Allora le
premesse le metto qui ma alla fine verranno messe alcune spiegazioni
che qui non posso inserire se no vi spoilererei troppo. Vi dico solo
che tutto quello che accade qui non è un caso. Se volete saperne di più
vi consiglio di andare a leggere qui e poi di leggere appunto i
chiarimenti.
Ringrazio tutti
per la lettura e tutte le persone che hanno recensito fino ad ora.
Grazie mille^^
Buona lettura^^
Capitolo
n ° 4
Ω She was like the sun Ω →
† Ed
anch’io ti narrerò delle lacrime che piansi...†
Se c’è una
cosa
che tutti noi dobbiamo imparare
È quella
di
andare sempre avanti
E di
sapersi
reggere da soli, sulle nostre gambe.
E per
quanto sia
difficile
E la
strada
possa sembrare ripida,
Non
possiamo
smettere di lottare.
È questo
che ci
hai insegnato, vero nonna?
A me ed a
loro,
tanto
tempo fa.
(Theme: “When you’re Gone”
– Avril
Lavigne)
Era
passato davvero parecchio tempo da quando lei e Kon si erano fatti
quella
specie di promessa, aiutare i rispettivi fratelli a mettersi assieme
una volta
per tutte. Tutti, in classe, si chiedevano come mai quei due andassero
così
stranamente d’accordo ultimamente, mentre i battibecchi erano diminuiti
e le
lesioni alle parti basse di Kon anche. Il primo a non spiegarsi tale
comportamento era proprio Ichigo. Fino a qualche tempo prima si
sarebbero
volentieri cavati gli occhi a vicenda ed ora sembravano quasi due spie
russe
che confabulavano su chissà quali progetti governativi. Solo quando Kon
si
avvicinava comunque troppo alla povera Orihime la giovane Jaggerjack
partiva
alla carica, incominciando ad inseguirlo per tutta la classe,
gridandogli
contro che era un brutto maiale. E lui, cosa diceva? Che quelli non
erano i
patti o cose del genere. Solo una cosa era certa per Ichigo, quei due
erano
veramente incomprensibili, alle volte.
Sbuffò
mentre un alito di vento portò con sé parecchie nuvole vagabonde,
cariche di
pioggia e di mal tempo. Le osservò muoversi nel cielo in maniera
scomposta e in
quell’esatto istante percepì una stretta allo stomaco. Lo sapeva,
Giugno era il
mese dei tifoni per eccellenza però non poteva fare a meno di detestare
la
pioggia, con tutto se stesso. Lo faceva sentire impotente perché non
poteva
fermarla e riportava a galla troppi ricordi dolorosi. In quegli istanti
era
come se anche dentro la sua anima piovesse, a catinelle, inzuppandolo
fino al
midollo, rendendolo più nervoso e scorbutico del solito. Ma taceva e
sopportava, senza dire alcunché, come se quella fosse solamente pioggia
ed a
lui non importasse nulla di ciò che si agitava dentro al suo povero
cuore
martoriato. Perché doveva essere forte, per proteggere la sua famiglia
da un
dolore che ormai da tanti anni graffiava loro il petto e l’anima,
trascinandoli
giù, in un abisso che pareva senza fine, almeno una volta all’anno.
Anche
Kon si accorse della pioggia imminente e dello stato d’animo del
fratello, ma
solo quando, oramai tra le grinfie di un’Haine decisamente furiosa,
alzò la
testa per chiedere pietà ed aiuto al gemello che, chissà come mai,
sembrava più
indifferente del solito al fatto che la sua salute fisica fosse in
serio
pericolo. Allora si irrigidì di botto, ma non come sempre, quando la
ragazza lo
placcava come un giocatore di football professionista. Era come se il
cuore si
fosse gelato per un istante ed il suo corpo avesse fatto altrettanto,
serrato
in una morsa che nessuno, nemmeno Haine, avrebbe mai percepito, ne era
certo.
La
ragazza capì che c’era qualcosa che non andava e mollò la presa,
osservando i
due gemelli perplessa, senza capire. A parte lei, solo un’altra
manciata di
persone sembrò cogliere lo stato d’animo di entrambi, consapevoli del
motivo
per cui si comportassero così. Haine avrebbe voluto chiedere cosa
stesse
succedendo, preoccupata, ma sentiva che forse non era il caso. Lo
capiva
guardando gli occhi di Ichigo ma soprattutto quelli di Kon, spentisi in
un solo
istante.
Qualche
minuto dopo il professore entrò in classe così da far tornare ai propri
posti
tutti gli alunni, intimando la completa attenzione verso di lui e la
lezione.
“Ehi
Kon...” mormorò Ichigo, cercando di farsi sentire solo dal gemello.
“Dimmi...”
“Che
giorno è oggi?”
“...
È il quindici. Il quindici di Giugno...”
Restarono
in silenzio per qualche minuto, uno osservando fuori dalla finestra,
l’altro il
quaderno posato sul proprio banco. Haine che aveva sentito a malapena
quello
che si erano detti, percepì una strana atmosfera nell’aria, densa di un
qualcosa che non sapeva definire ma che, stranamente, sentiva di
conoscere
abbastanza bene.
“Allora
è già dopodomani...”
I
due gemelli non dissero più nient’altro fino alla fine della lezione,
lasciando
Haine stranamente in ansia e desiderosa di vederci chiaro in tutta
quella
faccenda.
#
# # # # # # # #
Haine
quello stesso giorno aveva deciso di andare al cantiere per portare il
pranzo
al fratello – erano usciti prima a causa dell’assenza di un’insegnante
– approfittando
del fatto per conversare un po’ con la signorina Shiba, e domandare
come stessero
procedendo i lavori. Aveva salutato tutti, chiedendo in giro dove fosse
il capo
per poterla ringraziare di tutto quello che faceva per quel testardo di
Grimmjow.
Non era molto lontana da lei, semplicemente era nascosta da una gru
spenta ed
in quel momento era quasi impossibile vederla, l’aveva informata uno
dei
carpentieri più anziani della ditta, indicandole il punto quasi esatto.
La
donna quando la vide sorrise e le scompigliò i capelli con l’unico
braccio sano
che le era rimasto. Ormai Haine era abituata a fissare il vuoto dove ci
sarebbe
dovuto essere un qualcosa però il non vedere niente la faceva stare
comunque
male, turbandola nel profondo. Kukaku Shiba aveva perso l’arto durante
un lavoro
in un altro cantiere circa sei anni prima, quando ancora non aveva
un’azienda
tutta sua ed il suo ex-capo risultava essere quel tipo di persone che
non
badava alla sicurezza dei propri operai. Ed a causa dell’avidità di
quell’uomo
lei aveva perso il braccio ma lui, oh lui aveva perso molto di più. La
ditta e
tutti i suoi soldi. La Shiba era una donna che non portava rancore,
questo era
risaputo, però il suo povero braccio era pur sempre una parte di lei
che niente
e nessuno avrebbe potuto sostituire. Ma, nonostante tutto, vedere
finire sul
lastrico quell’uomo che più di una volta aveva rischiato la vita di
molte altre
persone aveva funzionato come un efficacissimo palliativo. Per lei e
tanti
altri.
Kukaku-sama
osservò gli occhi di Haine perennemente puntati sul suo viso, per non
mancarle
di rispetto se per caso fossero finiti su quello che restava del suo
braccio
destro. Non disse niente, si limitò a sorridere con tenerezza a quella
ragazzina che le portava una grande stima, quasi fosse una zia o una
cosa di
simile. Oh, se avesse avuto una sorella come lei invece di
quell’incosciente e
fannullone di Ganju!
