Capitolo XVIII
Sweet
little words made for silence, not talk
Young heart for love, not heartache
Dark hair for catching the wind
Not to veil the sight of a cold
world¹…
(While
your lips are still red,
Nightwish)
10
Ottobre 2023.
Lago
Nero, Banchina di attracco.
Pomeriggio.
Sören non aveva la
minima idea
di cosa avrebbe potuto dirgli la giovane Lilian… Lily.
Non sarebbe mai riuscito
nella
sua testa a chiamarla con quel diminutivo familiare, che sembrava
invece comune
a chiunque la apostrofasse.
Non aveva mai chiamato
nessuno
con un diminutivo.
La trovò impalata
sulla
passerella del molo, con le mani sprofondate nelle tasche del mantello
invernale, parte dell’uniforme di Hogwarts. La sciarpa le
copriva una buona
porzione del mento e delle labbra. Quel giorno il freddo era aspro e
affilato
come un coltello: probabilmente era fastidioso anche per un inglese.
Insolito vederla in
uniforme,
pensò anche: era più facile che indossasse una di
quelle sue spinose minigonne
con un giubbotto sufficientemente corto da far intravedere cosa
indossasse
sotto.
Non era truccata: doveva
appena essere uscita da lezione.
“Buon
pomeriggio.” Azzardò
raggiungendola.
“Non lo
è affatto.” Lo smentì
immediatamente. Aveva le sopracciglia contratte in
un’espressione di irritazione,
e Sören si chiese nebulosamente se la causa fosse lui.
Improbabile.
Mi ricorderei se avessi fatto o detto
qualcosa di sbagliato durante le nostre conversazioni.
“Va tutto
bene?” Chiese allora
osservando come, quando teneva i capelli sciolti come quel giorno,
sembrasse
avere delle lingue di fuoco vivo ad ondeggiargli attorno al viso.
“Una brutta
giornata, come ho
detto.” Tagliò corto la ragazza. Guardò
verso un punto imprecisato, oltre il
Castello e verso i cancelli della scuola. Sembrò riflettere
molto velocemente
su qualcosa. “Ti va di andare ad Hogsmeade?” Gli
chiese infine.
“… Non dovreste avere un permesso per
uscire?”
Lily scrollò le spalle, sorridendogli per la prima volta in
quei pochi minuti.
Era strano, ma non vederla allegra era… disturbante,
anche se forse quella non era la parola giusta. Era come se qualcosa
non fosse
al suo posto.
In effetti, Lilian Potter
sorrideva sempre. O comunque, con sufficiente frequenza per essere
ricordata
sempre con un sorriso sulle labbra.
“Sì, ma
dove c’è la regola,
ecco l’inganno. Una lezione piuttosto utile, da queste
parti…” Gli spiegò, con
quel suo modo particolare di arricciare le labbra al bordo della bocca,
in
un’espressione monella. “A Durmstrang non ve
l’hanno insegnato Ren?”
“Ad Hogwarts sì?” Le chiese e fu una
conquista sentirla ridere.
Stava andando bene. Non
capiva
il perché di quel compito, ma lo stava svolgendo bene.
Era soddisfacente.
Il
compito.
In ogni caso, poteva essere
considerato un progresso il fatto che Lily avesse scelto lui come
accompagnatore,
considerando che aveva una nutrita schiera di amiche e di ammiratori a
cui
attingere.
“Vieni
allora?”
“Certo.” Le sorrise di rimando, cedendole il passo
sulla banchina. “Dopo di
te…”
****
Capanna
di Hagrid, campo delle zucche.
Pomeriggio.
Albus osservò
Fanny scomparire
in lontananza, fendendo con le ali la superficie cristallina del Lago
Nero.
Era seduto sulle scalette
della capanna di Hagrid, mentre quest’ultimo spennava un paio
di fagiani in
cucina per Odino, il suo gigantesco molosso.
Aveva avvistato Fanny mentre
tornava dalle serre di Erbologia e la fenice aveva puntato verso la
capanna
dell’ex-guardiacaccia. Questi aveva passato interi minuti a
rimirarla
entusiasta mentre si cibava con gusto di pezzi di pesce secco che si
erano divertiti
a lanciargli.
“Albie,
è davvero fantastico!”
