Accompagnata da una
delle serve che l’avevano aiutata a vestirsi, Hellionor
attraversò l’immenso salotto d’ingresso
della torre, diretta verso il luogo dove sua
“madre” e le sue sorelle che in realtà
non aveva stavano tenendo colazione.
La Freeland camminava a piccoli passetti scattanti: la gonna del
vestito le impediva quella facilità nei movimenti data dai
pantaloni, che già le mancavano pazzescamente. Nel
frattempo, rimuginando sulla vita moderna che si allontanava da lei
come lei fuggiva dalla convinzione di essere solo in un gioco virtuale,
non perdeva occasione di crogiolarsi nella bellezza della sua nuova
casa: si distrasse a guardare un arazzo, un quadro o semplicemente
qualche finestra dalla quale sbirciare fuori. Era tutto come lo aveva a
stento immaginato nei libri, a come lo raccontavano pellicole
cinematografiche o ricostruzioni teatrali. Ma ora che Hellionor ci era
caduta dentro, sarebbe stato più corretto sostenere che il
mondo medievale era paragonabile ad un sogno: bellissimo ma bizzarro,
meraviglioso ma soprattutto pericoloso.
Il via vai estenuante della servitù s’interrompeva
quando qualcuno le concedeva un inchino o un gesto del capo, per poi
riprendere subito le proprie mansioni senza indugiare. Nessuno la
guardava in faccia troppo a lungo, ma Hellionor non seppe dire se per
rispetto o per timore. Magari ambedue le cose.
Di guardie armate ce n’erano molte, e forse era un bene dato
che la situazione, in un modo o nell’altro, non si era ancora
del tutto risolta. Eléonore, la vera Eléonore de
Sancerre, era prigioniera chissà dove e chiunque,
all’interno della corte, poteva essere un probabile
favoreggiatore dei rapitori. Quelle che vedeva legate ai fianchi dei
soldati di ronda erano lame lucide e taglienti, spade vere che lei non
aveva mai visto se non fuori dalle istantanee dei polverosi testi
scolastici. Gli elmi, le corazze di quei pochi che Hellionor ebbe modo
di soffermarsi ad osservare, luccicavano tutti; non c’era un
armigero con l’uniforme fuori posto o macchie di vino
sull’usbergo. Magari qualche sorso tra amici ci scappava
negli orari di congedo, ma ora che la vita di una Sancerre era appesa
ad un filo invisibile, Etienne o qualcuno al suo posto si stava e
avrebbe continuato ad occuparsi con rigorosa attenzione delle milizie
militari.
Se da una parte ammirare le meraviglie della storia era un passatempo
che regalava il sorriso sulle labbra, dall’altra Hellionor
era turbata da altrettante questioni.
In cima alla lista c’era il malfunzionamento del gioco. La
Freeland si era ferramente convinta: Hyperversum doveva aver aperto una
sorta di buco spazio temporale traghettando lei e il disperso Gabriel
in una dimensione medievale ultraterrena. Il segreto tanto avidamente
custodito da suo padre nel proprio computer era svelato come lo era il
perché, oltre alla convinzione personale, Hellionor non
avrebbe mai dovuto avvicinarvisi. Il primo pensiero della ragazza fu di
parlarne con sua madre, appena riuscita a tornare nel XXI secolo; ma
poi immaginò che le realtà potevano essere
molteplici: forse anche Jodie sapeva, o era addirittura una complice di
suo padre in quella scoperta sensazionale!
Perché, parlandoci chiaro, davanti alla poltrona di Daniel
Freeland c’era piazzata la prima macchina del tempo mai
esistita.
In secondo luogo, Hellionor era ansiosa e preoccupata nei riguardi del
suo non carissimo amico, causa di tutti i loro mali.