“Se
sei venuta per tuo fratello adesso si trova in quell’edificio
prefabbricato.
Per trasportare una trave di troppo e far prima si è stirato un
muscolo,
l’incosciente!” sbuffò lei portando la lunga pipa alla bocca e
rimettendosi a
fumare.
Osservò
la faccia di Haine contrarsi in una strana smorfia e non capì subito.
Poi, d’un
tratto, si rammentò di quando l’aveva ammonita sul fatto che non si
doveva
fumare e, se proprio ci teneva, che non
lo facesse in sua presenza. Quello era lo stesso discorso che faceva al
fratello tutti i giorni ma con lui, lo sapeva benissimo, era una causa
decisamente persa.
“Ho
capito, ho capito, adesso smetto...” mormorò la donna, ridacchiando.
I
suoi operai si chiedevano come facesse quella ragazzina a farsi
ubbidire da una
donna del genere. Ma loro non conoscevano tante cose come la Shiba. Non
erano
certamente amici di Chidori e la loro vita, la sua e dei due figli, non
potevano neanche immaginarsela.
“La
ringrazio ancora Kukaku-sama!” disse infine Haine dirigendosi verso il
prefabbricato che fungeva da ufficio nel cantiere edile, salutandola
cordialmente.
Quando
Grimmjow se la trovò davanti rimase stupito, quasi sconvolto. Ma la
cosa che
più lo fece trasalire fu il pugno che la sorella gli diede sulla testa
con
tutta la forza di cui era capace. Ci mancò poco che cadde a terra, col
viso
spiaccicato sul pavimento. Cercò di acciuffarla ma questa sgattaiolò
via,
sfruttando il fatto che si fosse fatto male alla spalla.
“Quello
era per la tua idiozia! Il capo mi ha detto che hai fatto, coglione!”
Ecco,
quando si incazzava così era meglio lasciarla sfogare per un po’
perché, in
fondo, sapeva di avere torto marcio. Si sentiva come un bambino piccolo
rimproverato dalla sorella più grande. E la cosa noiosa era che
sembrava non
finire mai quella sottospecie di ramanzina, porca miseria! Brontolò un
qualcosa
e lei gli diede un altro sganassone, ‘sta volta sulla spalla sana, per
metterlo
in riga.
“Se
ti succedesse qualcosa di grave sai dirmi cosa diavolo dovrei fare, eh?
Avanti,
dimmelo visto che sai tutto, imbecille che non sei altro!” strillò lei,
furibonda. Lavorare in un cantiere edile non era una passeggiata ma non
era
neanche una cosa da prendere sottogamba. E lui doveva smetterla di fare
il
deficiente solo per potersi distrarre da pensieri che non voleva
rivelarle.
Eppure sarebbe bastato poco, anche solo mezza parola e tutto si sarebbe
sistemato ed entrambi si sarebbero sentiti meglio. Ma lui era troppo
orgoglioso, non avrebbe ammesso mai di avere un problema, neanche sotto
tortura. Così doveva sopportare quelle strigliate senza fiatare perché,
come è
già stato detto, se le meritava tutte, ogni volta. Era uno scotto da
pagare se
si continuava a seguire un idea così stupida come la sua, dettata dalla
testardaggine vera e propria. Solo dopo cinque minuti Haine decise che
forse
era il momento di lasciar perdere, limitandosi a fissarlo in malo modo,
per
farlo sentire in colpa ancora qualche secondo. Alla fine sbuffò,
porgendogli il
bento che aveva preparato per lui, visto che, come sempre, si
dimenticava di
passare al supermercato a comprarsi almeno un panino durante l’ora di
pranzo.
“Non
te lo meriteresti.”
“Ammettilo
che ti diverte sgridarmi solamente per fare pace, baka.”
“Ha
parlato io-non-ho-bisogno-di-mangiare-tanto-vivo-d’aria. Ora taci e
mangia.”
Soffiò lei, fissandolo di sottecchi.
Alle
fine Haine si mise a ridere, resasi conto che forse aveva esagerato un
pochino,
mentre il fratello si era limitato a sorriderle strafottente come solo
lui
sapeva fare. La brunetta gli disse di stare attento la prossima volta
perché
non poteva permettersi di farsi male. E soprattutto di far prendere un
colpo a
quella povera disgraziata di Chidori, proprio no.
“Grimmjow...”
saltò su mentre l’altro si gustava la frittata preparata da lei,
osservandola
di sbieco “Dopodomani sai che giorno è?”
“Il
diciassette” deglutì un pezzo di frittata, voltandosi alla fine verso
di lei,
stupito “Perché me lo chiedi?”
La
vide mentre si tartassava le mani, la sua migliore espressione ansiosa
e
preoccupata stampata in volto. Non sapeva se chiederlo o meno però era
certa di
una cosa. Lui, suo fratello, sapeva perché i due gemelli Kurosaki erano
diventati così... diversi semplicemente ricordando quella data. Da
quando
conosceva Ichigo non gli aveva mai chiesto niente del suo passato e
neanche lui
le aveva rivelato qualcosa di sé se non solamente delle piccole cose.
Sapeva
che la sua famiglia era composta da cinque persone e nulla più. A parte
lui in
casa c’erano le sue due sorelle, Kon e suo padre, che faceva il medico.
Per il
resto beh, non si era mai preoccupata di domandargli qualcosa. Ogni
fatto
riguardante la sua vita era venuto a galla perché era stato Ichigo a
volerglielo raccontare e non perché lei avesse insistito o altro. Era
stato
naturale per lui confidargli quelle cose che poi non erano così
personali. Il
ragazzo però sapeva che, se ne avesse avuto bisogno, avrebbe potuto
parlare con
lei di ogni cosa ma in quello assomigliava dannatamente a quel testardo
di
Grimmjow. Doveva tirargli fuori le parole con le pinze se voleva sapere
qualche
dettaglio della sua vita privata. Eppure lui era l’unico – a parte
Orihime –
che conosceva tutta la verità sulla sua
storia. Su ciò che in realtà le era successo più di un anno fa. Ma
nonostante
questo non le aveva ancora detto niente, mettendola in ansia.
Sentì
Grimmjow darle una spallata per svegliarla da quello stato catatonico,
facendole prendere un bel respiro profondo. Doveva chiederlo. Ora o
mani più,
pensò.
“Perché
il diciassette Giugno è una data così terribile per Ichigo e Kon?”
A
quella domanda il più grande rimase decisamente perplesso. Non era
sicuro se
fosse giusto raccontarle tutto o meno. Però sapeva che avrebbe
continuato ad
insistere con lui fino a quando non sarebbe arrivata a capo di tutta
quella
faccenda. Era fatta così, testarda come pochi. Doveva ammetterlo era un
brutto
vizio di famiglia.
“Il
diciassette di Giugno è l’anniversario della morte della loro madre,
Haine.”
L’espressione
che si dipinse sul viso della ragazza fu più esplicativa di mille altre
inutili
parole.
