solo, con il soprannome di Fear.”

Provai un brivido, quando sentii pronunciare quel nome e con un’ansia notevole rividi nella mente scene spaventose vissute, per fortuna, solo in sogno. Osservai il vecchio Mago, che aveva condotto il Rito fino a quel momento, rientrare nel cerchio e al suo posto emergerne un altro, dalle lunghe chiome canute sciolte sulle spalle ampie, completamente vestito di bianco: si avvicinò all’albero con una falce dorata e pronunciò in gaelico le formule che raccontavano, come sapevo dall'anno precedente, la morte del Vecchio Sole e la nascita del Sole Nuovo. Io non ascoltai nessuna di quelle parole, ipnotizzato dalla figura del Maestro, che emanava un magnetismo potente, quasi fosse un tutt'uno con quella Terra: alto e magro, anche alla luce del falò vedevo che aveva la pelle cotta dal sole, il volto, uscito dagli abissi del tempo, era segnato da una fitta rete di profonde rughe mentre i suoi occhi...

    Merlino...

Pur in quella luminosità alterata, riuscivo a percepire l'acciaio di quegli occhi, occhi che, da soli, sarebbero stati capaci di fendere l'oscurità più profonda. Quasi in tranche, mentre osservavo quella figura muoversi con un'agilità inaspettata e parlare con una voce potente e imperiosa, la Strega anziana, che aveva guidato le donne a distaccarsi da noi, riapparve dal bosco seguita da quattro ragazzine velate, che si disposero attorno a Fear tendendo un panno candido sotto la quercia, così che, quando avesse tagliato il vischio con la falce, il sacro grappolo non si sarebbe sporcato cadendo a terra. Non fui l'unico a restare sorpreso nel riconoscere tra le quattro ragazzine la figura inconfondibile di Meissa.

    “Quella è... ”

Mio padre annuì vedendo lo stupore di Regulus e riprese a bassa voce le sue spiegazioni.

    “Ogni anno partecipano quattro bambine diverse, perché il Rito prevede solo ragazzine di undici anni compiuti: prima è rischioso per loro, perché non hanno le Rune ai piedi, mentre dopo... per secoli le Streghe del Nord si sono sposate il giorno del dodicesimo compleanno, e con il matrimonio... diventavano inadatte.”
    “Meissa però non si sposerà a dodici anni, vero?”

Regulus lo disse con la stessa voce allarmata che avrei usato io se avessi formulato la domanda per primo, e come me attese con ansia la risposta: conoscendo Alshain, una barbarie del genere era a dir poco impensabile, ma ero comunque stato assalito da una fastidiosa agitazione.

    “Direi proprio di no... Questa era la norma in passato, oggigiorno, situazioni del genere sono molto più rare.”
    “Come nel caso di nonno Pollux?”
    “Esatto. Vostro nonno ha rispettato la volontà espressa da suo padre, come si conviene a un vero Black!”
    “Vuoi dire che per il bene della famiglia anche a Regulus o a me potrebbe essere imposto di sposarci a tredici anni? Non ci credo! È assurdo!”
    “È proprio ciò che sto dicendo, invece, Sirius! Ognuno di noi, prima di ogni altra cosa, deve pensare al bene della famiglia, alla sua prosperità e sopravvivenza: voi due siete ancora troppo giovani e immaturi, e spero vivamente, per tutti, che ci sia ancora molto tempo prima che dobbiate affrontare certe situazioni, perché, conoscendovi, combinereste solo disastri, ma... Il futuro spesso ci sorprende e noi dobbiamo essere preparati ad affrontarlo al meglio! Sempre!”

Guardai mio padre: era angoscia quella che gli leggevo negli occhi? Ci stava confidando, a modo suo, quello che aveva vissuto sulla sua pelle? O era quello che stava architettando per noi, in nome della sacra Casata dei Black?

    “Mirzam, però... perché loro possono fare quello che vogliono?”
    “Fare ciò che vogliono? Lo credi davvero? Apri gli occhi, Sirius! Hanno solo imparato nel tempo come far convergere i propri interessi e quelli della famiglia! Se anche voi due, crescendo, imparerete a sfruttare le situazioni a vostro vantaggio, vi accorgerete che non è così difficile fare il proprio dovere senza rinunciare a niente. Al contrario, opponetevi al bene della famiglia e ciò che vi resterà in mano sarà solo polvere! Ragionate seriamente fin da ora sulle mie parole. E ora... zitti!”