Seguendo la serva che le faceva strada per salotti e corridoi,
infischiandosene quando poteva della gente che la salutava o le
rivolgeva qualche incomprensibile parola in francese arcaico, Hellionor
rimuginò su quanto ancora avrebbe dovuto aspettare prima di
trovarsi davanti la brutta faccia di Gabriel. Quegli occhi verdi un
po’ le mancavano, oltre a tormentarle la coscienza, assieme
al taglio lungo fino alle spalle di lisci capelli castani. La ragazza
si mordeva le unghie non riuscendo ad immaginare in che modo un Conte
francese del XIII secolo usava trattare un presunto prigioniero di
guerra. L’avrebbero torturato? L’avrebbero tenuto a
digiuno? Monsieur
de Ponthieu era stato troppo vago, dannazione!
Al terzo posto si piazzava la smarrita Principessa Sancerre.
I nemici della Corte di Séour non si contavano nemmeno sulle
dita di una mano. Perché qualcuno avrebbe dovuto sottrarre
al casato una così giovane perla? Se Hellionor ricordava
bene quanto letto nei libri di storia, la Francia di
quegl’anni era una vasta distesa campestre di rose e fiori.
Le uniche battaglie, e tutt’altro che sanguinose, Luigi il
Santo le combatteva sulle coste spagnole, traghettando spesso in Italia
o in Inghilterra a caccia di qualche reliquia per la sua prestigiosa
collezione privata.
Il filo dei suoi pensieri s’interruppe quando Hellionor,
che si aspettava di arrivare in un’ampia camerata
con un lungo tavolo nel centro agghindato di cibo, si
risvegliò, condotta dalla serva, nei giardini retrostanti
della torre.
Un turbinio di profumi (frutta e fiori) e altrettanti suoni, tra cui il
canticchiare degli uccellini, il crosciare di alcune fontane e delle
voci in lontananza, riuscirono per qualche breve istante a distrarla
dalle sue angosce.
Le immagini di Gabriel in catene e dei suoi genitori imbronciati
vennero cancellate da un’unica grandiosa visione di pace e
armonia: il viale di ciottoli che stavano attraversando finiva dove si
apriva uno spazio verdeggiante circondato dai colori primaverili di
alberi e cespugli in fiore. Il ronzio delle api, assieme alle melodie
dei fringuelli, faceva da sottofondo al variopinto quadretto di
famiglia che Hellionor si trovò di fronte.
Nel mezzo del prato verde sorgeva un tavolo imbandito per la colazione,
al quale sedevano unicamente rappresentati del gentil sesso di casa
Sancerre; tre figure femminili, due principesse e una Regina.
Marie era la figlia intermedia; lucidi boccoli terra di Siena coprivano
buona parte del volto imbronciato, mentre gli occhi gonfi e arrossati
erano quelli di chi ha da poco messo il tappo ad una fontana di
lacrime. Qualcuno doveva averla informata del rapimento della
sorella solo quella mattina, per poi trascinarla fuori dalla sua stanza
e costringerla a presenziare per la colazione ancora con i singhiozzi
che le si arrampicavano in gola. Era una bambina minuta, sui dieci o
undici anni, e non aveva infilato niente nello stomaco oltre a poche
briciole di un biscotto mordicchiato e abbonato sul
bordo del tavolo – alla più probabile portata di
qualche passerotto.
Guardandola, Hellionor pensò che se fosse cresciuta nel XXI
secolo sarebbe stata la reginetta del punk rock, tutta Green Day e
Avril Lavigne. Pelle chiara, occhi infossati e scuri, perfetti per
ospitare chili di ombretto nero. Indossava un abito con gonna blu
oltremare; il corpetto rinchiudeva un seno che non c’era e
non ci sarebbe stato per parecchi anni a venire.
La voce tagliente della moglie di Etienne ordinò, in poche e
concise parole, a Marie di stare composta e la bambina
raddrizzò le spalle in mezzo secondo.
