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Autore: cartacciabianca    14/08/2010    6 recensioni
[ SOSPESA ]
Giocatori, siete nell'Anno del Signore 1232.
Luigi VIII, appena di ritorno sconfitto dall’Inghilterra, punta le lance in resta contro Tolosa, dimora di Raimondo VII. Impadronitosi di quelle terre ne coglie l’intera giurisdizione, affiliando nel 1226 definitivamente la Linguadoca alla Francia. Il Leone di Francia viene meno nell’inverno di quell’anno, e il potere succede così ad un piccolo Re, all’epoca solo dodicenne. Luigi IX, detto il Santo per la sua calorosa religiosità e collezione di reliquie, guidato dalla spavalderia degli uomini di cui è circondato, e appoggiato dalla madre Bianca, eccolo già in battaglia contro una nuova rivolta. Nel 1228 giunge ad un compromesso con Raimondo VII, e nel 1229 promette al conte la giurisdizione delle sue terre, in cambio della sua unica erede Giovanna promessa al fratello del Re, Alfonso di Poitiers, e la completa ammissione della regione nei domini Francesi. La Crociata Albigese si conclude definitivamente nel 1229.

A Phoenix e Châtel-Argent sono trascorsi 17 anni. Ian e Daniel varcano la soglia della quarantina e conti come Granpré stanno per raggiungerli. Non si sentono vecchi o stanchi, ma solo maturi, vissuti e cavalieri di Francia ogni giorno di più. Mettiamo alla prova il coraggio di una ragazzina e l’ambizione del suo migliore amico. Il risultato è una fan fiction esilarante che ce la metterà tutta pur di mostrarsi degno tributo alla trilogia di Cecilia Randall.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Accompagnata da una delle serve che l’avevano aiutata a vestirsi, Hellionor attraversò l’immenso salotto d’ingresso della torre, diretta verso il luogo dove sua “madre” e le sue sorelle che in realtà non aveva stavano tenendo colazione.
La Freeland camminava a piccoli passetti scattanti: la gonna del vestito le impediva quella facilità nei movimenti data dai pantaloni, che già le mancavano pazzescamente. Nel frattempo, rimuginando sulla vita moderna che si allontanava da lei come lei fuggiva dalla convinzione di essere solo in un gioco virtuale, non perdeva occasione di crogiolarsi nella bellezza della sua nuova casa: si distrasse a guardare un arazzo, un quadro o semplicemente qualche finestra dalla quale sbirciare fuori. Era tutto come lo aveva a stento immaginato nei libri, a come lo raccontavano pellicole cinematografiche o ricostruzioni teatrali. Ma ora che Hellionor ci era caduta dentro, sarebbe stato più corretto sostenere che il mondo medievale era paragonabile ad un sogno: bellissimo ma bizzarro, meraviglioso ma soprattutto pericoloso.
Il via vai estenuante della servitù s’interrompeva quando qualcuno le concedeva un inchino o un gesto del capo, per poi riprendere subito le proprie mansioni senza indugiare. Nessuno la guardava in faccia troppo a lungo, ma Hellionor non seppe dire se per rispetto o per timore. Magari ambedue le cose.
Di guardie armate ce n’erano molte, e forse era un bene dato che la situazione, in un modo o nell’altro, non si era ancora del tutto risolta. Eléonore, la vera Eléonore de Sancerre, era prigioniera chissà dove e chiunque, all’interno della corte, poteva essere un probabile favoreggiatore dei rapitori. Quelle che vedeva legate ai fianchi dei soldati di ronda erano lame lucide e taglienti, spade vere che lei non aveva mai visto se non fuori dalle istantanee dei polverosi testi scolastici. Gli elmi, le corazze di quei pochi che Hellionor ebbe modo di soffermarsi ad osservare, luccicavano tutti; non c’era un armigero con l’uniforme fuori posto o macchie di vino sull’usbergo. Magari qualche sorso tra amici ci scappava negli orari di congedo, ma ora che la vita di una Sancerre era appesa ad un filo invisibile, Etienne o qualcuno al suo posto si stava e avrebbe continuato ad occuparsi con rigorosa attenzione delle milizie militari.  