Osservò per l’ennesima volta, sporgendosi dalla
malconcia finestrella. “Dico,
che quella fenice è diventata il tuo famiglio!”
“Non è il mio famiglio, ho già un gufo,
Anacleto.” Sorrise di rimando. “Io e Fanny
siamo solo amici.”
“Fanny…”
Fece un barbuto
sorriso nostalgico. “Come la fenice di Silente, eh?”
“Secondo me è lei. Potrebbe essere, no?”
L’omone ridacchiò. “Sì,
forse. Però sai.” Osservò.
“Le fenici non ci si
avvicinano spesso agli umani, nossignore… Se viene da te,
vuol dire che ci
piaci, e che ti considera un po’ il suo
padroncino…”
Al non rispose, non volendo
intavolare l’ennesima discussione sulla sua
proprietà presunta di una fenice.
Del resto vederla gli
provocava ogni volta emozioni contrastanti: se da una parte era
orgoglioso che
venisse a trovarlo – ehi, non era da tutti –
dall’altra gli ricordava l’anno
prima e quando avesse sofferto.
Si spazzolò le
mani dai
residui di terra ed erba e dopo aver salutato Hagrid e aver declinato
l’ennesima offerta di dubbi manicaretti da portare agli
altri, si incamminò verso
il castello.
Una folata di vento gelido
misto a pioggia lo fece rabbrividire. Si strinse maggiormente la
sciarpa al
collo, maledicendo il pessimo clima inglese. Aveva già in
mente di partire per
qualche luogo tropicale, finiti i MAGO. Possibilmente caldo, pieno di
spiagge
dorate e acqua in cui sguazzare.
Magari
la Polinesia …
C’era una
comunità magica
primitiva ma con conoscenze di medimagia alternative e interessanti,
aveva evinto
dalle lettere confusionarie che i gemelli Scamandro spedivano a suo
fratello:
adesso infatti i due viaggiavano per il globo terraqueo come assistenti
del
padre.
Sole,
spiagge… ottima cucina, studio…
Fantasticare in quel modo
era
piacevole, quando vigeva una pioggerellina esile e freddissima, che gli
scivolava lungo le guance e le mani facendolo rabbrividire.
Chissà
se Tom mi seguirebbe…
Nell’eventualità
si sarebbe
lamentato del rischio di ustione per la propria pelle –
seriamente, sembrava
privo di melanina - delle malattie tropicali e
dell’arretratezza tecnologica
del posto.
Come
se avesse la possibilità di avere voce in
capitolo… Con lui o senza di lui.
Entrò nel cortile
pavimentato,
dove in caso di bel tempo si disputavano i tornei del Club di
Gobbiglie. Lo
attraversò di corsa, visto che la pioggia ormai scrosciava
in dirittura di
acquazzone, infilandosi dentro il corridoio esterno.
Davanti a sé vide
Michel. Era
da solo, stranamente, e stava fumandosi una sigaretta babbana, vizio
che aveva
preso l’anno prima – ed era quasi certo che glielo
avesse passato James, in
quei periodo in cui si erano frequentati.
Sotto
le lenzuola… Merlino, solo a pensarci mi dà i
brividi.
L’altro serpeverde
lo notò immediatamente
e dopo un attimo di incertezza fece un sorriso tirato.
“Spero non mi
toglierai punti
per questo, Caposcuola.” Esordì pacato, dandole un
lungo tiro. “Sto persino
congelandomi il sedere per non dare fastidio all’altrui
persona. Certo, le
regole imporrebbero il veto totale …”
“Maddai.” Lo fermò con un sorriso.
“Non sono un tassorosso. Non toglierò certo
punti alla mia Casa per una sigaretta…”
“Ne ero certo. Il perfetto, piccolo
serpeverde…” Lo canzonò senza
acrimonia. Ma
neanche senza il solito affetto di fondo.
Al inspirò.
“Ehm.” Disse
acutamente. L’aria divertita di Michel, malgrado tutto, gli
diede la forza di
continuare. “Non dovresti essere al club?”
“Niente duelli oggi per me. La classe serve alle ragazze di
Beaux-Batons per
non so che corso sui fiori.” Fece un gesto dismissivo.
“Gliel’abbiamo gentilmente
ceduta.”