Notai un'occhiata perplessa di Regulus, che non compresi, mio padre, se la notò, fece finta di nulla, guardando entrambi con una risolutezza che non ammetteva repliche, io ripresi a seguire il Rito, ma mi ripromisi di indagare: mi accorgevo sempre quando mio fratello mi nascondeva qualcosa e in quel momento c'era qualcosa che lui sapeva ed io no. La Strega anziana si avvicinò al nostro cerchio, seguita dalle quattro ragazzine, distribuì il vischio, del vino e delle focacce, mentre Fear tracciò a terra la Croce Celtica e invocò gli Spiriti dei Padri; infine spense il fuoco dopo averne preso un tizzone e con quello, guidata indietro, di nuovo, la processione attraverso il folto bosco, accese il falò al centro del cerchio formato dalle donne. Quando finalmente ci ritrovammo tutti insieme attorno al fuoco, furono pronunciati i Riti di benvenuto al Nuovo Anno, le Streghe si scoprirono il capo e si levarono nell'aria i canti rituali nella lingua del Nord, che durarono per tutta la notte. Mirzam si avvicinò al falò, la Strega anziana prese erbe e incensi e li bruciò nel fuoco, mentre il figlio di Herrengton si spogliava lentamente delle sue ricche vesti, restando coperto, alla fine, solo da una serie di fitte fasce che gli celavano il sesso, poi si distese a terra, supino, le braccia lungo i fianchi, gli occhi chiusi e le dita affondate nella fredda neve. Le quattro ragazzine tesero un velo d’impalpabile seta e lo fecero cadere lentamente a coprirgli il corpo, la Strega gettò le vesti abbandonate nel fuoco, insieme ai resti dei capelli e della barba, poi fu lasciato lì, da solo, per ore, con le bambine in piedi, disposte secondo i punti cardinali, che gli davano le spalle, come delle guardie, impedendo simbolicamente a chiunque, Creatura, Mago o Spirito, di avvicinarsi. I giovani più grandi diedero il via alla Danza delle Spade, tutti gli altri presenti si rilassarono e si abbandonarono alla convivialità: alcuni mangiavano e bevevano, altri parlavano e osservavano, altri ancora si cimentarono in danze più profane. Da lontano, non staccai gli occhi da Alshain: mi sembrava molto preoccupato, quasi assente, non lo vidi parlare con nessuno, gli occhi fissi sulla figura immobile di suo figlio, che non mosse mai un solo muscolo, come se fosse stato pietrificato; anche Deidra e Rigel non si lasciarono coinvolgere dai festeggiamenti, e Meissa, al pari delle altre tre ragazzine, non ebbe un solo istante di cedimento. Mi chiedevo se non fosse pericoloso, restarsene così a lungo immobili, nudi, esposti a quella temperatura ma, cogliendo le nostre espressioni dubbiose, papà, pur assorto dai movimenti fluidi e dalle figure cabalistiche della Danza delle Spade, e preso in un enigmatico gioco di sguardi a distanza col suo migliore amico, rassicurò me e Regulus affermando

    “... in questo momento Mirzam ha anche più caldo di noi!”

Quando ormai mancava poco più di un'ora all'alba, vedemmo salire in cielo, dal mare, un lampo rosso, come se qualcuno avesse lanciato un Incantesimo di segnalazione: di colpo i canti e i balli si fermarono, tutti guardarono verso Mirzam, che si mosse per la prima volta dopo tante ore. La Strega anziana si avvicinò con Fear al giovane, finalmente in piedi, lei iniziò a ripassare con un inchiostro rosso le Rune che Mirzam aveva sul collo, sulle mani e sui piedi, sul petto e sulla schiena, poi brandì il falcetto dorato che il vecchio Mago le aveva offerto e tagliò di netto il ciuffo di peli che aveva ancora sul mento, ferendolo. Fear, rapido, lasciò scorrere sulla ferita l'acqua conservata in un corno d'argento che sanò all'istante il taglio, lasciando al suo posto una cicatrice fatta di una sottile serie di Rune.

    “Quella, ragazzi, è l'acqua della Sorgente di Herrengton, è usata in tutti i Riti del Nord: da questo momento Mirzam è pronto! Ora dovrà entrare nel bosco e da lì dovrà scendere alla Grotta di Salazar dove lo attenderemo. Prima di riunirsi a noi, però, deve raggiungere Sile e portarla con sè. E tutto questo dovrà compiersi prima che il disco del Sole emerga completamente dai flutti... ”
    “E farà in tempo? Noi ci abbiamo messo ore a scendere alla spiaggia, quest'estate, e non c'era la neve e... qui la foresta sembra molto più fitta! Che cosa accadrebbe se non ci riuscisse?”
    “Ci riuscirà, Regulus, deve riuscirci... altrimenti non ci sarà nessun matrimonio.”
    “In che senso? Ormai gli invitati stanno arrivando da tutto il Regno!”
    “Nel senso peggiore che tu possa immaginare, Sirius. Questi Riti antichi sono stati abbandonati, negli ultimi secoli, perché molto pericolosi: a un certo punto, in passato, gli Sherton ebbero persino difficoltà a sposarsi, perché nessuno voleva rischiare di morire per mischiarsi a loro!”
    “Allora perché hanno deciso di recuperare queste tradizioni?”
    “I giovani del Nord sono abituati fin da piccoli alla durezza delle prove legate alle Rune e sentono sempre il bisogno di vincere le sfide con se stessi: Mirzam e Sile sono entrambi molto legati alle Tradizioni del Nord, e con il “Matrimonio Tradizionale” sanno di poter dimostrare a tutti l'assoluta serietà delle proprie intenzioni. Benché poco entusiasta, Alshain, non è riuscito a dissuaderli e ha dovuto cedere, soddisfacendo, tra le altre, anche questa richiesta. Ora, però, muoviamoci, perché si sta formando la fila.”