#
# # # # # # # #
Il
giorno dopo, quando tornò a scuola, la scena che le si presentò davanti
la
lasciò decisamente spiazzata. Sembrava che i due fratelli si fossero
scambiati
di ruolo, stravolgendo tutte le sue certezze. Si chiedeva come mai
l’anno
scorso non se ne fosse accorta. Eppure era sempre assieme a loro, in un
modo o
nell’altro. Poi capì che forse il suo non conoscerli ancora abbastanza
le aveva
impedito di comprendere appieno i loro stati d’animo. Mentre ora, nel
vedere
Ichigo sorridere per nascondere i suoi pensieri e Kon appoggiato al
banco senza
alcuna voglia di reagire, la faceva stare male perché non aveva idea di
cosa
fare. Se non fossero arrivate Tatsuki ed Orihime a scuoterla un po’
probabilmente si sarebbe sentita persa. Si fece raccontare come fosse
morta la
madre dei gemelli dalla mora ma nient’altro. A Grimmjow non aveva avuto
il
coraggio di chiederlo ventiquattrore prima. Sapere che era morta a
causa di un
incidente le gelò il cuore all’istante. Strinse forte i pugni, cercando
di
scacciare certi pensieri che avevano cominciato a ronzarle in testa per
poi
riprendersi quando Hime l’aveva afferrata per un polso, sorridendole.
La karateka
non capì ma decise che forse era meglio non indagare troppo, che era
giusto non
scavare in cose che non la riguardavano affatto.
Le
ore passarono lente per la ragazza mentre osservava i due fratelli
racchiusi
ognuno nel proprio dolore. Tatsuki le aveva detto che il giorno dopo
non ci
sarebbero stati in classe e che se voleva domandar loro qualcosa per
saperne di
più quello era il momento giusto per farlo. Ma Haine non disse niente,
limitandosi ad annuire a ciò che le diceva l’altra.
Solo
alla fine delle lezioni, fuori da scuola, quando tutti se ne erano
andati la
giovane di casa Jaggerjack chiese a Tatsuki dove fosse il cimitero in
cui era
stata sepolta la madre dei ragazzi. Solo quando ottenne la tanto
agognata
risposta si congedò, salutando lei ed Orihime in tutta fretta e
ringraziandole
per averle dato una mano.
“Cosa
vorrà fare?” chiese la mora, fissando l’amica sorridere cordialmente.
“Forse
ciò che né io né te abbiamo mai avuto il coraggio di mettere in
pratica...”
bisbigliò Orihime, conscia del segreto che l’amica si portava dentro e
che
forse avrebbe potuto aiutare ad alleggerire un po’ il peso che i
gemelli di
casa Kurosaki si portavano dentro da tanto, troppo tempo.
#
# # # # # # # #
Grimmjow
non sapeva come fosse riuscito a farsi convincere dalla sorella ad
andare in
quel maledetto cimitero per ficcare il naso in faccende che non li
riguardavano
affatto. Ed a convincere il capo a dargli un giorno di ferie, poi!
Aveva detto
che gli era stata concessa una settimana di ferie arretrate e che
andavano
sfruttate, la furbacchiona, così da permettere alla sorella di
trascinarselo
dietro in tutta quella fastidiosa storia!
Si
erano alzati presto, quel giorno, così presto da fargli rimpiangere il
suo
faticosissimo lavoro. Voleva dormire, dannazione, non alzarsi alle sei
meno
un quarto del mattino, porca miseria!
Si
grattò la testa e stropicciò la faccia, assonnato, mentre Haine
sembrava più
pimpante che mai, presa da chissà quali pensieri che le ronzavano in
testa. In
realtà sapeva a cosa stava pensando, sapeva il perché di un tale
attaccamento
alla faccenda ma lui non era certo il tipo che andava a psicoanalizzare
chi gli
stava attorno. Si limitava a fissare lo scorrere degli eventi,
lasciandosi
trascinare da quella furia umana che era sua sorella...
La
aspettò vicino ad un tempietto, mentre lei andava recuperare
il custode per domandargli dove si
trovasse la tomba di Masaki, la madre dei compagni di scuola. La vide
tornare
dopo una decina di minuti, avvicinandosi a lui con una strana
pesantezza che le
faceva trascinare i piedi sul terreno. Haine odiava i cimiteri, li
odiava con
tutta se stessa. Per lei non erano luoghi per andare a ricordare i
propri cari
ma solo un cumulo di rocce che rammentavano alle persone solamente il
dolore
della perdita, un dolore così forte da schiacciarla al suolo
impedendole di
camminare come al solito ed alle volte persino di respirare normalmente.
“Andiamo,
non è tanto distante...”
Camminarono
in silenzio entrambi, l’unico rumore che faceva loro compagnia era
quello dei
loro passi e del vento che si insinuava tra le foglie, richiamando a sé
le
nuvole cariche di pioggia.
Quando
arrivarono davanti alla tomba – la ragazza desiderava salutare colei
che le
aveva permesso di incontrare uno dei suoi migliori amici – Haine
s’inginocchiò
e cominciò a pregare, silenziosamente.
“Sa
signora, avrei tanto voluto conoscerla. Deve essere stata una persona
meravigliosa se i suoi figli l’hanno amata così tanto. Spero che da
lassù non
mi mandi qualche improperio quando prendo a calci il suo unico figlio
uscito su
male ma lo faccio solamente per fargli capire come vanno le cose. E
soprattutto
per salvare quella povera ragazza che continua perseguitare ogni salto
giorno!... Sa, spero che il mio desiderio di veder felice suo figlio
sia
arrivato fino a lei e che mi aiuti a far andare le cose per il verso
giusto.
Voglio molto bene ad Ichigo, mi ha aiutato tanto, in quest’ultimo anno,
è come
un fratello, per me. Ed ora che lo conosco meglio, e che conosco anche
quell’allupato dell’altro suo erede, capisco perché mi ci sia trovata
subito in
sintonia. Vorrei che mi facesse un favore, se può. Se incontra un paio
di
persone lassù dica loro che sto bene e che tutte le promesse che ho
fatto le
sto mantenendo, una ad una. Le auguro di stare bene, nel luogo dove si
trova
adesso.”
Tutte
quelle parole erano nate spontanee nella sua mente, trascinate da un
cuore che
batteva all’impazzata mentre tanti ricordi e tanti desideri si facevano
strada
spintonandosi gli uni con gli altri. Sperò che tutte quelle parole
raggiungessero
qualcuno lassù e che la sua volontà permettesse di farle arrivare
dritte
all’anima di chi ormai non c’era più.
Si
alzò, Haine, si alzò pulendosi i vestiti e posando un fiore bianco in
prossimità dell’enorme lapide grigia. Fece un ultimo saluto per poi
allontanarsi
assieme a Grimmjow, quel tanto per permettere ad Ichigo ed alla sua
famiglia di
pregare in pace almeno per un po’. Si sedettero entrambi sulle
scalinate lì
vicino, rimanendo ancora in assoluto silenzio, quasi temessero che una
sola
parola potesse spezzare quella sacralità in cui si erano immersi.
“Sai”
saltò su la sedicenne, all’improvviso “Faccio il tifo per te, nii-san”
soffiò,
lasciando basito l’altro che la osserva, senza capire.
“Chidori
mi ha raccontato i tuoi gusti in fatto di uomini e credo che Ichigo sia
perfetto per una testa dura come te, vi assomigliate troppo.”
Se
avesse potuto, il ragazzo dai capelli azzurri si sarebbe strozzato con
la sua
stessa saliva, spalancando gli occhi in una maniera assurda. La sorella
lo
osserva, tentando di non ridere ma soprattutto di non disturbare la
quiete di
quel cimitero. Lo aveva detto soprattutto per sciogliere la tensione ma
anche
perché non era brava a mantenere certi segreti. Preferiva giocare a
carte
scoperte, era decisamente meglio.
“Non
fare quella faccia! Ho visto come ti comporti con Ichigo, sei
decisamente
troppo manesco per i miei gusti e cerchi un po’ troppo spesso il
contatto
fisico. Non mi ci è voluto molto per fare due più due.”
