Questo secondo capitolo è stato del tutto imprevisto
(infatti avevo messo come avvertenza one-shot) ^_^ furba, Marto, furba… forse
noterete una certa discontinuità, anche perché io qui ci vedo l’antefatto. È
stato scritto mesi dopo.
II.
[Full
circle]
“Il sentire il dolore cosmico deve necessariamente
ricondurre al punto di partenza.” Fu la constatazione amara dell’irreprensibile
Viaggiatore nella Notte. “Solo in una dimensione onirica si può immaginare il
treno su cui viaggia la coscienza, la mia coscienza inquieta.
Sono stanco di viaggiare.”
Gli sembrava, questo pensiero allucinato dai mille possibili
risvolti, una tragica evidenza fallimentare, come una parabola che s’innalza
nell’ascesa gloriosa del mattino e che poi, raggiunto lo Zenit, decade con un ultimo
spasimo di grazia, soffocata dal buio incombente.
Era proprio notte, in quell’attimo cristallizzato di
delirio. E non a caso veniva sempre di notte il momento della partenza
inaspettata.
- Il cerchio si conchiude, - Ripeté per se stesso – e mi
lascia prigioniero al suo interno, in un labirinto senza via d’uscita. -
Anche il treno, prima o poi, avrebbe preso a viaggiare in
cerchio, muovendosi in spirali concentriche senza mai raggiungere una fine,
come avviene per ogni segmento, ma proseguendo all’infinito, perché
all’infinito, per infinite volte, sarebbe stato ricondotto al punto di
partenza.
Il ragazzo sdraiato sul sedile in fronte a lui si svegliò,
leggermente stordito dall’ora tarda. Si alzò, socchiuse lievemente il
finestrino facendo penetrare una sottile lama di aria gelida dal frammento di
cielo penetrante attraverso il vetro. Si accese una sigaretta e cominciò a
fumare respirando il fumo con una certa voluttà.
Al solitario Viaggiatore nella Notte faceva seriamente
difficoltà la presenza di un estraneo interposto tra sé e l’esplorazione del
estremo mondo sensistico di distorsioni percettive che lo animava durante
quella particolare notte insonne. I suoi pensieri vennero bruscamente
interrotti dal curioso studio dell’altro, dall’analisi della sua gestualità e
della mimica, delle piccole espressioni del volto che sembravano celare un
universo nascosto.
Si considerava un ottimo osservatore, perché presupponeva
che il punto di partenza fondamentale in ogni ricerca fosse il senso e la
percezione. La prima regola per concentrarsi era osservare in silenzio. Allora
fissava l’altro, muto.
Fuori dal finestrino poteva catturare scorci e schegge
saettanti di Oltremondi crudeli ed alternative dimensioni metafisiche. Ben
serrato in se stesso, meditabondo, in mente solo il suono di campane a distesa
che festeggiano il lutto, gli pareva che il treno deragliasse in una realtà
intangibile, sprofondando in un baratro di luce ed affondando in una sofficezza
effimera dove anche le stelle come le vediamo noi sarebbero risultate solo
macchioline scure e sfocate.
L’altro cercava l’accendino. Frugava in borsa provando a non
emettere il minimo rumore, ma il tintinnio di chiavi e il fruscio lo
ricondussero indietro nel suo corpo.
Una sensazione spiacevole, lo sapeva bene, non va mai
sottovalutata, e quel ragazzo tutto indaffarato col suo accendino riusciva ad
emanare una strana, abbacinante lucentezza che non si sapeva ricondurre
altrimenti dallo scomparto deserto, buio, freddo.
Gli allungò il suo accendino solo per non dover più sentire
quei rumorini atrocemente amplificati nel suo cervello, lo mandavano fuori di
senno.
L’altro ringraziò, s’accese la seconda sigaretta e gliene
offerse una. Lui declinò gentilmente.
“Eppure non capisco,” Cercò di scusarsi agitando la mano con
la sigaretta che formava un filo intricato di fumo nell’aria adamantina. “era
qui un attimo fa, e ora non lo trovo. Che rabbia.
Quando ti serve una cosa non la trovi mai. Non succede anche
a te?”
“Sì.” Il tono si intristì particolarmente, facendosi
elegiaco, nostalgico. Catastrofico.
“Hai perso qualcosa di importante?”
Si voltò lentamente: “Ho perso molto tempo e molte persone.
Forse il treno di stanotte mi porterà in un luogo in cui valga la pena
costruire qualche cosa dalle ceneri.”