“Potevate trovare
un’altra
aula…”
“Infatti, l’hanno trovata. Gli
altri.
Oggi non ne avevo voglia, e poi la mia presenza non è
indispensabile. Dopotutto
è Higgs il capitano di Serpeverde…”
Fece un sorriso disimpegnato. “Anche se naturalmente
la mia assenza verrà notata.”
“Naturalmente…” Convenne: era incerto se
sedersi o meno, o salutarlo e tirare
dritto.
Ma sapeva di non potere
evitare per sempre quel confronto.
Gli si sedette quindi accanto, sul bovindo di pietra. Michel non fece
gesto di
lasciargli posto, ma neppure fece obbiezioni; lo considerò
un buon punto di
partenza.
“È un
po’ che non parliamo …”
Esordì Al, trovando improvvisamente interessante fare
treccine alle nappe della
sua sciarpa verde-argento. “Io e te.”
Michel non rispose
immediatamente, piuttosto si limitò a strisciare il
mozzicone della sigaretta
lungo il muro, in un movimento elegante ed efficace.
“È vero.” Ammise infine.
“Ma questo non credo dipenda da me.”
Al si morse l’interno della guancia, nervoso. Era nervoso, e
lo era perché
sapeva di avere la sua parte di torti. Ma una
parte, appunto. Non era l’unico che aveva evitato
di trovarsi nella stessa
stanza con l’altro in quell’ultimo mese; erano
compagni di Casa, ma si erano
incrociati per i corridoi solo una manciata di volte, e non si erano
rivolti la
parola se non per un saluto schifosamente formale.
Ma decise di non farglielo
notare, per non iniziare quella conversazione con un litigio.
“Avrei voluto
parlarti… lo so.”
Disse invece. “Scusami… ma lo sai, sono successe
parecchie cose in questo
periodo.”
“Tom.” Si inserì l’altro, in
tono spassionato. “È
successo Tom.”
Al a questo non
riuscì a
replicare. “Senti…” Iniziò
invece, mentre tentava di districare il caos che aveva
operato sulla trama della sciarpa; non era certo fosse sua, visto che
poteva
benissimo aver preso quella di Tom. “Senti… so che
sono stato un pessimo amico.
Non te lo meritavi. E per questo non ho scuse.” Si
arrischiò a lanciargli
un’occhiata: Michel fissava il muro davanti a loro e aveva la
mascella serrata.
Era furioso.
Cavolo.
“Mike…”
Sussurrò, sentendosi
l’amico più orribile del pianeta: Michel gli era
stato vicino per mesi, forse con
i suoi tornaconti, ma restava il fatto. Gli aveva tenuto compagnia, lo
aveva
fatto distrarre e sopportato
nella sua
depressione post - Tom senza chiedergli praticamente nulla in cambio.
Non era serpeverde, non era
da
Zabini. Era una cosa che avrebbe potuto fare solo Michel.
Ed io c’ho sputato
sopra…
“Mi dispiace tanto
…” Ripeté.
Sapeva che non doveva toccarlo, ne sapeva qualcosa su persone che
avevano
un’ampia concezione del proprio spazio personale.
“Smettila di
ripeterlo. Non lo
senti veramente.” Ribatté l’altro in
tono sarcastico. “Perché stai perseverando
in un errore che ti porterà solo a stare male. Ancora.”
“Questa è una cosa tra di noi, Tom non
c’entra niente!”
L’occhiata che Zabini gli lanciò era perfettamente
giustificata. “Lui tra noi
c’entra sempre.”
Non ebbe la forza di ribattere. Era vero, del resto.
“Thomas Dursley
non è normale…”
Dichiarò, e Al sentì un
brivido gelido lungo la nuca. Che sapesse qualcosa sulla sua nascita?
Poi però
continuò. “Non ha una concezione sana dei rapporti
interpersonali. Ha messo in
pericolo molte persone l’anno scorso e non credo che la cosa
lo abbia toccato più
di tanto.”
“Ti sbagli
invece!” Protestò
con forza. Tom poteva essere un cretino egoista, ma si era seppellito
in un
paese di pescatori tedeschi perché non era riuscito ad
uscire dal pantano dei
suoi sensi di colpa. “Sta cercando di rimediare! È
tornato, lo hanno riconosciuto
non colpevole… gli hanno ridato la sua bacchetta.