Alshain si alzò, levò la destra e attirò su di sé, senza parlare, l'attenzione di tutti: nel silenzio totale, senza incantesimi verbali, evocò in mezzo al cerchio un’ara di pietra, su cui era incastonato il piedistallo di una bilancia dorata con due piatti; con un potente “Wingardium Leviosa” fece in modo che restasse librata a un metro e mezzo da terra, sospesa all'interno di una specie di palla evanescente che la isolava dalle interferenze di qualsiasi cosa, vibrazione, calore, la circondasse. Sherton materializzò poi, dal nulla, un piccolo vasetto, lo incantò così che s'innalzasse a mezz'aria sopra la bilancia e vi rimanesse sospeso: lentamente, da un piccolo foro sul fondo, iniziò a cadere sui due piattini una polvere iridescente che si distribuiva equamente, in modo che un piatto non si sbilanciasse mai rispetto all’altro. Estrasse poi la bacchetta d’argento dalla cintola e con un colpo secco, rivolto verso il mare, produsse un intenso getto di luce dorata che illuminò il cielo a giorno: pochi minuti dopo, l'equilibrio si spezzò e uno dei due piatti sembrò reggere un peso superiore all’altro, con la polvere iridescente che cadeva più veloce e concentrava il suo flusso solo sul piatto destro. Un brivido mi percorse la schiena, non sapevo cosa significasse, ma ero convinto che non fosse un buon presagio: guardai mio padre, per la prima volta dall’inizio dei Riti, non solo apparve poco propenso a parlare, ma addirittura lo vidi più preoccupato di Regulus e me. Mi voltai, Mirzam si stava inoltrando nella foresta, da solo: mi chiesi cosa ci fosse realmente lì dentro di tanto temibile, cosa gli sarebbe successo e, soprattutto, se l'avrei più rivisto. Infine, pressato dalla folla che si stava disponendo ordinatamente in una nuova processione al seguito di Fear e Alshain, che con la loro Magia reggevano e libravano, sopra le loro teste, l'ara di pietra, mi accodai agli altri, rincuorato nel sentire la presenza di mio padre e di mio fratello dietro di me.

***

Lord Voldemort
Howgill Fells, Cumbria - 20/21 dicembre 1971

Il vento scuoteva violento gli alberi spogli, le nuvole si rincorrevano, cariche di tempesta, ovunque regnava l'oscurità, rotta a tratti dallo spicchio di luna nel cielo e dal fuoco delle fiaccole portate dagli Elfi; l'aria gelida penetrava attraverso i tessuti, costringendo la comitiva, appena materializzata, a infagottarsi sempre più nei propri ricchi e caldi mantelli e ad alzare sul viso baveri e stole costose. La processione, rapida e silenziosa, attraversò il bosco, fino a raggiungere una radura: tutti, uomini e donne, si fermarono, si disposero in cerchio attorno al falò che i primi Elfi, spediti da oltre un'ora, avevano già acceso e tenevano vivo bruciandovi erbe magiche ed essenze. Nessuno disse parole o fece gesti che sottintendessero un rituale ma, rispondendo a una consuetudine che si ripeteva uguale a se stessa ormai da generazioni, due figure, un Mago e una Strega, si avvicinarono al fuoco, sollevarono il cappuccio, mostrando i volti anziani e impassibili alla luce rossiccia delle fiamme, estrassero, con le dita cariche di gioielli, da sotto il mantello due sfarzosi sacchettini, che tenevano alle rispettive cintole, e gettarono il contenuto nel falò, recitando a bassa voce, un misto d'invocazione per ottenere la protezione su se stessi e la propria Famiglia e maledicendo tutti quelli che recavano danno al loro prestigio e ai loro interessi. Uno dopo l'altro, tutti i Maghi e le Streghe, oltre una trentina di persone accomunate da legami di Sangue, si avvicinarono, ripetendo gli stessi gesti e le stesse preghiere, dopodiché si ritrassero in silenzio al proprio posto, in attesa di mettere fine a quella riunione. Solamente io e l'ombra al mio fianco, per tutto il tempo, rimanemmo distaccati dagli altri, al limitare del bosco: non avevamo richieste da fare agli dei antichi, al Sole o a qualsiasi altra Entità superiore, confidavamo solo in noi stessi, nella potenza della nostra Magia e nella solidità del comune progetto, ormai prossimo al compimento. Imponente, stretto nel mio mantello scuro che rifulgeva per semplicità e sobrietà in quello scintillio di lusso e apparenza, osservavo attento quella sequela di gesti vuoti e parole vane e sorridevo, falsamente compiaciuto, di quella che consideravo solo stupida superstizione. Sognavo da anni il giorno in cui anche ciò che restava di quelle tradizioni antiche, ma ormai svuotate di significati e convinzione, sarebbe stato spazzato via, sconfitto dal ritorno a una Fede Pura, da un Ordine Nuovo, di cui sarei stato Principe e Giudice, forte di ciò che nessuno mai, nemmeno il mio potente e glorioso antenato, aveva sognato: vincere il tempo, la storia, addirittura la Morte, diventando io stesso il dio immortale davanti al quale tutto il mondo, magico e non, si sarebbe prostrato.