Madame Donna sfigurava in un completo primaverile color lavanda,
comodamente adagiata al capotavola. I riccioli rossi più
ribelli le cadevano sulle spalle, mentre il grosso era raccolto sulla
nuca da un nastro in pendant col vestito. Le maniche a sbuffo della
camicia arricchivano le braccia magre, mentre le forme pronunciate
erano ben racchiuse nel corpetto.
Ad Hellionor sfuggì un gemito.
Donna de Sancerre aveva tutt’altro l’aria, quella
mattina, della povera madre privata di una figlia.
L’atteggiamento, imboccando personalmente la piccola Alix
seduta sulle sue ginocchia, era quello di un’imperatrice che
si arrocca nella fortezza della propria sovranità pur di
scampare a debolezze e rimpianti. Dov’erano le guance
sciupate, gli occhi gonfi e arrossati? Sotto quanto strato di trucco,
vestiario e austerità madame
de Sancerre stava nascondendo la sua vera natura? Perché il
fragile tulipano indossava spine di rosa? Hellionor la
immaginò piangere, implorare e gridare disperatamente per
ore mentre nella torre di Séour servitori e soldati
correvano a destra e sinistra pur di alleggerire il cuore della loro
signora con il ritrovamento della sperduta Eléonore.
Probabilmente Hellionor si era fatta un’idea sbagliatissima
della signora Sancerre e si maledisse di aver solo pensato che una
contessa del XIII secolo potesse abbandonarsi a pianti e piagnistei. La
moglie di Etienne era (o sarebbe?) passata alla storia per la
disinvoltura con la quale vestiva il ruolo di regina sulla scacchiera
del tempo, degna di affiancare lo spirito ardito e battagliero di suo
marito. Proteggere l’integrità e l’onore
della famiglia agli occhi del popolo, oltre alla tristezza e alla
malinconia femminile, significava evitare di far scolare ben altri
segreti; il ricatto parlava chiaro: nessuno, a parte una cerchia
strettissima di amici, parenti e servitori, doveva sapere che
Eléonore de Sancerre era ancora prigioniera in mani nemiche;
nessuno, a parte quei fidati privilegiati, doveva sospettare che la
fanciulla dal vestito bianco e rosso, che si accomodava in quel momento
accanto a Marie, era un temporaneo rimpiazzo.
L’occhiata che le scoccò madame Donna
durò giusto un istante, sostituita prestissimo da
un’arricciata di naso da parte di Marie che, soffocando
qualche altra lacrima e asciugandosi il moccolo con la manica del
vestito, si beccò una nuova strigliata della madre.
Hellionor sobbalzò sulla sedia, pensando che la quiete di
uccellini canticchianti e alberi in fiore era un malizioso velo di
finzione: in realtà serve e padrone, sedute o riunite
attorno al tavolo, stavano camminando su un campo minato;
poiché i colpevoli del rapimento, a parte un misterioso e
vanificato Stephèn, giravano ancora liberi per la contea,
l’intera corte di Séour sarebbe stata a lungo
andare reggia di una commissione investigativa. Un passo falso avrebbe
potuto tradire chiunque, innocenti o dolenti, e bisognava pensare a
salvare la pelle.
Guardandosi attorno senza riuscire a toccare cibo, Hellionor
passò in rassegna tutti i volti dei servitori presenti;
alcuni non osavano guardarla negli occhi, per rispetto; altri
s’insospettivano del suo aspetto e aggrottavano per un
istante le sopracciglia; allora Hellionor preferiva distogliere lo
sguardo sul coppiere che le versava il latte o la fanciulla che le
serviva della frutta fresca e appetitosa, pur di non prolungare il
dubbio.
Non seppe precisamente quanto tempo la Freeland riuscì ad
ignorare i crampi di stomaco: era combattuta tra le regole
dell’educazione moderna, che le imponevano di fare il maggior
numero di complimenti possibili, e le regole del suo temporaneo gioco
di ruolo, che le suggerivano piuttosto di essere naturale e discreta
come lo sarebbe stata Eléonore de Sancerre.