Se da una parte ammirare le meraviglie della storia era un passatempo che regalava il sorriso sulle labbra, dall’altra Hellionor era turbata da altrettante questioni.
In cima alla lista c’era il malfunzionamento del gioco. La Freeland si era ferramente convinta: Hyperversum doveva aver aperto una sorta di buco spazio temporale traghettando lei e il disperso Gabriel in una dimensione medievale ultraterrena. Il segreto tanto avidamente custodito da suo padre nel proprio computer era svelato come lo era il perché, oltre alla convinzione personale, Hellionor non avrebbe mai dovuto avvicinarvisi. Il primo pensiero della ragazza fu di parlarne con sua madre, appena riuscita a tornare nel XXI secolo; ma poi immaginò che le realtà potevano essere molteplici: forse anche Jodie sapeva, o era addirittura una complice di suo padre in quella scoperta sensazionale!
Perché, parlandoci chiaro, davanti alla poltrona di Daniel Freeland c’era piazzata la prima macchina del tempo mai esistita.
In secondo luogo, Hellionor era ansiosa e preoccupata nei riguardi del suo non carissimo amico, causa di tutti i loro mali.
Seguendo la serva che le faceva strada per salotti e corridoi, infischiandosene quando poteva della gente che la salutava o le rivolgeva qualche incomprensibile parola in francese arcaico, Hellionor rimuginò su quanto ancora avrebbe dovuto aspettare prima di trovarsi davanti la brutta faccia di Gabriel. Quegli occhi verdi un po’ le mancavano, oltre a tormentarle la coscienza, assieme al taglio lungo fino alle spalle di lisci capelli castani. La ragazza si mordeva le unghie non riuscendo ad immaginare in che modo un Conte francese del XIII secolo usava trattare un presunto prigioniero di guerra. L’avrebbero torturato? L’avrebbero tenuto a digiuno? Monsieur de Ponthieu era stato troppo vago, dannazione!
Al terzo posto si piazzava la smarrita Principessa Sancerre.
I nemici della Corte di Séour non si contavano nemmeno sulle dita di una mano. Perché qualcuno avrebbe dovuto sottrarre al casato una così giovane perla? Se Hellionor ricordava bene quanto letto nei libri di storia, la Francia di quegl’anni era una vasta distesa campestre di rose e fiori. Le uniche battaglie, e tutt’altro che sanguinose, Luigi il Santo le combatteva sulle coste spagnole, traghettando spesso in Italia o in Inghilterra a caccia di qualche reliquia per la sua prestigiosa collezione privata.
Il filo dei suoi pensieri s’interruppe quando Hellionor, che  si aspettava di arrivare in un’ampia camerata con un lungo tavolo nel centro agghindato di cibo, si risvegliò, condotta dalla serva, nei giardini retrostanti della torre.
Un turbinio di profumi (frutta e fiori) e altrettanti suoni, tra cui il canticchiare degli uccellini, il crosciare di alcune fontane e delle voci in lontananza, riuscirono per qualche breve istante a distrarla dalle sue angosce.
Le immagini di Gabriel in catene e dei suoi genitori imbronciati vennero cancellate da un’unica grandiosa visione di pace e armonia: il viale di ciottoli che stavano attraversando finiva dove si apriva uno spazio verdeggiante circondato dai colori primaverili di alberi e cespugli in fiore. Il ronzio delle api, assieme alle melodie dei fringuelli, faceva da sottofondo al variopinto quadretto di famiglia che Hellionor si trovò di fronte.
Nel mezzo del prato verde sorgeva un tavolo imbandito per la colazione, al quale sedevano unicamente rappresentati del gentil sesso di casa Sancerre; tre figure femminili, due principesse e una Regina.