    “Mio Signore... ”

Mi voltai ma non risposi, accarezzai con lo sguardo la figura devota al mio fianco, il cui Nome e il cui Sangue erano carichi di storia, nobiltà e purezza: quel Nome apriva qualsiasi porta, poteva piegare buona parte del mondo magico ai propri voleri, eppure si offriva a me, metteva al mio servizio la propria potenza e la propria persona, con umiltà e sottomissione. Un piacere ancora più intenso e ottenebrante del godimento fisico s’impossessò di me, mi fece vibrare e bruciare, pieno d'orgoglio per me stesso, per aver già cancellato l'onta di una nascita imperfetta grazie alla mia potenza magica, alle mie imprese, al mio prestigio. Assaporai il preludio della vittoria, consapevole che quello era solo l'inizio. I miei seguaci stavano reclutando ogni giorno nuove leve per il mio esercito e questo mi esaltava non solo perché il mio trionfo definitivo si faceva più vicino, ma perché dimostrava che molti avevano compreso il mio ruolo di guida, di Benefattore del Mondo Magico, colui che, affrontando una realtà statica e agonizzante, permetteva a tanti giovani volenterosi di diventare veri uomini, versando sangue impuro e contribuendo alla realizzazione del Nuovo Corso, di quel mondo giusto che molti ormai chiedevano a gran voce. Guardai di nuovo la ricca comitiva riunita davanti al fuoco e ripensai alla serata appena trascorsa: ero stato invitato con gli onori di un re presso famiglie di alto lignaggio, avevo raccolto molti consensi, molte promesse di denaro e di appoggi, facendo leva come al solito sulla deriva del Ministero, sulle difficoltà e le umiliazioni subite dai Purosangue, sulla necessità di un cambio dei vertici. In realtà quella sera non avevo reclutato nessuno, non avevo impresso il marchio dei miei devoti su nessun nobile braccio, ma non me ne dispiacevo, perché una vittoria piena e completa non si ottiene solo sul campo di battaglia: occorreva anche tessere reti di relazioni ed era questo che avevo chiesto e ottenuto dalle mie amicizie influenti, quelle che, per vanità o codardia, non se la sentivano di correre rischi e sporcarsi le mani, quindi pagavano per far tacere le proprie coscienze, davano il proprio contributo sostenendo economicamente la causa e fornendomi agganci ai massimi livelli della politica. Sì, era stata una serata proficua, molto proficua e nei giorni successivi... Se tutto fosse andato secondo programma, il Ministero della Magia sarebbe passato in mani più abili e, soprattutto, amiche entro la fine dell'anno; subito dopo, avrei ottenuto il controllo completo del Wizengamot e, alla fine, sarebbe saltato anche il posto, e soprattutto la testa, di un certo, maledetto, vecchio, che da troppo tempo osava frapporsi tra me e il mio sogno più grande: Hogwarts. Sì, volevo Hogwarts sopra ogni altra cosa, volevo guidare e plasmare personalmente tutte quelle giovani menti, per evitare che cadessero in errore: in un modo o nell'altro, presto ci sarei riuscito. I miei piani avrebbero goduto di una notevole accelerazione se avessi dominato la fiamma di Herrengton e esteso il mio potere sui luoghi che spettavano per Diritto di Sangue all'erede di Salazar Slytherin: appena ci fossi riuscito, persino i più cauti, uomini influenti come Arcturus e Orion Black, resi troppo pigri e pavidi dalla vita comoda e dai privilegi, avrebbero messo da parte i propri dubbi e mi avrebbero sostenuto, senza ulteriori indugi. E ora, finalmente, era arrivato il giorno della svolta per me e per l'intero mondo magico.

    “Mio Signore, i fuochi son quasi spenti ...”

Non mi voltai, ma mi lasciai andare ugualmente, per pochi attimi, alla grazia di quella voce: strinsi gli occhi e ripercorsi nella mente, trepidante e bramoso, la vista delle sue fattezze piene e perfette che, invitanti sotto gli abiti costosi, si offrivano a me, a me che da mesi giocavo a fingermi indifferente. Un tempo, nei giorni ingiuriosi del mio passato, avevo promesso a me stesso che mi sarei preso qualsiasi cosa volessi, in qualsiasi modo, per il semplice fatto che tutto mi spettava di diritto, avevo iniziato con gli insulsi trofei strappati alle mie giovani vittime, avevo proseguito scegliendo con cura maniacale le reliquie dei Fondatori, in cui conservare i frammenti della mia stessa Anima. Quel giuramento, da qualche mese, comprendeva anche lei, la donna del mio discepolo più devoto, il frutto più bello e malvagio di una delle famiglie più pure d'Inghilterra: presto avrei goduto pienamente, in ogni modo possibile, anche di lei, traendo la massima soddisfazione, prima ancora di assaporarne la carne e il sangue, nel vederne a lungo la nobiltà e la purezza prostrate ai miei piedi, nell'ammirarne l'orgoglio trasformarsi in supplica, vinta dal desiderio, che già sentivo forte in lei, di farsi usare, violare, marchiare da me, il suo Signore. Pregustavo nella mente quel gioco, ma m'imponevo cautela, perché il desiderio poteva dimostrarsi anche per me una sottile forma di debolezza, qualcosa che poteva rendermi umano e tangibile: per questo negli anni avevo imparato a dominarmi, rendendomi pienamente padrone di tutto, a cominciare da me stesso.

    “Il nuovo giorno cambierà le sorti del mondo magico... Sei pronta, Bellatrix? ”
    “Oggi, mio Signore?”
    “Sì, oggi... Sempre che tu non abbia paura di affrontare gli Sherton!”

