Ciao a tutti! Bene,
eccomi di nuovo qui con il ventunesimo capitolo di “Gold in the Blue”! Allora,
premetto che questo capitolo si distacca un po’ da quella che è la trama della
storia, un po’ come il capitolo 9, “Alba di Perfezione”.
Tutto sommato, ci sono
anche molti dettagli che accomunano i due capitoli. Tra poco capirete da voi perché.
Dunque, questo capitolo
è stato creato appositamente per delineare una sorta di “pausa” all’interno
della fanfiction.. non ci sono dialoghi, fatta eccezione per uno, esattamente
alla fine del capitolo. L’idea mi è venuta ripensando all’orologio d’argento di
Ed che avevo visto nella vetrinetta di una fumetteria vicino alla mia scuola
*-* (sarà mio!!!!).
Ok, finita la paranoia
pre-storia. Vi lascio al capitolo 21! Buona lettura!
21. PROFUMO DI MEMORIE LONTANE
Un riflesso argenteo, un movimento fluido.
Una sottile catena tra le dita, un leggero
ticchettio, quasi impercettibile.
Un debole soffio di vento scuote l’erba del prato,
così alta in quel luogo, da anni nessuno ha osato avvicinarsi per tagliarla.
Uno schiocco secco, e l’orologio d’argento si apre
davanti ai suoi occhi preziosi. Il ticchettio si fa più intenso, fastidioso.
Il tempo passa troppo lentamente.
O è eccessivamente rapido?
Un’incisione ruvida, palpabile sotto le dita forti.
Una frase, un significato criptato.
“DON’T FORGET! 3 OCT 11”.
Un alito caldo, quasi provenisse dal sole, in
tramonto, che tanto ricordava le fiamme che lo avevano spinto, alcuni anni
prima, a scalfire la lucida superficie dell’orologio.
Chiuse gli occhi, abbandonandosi alla brezza
primaverile, mentre il suo viso si tingeva di riflessi dai tiepidi colori.
Miliardi e miliardi di odori diversi arrivarono
alle sue narici.
Erano profumi di ricordi, di casa, di passato.
C’era l’odore acre del latte, il profumo squisito
dello stufato, l’essenza polverosa di vecchi libri di alchimia.
Percepì l’odore umido della pioggia, dell’erba dei
campi, la sensazione scottante del sole estivo, il dolce aroma delle rose nel
vaso della cucina.
Ed eccolo, lontano, quel profumo tanto caro, un
ricordo morbido, roseo. Era come se fosse lì, la sua pelle, i suoi capelli
scuri, gli occhi verdi e quel sorriso così tenero, ingenuo, innocente.
Un abbraccio familiare, desiderato, forse anche
troppo. Una foto, una lacrima, un sorriso.
Sua madre.
E poi, dal nulla, il soffocante odore del fumo , lo
scoppiettare delle fiamme, il profumo della mamma che, a poco a poco, svanisce.
Una luce nuova, che appare quasi buia e una stradina
di ciottoli che conduce al di là di quell’inferno che era stata la sua casa.
Dischiuse gli occhi e tutto svanì, in una nuvola
rossastra.
Serrò l’orologio degli alchimisti di stato tra le
dita, facendo scattare il meccanismo di chiusura.
Davanti a lui, non c’era più la casa della sua
infanzia, né l’altalena che suo padre, in uno sprazzo d’affetto, aveva montato
sul ramo di quell’albero ormai carbonizzato.
E non vide più sua madre sulla veranda, che
stendeva quegli abiti così piccoli, i suoi, di quand’era bambino.
Tutto era stato sostituito da rovine annerite,
bruciate insieme ai suoi ricordi più remoti.
Gettò l’orologio nella tasca destra. Si era
rifiutato di riconsegnarlo al quartier generale, forse per arroganza, per
disprezzo o per rammentarsi di non commettere due volte lo stesso errore.
Forse per quella frase incisa anche nel suo cuore,
così da non poter mai cancellare quel giorno?
“Don’t forget” aveva scritto. “Non dimenticare”.
Strinse la labbra, soffocando un qualsiasi impulso
a reagire, un grido, una lacrima, un sospiro. Non avrebbe mai potuto
dimenticarlo.
Si voltò, dando le spalle all’incendio ormai domato
da anni. Percorse a ritroso la via sterrata che portava alla strada più
importante, camminando sul limite destro, che costeggiava un ampio campo
fiorito.