Se
fosse stato il tipo, Grimmjow sarebbe arrossito dalla punta dei capelli
fino a
quella del naso, ma forse quello si addiceva di più ad uno come
Kurosaki, non
certamente a lui. Si limitò a ridacchiare, sfoggiando quella sua
perfetta fila
di denti bianchi che parevano affilati come rasoi, incredulo del fatto
che la
sorellina fosse così arguta.
“Comunque
sappi che se farete qualcosa di sbagliato prenderò a calci tutti e due,
intesi?”
A
quell’ammonimento il ragazzo non disse altro, tirando fuori una
sigaretta e
fumando, come se nulla fosse successo. E da una parte per Haine era
meglio
così. Entrambi non erano tipi che tiravano troppo per le lunghe un
discorso che
era già stato ampiamente chiarito, così si limitarono ad aspettare che
la
famiglia Kurosaki facesse il suo ingresso in quell’area del cimitero.
La loro presenza
si sentì subito, anche grazie al vociare del patriarca di casa
Kurosaki, il
signor Ishinn, intento a tirare su di
morale la figlia più piccola mentre l’altra avrebbe solamente voluto
prenderlo
a calci da lì fino a casa. Gli unici due che non facevano casino erano
proprio
Ichigo e Kon. Solo in quel frangente i due ragazzi si assomigliavano
come due
gocce d’acqua. Il loro sguardo, pieno di amore e mal celata tristezza
sembrava
rispecchiarsi negli occhi di entrambi in quel preciso istante. Kon sì
inginocchiò
e pregò per la madre, dicendole che tutto andava bene, nonostante una
certa
compagna di classe attentasse alla sua vita ogni due per tre. Ichigo
invece si
limitava ad osservare quella pietra grigia, continuando a chiedere
perdono per
un qualcosa di cui non aveva la benché minima colpa.
Aspettò
altri dieci minuti, Haine, aspettò quel tanto che permettesse a tutti
di
pregare ancora un po’, prima di alzarsi ed attirare l’attenzione
inizialmente
di Yuzu e Karin ed a seguire di Ishinn, mentre i due ragazzi
continuavano a
pregare senza accorgersi di nulla. Dietro di lei stava Grimmjow,
immobile come
una statua senza dire la benché minima parola , fumando la sua
sigaretta e
cercando di non guardare direttamente negli occhi nessuno dei presenti.
Il
vento scompigliò i lunghi capelli blu scuro di Haine, mentre muoveva
fastidiosamente la lunga maglia bianca che indossava sopra i jeans
scuri. Fece
un profondo inchino, osservando le persone che le stavano davanti,
aspettando
che anche gli altri due si accorgessero di lei. E quando lo fecero
rimasero
decisamente basiti. Perché fosse lì era un mistero. Però, per Ichigo,
la sua
presenza non rappresentava un fastidio. Era quasi come togliersi un
peso di
dosso dopo tanto tempo. Kon, invece, semplicemente non capiva.
“Chiedo
scusa se sono capitata qui all’improvviso. Ma quando ho saputo che
giorno è
oggi ho pensato che fosse doveroso venire a salutare ed a pregare per
la
signora Kurosaki. Spero di non essere di disturbo.” Mormorò, fissando
il
terreno, imbarazzata.
Fu
la mano di Ishinn posata sulla sua spalla che le fece alzare il viso,
mentre il
suo sguardo incrociava poi il suo sorriso cordiale.
“Sapere
che i miei figli hanno un’amica che ci tiene così tanto a loro mi fa
solo
piacere. Come mi fa piacere rivederti, Grimmjow. Dimmi, come sta tua
madre?”
“Domani
mattina ha un altro ricovero in ospedale, ma si tratta solamente di un
day
hospital, questa volta. Mi ha detto di salutarla se l’avessi vista. E
di
rinnovarle le sue condoglianze.”
“Vi
ringrazio entrambi.” Mormorò lui, per poi girarsi verso le figlie e
tornare
nuovamente pimpante, come suo solito.
“Forza
belle di papà, andiamo al tempio per pregare affinché tutto possa
andare bene!”
esclamò poi lui, trascinando via le due ragazze con foga. Aveva capito
che era
il caso di lasciar soli i suoi figli con i loro amici e quando
finalmente lo
capirono anche loro lo seguirono senza fare troppe storie.
Haine
non riusciva a fissare Ichigo direttamente negli occhi, non ne aveva la
benché
minima forza. Era come se avesse violato qualcosa, lo sentiva, però non
credeva
di essere nel torto. Il viso nuovamente puntato verso il basso non le
permise
di vedere che il compagno di classe si avvicinava a lei con un sorriso
amaro
stampato in faccia, per poi posarle la destra sulla testa, con estrema
delicatezza.
“Ti
ringrazio, Haine. So quanto sia difficile per te...” mormorò in modo
che solo
lei potesse sentire, per poi posare gli occhi nocciola sulla figura
silenziosa
del fratello della compagna di classe.
Attorno
ai quattro si era creata una strana atmosfera, quasi l’aria si fosse
condensata
all’improvviso, immobilizzando ogni loro gesto. La giovane Jaggerjack
osservò
con la coda dell’occhio Grimmjow ed Ichigo e pensò che forse era il
caso di
lasciarli stare da soli, aspettando ancora un po’. Quando lanciò
un’occhiata a
Kon, il ragazzo capì senza dire nulla. Salutò ancora una volta sua
madre,
chiedendo alla ragazza se potesse accompagnarlo fino al tempio. Haine
si limitò
ad annuire, fissando per un ultimo istante sia il fratello che l’amico
mentre
si posizionavano davanti alla tomba di Masaki e restavano lì, senza
emettere un
solo e misero fiato.
#
# # # # # # # #
Erano
esattamente a tre passi di distanza l’una dall’altro. Li aveva
contanti, la
giovane prima di incamminarsi a sua volta verso il tempio, per poi
accorgersi
solo a metà strada di non essere diretti propriamente lì. Lei non disse
comunque nulla, continuando a fissare le grandi spalle del ragazzo che
proseguiva la sua camminata, le mani nella tasca della felpa
esageratamente larga
e lo sguardo puntato verso il basso.
Le
faceva uno strano effetto osservare quegli atteggiamenti che non si
addicevano
per niente all’immagine che si era fatta di Kon. Lui era un maniaco,
sempre
pronto a seguire ogni gonnella che passava, tentando di portare al lato oscuro anche il suo povero fratello
facendolo diventare isterico come pochi, se voleva. Eppure, ora,
osservava come
in realtà fosse, sotto quella scorza da ragazzo allegro e farfallone.
Lo
capiva, lo capiva fin troppo bene. Comprendeva quello stato d’animo,
quel
desiderio di poter cambiare le cose e l’impotenza di fronte a tale
impossibilità. Avrebbe voluto camminare al suo fianco e cominciare a
parlargli,
per tirarlo almeno un po’ su di morale ma non trovava la forza di
farlo. In
quel momento era circondato dal suo dolore e così concentrato su di
esso da
impedirle di avvicinarsi di quei tre passi che li distanziavano l’uno
dall’altra.
Lo
seguì quando cambiò nuovamente rotta, all’improvviso, trovandosi
davanti ad un
terrazzamento che dava sulla città, ingrigita dalle nuvole che la
sovrastavano.
Lo vide mentre se ne restava lì, dritto come un fuso, ad osservare il
cielo, in
cerca di un sole che ormai era quasi del tutto sparito. Un sole che
almeno per
quel giorno, non sarebbe riuscito a scaldare il suo cuore nemmeno per
un
momento...