Ghignai, vedendo l'odio diffondersi negli occhi di ossidiana nera della giovane al mio fianco. Nell'istante stesso in cui la mia bacchetta aveva marchiato la pelle diafana di Bellatrix Black in Lestrange, accogliendola nella cerchia ristretta dei miei devoti, in quell'attimo di debolezza che le avevo strappato, fatta di straniamento e dolore e piacere mentale, ero riuscito a penetrare nei suoi ricordi, leggendo come in un libro aperto ciò che volontariamente non avrebbe mai ammesso nemmeno con se stessa: la rabbia feroce, ancora palpitante, per il rifiuto, il dolore per l'umiliazione subita, il desiderio di vendicarsi sul responsabile diretto e su tutti coloro che avevano contribuito in un modo o nell'altro alla sua sconfitta. A cominciare dal suo sposo: Rodolphus Lestrange.

    “Per Voi sono pronta a tutto, Mio Signore! Nulla mi fermerà!”

Sorrisi: com'era infondo simile a me, quella creatura ferita! Conoscevo quella rabbia, me ne ero cibato per anni, e grazie ad essa, alla fine, avevo cancellato Tom Riddle ed ero diventato per l'intero mondo magico “Lord Voldemort”, “Milord”, “Colui che non deve essere nominato”. La stessa rabbia rendeva lei la devota perfetta: mi sarei servito di tutto quell'odio folle e feroce a mio vantaggio, mi sarei nutrito fino in fondo della sua potenza ancora acerba, plasmandola e guidandola.

    Così come godrò, infine, del suo ventre.

Nonostante mostrasse ancora, a volte, gli atteggiamenti irritanti tipici delle antiche famiglie, non riuscivo a disprezzare Bellatrix Black in Lestrange come disprezzavo la maggior parte del mondo da cui veniva, quello che avevo conosciuto nei miei anni a Hogwarts, fatto di Slytherin bramosi di sangue, certo, ma rammolliti, viziati, svogliati, incapaci di darsi delle regole, di prefiggersi uno scopo che non fosse il tornaconto personale; traditori anch'essi, perché, indolenti e vili, non avevano mosso un dito mentre il Mondo Magico cadeva nel baratro. Bella, invece, era diversa, la sua anima riconosceva e tendeva al Bene Superiore, per questo se avesse mantenuto appieno ciò che mi aspettavo da lei, alla fine l'avrei ricompensata, concedendole la vendetta agognata e innalzandola al di sopra di tutti gli altri. Anche perché, al contrario della maggior parte di coloro che si avvicinavano a me, supplici, cercando di trarre un meschino profitto, Bellatrix Black provava nei miei confronti una devozione pura e autentica: cercava di compiacermi solo per guadagnarsi la mia stima, desiderava essere apprezzata per le proprie capacità, essere giudicata per se stessa, non per il nome che portava, voleva essere solamente“Bellatrix”, non la figlia o la moglie di un uomo influente.

    “Non voglio che tu corra rischi inutili: domani, al momento giusto, un insospettabile eseguirà i miei ordini e tu approfitterai del diversivo per prendere ciò che voglio... ”

Gli occhi di Bellatrix s’infiammarono, credendo forse di cogliere nelle mie parole un po' di premura nei suoi confronti: già grata che le dimostrassi tanta fiducia da affidarle un incarico estremamente importante, la sua venerazione per me si accrebbe ancora di più. Mi ripromisi di premiare tanta dedizione concedendole il privilegio di assistere al mio ingresso trionfale nelle Terre del Nord, godendo in prima fila dello scempio che avrei fatto di quella specie di rinnegato di Alshain Sherton e dei suoi familiari.

    “Non farne parola con Rodolphus, però, ho affidato anche a lui un compito importante, e non voglio che sia distratto!” 
    “Un compito importante? Mio signore, non voglio mancarVi di rispetto ma... ne siete certo? La malevolenza del giovane Sherton ha spesso tratto vantaggio proprio dall'ingenuità del mio sposo...”
    “Ho un'alta opinione di Rodolphus, Bellatrix, lo ritengo il migliore dei miei discepoli, l'unica pecca che eventualmente posso trovargli sei tu, è la venerazione che prova per te che, a volte, lo fa essere manchevole nei miei confronti... pertanto dovrai essere accorta, perché puoi essere la nostra carta vincente, come la nostra rovina...”

La giovane fece un chiaro cenno di umile assenso, il suo entusiasmo e la sua baldanza avevano lasciato in parte il posto alla mortificazione per il velato rimprovero e soprattutto alla gelosia e al risentimento verso il suo sposo, che ancora una volta avevo definito il migliore tra i miei seguaci. Sorrisi, avevo scelto con cura le parole da usare, quelle che sapevo avrebbero spinto Bellatrix a fare di tutto, anche l'impossibile, per portare a termine la missione: in quei pochi mesi avevo imparato come ottenere il meglio da lei, come sollecitarla toccando di volta in volta le corde giuste, come esaltarne l'impeto e la determinazione dimostrandole un sincero interesse, o scatenarne l'odio feroce verso gli Sherton, riaprendo antiche ferite. Ciò che mi divertiva particolarmente, però, era alimentare la rivalità reciproca tra Bella e suo marito, anche perché ne traevo, alla fine, un incredibile vantaggio. Bellatrix voleva guadagnarsi sul campo il rispetto dei compagni e il mio favore, dimostrando chiaramente di valere come persona e come Strega, al di là delle parentele importanti, ma il suo desiderio segreto andava ben oltre: voleva essere la migliore tra tutti, prendere il posto di Rodolphus al mio fianco, e infliggergli così la più terribile delle umiliazioni, a parziale risarcimento di  quelle subite. Da parte sua, Rodolphus, pur preso profondamente da lei, aveva intuito quelle trame e cercava in ogni modo di impedire che si concretizzassero, non poteva permettersi, infatti, di perdere la posizione di prestigio che aveva assunto negli ultimi anni al mio fianco e ancor meno di subire l'umiliazione di essere scalzato da una donna, da sua moglie per giunta: pur ricco e potente, infatti, Rodolphus non era ancora riuscito ad affrancarsi del tutto dalla figura di suo padre, un uomo che non perdeva occasione per umiliarlo, dandogli dell'incapace, perché l'erede che tutta la famiglia Lestrange aspettava, tardava ad arrivare.