Si chinò, per raccogliere una candida margherita
che si stendeva soave con lo stelo verso il cielo, di un azzurro quasi
inesistente.
Portò i morbidi petali al naso, per poterne
catturare il profumo semplice ma incredibilmente importante.
E così, non si accorse di essere già arrivato lì,
alle porte di quel luogo a lui così conosciuto.
Superò la staccionata di legno e avanzò di qualche
passo, con lo sguardo perso, fino a giungere davanti alla lapide biancastra.
Si fermò lì, mentre il nome della mamma continuava
a rimbombargli nella mente. Nei suoi ricordi, si formò l’immagine di suo
fratello che piangeva, disperato, abbracciando quella lapide, quasi fosse
veramente la sua cara mamma.
Incredibilmente, sentì sul viso le lacrime calde ce
aveva versato, così sofferte, segrete.
Si sfiorò la guancia, riscoprendola asciutta,
com’erano quelle lacrime, che ormai erano solo un lontano ricordo.
Posò le labbra su un petalo, stampandone addosso un
piccolo bacio.
Distese il braccio verso la tomba, lasciando che il
fiore andasse a posarsi accanto alla pietra ruvida.
L’oro dei suoi occhi tornò a posarsi sul nome lì
inciso, e quasi il suo cuore riuscì a scorgere quel dolce sorriso che tanto gli
mancava.
Un ultimo sguardo, fugace, prima di rigirarsi verso
il tramonto, ormai buio, solcato dalle prime stelle timide.
Tornò sui propri passi, mentre quel ramo del
passato rimaneva immobile alle sue spalle, stampato sui candidi petali della
margherita.
A passi lenti, si ritrovò sulla strada di casa.
Un vociare divertito lo accompagnò per tutta la via
e l’abbaiare gioioso di Den lo accolse con vitalità.
Avvicinandosi di più, avvertì l’odore del latte
messo a bollire, unito a quel delizioso aroma di carne cotta che proveniva
dallo stufato.
Delle rose bianche risplendevano sui vasi alle
finestre, completando con la loro delicatezza e il loro profumo quell’atmosfera
così perfetta.
Sulla veranda, poco lontano dalla porta di legno,
Winry stava srotolando un panno dal cesto della biancheria appena lavata.
Scosse il tessuto vermiglio un paio di volte, prima
di stenderlo sul filo trasparente da bucato.
Edward si fermò e chiuse gli occhi, per fotografare
quell’istante e renderlo eterno, quasi fosse un ricordo sottratto alla sua
memoria e proiettato nel mondo dinnanzi a lui.
Strinse bene le palpebre per poi riaprirle,
confuso, ma con il cuore libero e leggero come il volo di una farfalla.
Era tutto ancora lì.
Il latte che sicuramente Al si accingeva a bere, lo
stufato della zia Pinako, i fiori sul davanzale.
C’era anche lei, quella ragazza che aveva appena
steso ad asciugare la sua palandrana, e che ora gli correva in contro, per
accoglierlo con un bacio a fior di labbra.
E mentre la stringeva a sé, sentì la sua pelle, e i
capelli, e gli occhi, così diversi eppure così simili.
Quel profumo speciale che aveva percepito solo in
sua madre, lo ritrovò in quella chioma bionda e splendente, così dolce e
familiare, che gli fece venire i brividi, accompagnata da quel sorriso che, ne
era certo, non avrebbe mai stentato a riconoscere.
-
Bentornato a casa, Ed.
Eccoci qui, alla chiusura di questo capitolo. Allora,
che ne pensate? Aspetto le vostre recensioni, mi fanno sempre davvero molto
piacere!
Ora non posso rispondere ai commenti del capitolo
precedete, perché sono all’opera con una one-shot (EdWin,
ma non proprio. Se la leggerete, capirete perché). Comunque voglio ringraziare
tutti/e quelli/e che mi hanno lasciato una recensione.
Grazie, siete speciali.
Ah, un’ultima cosa. Stamattina sono entrata su face
book per vedere se avevo notifiche, e sulla bacheca ho trovato la notizia che
hanno doppiato in italiano l’ultima scena dell’episodio 64 di FMa Brotherhood, quella in cui Ed
si “dichiara” a Winry.
Vi lascio il link del video ( a me ha fatto piangere
anche se l’avevo già vista sub ita!) http://www.youtube.com/watch?v=hyjePG3_FnA
Ok, ho definitivamente finito.
Al prossimo capitolo, baci.
MeggyElric___