Alla
fine si sedette, le gambe a ciondolare giù per la scarpata, sotto di sé
altre
tombe, tutte grigie, tutte uguali. Sentì Haine ancora ferma ed in piedi
dietro
la sua schiena così le fece segno di mettersi comoda a sua volta. Non
aveva
parlato, non gli aveva detto niente. Era rimasta zitta, aspettando che
fosse
lui a sciogliere quel groppo in gola che gli impediva di respirare
normalmente
e di parlare assieme a lei. La osservò per un secondo con la coda
dell’occhio
mentre si metteva di fianco a lui, facendo dondolare le gambe nel
vuoto,
osservando quel cielo farsi sempre più grigio e cupo. Il vento
continuava a
soffiare, costringendola a mettersi i lunghi capelli dietro alle
orecchie per
evitare di ritrovarseli in faccia. Fece uno strano sorriso, Kon,
tornando a
fissare il sole che a tratti ricompariva tra i nuvoloni carichi di
pioggia.
“Anche
lei lo faceva spesso.” Mormorò, piatto “Almeno, per quel che ricordo.”
La
Jaggerjack lo fissò per alcuni secondi senza comprendere a cosa si
riferisse.
Vide Kon continuare a sorridere, gli occhi lucidi, nel tentativo di non
stare
troppo male al solo ricordo di un semplice e stupido gesto...
“Mi
riferivo al fatto che mia madre si mettesse i capelli dietro le
orecchie appena
il vento tirava, come hai fatto tu pochi secondi prima, nonostante li
tenesse
sempre legati... Era una sua abitudine.”
Quelle
parole, dette con un tono di voce così dolce e calmo, arrivarono dritte
al
cuore della ragazza che si sentì sempre più triste. Lo osservava
impotente di
fronte a quel dolore che ogni gesto ed ogni sillaba esprimevano, quel
giorno.
Si
portò le ginocchia al petto, stringendosele contro per poi cominciare a
fissare
il vuoto, il vento che la infastidiva, ma lei non voleva darci
assolutamente
peso.
“Cosa
è successo?” chiese in un soffio, mentre l’altro faticava a capire a
cosa si
riferisse “Dico, a tua madre.”
Aveva
buttato lì quella domanda senza pensarci troppo, continuando a fissare
davanti
a sé senza soffermarsi su un particolare preciso di ciò che la
circondava.
Aspettò, paziente, mentre Kon la osservava un po’ incredulo. Pensava
che lo
avrebbe chiesto ad Ichigo, non certamente a lui. Eppure glielo aveva
domandato
con una tale naturalezza ed una nota di tristezza nella voce che, non
seppe dirne
il motivo, aveva un non so ché di consolatorio. Aprì e chiuse la bocca
una
manciata di volte, senza sapere cosa dire, eppure lei aspettava, senza
la
minima fretta. Avevano tutto il tempo del mondo, dopotutto.
“Quel
giorno pioveva forte, me lo ricordo bene. Così forte da impedirti di
vedere
oltre il tuo naso, se camminavi per la strada senza ombrello. Io tenevo
stretta
la mano di mia madre mentre Ichigo le camminava affianco. Stavamo
tornando a
casa dal dojo che frequentavamo da un po’ di tempo, dopo una serie di
allenamenti.
–
Voglio proteggerti dall’acqua, mammina, io ho l’impermeabile, non
preoccuparti
per me – le aveva detto Ichigo nonostante si fosse inzuppato d’acqua
fino
all’osso. Io ridevo, prendendolo in giro, come facevamo sempre da
piccoli, più
che altro per far sorridere mia madre. Nonostante la pioggia,
nonostante
facesse freddo, noi due continuavamo a giocare tra di noi, la mamma che
ci
sorrideva come solo lei sapeva fare.
Non
so dirti come successe, forse sia lei che Ichigo erano troppo
distratti, forse
il rumore della pioggia era troppo forte. Fatto sta che non si
accorsero della
macchina che si stava avvicinando a noi ad una velocità assurda. Era
troppo,
troppo vicina. Me ne accorsi subito, afferrando Ichigo per
l’impermeabile e
tirarlo verso di me ed evitare che si facesse male. Sentii il rumore
della
macchina che sbandava ed il grido di nostra madre che ci chiamava da
così
vicino, quasi provenisse direttamente dall’interno delle mie orecchie.
Quando
riaprii gli occhi vidi la mamma stesa sopra di noi, che ci abbracciava
stretti
stretti, completamente ricoperta di sangue...”
Lo
osservò, Haine, mentre si passava la mano sul viso, cercando di
ricacciare
indietro le lacrime che sembravano voler uscire fuori a forza, per
straziargli
il cuore e riaprire una vecchia ferita che non si sarebbe mai
rimarginata del
tutto. La ragazza strinse forte la stoffa dei jeans tra le dite, le
nocche
fattesi bianchi per lo sforzo mentre la prendeva un fastidiosissimo
nodo alla
gola. Si morse il labbro inferiore per cercare di non emettere alcun
suono. Non
ne aveva diritto. Non aveva diritto di irrompere nel suo dolore in quel
modo.
“Alla
macchina che ci aveva investiti, sfondando il guardrail, si erano rotti
i
freni. Il conducente dell’auto aveva fatto di tutto per evitare di
andare a
sbattere da qualche parte, ma la pioggia era tanta e così... Così...”
le parole
gli morirono in gola mentre una lacrima sfuggì al suo controllo.
“Se
avessi detto a mia madre della macchina che si stava avvicinando troppo
forse
non sarebbe successo niente a nessuno. La mamma sarebbe ancora viva. È
colpa
mia se non c’è più. Sarei dovuto morire io, quel giorno...!”
Haine
sentì un moto di rabbia sfondarle il petto a quelle parole. Una rabbia
tale che
se fosse fuoriuscita avrebbe distrutto qualunque cosa. Cercava di non
dire ciò
che pensava ma lui continuava a ripeterlo, che era colpa sua, che lei
doveva
essere viva mentre lui no. Forse fu proprio a causa di quell’assurda
insistenza
che esplose, di botto.
“Piantala
di dire stronzate! Non è stata colpa di nessuno!” aveva quasi gridato
lei,
alzandosi di scatto, le braccia irrigidite tenute lungo i fianchi, i
pungi
stretti così forte fino a piantarsi le unghie nella carne.
Kon
la osservava, stupito dalla forza e dall’impeto con cui aveva
pronunciato
quelle parole, la voce tremante mentre il suo sguardo si era fatto
improvvisamente duro.
“Lo
sai che dicendo così sminuirai il sacrificio fatto da tua madre?
L’amore che
provava nei vostri confronti? Una madre non dovrebbe mai sopravvivere
ai figli,
mai!” continuò, la voce che si faceva sempre più alta ed il fiato
sempre più
corto. Avrebbe voluto picchiarlo, per fargli entrare in testa un po’ di
buon
senso perché, a quanto pareva, lo aveva perso tutto! Tremava, dalla
rabbia e
dal dolore, furibonda.
Anche
il ragazzo si alzò di scatto osservandola dall’alto del paio di
centimetri che
li divideva.
“Ma
tu cosa ne sai, eh? Cosa ne sai di cosa vuol dire perdere la propria
madre?!”
Avrebbe
tanto voluto tirargli uno schiaffo, un calcio, un pugno, qualunque cosa
sarebbe
andata bene. Ma le lacrime le impedivano di vedere bene ed il cuore le
faceva
male mentre il groppo che aveva in gola era sempre più fastidioso ed
insopportabile.