Marie era la figlia intermedia; lucidi boccoli terra di Siena coprivano buona parte del volto imbronciato, mentre gli occhi gonfi e arrossati erano quelli di chi ha da poco messo il tappo ad una fontana di lacrime. Qualcuno doveva averla  informata del rapimento della sorella solo quella mattina, per poi trascinarla fuori dalla sua stanza e costringerla a presenziare per la colazione ancora con i singhiozzi che le si arrampicavano in gola. Era una bambina minuta, sui dieci o undici anni, e non aveva infilato niente nello stomaco oltre a poche briciole di un biscotto mordicchiato e   abbonato sul bordo del tavolo – alla più probabile portata di qualche passerotto.
Guardandola, Hellionor pensò che se fosse cresciuta nel XXI secolo sarebbe stata la reginetta del punk rock, tutta Green Day e Avril Lavigne. Pelle chiara, occhi infossati e scuri, perfetti per ospitare chili di ombretto nero. Indossava un abito con gonna blu oltremare; il corpetto rinchiudeva un seno che non c’era e non ci sarebbe stato per parecchi anni a venire.
La voce tagliente della moglie di Etienne ordinò, in poche e concise parole, a Marie di stare composta e la bambina raddrizzò le spalle in mezzo secondo.
Madame Donna sfigurava in un completo primaverile color lavanda, comodamente adagiata al capotavola. I riccioli rossi più ribelli le cadevano sulle spalle, mentre il grosso era raccolto sulla nuca da un nastro in pendant col vestito. Le maniche a sbuffo della camicia arricchivano le braccia magre, mentre le forme pronunciate erano ben racchiuse nel corpetto.
Ad Hellionor sfuggì un gemito.
Donna de Sancerre aveva tutt’altro l’aria, quella mattina, della povera madre privata di una figlia. L’atteggiamento, imboccando personalmente la piccola Alix seduta sulle sue ginocchia, era quello di un’imperatrice che si arrocca nella fortezza della propria sovranità pur di scampare a debolezze e rimpianti. Dov’erano le guance sciupate, gli occhi gonfi e arrossati? Sotto quanto strato di trucco, vestiario e austerità madame de Sancerre stava nascondendo la sua vera natura? Perché il fragile tulipano indossava spine di rosa? Hellionor la immaginò piangere, implorare e gridare disperatamente per ore mentre nella torre di Séour servitori e soldati correvano a destra e sinistra pur di alleggerire il cuore della loro signora con il ritrovamento della sperduta Eléonore. Probabilmente Hellionor si era fatta un’idea sbagliatissima della signora Sancerre e si maledisse di aver solo pensato che una contessa del XIII secolo potesse abbandonarsi a pianti e piagnistei. La moglie di Etienne era (o sarebbe?) passata alla storia per la disinvoltura con la quale vestiva il ruolo di regina sulla scacchiera del tempo, degna di affiancare lo spirito ardito e battagliero di suo marito. Proteggere l’integrità e l’onore della famiglia agli occhi del popolo, oltre alla tristezza e alla malinconia femminile, significava evitare di far scolare ben altri segreti; il ricatto parlava chiaro: nessuno, a parte una cerchia strettissima di amici, parenti e servitori, doveva sapere che Eléonore de Sancerre era ancora prigioniera in mani nemiche; nessuno, a parte quei fidati privilegiati, doveva sospettare che la fanciulla dal vestito bianco e rosso, che si accomodava in quel momento accanto a Marie, era un temporaneo rimpiazzo.
L’occhiata che le scoccò madame Donna durò giusto un istante, sostituita prestissimo da un’arricciata di naso da parte di Marie che, soffocando qualche altra lacrima e asciugandosi il moccolo con la manica del vestito, si beccò una nuova strigliata della madre.
Hellionor sobbalzò sulla sedia, pensando che la quiete di uccellini canticchianti e alberi in fiore era un malizioso velo di finzione: in realtà serve e padrone, sedute o riunite attorno al tavolo, stavano camminando su un campo minato; poiché i colpevoli del rapimento, a parte un misterioso e vanificato Stephèn, giravano ancora liberi per la contea, l’intera corte di Séour sarebbe stata a lungo andare reggia di una commissione investigativa. Un passo falso avrebbe potuto tradire chiunque, innocenti o dolenti, e bisognava pensare a salvare la pelle.