È qui ad Hogwarts. Perché non
gliene dai atto?”
“Perché non mi interessa. Ormai io e Dursley siamo
due estranei.” Lo seccò
rabbioso. Si passò poi una mano sulla nuca, in un movimento
frustrato: c’era
sincero dolore in quel gesto e probabilmente, realizzò Al,
Michel aveva
sofferto l’incrinarsi di quel rapporto, molto più
di quanto fosse disposto ad
ammettere.
Erano
amici… Eravamo tutti amici.
Perché
le cose non possono mai tornare perfettamente
come prima?
“Albus…
te l’avrò ripetuto
centinaia di volte forse, ma meriti di meglio.” Interruppe il
flusso dei suoi
pensieri bruscamente.
“Lui è ciò che voglio, io ti ho
risposto questo.” La conversazione sembrava
sempre finire lì, inevitabilmente. “Non so come
essere più chiaro…”
Michel si voltò, finalmente, per guardarlo. Era ferito, lo
registrò con
angoscia. Era ferito veramente.
Ed era la prima volta che lo
vedeva senza la sua maschera snob e distaccata da lord inglese.
Michel poteva essere spesso
arido e sarcastico. Non prendeva mai una posizione certa, ed era
affezionato e
divertito spettatore di tutte le tragedie emotive della loro Casa. Ma
Albus
avrebbe sempre ricordato quando, al loro Primo anno, aveva preso le sue
difese
con Montague e i suoi amici, dichiarando che aveva parentele
sufficientemente
importanti da non meritare le prese in giro di chicchessia. Si era
frapposto
fisicamente tra lui e quegli scimmioni, una piccola copia esile ed
elegante del
ragazzo che era ora.
“Signori,
è il mio compagno di stanza e un serpeverde.
C’è gente molto più meritevole dei
vostri scherzi, vi prego quindi di
rivolgerli altrove.”
“Non sto
dicendo… che tu debba
metterti con me.” Continuò Michel. “Non
è questo che voglio. Non vorrei mai una
persona che non mi desidera. Non è un toccasana per il mio
ego, che sai essere
ben pingue…” Aggiunse con un lieve sorriso
ironico. Ad Albus non venne da
sorridere di rimando però. “Ma tu meriti di stare
con qualcuno che si prenda
cura di te e ti renda felice. E temo che Tom, non importa quanto siano
buone le
sue intenzioni, non ne sia capace…”
“Ti
sbagli.”
“Forse, ma non ne sono convinto.” Concesse.
“Ma comunque … è questo quello che
vuoi per te?”
Albus non riuscì
a rispondere
subito: era arrabbiato certo, e voleva difendere Tom, ma
c’erano dei punti
corretti nel ragionamento dell’altro.
Tom aveva
dei lati oscuri nel suo modo di voler bene. Era capace di
amare, forse in modo persino più profondo e complesso di
molta, cosiddetta, brava gente, ma
era anche violento nel
passare dalla fiducia al sospetto: ricordava come aveva reagito con
rabbia
irragionevole all’idea, sbagliata, che suo padre Harry fosse
in combutta con il
Ministero per addossargli la colpa dell’attacco a Ted.
Ricordava come avesse
aggredito Michel per aver solo sospettato
che volesse provarci con lui.
C’erano delle zone
d’ombra in
Thomas, ma questo non faceva di lui la persona che Zabini pensava
fosse.
Se
solo l’avessi visto abbracciare Meike, o scusarsi
con me… o parlare ai suoi genitori e sorridere a mio
padre…
“Mi dici
spesso…” Si risolse a
dire dopo un lungo silenzio. “… cosa dovrei volere
per me, Mike. Ma non sei me,
è questo il punto. Tom ha bisogno di me, ed io di lui, per
essere felice. Non
per vivere, sarebbe esagerato… ma per essere felici. Cosa
c’è di così
sbagliato?”
“Nulla.” Convenne. “Se continuasse a
renderti felice.”
“E pensi che un
altro ragazzo
potrebbe farlo?”