“Ne
so qualcosa perché io ho perso entrambi i genitori quando avevo solo
quattro anni..!”
A
quelle parole mormorate sottovoce Kon non seppe più cosa replicare
mentre
continuava a fissare lo sguardo risoluto di Haine testardamente
piantato nel
suo.
#
# # # # # # # #
Grimmjow
non seppe per quanto rimasero in silenzio davanti alla tomba di Masaki,
in quel
momento un minuto poteva sembrare un ora ed un ora invece poteva essere
paragonabile ed un minuto. Il non dire o fare niente lo metteva
fortemente a
disagio, l’immobilità non era una cosa adatta al suo carattere, poco ma
sicuro.
Buttò
l’ennesima cicca a terra, sbuffando tutto il fumo che aveva aspirato
fino a
quel momento. Forse era il caso di dargli una scrollata, senz’ombra di
dubbio.
“Dovresti
smetterla di piangerti addosso, Kurosaki.”
A
quelle parole Ichigo trasalì, fissandolo come se fosse un pazzo uscito
dal
manicomio. Avrebbe voluto prenderlo a pugni, dirgli di stare zitto
perché lui
non centrava niente in quella storia e che se era venuto solamente per
sputare
sentenze forse era il caso che se ne tornasse di filato a casa sua.
Alla fine,
comunque, non disse niente, limitandosi a trattenere il fiato per non
urlare ed
a fissarlo furibondo mentre lui, Grimmjow, rimaneva del tutto
indifferente a
quella scena a suo parere da due soldi.
“Non
guardarmi così. Cosa direbbe Haine se ti vedesse?”
A
quelle parole il ragazzo padrone di quella testa assurdamente arancione
sembrò
tornare parzialmente lucido, memore del discorso che lui e la sua
compagna di
classe avevano fatto durante il giorno dei morti, l’agosto scorso. La
più
piccola di casa Jaggerjack gli aveva raccontato tutto, dei suoi
genitori, della
nonna ed anche di Chidori e Grimmjow. Di come fosse grata al destino
che,
nonostante molte volte avesse cercato di piegarla al suo volere
causandole
grandi dolori, le aveva permesso di rialzarsi, ogni volta sempre più
forte. E
lui ora, cosa faceva? Si dimostrava debole come mai lo era stato.
Eppure,
nonostante le sue buone intenzioni non riusciva a guardare avanti come
se
niente fosse successo.
“Credi
che sia così facile, Grimmjow?” aveva sussurrato, cominciando a
guardarsi la
punta dei piedi mentre il tempo si faceva sempre più brutto e la
pioggia
cominciava a cadere.
“Credi
che sia facile per me, tornare a sorridere?”
Non
sapeva perché ma in quel preciso istante si sentiva strano, come se
tutto d’un
tratto avvertisse il desiderio di lanciare un urlo così forte da
fracassare i
suoi stessi timpani e di liberarsi di quel dannato peso posato sulla
bocca
dello stomaco. Quella profonda tristezza, accumulatasi durante l’arco
degli
anni sembrava essere sul punto di fuoriuscire tutta in un colpo solo,
travolgendo la sua mente ma soprattutto il suo povero cuore.
“Se
mi dessero la colpa, tutti quanti, dicendomi che non mi sarei dovuto
distrarre
mentre mia madre tentava di asciugarmi da tutta quella dannata pioggia
e mio
fratello mi prendeva in giro forse mi sentirei meglio.” Mormorò, la
stretta dei
pugni che andava a rilassarsi un poco, la voce rotta e roca, nel
tentativo di
non lasciarsi andare troppo.
“Io,
che avevo promesso di difendere mia madre e mio fratello da qualunque
cosa, mi
sono ritrovato protetto da Kon e poi da lei! Io... avrei dovuto fare
qualcosa!”
“Smettila
di fare il cavaliere dall’armatura scintillante, Ichigo!”
A
quelle parole alzò la testa di scatto, i capelli che cominciavano ad
essere
zuppi a causa di tutta l’acqua che scendeva dal cielo, come se
quest’ultimo
volesse versare le proprie lacrime al posto del giovane, trattenute da
troppo,
troppo tempo.
“Avevi
solo nove anni Ichigo, per la miseria, nove anni. Il fatto che lei sia
morta
per proteggere sia te che Kon non significa certamente che foste deboli
entrambi. Vuol dire solo che vostra madre era pronta a sacrificare la
vita per
proteggere i suoi figli. Tutto qui.”
Tirò
fuori l’ennesima cicca quel giorno, forse la quinta, e cominciò a
fumare. Pensò
che fosse il caso di diminuirle quelle fottute sigarette. Sarebbe
finita che
avrebbe speso tutti i soldi pur di comprarle, quelle maledette! Eppure
quel
giorno era dannatamente nervoso, se non le avesse avute a portata di
mano
sarebbe impazzito, poco ma sicuro. Inspirò una lunga, lunghissima
boccata di
fumo nonostante l’acqua avesse bagnato il filtro e tutto il resto,
rilassandosi
un poco, posando il suo sguardo azzurrissimo su di lui, sicuro.
“Guarda
avanti e pensa all’adesso, emerita testa di cazzo. Solo i vecchi
rimpiangono
tutti gli errori del passato.”
Rimasero
così, a fissarsi l’un l’altro per un periodo interminabile,
indifferenti al
fatto che avrebbero rischiato una polmonite se non si fossero sbrigati
ad
andare in un posto asciutto, per cambiarsi i vestiti ormai zuppi.
Ichigo non
capì cosa spingesse l’altro a dargli una mano, a scuoterlo un poco per
farlo
tornare com’era. Solo una cosa era certa per lui. Gli era grato, almeno
in
parte. E così si avvicinò, posando semplicemente la fronte sulla sua
spalla,
con estrema naturalezza. Come se fosse l’unico appiglio che poteva
trovare, in
mezzo a quel temporale.
“Ti
ringrazio, Grimmjow.”
A
quelle parole il ventenne buttò via quella che sarebbe stata l’ultima
sigaretta
della giornata ormai quasi del tutto inutilizzabile, lasciando l’altro
appoggiato
a lui per ancora una manciata di minuti.
“...
Andiamo al tempio, Kurosaki. Se la facciamo preoccupare troppo quella
matta di
mia sorella è capace di prendere a calci tutti e due da qui fino ad
Osaka.”
Ichigo
annuì, pensando che, appena l’avrebbe vista, avrebbe dovuto ringraziare
Haine
per tutto ciò che aveva fatto per lui. Perché sapeva che la sola
presenza delle
persone giuste l’avrebbe fatto rinsavire da quello strano stato
catatonico in
cui si rinchiudeva sempre fin da quando era bambino.
#
# # # # # # # #
Kon
era decisamente frastornato. Non sapeva se credere o meno a quelle
parole. Se
Haine lo stesse semplicemente prendendo in giro o altro. Ma lei, lo
sapeva, non
era il tipo da fare scherzi del genere o di prendersi gioco del dolore
altrui
così facilmente. Ed in questo, beh, assomigliava un po’ a suo fratello.
La
vide mentre si lasciava cadere malamente a terra, tornando a fissare quelle dannate nuvole che vorticavano
nel cielo, facendole venire solamente il mal di testa. Era così
arrabbiata,
così... offesa per quello che aveva detto da fargli capire che forse
aveva
esagerato. Così si sedette accanto a lei, silenzioso, guardando a sua
volta il
cielo sperando ardentemente di poterle chiedere almeno scusa. L’aria
era così
pesante e soffocante in quel momento da stringergli il cuore ed
impedirgli di
stare dritto. Si sentiva come un giunco piegato dalla furia della
tempesta,
insicuro sul da farsi.