Guardandosi attorno senza riuscire a toccare cibo, Hellionor passò in rassegna tutti i volti dei servitori presenti; alcuni non osavano guardarla negli occhi, per rispetto; altri s’insospettivano del suo aspetto e aggrottavano per un istante le sopracciglia; allora Hellionor preferiva distogliere lo sguardo sul coppiere che le versava il latte o la fanciulla che le serviva della frutta fresca e appetitosa, pur di non prolungare il dubbio.
Non seppe precisamente quanto tempo la Freeland riuscì ad ignorare i crampi di stomaco: era combattuta tra le regole dell’educazione moderna, che le imponevano di fare il maggior numero di complimenti possibili, e le regole del suo temporaneo gioco di ruolo, che le suggerivano piuttosto di essere naturale e discreta come lo sarebbe stata Eléonore de Sancerre.  
Essere o semplicemente respirare al posto di una principessa scomparsa divenne presto un’estenuante agonia. Il sole del mattino si spostava con estrema lentezza nel campo azzurro e infinito del cielo. Il rispettoso silenzio della tavola si protrasse in un’ora buona, frazione temporale che bastò ad Hellionor per buttare in gola due sorsi di latte, un chicco d’uva e un mozzicone di pane dolce. Il resto, sotto comando della signora Sancerre, fu portato via dai servitori quand’ancora Marie non aveva finito. Donna ordinò ad un’ancella, che Hellionor riconobbe come Ariane, di accompagnare Marie e la piccola Alix in una passeggiata per il giardino. A breve sarebbe giunto un certo Don Davìd per far recitare alle due fanciulle qualche declinazione latina; poi, solo verso il mezzogiorno, la famiglia si sarebbe riunita per pranzare.
Nel frattempo dettò che lei ed Eléonore fossero lasciate sole.
Quella fetta di prato si svuotò nell’arco di mezzo minuto. La tovaglia bianca volò via dal tavolo per la colazione, allontanandosi assieme alle serve, come un fantasma, verso le cucine. In pochi secondi il mogano del mobile fu tirato a lucido e le dieci sedie vuote riposte ordinatamente tra i quattro piedi.
Hellionor deglutì a vuoto.
Lei e madame Donna de Sancerre erano rimaste a ragion del suo volere. Persino la natura aveva scelto di tacere: nel giardino non tirava più uno sbuffo di vento; le risatine di Alix che inseguiva una farfalla si erano perse assieme ai singhiozzi di Marie. La figlia media, invece di riprendere gli studi di latino, avrebbe preferito tornarsene a piangere nella sua stanza, e perciò aveva tanto da lamentarsi. Le due bambine Sancerre, strette alle mani di Ariane, erano scomparse tra i cespugli di rose e margherite mentre la signora di Séour fissava la sua terza figlia con occhi di ghiaccio.
Non che i suoi occhi fossero azzurri, ma in quel momento Hellionor rabbrividiva di una paura fredda bestiale. Quella donna la stava studiano, dall’altro capo del tavolo, contando i suoi respiri e i battiti di ciglia. Chissà cosa pensava madame di una sporca anglosassone nei panni della propria figlia prediletta. Dopotutto, non era un segreto che Donna de Sancerre fosse, alla pari del marito, sprezzante verso chi aveva, stava e avrebbe tentato di razziare altre terre francesi. Forse la contessa non lo immaginava nemmeno, ma tra Francia e Inghilterra le partite di calcio del futuro sarebbero state sanguinose quanto o più delle battaglie medievali. Le rivalità tra le due coste si sarebbero addolcite solo con l’avvento delle Guerre Mondiali, ivi si sarebbero alleate per combattere un nemico comune ad entrambe: la Germania.
Ma, ecco, questo madame Donna non poteva saperlo; sarebbe stato inutile provare a convincerla che, al di fuori del rincorrere una palla, Francia e Inghilterra avevano tanto in comune.
Hellionor si morse un labbro.
Cosa diavolo andava pensare?! Si faceva tanti complessi sull’astio tra le due coste, dimenticando un dettaglio essenziale: lei era americana! Non inglese! E ci teneva come tutti gli americani a sottolineare le differenze tra questo e l’altro Continente; ma ovviamente, vallo a raccontare che vieni dall’altra parte del Mondo e che pertanto non puoi essere trattata da inglese in terra francese!