“Albus…”
Michel si voltò
completamente verso di lui, prendendogli una mano tra le sue. Le aveva
calde, e
grandi. Non era la prima volta che gliele prendeva. L’aveva
fatto spesso dopo i
suoi incubi. “Dursley è il tuo primo tutto. Questo
posso capirlo. Ma credimi, non
hai avuto sufficienti esperienze per sapere se qualcun altro sarebbe
capace di
renderti felice o no. Non hai mai pensato, anche solo
ipoteticamente… ad
un’alternativa?”
Al non rispose: la verità era che sì, aveva
pensato, in quei mesi orribili, a
come sarebbe stato essere il ragazzo di Michel Zabini.
Perché alla fine l’amico
era l’unico con cui si sarebbe mai immaginato.
Mike gli voleva bene e
avrebbe
preso le cose sul serio per lui.
Ma
non voglio una cosa sensata.
Perché
lui non mi capisce con una sola occhiata e non mi fa sentire a casa
ogni volta
che si degna di sorridermi. Non è Tom.
“Pensi che sia
così assurdo
provare a frequentare altre persone?” Lo incalzò
Michel. “Sto solo cercando di
dirti…”
“Che sei
innamorato di me.”
Non era il modo migliore affrontare quella cosa, di cui ormai si era
accorto da
un po’. Ma doveva. Forse lui e Mike non sarebbero mai tornati
amici, ma quel
continuo girare attorno agli stessi argomenti era ancora più
logorante.
L’amico non
rispose nulla, il
che fu praticamente una conferma.
Merda…
avrei preferito che mi fosse scoppiato a ridere
in faccia…
Ma dentro di sé,
in fondo,
l’aveva sempre saputo. Michel non sarebbe stato
così buono con qualcuno
per cui provava poco più che un tiepido affetto;
non era così neppure con Loki e Malfoy, e li conosceva da
una vita.
“Un modo brutale
per
obbiettare, non
c’è che dire.” Osservò Michel
in tono piatto. “Questo…” Aggiunse poi
mentre la voce, Al non se lo stava
immaginando, si incrinava. “… cambierebbe
qualcosa, in ogni caso?”
“No.” Mormorò di rimando, sentendosi
scavare lo stomaco dal senso di colpa.
Decise però di essere onesto, anche contro il suo stesso
interesse, perché
perlomeno quello Michel se lo meritava. “Non cambierebbe
niente. Lo sai.”
“Già.” Ammirava il modo in cui
l’amico riusciva a tenere sotto controllo le sue
emozioni. Lui non ci sarebbe mai riuscito. E gliene era egoisticamente
grato,
anche.
“Non mi aspetto
che tu sia
ancora mio amico, Mike…” Sussurrò per
dire qualcosa, perché doveva
dire qualcosa. “Non dopo averti
ignorato per un altro. Non mi aspetto neppure che tu abbia stima di me.
Non mi
aspetto niente.”
Ci fu un lungo silenzio
dall’altra
parte.
“…
Neanche che mi comporti in
modo onesto quindi?” Disse infine.
“Ehi, siamo serpeverde…”
Quando Michel abbassò il viso su di lui e lo
baciò, Al non poté dire che non se
lo fosse aspettato.
Sentì le labbra
piene
dell’altro ragazzo posarsi sulle sue, ma fu poco
più di un attimo, poco più che
un bacio leggero.
In un altro universo, in un’altra vita, sarebbe stato
più difficile prendere
quella decisione.
Forse
neanche l’avrei presa… forse adesso sarei il
ragazzo di Michel Zabini.
Ma è
questa vita, e Tom c’è. Grazie a Merlino,
c’è.
Michel si staccò,
ritirandosi.
“Dursley è decisamente il mago più
fortunato di Inghilterra. E tu, au contraire
mon cheri, il più sciocco.”
Chiosò con un mezzo sorriso.
Al lo ricambiò.
“Probabilmente
hai ragione.”
Michel ridacchiò. “Mi piace questa tua graduale
perdita di modestia. Ti rende
grazioso.” Il sorriso gli aleggiò per ancora
qualche attimo sulle labbra, poi
presa la borsa dei libri e gli fece un cenno, andandosene.
****
Hogsmeade,
Pomeriggio.
Pub Testa di Porco.
Lily sorseggiò
con una certa
dose di piacere la sua burrobirra in bottiglia. Non era calda come
quella
appena spillata dalle mani di Madame Hannah, ma andava bene lo stesso.