Essere o semplicemente respirare al posto di una principessa scomparsa
divenne presto un’estenuante agonia. Il sole del mattino si
spostava con estrema lentezza nel campo azzurro e infinito del cielo.
Il rispettoso silenzio della tavola si protrasse in un’ora
buona, frazione temporale che bastò ad Hellionor per buttare
in gola due sorsi di latte, un chicco d’uva e un mozzicone di
pane dolce. Il resto, sotto comando della signora Sancerre, fu portato
via dai servitori quand’ancora Marie non aveva finito. Donna
ordinò ad un’ancella, che Hellionor riconobbe come
Ariane, di accompagnare Marie e la piccola Alix in una passeggiata per
il giardino. A breve sarebbe giunto un certo Don Davìd per
far recitare alle due fanciulle qualche declinazione latina; poi, solo
verso il mezzogiorno, la famiglia si sarebbe riunita per pranzare.
Nel frattempo dettò che lei ed Eléonore
fossero lasciate sole.
Quella fetta di prato si svuotò nell’arco di mezzo
minuto. La tovaglia bianca volò via dal tavolo per la
colazione, allontanandosi assieme alle serve, come un fantasma, verso
le cucine. In pochi secondi il mogano del mobile fu tirato a lucido e
le dieci sedie vuote riposte ordinatamente tra i quattro piedi.
Hellionor deglutì a vuoto.
Lei e madame
Donna de Sancerre erano rimaste a ragion del suo volere. Persino la
natura aveva scelto di tacere: nel giardino non tirava più
uno sbuffo di vento; le risatine di Alix che inseguiva una farfalla si
erano perse assieme ai singhiozzi di Marie. La figlia media, invece di
riprendere gli studi di latino, avrebbe preferito tornarsene a piangere
nella sua stanza, e perciò aveva tanto da lamentarsi. Le due
bambine Sancerre, strette alle mani di Ariane, erano scomparse tra i
cespugli di rose e margherite mentre la signora di Séour
fissava la sua terza figlia con occhi di ghiaccio.
Non che i suoi occhi fossero azzurri, ma in quel momento Hellionor
rabbrividiva di una paura fredda bestiale. Quella donna la stava
studiano, dall’altro capo del tavolo, contando i suoi respiri
e i battiti di ciglia. Chissà cosa pensava madame di una
sporca anglosassone nei panni della propria figlia prediletta.
Dopotutto, non era un segreto che Donna de Sancerre fosse, alla pari
del marito, sprezzante verso chi aveva, stava e avrebbe tentato di
razziare altre terre francesi. Forse la contessa non lo immaginava
nemmeno, ma tra Francia e Inghilterra le partite di calcio del futuro
sarebbero state sanguinose quanto o più delle battaglie
medievali. Le rivalità tra le due coste si sarebbero
addolcite solo con l’avvento delle Guerre Mondiali, ivi si
sarebbero alleate per combattere un nemico comune ad entrambe: la
Germania.
Ma, ecco, questo madame
Donna non poteva saperlo; sarebbe stato inutile provare a convincerla
che, al di fuori del rincorrere una palla, Francia e Inghilterra
avevano tanto in comune.
Hellionor si morse un labbro.
Cosa diavolo andava pensare?! Si faceva tanti complessi
sull’astio tra le due coste, dimenticando un dettaglio
essenziale: lei era americana! Non inglese! E ci teneva come tutti gli
americani a sottolineare le differenze tra questo e l’altro
Continente; ma ovviamente, vallo a raccontare che vieni
dall’altra parte del Mondo e che pertanto non puoi essere
trattata da inglese in terra francese!