Un mezzo sorriso compassionevole si stirò sulle labbra della contessa. –Sai andare a cavallo, Eléonore?- chiese in un inglese arrugginito e con tono ambiguo: si aspettava che rispondesse di no, quant’è vero che la figlia di un contadino o di un mercante, pescata per strada, può darsi come non darsi all’ippica.
Hellionor scosse la testa, sapendosi indisposta a rispondere diversamente. L’ ultima volta che aveva messo piede nelle staffe era stata qualche estate fa, nella tenuta dello zio Martin, che si era stabilito nell’Oregon come battitore della nazionale in vacanza e cavallerizzo professionista nel tempo libero. Ammetteva di aver preso delle lezioni con sua madre, ma…
-Ça va bien- tagliò corto madame Donna con finto interesse, probabilmente. –La passeggiata in questione sarà tranquilla, non avrai problemi-.
-Passeggiata?- balbettò Hellionor, in inglese, maledicendosi già.
Gli occhi della contessa si piantarono di nuovo nei suoi. –Mon mari et monsieur de Ponthieu desiderano consultarsi con te in privato, e non possono rischiare di farlo sotto il naso della corte. Nessuno è entrato o uscito dalla città, perciò siamo certi che la spia, chiunque essa sia, è ancora all’interno della mia casa. Di conseguenza, l’unico luogo sicuro in cui tenere discussioni ufficiali è il bosco, assieme alla riservatezza che offrono le sue fronde e le sue insidie-.
Hellionor annuì spaventata. L’idea di montare in sella al fianco di due cavalieri tanto importanti la elettrizzava nel modo sbagliato; mettere da parte i fanatismi storici e consegnarsi nelle mani di uomini armati non la rassicurava, ma all’improvviso non sapeva cosa temere di più: il bosco medievale, con tanto di bestie feroci, briganti e lupi cattivi, oppure un nuovo delirio di Etienne de Sancerre.











.:Angolo d’Autrice:.
Nell’introduzione avevo lasciato scritto che stavo lavorando a questo capitolo, cortissimo e insignificante, un po’ come il precedente, perciò vi supplico, abbiate pietà .___. In questi focosi (alle volte tempestosi e piovosi, come oggi) giorni agostani scrivere è l’ultimo dei miei pensieri. Sono distratta da tantissimo altro, ci si sta mettendo pure l’esame di matematica a settembre, e data una partenza fissata per il lunedì che viene, non penso di potermi dedicare a questa storia almeno fino a settembre inoltrato, quando sarà stilato il verdetto ufficiale sul mio curriculum scolastico. In qualsiasi caso, sappiate che non ho deciso di abbandonare Hellionor così come ve l’ho lasciata :) ho tante idee per quest’avventura e voglio arrivare a scriverle tutte, finale compreso, perciò non disperate: si trattasse di altri due mesi, io arriverò a quella benedetta scena tra Hellionor e Ma… oddio, mi scappava lo spoiler! XD Spero di non aver stecchito nessuno sulla sedia :D
cioccolatoprego, _TattaFede_, Cfrancy: a queste tre Dee chiedo il mio umile perdono, sempre per il semplice fatto di trascinarvi nell'irrante attesa di un nuovo capitolo! Grazie per aver recensito i precedenti, sperando di non avervi annoiate con questo.

Detto ciò, ho notato che in sezione stanno aumentando le belle storielle da seguire. Vedrò di dare un’occhiata non appena mi sarò ripresa dagli ultimi faticosissimi giorni ^^
Un’altra cifra in crescita è quella della gente che ha aggiunto la fan fiction ai preferiti e alle seguite! :D Mi sento onorata, un grazie a tutti questi magnifici esemplari di esseri umani!




Spero di leggere presto le vostre impressioni... ma spero ancor più ardentemente di ritrovare l'ispirazione, la voglia e il tempo che questa maledetta estate mi ha portato via così in fretta...
Saluti,


   
 
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