Lei e Sören avevano
ovviamente
dovuto ripiegare sull’appartato Testa di Porco per poter
passare sotto il naso
delle regole della scuola.
Che
cretinata poi… Cosa credono, che se estendessero il
permesso a più di un
finesettimana al mese ci ubriacheremmo
tutti di sidro sotto gli occhi della Signora Paciock fino a vomitare
sullo
zerbino di Mielandia?
Lanciò
un’occhiata all’amico,
che a differenza sua sorseggiava un Ogden Stravecchio senza ghiaccio.
Non se ne
stupiva, del resto era maggiorenne e probabilmente avvezzo ai liquori
forti. Lo
beveva con una disinvoltura che la affascinava.
“Ti piace il
whiskey
incendiario?”
“Meno rispetto alla vodka, ma non mi
dispiace…” Fu la risposta, mentre
si guardava attorno. Aveva una lieve ma
palese espressione contrariata stampata in faccia.
“Non è
il posto più pulito dell’intera
Inghilterra lo so, ma almeno qui nessuno fa
domande…” Gli spiegò con un sorriso
di scuse, mentre sentiva lo sguardo torvo di Aberforth su di loro.
Si voltò e gli
servì il
migliore dei suoi sorrisi: il barista brontolò qualcosa di
intellegibile, ma
non smise di guardare nella loro direzione.
Come
se fosse la prima volta che vengo qui con qualcuno!
Non faccio niente di male poi. Bere una burrobirra e baciarsi con un
ragazzo non
è reato.
…
non che voglia baciare Ren.
Certo, lo trovava carino
quando smetteva di avere quell’aria contratta, ma…
È
mio amico.
Tolto Hugo, comunque suo
cugino, era il primo ragazzo con cui non si sentisse in dovere di
dispiegare tutta
l’artiglieria femminile. A Ren non sembrava importare del
resto. Perché la
ascoltava. Davvero.
Rarità!
Rarità!
“Ci vieni
spesso?” Le chiese.
Si guardava attorno. Era nervoso, capì. Parecchio.
“Abbastanza. Ma se
vuoi
possiamo andare a farci un giro … se non ti piace stare qui,
intendo. Si è
messo a piovere e sarà un disastro per i miei capelli, ma
potremo sempre andare
a Madame Piediburro.”
“È
meglio di qui?” Si informò
velocemente.
“Beh…”
Finse di rifletterci.
“Dipende. Hanno delle torte squisite, e la madame
terrebbe la bocca chiusa sulla nostra presenza,
però…”
“Cosa?”
“Ci vanno le coppiette.” All’espressione
confusa dell’altro – doveva ricordarsi
che era straniero e non capiva molte espressioni colloquiali
– si apprestò a
spiegare. “Gli innamorati,
Ren.”
“Qui va benissimo.” Borbottò
l’altro immediatamente. Lily si impose di ingoiare
la risata che le nasceva sulle labbra e finì per soffocarla
in un sorso della
sua bevanda.
Si sentiva meglio adesso, la
sua irritazione stava scemando. Probabilmente perché aveva
messo più metri
possibili tra lei ed Hogwarts.
Sören le
lanciò un’occhiata
valutativa. “Cosa c’è?” Si
risolse a chiederle infine.
“Come?”
“Sei venuta alla nave con un’aria terribile.
È successo qualcosa a scuola?”
“No…” Naturalmente sì.
Sentì il sapore ferreo del sangue sulle labbra, dove se
l’era morsicate. Era un brutto vizio che pensava di essersi
tolta circa un
milioni d’anni prima.
Pur vero che prima non aveva
mai avuto Minerva McGrannit come professoressa.
“Lily?”
Sören aveva un modo
piuttosto particolare di guardare la gente. Sembrava volesse scavarti
dentro.
Non era la sensazione che aveva avuto la prima volta che avevano
incrociato gli
sguardi in Sala Grande, ma ci andava piuttosto vicina. “Ti va
di parlarmene?”
“Non è successo niente di
che…”
“Qualsiasi cosa sia successa, è chiaro ti abbia
turbata…” Osservò in tono
neutro. “E se siamo qui, è perché,
suppongo, tu abbia bisogno di parlarne.”