“Oh!” Tirò una boccata. “Suchende! La tua non è certo
una cerca occasionale come per il mio accendino. To’, eccolo…”
“Certo.”
“Ma – hai guardato bene?”
“Ora guardo bene te e la tua ingenuità. Mi impegno davvero,
cosa credi! Trovo solo me stesso, torno al punto di partenza. Gli uomini sono
affetti da moto perpetuo come certi meccanismi di certi orologi. Il mio, però,
è un moto perpetuo circolare. Una maledizione.”
“Capisco. Ma forse è normale.”
“Cosa? Tornare immancabilmente al punto di partenza?”
“No, che tu conosca solo te stesso. Succede. Vuol dire che
sei un pensatore formidabile. Noli foras ire! Quante sciagure uno
s’arreca per nulla: la disgrazia è una forma mentale. Credo.”
“Con gli estranei è facile parlare anche delle faccende più
intime. Ti rivelerò un segreto: vorrei solo qualcuno che mi possa aiutare a
sostenere tutte le mie distorsioni percettive, il mio movimento circolare ed il
mio spleen. Allora dovunque andrebbe bene. Ma da solo è davvero
complesso.”
“Hai guardato bene? Sei sicuro?”
“Me l’ha già chiesto.” Si appoggiò meglio allo schienale del
sedile polveroso.
“Te lo dico perché il mondo pullula di gente che si sente
sola. Mi sembra strano – A meno che tu non abbia smesso di cercare.”
Annuì.
“Beh, complimenti. Ci credo che sei ancora al punto di
partenza!” Rise.
Quella risata lo irritò profondamente: “Mi stai prendendo in
giro?” Sibilò tra i denti.
“In cerchio. Sì.
Non essere arrabbiato. Non le vedi le stelle che ci brillano
incastonate nel petto? Ti dico queste cose perché le sento anch’io.
C’è un arco delizioso che si stende davanti ai tuoi occhi,
un ponte di cristallo e di diamante e pietre lunari. Conduce esattamente
dall’altra parte del fiume: a te, che stai di qua, sembra tutto scintillante,
ma in realtà è la stessa terra, la stessa medesima occasione, la stessa virtù,
la stessa possibilità. Solo che sei rincuorato.”
La campagna sferragliante dietro a quel vetro di muta
accettazione continuava a scorrere davanti ai suoi occhi colpita da mille
riflessi grotteschi. Le stelle ancora non danzavano, la loro non era una pioggia
leggera e delicata di buoni sentimenti.
Eppure il treno continuava a procedere dritto, lineare come
il suo tempo, continuava a marciare verso, a tendere, mai a tornare
indietro, al punto di partenza.
La sua sensibilità verso il dolore cosmico si acuiva,
rendendosi paradossalmente meno fastidiosa.
Sorrise quando il ragazzo gli restituì l’accendino,
chiedendogli: “Ma tu dove stai andando?”
“Non so.” Scrollò le spalle.
“Ah.”
“Sì, sono uno Zigeuner. Mi fermo un po’ qui, un po’
lì, ed alla fine, sempre nel cuore della notte, mi desto come da un sogno che
m’abbia stordito i sensi: vedo l’errore macroscopico, la disarmonia, il punto
di rottura. La mia presenza.”
“E te ne vai senza sapere dove?”
“Sì. Prendo il primo treno e viaggio till the end,
fino al capolinea.”
“Nemmeno io so dove sto andando, quindi magari –“
Il treno si arrestò a quel punto, quando già albeggiava e un
nastro di sole incandescente e caldo si snodava con grazia oltre le colline
dolci, come a voler investire tutte le cose nella luce.
--- Ho chiuso con ‘luce’, che bello! Di solito finisco con
immagini brutte… Over the hill
and far away ^_^
Ho scritto questo secondo capitolo in vacanza, in un periodo
in cui ero fuori dal mondo. L’ispirazione mi è venuta osservando la copertina
di Octavarium, ci sono quattro palle che girano… il pendolo di
Focol-o-come-cavolo-si-chiama. Ecco la mia teoria del moto perpetuo… sempre
grazie ad Octavarium poi, ora sono fissata coi cerchi e col tornare al punto di
partenza. Un’altra fonte di ispirazione è stata l’introduzione di Siddharta col
Suchende che significa letteralmente ‘colui che cerca’.
Volevo postare il chap prima del ponte di Ognissanti ma mi
sono scordata. Sono una disgrazia.
Commentate ^_^ ---