    “Non essere turbata: domani, finalmente metterò fine a tanti, troppi errori... e tu godrai della giusta ricompensa... ora vai...”

La donna s’inginocchiò davanti a me, grata, raccolse la mia mano e se la portò alle labbra, perdendosi in un bacio caldo e voluttuoso sulla mia pelle fredda: sentii il calore di quel bacio penetrare nella mia carne, scivolare dentro fin negli abissi più oscuri della mia mente e del mio corpo, incendiarmi il sangue e accendermi infine di folle desiderio. Abbassai lo sguardo su di lei, turbato: era lì, compiaciuta, prostrata con devozione ai miei piedi, una figura completamente avvolta di oscurità, i suoi occhi, fissi nei miei, fiammeggianti, erano due pozzi neri in cui si agitavano i fantasmi del desiderio, carichi della promessa di futuri, ben più intimi onori. Alla fine si alzò, lasciando intravvedere, furtiva e maliziosa, dal cappuccio, parte della pelle nivea del suo collo e il corvino setoso dei suoi capelli, poi scivolò via, per raggiungere le altre ombre e occupare il suo posto tra quanti chiedevano ancora alle fiamme sostegno per il nuovo anno. La guardai, per un'ultima volta, poi mi smaterializzai tra gli alberi, pregustando le delizie che il futuro mi avrebbe donato. Ormai, mancava davvero poco all'alba.

***

Mirzam Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971

La foresta si richiuse alle mie spalle, inghiottendomi: tutto intorno a me c'erano solo odore di resina mista a salsedine, freddo e oscurità. Conoscevo già quella sensazione di smarrimento, l'avevo provata sei mesi prima, la notte di Litha, prima di assumere le mie ultime Rune, ma in quella circostanza mi erano stati concessi più tempo, dei vestiti, una scopa e una spada. E, soprattutto, a essere in gioco, allora, era solo la mia vita. Probabilmente, anche in quest'occasione, il Rito avrebbe unito al peregrinare nella foresta quello negli abissi più oscuri della mia mente, perciò mi aspettavo che presto sarebbero iniziate delle visioni che mi avrebbero fatto perdere il senso della realtà. L'ultima volta non era stata una bella esperienza, avevo avuto prova di cosa sarei stato capace di fare, se solo avessi lasciato libero sfogo ai miei istinti e, mentre ero impegnato ad affrontare uno dei miei demoni personali, non mi ero accorto di un orso, uscito dalla foresta, intenzionato a fare di me uno spuntino notturno. Ne avevo ancora le cicatrici addosso. Feci un respiro profondo, chiusi gli occhi e affondai un altro passo nella neve gelida: la morsa del freddo mi addentò il piede, divenne una specie di fuoco che mi avvolse la caviglia e risalì come una miriade di spilli ardenti fino al polpaccio, penetrò sempre più nelle mie carni, mandandomi stilettate di dolore alle ossa, alle ginocchia, mi percorse tutto il corpo, ottenebrante, attraverso le terminazioni nervose, ed esplose come uno shock lancinante nel cervello. Avevo imparato, negli anni, a sopportare il dolore e ormai non era più la sofferenza a spaventarmi, al contrario temevo la perdita di controllo, perché in quel frangente non me la potevo assolutamente permettere. Dovevo concentrarmi e trovare in me stesso la forza per reagire, dovevo sbrigarmi a compiere delle scelte razionali, prima che i miei sensi, uno dopo l'altro, si appannassero e a guidare tutte le mie azioni rimanesse solo l'istinto, la voce che portavo dentro. A quel punto avrei solo potuto pregare Merlino e tutti i Fondatori, come avevo già fatto per ore steso nella neve, coperto solo da un impalpabile velo, sperando che la mia voce parlasse la stessa lingua di Herrengton, che la mia fede in ciò che ero e in ciò che portavo nel cuore fosse sufficiente a convincere il potere della mia Terra a lottare al mio fianco per salvarci. Mi restava poco tempo ed io dovevo sfruttarlo per aiutare quell'intuito, indirizzarlo verso una scelta consapevole: avevo provato a prepararmi, a lungo, e ormai pensavo di sapere come fare per aggirare almeno alcuni degli ostacoli.