Un mezzo sorriso compassionevole si stirò sulle labbra della
contessa. –Sai andare a cavallo, Eléonore?- chiese
in un inglese arrugginito e con tono ambiguo: si aspettava che
rispondesse di no, quant’è vero che la figlia di
un contadino o di un mercante, pescata per strada, può darsi
come non darsi all’ippica.
Hellionor scosse la testa, sapendosi indisposta a rispondere
diversamente. L’ ultima volta che aveva messo piede nelle
staffe era stata qualche estate fa, nella tenuta dello zio Martin, che
si era stabilito nell’Oregon come battitore della nazionale
in vacanza e cavallerizzo professionista nel tempo libero. Ammetteva di
aver preso delle lezioni con sua madre, ma…
-Ça va bien-
tagliò corto madame Donna con finto interesse,
probabilmente. –La passeggiata in questione sarà
tranquilla, non avrai problemi-.
-Passeggiata?- balbettò Hellionor, in inglese, maledicendosi
già.
Gli occhi della contessa si piantarono di nuovo nei suoi. –Mon mari et monsieur
de Ponthieu desiderano consultarsi con te in privato, e non possono
rischiare di farlo sotto il naso della corte. Nessuno è
entrato o uscito dalla città, perciò siamo certi
che la spia, chiunque essa sia, è ancora
all’interno della mia casa. Di conseguenza, l’unico
luogo sicuro in cui tenere discussioni ufficiali è il bosco,
assieme alla riservatezza che offrono le sue fronde e le sue insidie-.
Hellionor annuì spaventata. L’idea di montare in
sella al fianco di due cavalieri tanto importanti la elettrizzava nel
modo sbagliato; mettere da parte i fanatismi storici e consegnarsi
nelle mani di uomini armati non la rassicurava, ma
all’improvviso non sapeva cosa temere di più: il
bosco medievale, con tanto di bestie feroci, briganti e lupi cattivi,
oppure un nuovo delirio di Etienne de Sancerre.
.:Angolo
d’Autrice:.
Nell’introduzione avevo lasciato scritto che stavo lavorando
a questo capitolo, cortissimo e insignificante, un po’ come
il precedente, perciò vi supplico, abbiate pietà
.___. In questi focosi (alle volte tempestosi e piovosi, come oggi)
giorni agostani scrivere è l’ultimo dei miei
pensieri. Sono distratta da tantissimo altro, ci si sta mettendo pure
l’esame di matematica a settembre, e data una partenza
fissata per il lunedì che viene, non penso di potermi
dedicare a questa storia almeno fino a settembre inoltrato, quando
sarà stilato il verdetto ufficiale sul mio curriculum
scolastico. In qualsiasi caso, sappiate che non ho deciso di
abbandonare Hellionor così come ve l’ho lasciata
:) ho tante idee per quest’avventura e voglio arrivare a
scriverle tutte, finale compreso, perciò non disperate: si
trattasse di altri due mesi, io arriverò a quella benedetta
scena tra Hellionor e Ma… oddio, mi scappava lo spoiler! XD
Spero di non aver stecchito nessuno sulla sedia :D
cioccolatoprego, _TattaFede_, Cfrancy:
a queste tre Dee chiedo il mio umile perdono, sempre per il semplice
fatto di trascinarvi nell'irrante attesa di un nuovo capitolo! Grazie
per aver recensito i precedenti, sperando di non avervi annoiate con
questo.
Detto ciò, ho notato che in sezione stanno aumentando le
belle storielle da seguire. Vedrò di dare
un’occhiata non appena mi sarò ripresa dagli
ultimi faticosissimi giorni ^^
Un’altra cifra in crescita è quella della gente
che ha aggiunto la fan fiction ai preferiti e alle seguite! :D Mi sento
onorata, un grazie a tutti questi magnifici esemplari di esseri umani!
Spero di leggere presto le vostre impressioni... ma spero ancor
più ardentemente di ritrovare l'ispirazione, la voglia e il
tempo che questa maledetta estate mi ha portato via così in
fretta...
Saluti,
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