“Scusa,
ho esagerato.” Mormorò dopo cinque minuti buoni, guardando dall’altra
parte e
cercando di non mangiarsi le parole.
“Non
preoccuparti Kon. Lo capisco.”
Il
tempo continuava a passare e loro rimanevano in silenzio, insicuri sul
da
farsi. Haine non aveva molta confidenza con Kon, non era come con
Ichigo. Lui
era sempre distratto, certo, ma si preoccupava per i suoi amici e se ce
n’era
bisogno si faceva in quattro per loro. Con il gemello riuscito male era
decisamente diverso. Eppure la frittata era fatta, non poteva tirare
indietro
la mano ora che l’aveva allungata, doveva prendersi la responsabilità
di quello
che aveva detto, anche se preferiva non parlarne. Prese un respiro
profondo e
poi sospirò, socchiudendo gli occhi prima di iniziare.
“Anche
i miei genitori sono morti in un incidente stradale. Io non ero in
macchina con
loro, quel giorno. Ero dalla nonna a causa di un febbrone da cavallo
che mi
aveva costretta a letto.”
Quel
discorso era cominciato così, senza la pretesa di essere ascoltato o di
essere
compatito. Voleva solamente raccontare la sua storia, come lui aveva
fatto poco
prima. Poteva ritenerlo uno scambio di esperienze, dopotutto...
“Sai,
io... non mi ricordo molto di loro. Riconosco i visi nelle foto ma i
dettagli
più importanti, come il suono della voce, il profumo o i sorrisi che mi
rivolgevano... non me li ricordo più. Ero troppo piccola.”
La
voce non sembrava essere guidata da un’emozione particolare come la
tristezza.
Forse... era nostalgia quella che sentiva? Ed un senso di vuoto, di una
mancanza che non si sarebbe mai potuta colmare. Un po’ come un pezzo
mancante
di un puzzle. E questo, Kon, lo sentiva fin nel profondo mentre la
ragazza
pronunciava quelle parole in una maniera così flebile da risultare
quasi prive
di suono.
“La
mia famiglia è originaria di Osaka ed ho vissuto lì per ben dodici
anni...
almeno, fino ad un anno fa...”
Non
capì perché la voce le si ruppe, Kurosaki. Non capì ma non disse nulla.
Un po’
come Haine poco prima non voleva entrare nel suo cuore e nel suo dolore
se non
prima di aver ricevuto un qualche permesso. Intanto, mentre i minuti
passavano
ed il cielo si faceva sempre più cupo e brontolante. I tuoni ed i lampi
in
lontananza parevano annunciare una tempesta che sarebbe durata per
molto tempo.
La ragazza guardò il cielo e sospirò, fissando la corsa delle nuvole
che
andavano a scontrarsi.
“Mia
nonna mi adottò. Mi tenne con sé e mi insegnò tutti quei valori che mia
madre
avrebbe dovuto trasmettermi ma il destino non le ha permesso di
farlo...
Era
forte mia nonna, sai? Era un tipo tosto, fumava la pipa e praticava
karate, da
giovane si era fatta addestrare dal nonno, che non ho mai conosciuto.
Mi
insegnò ad essere forte, a guardare al futuro senza voltarsi mai
indietro, se
non per ricordare tutte le cose belle che ci sono capitate. Ad avere
fiducia
negli altri e nel mondo ed a difendere tutto ciò in cui si crede. Mi ha
amata
molto, come fossi sua figlia.”
“Come
mai parli al passato?” quella domanda gli era uscita fuori senza il
minimo
riflettere. E poi, dopo essersi accorto di aver domandato troppo, si
tappò la
bocca, ma era tardi, ormai.
La
vide sorridere amaramente, mentre si stringeva sempre più le gambe
contro, i
ricordi che si affollavano nella mente e nel cuore dolcemente,
nonostante una
nota di dolore.
Sorrise,
Haine, per poi dire finalmente ciò che le frullava per la testa.
“Perché
è morta un anno fa. Aveva settantasei anni.”
Si
diede dell’emerito imbecille. No, era peggio, un Imbecille Patentato
con la “i”
e la “p” maiuscole! Avrebbe voluto sprofondare e terminare lì quella
dannata
discussione, ma lei sembrava intenzionata a continuare, perché andava
fatto,
ora che i frammenti di memoria erano stati tirati fuori dal loro
cassetto in
quell’angolino della sua anima sentiva di non potersi tirare più
indietro.
Perché parlare le faceva bene e forse, in quel modo, si sarebbero
compresi
meglio entrambi.
Haine
si alzò, le mani tenute dietro la schiena, il naso ancora puntato
all’insù, nel
vano tentativo di scorgere anche solo un piccolo raggio di sole.
“Così
sono venuta qui, a Karakura. Adottata dall’ultimo componente rimasto
della
famiglia Jaggerjack. La sorella gemella di mia madre.”
Haine
si rese conto di come ogni volta si sentisse più leggera mentre
raccontava la
sua storia. Era come gettare via un pezzo del fardello che si era
trascinata
per tanto tempo, facendola uscire da quello stato di apnea che
l’obbligava a
tenersi tutto dentro.
“Alle
volte mi domando quanto possa sentirsi sola la zia Chidori adesso che
la mamma
non c’è più. Ora che una parte del suo cuore se ne è andata per sempre.
Per voi
gemelli deve essere una cosa terribile, credo.”
Haine,
che non aveva fratelli di sangue lo disse senza pensarci molto perché
sapeva
che, se fosse successo qualcosa a Grimmjow, sarebbe morta dal dolore.
Non
avrebbe retto ad un altro lutto ma soprattutto non si sarebbe data pace
e tutti
gli insegnamenti che cercava di portare avanti sarebbero svaniti nel
nulla,
come la cenere che componeva parte del suo nome.
Era
anche per quello che si era arrabbiata poco prima. Perché aveva potuto
osservare con i propri occhi quanto potesse essere logorante una
perdita del
genere. Perché due gemelli erano due parti divise della stessa anima e
se una
spariva l’altra non sarebbe più stata completa. Mai più.
Si
voltò poi verso il suo compagno di classe, che la fissava in una
maniera
decisamente fastidiosa.
“Smettila
di guardarmi così, Kon. Non voglio la tua pietà. Come tu non vuoi la
mia. Sono
diventata forte ed ho imparato ad accettare le cose. E poi... ho
promesso alla
nonna che non avrei pianto mai per lei, che avrei continuato a vivere
perché me
lo meritavo. Da quando è morta ho fatto molte promesse ed anche se alle
volte
non ce la faccio, in una maniera o nell’altra ci provo a mantenerle
tutte.
Perché non voglio deluderla. So che da qualche parte mi guarda e spera
che
possa essere finalmente felice.”
Sembrava
un’altra persona rispetto alla ragazza manesca e rompiscatole che aveva
conosciuto mentre gli raccontava di sua nonna. Era serena, come se
portasse
dentro di sé un pezzetto dell’anima della donna anima, tenendolo
stretto,
vicino al cuore, per paura di perderlo. Per paura di dimenticare tutto
ciò che
era stato.
L’osservava
mentre il vento muoveva i suoi lunghi capelli blu in un assurdo moto
irregolare
che li spingeva a volare da ogni parte. L’osservavano mentre i suoi
occhi
luccicavano pieni di nostalgia ed amore per chi ormai non era più
accanto a lei.
Quando poi si risedette accanto a lui e lo osservò non seppe cosa
avrebbe
tirato poi fuori, in quel momento.