“In effetti…” Mormorò.
… Ren non era
affatto uno
scemo. Era rilassante avere a che
fare con qualcuno che non ti chiedeva se avevi il tuo periodo del mese
ogni
volta che eri di cattivo umore.
Povero
Hughie… non che sia colpa sua. Ma dovrebbe
capire che le donne non hanno quel periodo
quindici volte. Al mese.
Ren si accomodò
meglio sulla
scomoda sedia di legno e le fece cenno. E lei prese a raccontare.
La
McGrannit era di quanto più tosto una professoressa
potesse essere. Considerando che aveva passato due guerre, attacchi
alla sua
persona e complotti, era praticamente una roccia fatta strega.
Pur
con la sua veneranda età e gli acciacchi del caso,
aveva tenuto la classe in pugno come un manipolo di gattini mansueti.
Da
ammirare, ma anche da temere.
Hugo
pendeva dalle sue labbra. Non che fosse l’unico.
Lily
au
contraire avrebbe preferito seppellirsi
sotto il banco, e forse per la prima volta in vita sua aveva rimpianto
di
essere nelle prime file pronta a farsi ammirare. E notare.
Soprattutto
dalla professoressa.
La
McGrannit, per accertarsi del loro avanzamento nel
programma scolastico, li aveva messi a lavorare su un porcospino da
tramutare
in un puntaspilli.
Si
era sentita tranquilla, perché aveva Abigail come
compagna di banco: l’amica era molto brava in quella materia.
Solitamente non
era difficile farsi aiutare per aggiustare
l’incantesimo.
Sfortunatamente
quell’anno non avevano a che fare con
un professore distratto come lo era stato Ziel, o finto come
la
Prynn.
La
McGrannit si era accorta subito che Gail stava per tramutare
in un soffice cuscinetto il dorso irto del suo… puntaspino.
“Signorina
Potter, se ha bisogno di aiuto, credo sia
più opportuno che chieda a me.” Aveva freddato
entrambe. Abigail aveva ritirato
immediatamente la bacchetta.
“Era
più un suggerimento…” Aveva cercato di
rimediare
lei, facendo ovviamente peggio.
A
quanto sembrava la McGrannit era la grifondoro-di-ferro
che i suoi genitori le avevano sempre descritto. Invece di accettare la
diversione con un rabbuffo, l’aveva guardata come se avesse
appena proposto di
barare ai GUFO corrompendo con fiumi di galeoni l’intera
commissione.
“Non
tollero che nelle mie classi venga svolto un
compito con l’inganno, signorina Potter.” Si era
avvicinata. “Quindi mi faccia
vedere il suo vero livello.”
Lily aveva sentito l’intera classe piombare nel silenzio. Si
era sentita
arrossire di vergogna e umiliazione per la prima volta in vita sua. Era
stato orribile.
“È
questo il mio livello…” Aveva mormorato sentendo
di
detestarla, e detestare pure quel ridicolo puntaspino
che zampettava lungo il
banco.
“Allora
dovrà fare di meglio se vorrà avere ottenere un
GUFO in Trasfigurazione, signorina.” Una breve pausa.
“Suo padre non era certo
lo studente più eccellente del suo corso, ma speravo che
almeno lei avesse
preso da sua nonna Lily.”
A quel punto non ci aveva visto più.
“Mi
spiace deluderla, ma non ho particolari interesse a
tramutare porcospini in postaspilli, non lo trovo utile nella vita
pratica.”
La
classe non era mai stata silenziosa come in quel
momento. Sembrava respirare come un sol uomo.
“Discorso
assolutamente sciocco, signorina Potter.”
Aveva scandito l’anziana strega, con occhi gelidi e colmi di
riprovazione. “Questa
materia è una delle più importanti nella sua
formazione scolastica. Io la
studio da anni, e ancora riesce a sorprendermi per la sua
utilità.”
“Beh, io invece trovo più utile trovarmi un
marito.”
Sören la stava fissando come se improvvisamente le fossero
spuntate un paio di
ali e becco e stesse per starnazzare via.
Poteva capirlo.
Stavolta
ho dato del mio meglio per sembrare un’oca.
Si sentì
arrossire di nuovo. “Già.