    “A sinistra. Deve essere qui, da qualche parte. La pioggia non può averlo cancellato. Devo trovarlo… Devo camminare per una decina di metri, tenendo sempre la mia sinistra fino a un... ”

Avevo studiato il percorso migliore in quei mesi, da quando avevo capito che avrei dovuto raggiungere la spiaggia dopo i Riti notturni di Yule: avevo visitato di nascosto, più volte, in varie ore del giorno e della notte, la radura della quercia e avevo scoperto che, a pochi metri dall'inizio della boscaglia, nascosto dai rami di un vecchio ippocastano e dai rovi, scendeva un sentiero ripido. Era pericoloso, certo, ma era il più facile e il più rapido da trovare, così non avrei perso troppo tempo vagando nel bosco, esponendomi alle false lusinghe della foresta e, con un po’ di sangue freddo, necessario viste le asperità, sarei riuscito a scendere molto velocemente, perché era più diretto rispetto agli altri che avevo scoperto aprirsi qua e là. Ritrovai l'albero con il segno che avevo lasciato pochi giorni prima, una Runa incisa sul tronco a un'altezza di circa un metro e mezzo e ricoperta da una sostanza vegetale fosforescente, per vederla anche al buio: per fortuna, nonostante le intemperie, l'impiastro non si era sciolto ed io ero ancora abbastanza lucido da notarlo. Mossi un passo, poi un altro e un altro ancora, di fronte a me, i rovi e le sterpaglie non mutarono disposizione, seguendo un gioco sibillino che mi confondesse la mente, trovai anzi facilmente il percorso che cercavo e iniziai ad affrontarlo. Deglutii, era molto ripido e irregolare, la pioggia e il ghiaccio lo rendevano scivoloso e in molti punti impervio, ma mi ero allenato ad affrontarlo persino scalzo e bendato, mettendo in conto che, come l'ultima volta, Herrengton potesse privarmi della sensibilità fisica per costringermi a usare solo i sensi interiori. Con la coda dell'occhio, vidi che dalla base degli alberi e tra i ciottoli iniziava a formarsi una nebbiolina azzurrognola: dalle esperienze precedenti capii che Herrengton si preparava a mandarmi i suoi messaggeri e a quel punto avrei dovuto fare ancora più attenzione per non perdere tempo prezioso, suggestionato dalle visioni. Poco dopo, emerse dagli alberi, tagliandomi la strada, uno dei Centauri che vivevano nella foresta: dalle precedenti esperienze e dalle raccomandazioni di mio padre, sapevo che non dovevo prestare attenzione ad eventuali suggerimenti, ma la Creatura non mi disse nulla, si limitò ad alzare l'indice destro verso il cielo, verso un punto in cui il folto del bosco si apriva un po’, concedendo uno scorcio sull'orizzonte e sul mare, poi si gettò di nuovo nella boscaglia. Seguendo la sua indicazione notai una luce soffusa che si stava levando rapidamente da est, annunciando l'approssimarsi dell'alba. Non sapevo a quali prove Herrengton sottoponesse il pazzo che decideva di affrontarla dopo le Rune dei ventuno anni, nemmeno mio padre mi era stato d'aiuto, perché non si era sposato secondo i Riti del Nord, tanto meno con un Matrimonio Tradizionale; vedendo però che le ombre non riuscivano a sconfiggere la luce dell'alba, trasformandosi in immagini vivide, m'illusi che il Centauro volesse avvertirmi che, stavolta, non ci sarebbero stati tranelli mentali, che la prova consisteva, solo, in una corsa contro il tempo. Tempo di cui ero scarsamente provvisto! Lasciai da parte tutta la mia cautela e avanzai nel bosco, deciso: smisi di camminare e iniziai a correre, saltando lieve come uno stambecco tra i massi. Là dove era possibile, appena la foresta si apriva e il sentiero si proiettava a piombo sulla spiaggia sottostante, cercavo il punto più adatto per calarmi lungo la parete di roccia, usando le radici degli alberi più robusti per sostenermi, tagliando in questo modo i tornanti del sentiero per recuperarlo solo alcuni metri più in basso, quando non potevo fare altrimenti. A un tratto, il percorso affondò di nuovo nel folto della vegetazione e lì sentii una risata dietro di me: era così malefica e foriera di sventura che, udendola, mi si gelò il sangue, immaginai fosse il canto di qualche Creatura sinistra che abitava la foresta, giunta lì per farmi materialmente del male o, peggio ancora, per farmi perdere il senno. Quando però tra gli alberi comparve Bellatrix Black, stretta in un succinto abito rosso, provocante, che mi guardava con la chiara intenzione di sedurmi, risi tra me, diedi le spalle alla visione e ripresi a correre senza più voltarmi indietro.

    “Se le prove sono queste, stavolta non ho motivo di preoccuparmi: ho passato da un pezzo le turbe che avevo a quindici anni... ”