“Sai,
mia nonna mi diceva spesso una cosa. Che alle volte fa bene piangere,
quando si
è davvero tristi.”
Quando
finalmente quelle parole raggiunsero le orecchie di Kon cominciò a
piovere
forte, sempre più forte, quasi il cielo stesso volesse dargli una mano.
I
capelli si appiccicarono alla fronte, i vestiti alla pelle, mentre
l’unico
rumore era quello delle gocce che finivano contro la terra o le foglie
tutt’attorno. Quella pioggia, quella maledettissima pioggia, gli fece
tornare
alla mente quel giorno e le tombe che erano al di sotto della scarpata
gli
ricordavano un presente troppo doloroso per essere affrontato da soli.
Ed
Haine, con quel suo sguardo così simile al suo ed a quello di Ichigo
era pronta
a tendergli una mano, semplicemente per fargli capire che non era solo.
Fu
allora che si dimenticò di ogni cosa. Della storia di Haine, di dove
fossero o
perché si trovassero lì. C’era solo il suo dolore, quel dolore
lancinante che
l’aveva accompagnato per tanti anni e che si faceva sentire prepotente
sempre
lo stesso giorno, ogni anno che passava. Poco importava se piangere non
era da
uomini. Poco importava se quella accanto a lui era la sua acerrima
nemica che
alla prima distrazione gliele suonava di santa ragione. C’era la
pioggia a
nascondere le lacrime e la comprensione al posto degli insulti. Fu così
che il
ragazzo si sfogò come mai in vita sua, mentre una mano calda stringeva
la propria
ed un paio d’occhi neri tentavano di fissare il cielo per non vedere il
dolore
che si celava nel cuore di chi, lentamente, stava diventando il suo
secondo più
grande amico.
#
# # # # # # # #
Se
ne erano tornati tutti al tempio proprio nel momento esatto in cui la
tempesta
si era trasformata in uno spaventoso tifone. Haine aveva cominciato a
starnutire a più non posso, fradicia come pochi e stranamente
pensierosa. Il
padre di Ichigo le aveva prestato la sua giacca, intimandole di
togliersi
quella maglia che ormai era diventata come una seconda pelle,
appiccicandosi
addosso e con l’unico scopo di farla raffreddare ancora di più.
Kon
tremava come una foglia, mormorando cose riguardo ad un bel corpo
morbido e
caldo che l’avrebbe fatto stare sicuramente meglio, ricevendo un
manrovescio
degno di questo nome da Karin, finendo disteso lungo il pavimento.
Haine rise,
tra uno starnuto e l’altro. La famiglia Kurosaki era decisamente fuori
dal
comune, non che la sua fosse poi tanto normale, anzi. Sorrise,
facendosi su
nella giacca di Ishin-san, pensando a suo padre ed a sua madre.
Sospirò,
posando i suoi grandi occhi neri sulla figura poco distante del
fratello più
grande, appoggiato ad una parete, tentando di non pensare a tutto il
freddo che
gli entrava nelle ossa. Per un istante, uno soltanto, la ragazza aveva
desiderato di poter provare quello che troppo presto le era stato
negato, ciò
che, nonostante il dolore, la famiglia Kurosaki possedeva. Si era data
poi
della stupida, perché lei, nonostante tutto, lo aveva già quel gran
calore che
sembrava espandersi da quelle cinque persone che formavano una famiglia
unita.
Tornò
ad osservare il cielo solo quando la tempesta si era decisamente
placata ed il
sole aveva cominciato a brillare, scaldandoli dolcemente. Si era poi
avvicinata
ad Ichigo ed a Kon, i primi a fiondarsi fuori per gustarsi quei raggi
così
necessari per potersi riprendere. Aveva poi preso un bel respiro
profondo,
stiracchiandosi, le braccia distese verso il cielo, le dita intrecciate
le une
nelle altre per poi staccarsi quando poi si era stretta nuovamente la
giacca
nera addosso.
“Ichigo.”
L’aveva chiamato, fissando quel cielo farsi sempre più azzurro “Anche
se non mi
ricordo molto di mia madre c’è una cosa che di lei mi è rimasta
impressa come
se fosse marchiata a fuoco nella mia memoria. Me la disse qualche
settimana
prima di morire.” Esclamò, continuando a sorridere nonostante la voglia
di risentire
quell’abbraccio materno le stringesse il cuore in una morsa carica di
malinconica nostalgia.
“Dopo
la pioggia torna sempre il sereno, Ichigo.”
E
mentre Kon fissava i due senza capire, il ragazzo non poté fare a meno
di
comprendere il significato insito dentro quelle parole.
E
quando finalmente i fratelli Jaggerjack si congedarono, Haine si voltò
verso di
loro un’ultima volta sperando che entrambi i ragazzi riuscissero a
capire
quella frase sussurrata a bassa voce e che neanche il fratello della
giovane fu
in grado di sentire.
“Siate
forti, ragazzi.”
Dette
quelle ultime parole, Haine dovette cominciare a correre, imprecando
contro un
fratello che, a suo parere, se la stava svignando troppo velocemente,
senz’ombra di dubbio.
…Continua…
I
ringraziamenti:
HaruiChan : Vedrai cara, il
quinto capitolo arriverà presto XD Tempo universitario permettendo XD
immagino quanti lacrimoni avrai versato qui ç_ç scusssssaaaamiii ç_ç
usagixmisaki: Sono contenta che
questo capitolo ti sia piaciuto^^ (alias il 3 XD) Vedrai, nei prossimi
capitoli ne succederanno di tutti i colori XD e di capitoli deprimenti
come questo qui sopra non ce ne saranno. Se non un paio. Ancora grazie^^
BlastVampire: Ehhh.. Haine non è
una stupida. è una vera furbetta. Nel prossimo capitolo infatti si
vedrà. Oh se si vedrà *risata diabolica*
ginevrasux: vedrai il patto
servirà di sicuro XD ed andrà a segno XD e forse qualcosa accrdà già
nel prossimo capitolo...
Shaman Morgan: Ah mon amour,
sapevo che ti sarebbe piaciuto XD vedrai, vedrai che accadrà XD Ed ok,
faò picchiare meno Kon, contenta Mizu?? XD
Aki_Black_Fire_ : Allora se vuoi
vedere Ulquiorra fin da subito ti consiglio di andare a leggere una
piccola serie di Spinn off che ho scritto per un concorso, legate
sempre a queste fiction^^ le trovi sempre nel mio account XD Comunque
vedrai che avrà anche la sua parte, fidati XD
Spiegazioni:
Forse ora
capirete perchè Haine vuole così bene ad Ichigo come se fosse un
secondo fratello. Perchè, in un certo senso, nel fatto di aver perso i
genitori, si assomigliano molto. E per questo lei vuole vederlo felice.
Parlando della
nonna, beh, era davvero un bel tipo. Ha avuto un attacco di cuore poco
prima che Haine rientrasse dopo un uscita con gli amici e la ragazza
l'ha trovata stesa sul pavimente. Da lì c'è stata la trafila in
ospedale e la nonna le ha fatto fare molte promesse affinchè potesse
essere sicura che fosse felice. Per il resto non ha avuto bisogno di
preoccuparsi, sapeva che era in buone mani.
Kukaku, beh,
era un amica dei tempi del liceo della mamma di Grimmjow e della mamma
di Haine. Si sono conoscute ad Osaka un giorno che la ragazza era
andata lì a fare una visita alla città.
Detto questo mi
congendo, alcune cose verranno comunque rispiegate, qui ho voluto dare
dei dettagli per farvi capire un po' meglio.
|