Sentii improvvisamente levarsi, tra la vegetazione, un vento leggero, simile a un sospiro, m’investì, mi accarezzò la nuca e mi scivolò lentamente addosso, lungo la schiena, come una mano umida e gelida che mi fece contorcere dentro, mi avvolse e mi penetrò attraverso la pelle, entrando poi nel mio stomaco e restando lì, come una presenza minacciosa. Maledissi me stesso e la mia stupidità: con la mia irriverenza, avevo appena sfidato quella Terra indomita e potente e ora uno Spirito malvagio sembrava entrato in me, pronto a farmi pentire, al momento giusto, della mia superbia. Ripresi a correre, finché la boscaglia si aprì nuovamente sull'oceano, guardai giù, la costa era a una ventina di metri sotto di me, spaziai con lo sguardo sul placido specchio d'acqua, ringraziando gli dei perché il mare, ora, sembrava tranquillo: ero quasi giunto alla fine, dovevo superare solo quell'ultimo dislivello, e questo mi rendeva fiducioso, anche se la parte restante del sentiero era scoscesa e insidiosa. Fu allora che arrivò, inaspettato, il terzo, e forse ultimo, messaggero: a Litha, la foresta mi aveva mandato l’immagine di tutti coloro con cui avevo avuto dei conti in sospeso, i finti Babbani che avevano aggredito me e mia madre, Ted Tonks, Corso, Pucey, la stessa Bellatrix e Donovan Kelly, mettendo alla prova la mia capacitò di resistere alle provocazioni e, soprattutto, ai miei istinti più o meno violenti, persino alla mia volontà di privare alcuni di loro della vita. Stavolta, però, non riuscivo a capire quale fosse il legame tra i tre messaggeri: ero addirittura convinto che il Centauro non fosse una visione ma una Creatura in carne e ossa, troppo vivida la luce che avevo colto nei suoi occhi quando si era avvicinato.
L'immagine che avevo di fronte in quel frangente, al contrario di Bella, mi stava facendo tremare le gambe per un'emozione potente e misteriosa, che sapevo di portare inconsciamente dentro di me da anni: la guardai ammirato, poteva essere una visione del futuro o la semplice materializzazione di una speranza. Ritto di fronte a me, c'era un bambino di circa cinque anni, vestito con una verde tunica del Nord, i lisci capelli corvini che gli arrivavano alle spalle, celando in parte la Runa di Herrengton che portava al collo; mi guardava con gli stessi occhi di Sile, sorridendo sereno, consapevole di rappresentare tutto ciò che, nel profondo del mio cuore, volevo davvero dalla vita. Quando mi diede le spalle e lentamente mi precedette lungo il sentiero, io lo seguii, senza bisogno d’inviti o parole, sicuro che seguendolo avrei trovato la spiaggia in tempo, senza incappare in qualche errore, sicuro che lasciandomi guidare da lui avrei ritrovato facilmente Sile e, insieme, saremmo finalmente entrati nella grotta di Salazar. Di colpo, però, il bambino cadde e sparì, come inghiottito dalla terra, mi guardai attorno per cercarlo, ma vidi a loro volta gli alberi piegarsi e scomparire, il sentiero di fronte a me s'interruppe, trasformato in un’orrenda voragine, che si apriva perpendicolarmente sulla spiaggia sottostante. Urlai, carico d'orrore: non c’erano appigli, né per me, né per il bambino, non potevo saltare perché non c’erano massi sottostanti, non c’erano radici con cui calarsi e non potevo tuffarmi in mare, perché sotto di me c’erano solo rocce, che si levavano verso il cielo come corone di artigli di pietra. Mi ritrassi terrorizzato, sconvolto, non potevo, non volevo guardare di sotto: anche se era stata solo una visione, non sarei mai riuscito a tollerare la vista di quel bambino, mio figlio, steso senza vita tra gli scogli, il suo sangue macchiare la neve, come poche notti prima aveva fatto il sangue della mia prima vittima. Fu allora che iniziai a capire: quelle visioni avevano a che fare con la vita che avevo deciso di seguire, mi mostravano ciò che potevo avere e ciò che rischiavo di perdere per sempre, se non avessi fatto più attenzione nel compiere le mie scelte. Non finii di elaborare quei pensieri, né riuscii a pronunciare in tempo alcun Incantesimo di difesa: il terreno iniziò a franare davanti a me, mi voltai per ritornare indietro, di corsa, ma anche la strada che avevo finora percorso scomparve, inghiottita nella voragine che si era aperta sotto i miei piedi. Fui risucchiato a mia volta nel vuoto, tra quelle rocce che sembravano solo aspettare di cibarsi del mio sangue.

    No! Non posso morire così, non prima di...

Vidi il cielo appena rischiarato inghiottito nel buio della voragine ed io con lui: i miei pensieri s’infransero e con essi tutte le mie sensazioni. Forse avevo solo perso i sensi... O forse... Ero già morto.


*continua*



NdA:
Inizio con i consueti ringraziamenti a quanti hanno letto e recensito, aggiunto a preferiti, seguiti, ricordati, ecc…
nota 1) Orion prende sotto la sua ala Regulus e non Sirius, poi ci ripensa: se vi ricordate, quando Mirzam porta Andromeda su una delle spiagge di Herrengton, le dice “Qui non ci è possibile mentire sui nostri sentimenti”. La Magia delle Terre del Nord, in chi percorre i suoi luoghi, fa venir fuori ciò che si ha nell'anima (fino agli eccessi visti quando Mirzam e Jarvis stavano per uccidersi), quindi anche Orion subisce questo influsso: se all'inizio abbraccia Regulus perché gli è stato ordinato da Walburga di difenderlo, mentre si tiene alla larga da Sirius per fingersi distaccato, addentrandosi nella foresta abbraccia entrambi i suoi figli, non più perché deve farlo ma perché vuole farlo. Analogamente, Sirius non può mentire a se stesso su ciò che prova per suo padre, quel sentimento fatto di paura di soffrire e, nello stesso tempo, di speranza di essere ancora accettato, di riuscire a fare breccia in quel cuore che a volte non gli appare così gelido come l'ha sempre percepito.
Un bacione!!!

Valeria



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