È stata una cosa stupida, me ne rendo conto, ma ero
così arrabbiata…”
“Le hai
rinfacciato il fatto
che fosse…”
“Una zitella, sì. Davanti a tutta la
classe.” Si sentì orribile. E
profondamente cretina, anche senza lo sguardo sconcertato del suo
amico. Bevve
un lungo sorso di burrobirra, ormai quasi gelata e quindi schifosa. “Mi ha tolto dieci
punti e mi ha assegnato un
sacco di compiti, sia teoria che pratica… Tutto sommato mi
è andata pure bene.”
“Insolitamente
morbida in
effetti. A Durmstrang saresti finita in cella detentiva per un paio di
giorni.”
“Cella?”
Mormorò orripilata. “Una
cella vera?”
“Sì,
certo.” Osservò l’altro
come se fosse perfettamente normale. Ebbe cura di cambiare subito
discorso
però, vedendo forse la sua aria sconvolta.
“Perché ti sei arrabbiata comunque?
Dopotutto…”
“La professoressa aveva ragione, lo so!” Si morse
le labbra; Sören non poteva
capirla, dubitava che chiunque al di fuori della sua famiglia potesse.
Non era
stata l’umiliazione in sé a farla scattare.
Il
punto è che odio essere paragonata a mia nonna. A
quella che non ho mai conosciuto, peraltro.
Suo padre era un uomo
meraviglioso,
ma i traumi che aveva dovuto portarsi dietro sin da bambino avevano
avuto degli
strascichi anche dopo la guerra. Molte, troppe persone che amava erano
morte
per mano delle sua nemesi, e lui aveva voluta ricordarle mettendo a
lei, Al e
Jamie i nomi di uomini e donne che avevano dato la vita per lui e per
il futuro
dei suoi figli.
James Sirius, Albus Severus e
Lily Luna.
A
ben pensarci, sono l’unica che porto il nome di una
persona ancora viva.
Ma il suo primo nome, quello
con cui tutti la chiamavano era comunque
Lily. Non Lilian, non se lo ricordava mai nessuno.
Ma
fosse solo questo… mi sarebbe andata anche bene,
Lily è un nome carino.
Il fatto era che il fenotipo
Weasley prevedeva capelli color carota, lineamenti squadrati e altezza considerevole oltre, naturalmente, ad un sacco di lentiggini. Quello Potter invece capelli
scuri, goffaggine al di fuori di un campo da Quidditch e
aria perennemente arruffata.
Aveva visto una sola foto
della sua meravigliosa nonna,
quella
messa nella cornice più bella del camino del salotto di casa
loro.
Era a
lei che somigliava.
Lily Evans in Potter era
stata
colei che aveva salvato il Mondo Magico, immolandosi e permettendo a
suo figlio
di diventare l’eroe che avrebbe sconfitto Voldemort.
Lily Evans-Potter era
ricordata come una madre, una moglie e una strega straordinaria. Dopo
la guerra
erano stati persino scritti dei libri su di lei, anche se sotto lo
stretta
supervisione di suo padre. Lily li aveva letti, con una
voracità che non
riservava nemmeno ai migliori romanzi d’amore.
Come
diavolo faccio ad essere all’altezza di una
persona simile?
“Lily…”
Sören la riportò
bruscamente sulla terraferma. Si accorse di avere gli occhi umidi. Si
era quasi
messa a piangere. “Lily, cos’hai?”
“Smettila di chiamarmi così!”
Sbottò alzandosi in piedi, e facendo girare metà
locale, almeno la metà che sembrava sufficientemente
cosciente di sé.
Si sentì
afferrare
delicatamente per un polso: Sören aveva una presa morbidissima
per sembrare un
soldato in ogni movimento che faceva.
“Bene.”
Disse serio. Era un
tipo molto serio. “Se
vuoi ti chiamerò
Lilian o in qualunque modo tu voglia, ma adesso siediti, stai dando
spettacolo
e dubito nel modo che preferisci.”
Lily si sedette obbediente.
Gli lanciò un’occhiata in tralice, e vide
un’espressione neutra, solo
leggermente curiosa. Sentì che poteva parlare con lui. Era
Ren, il suo amico di
piuma. E non era solo quello, anche se non riusciva ben a capire
cos’altro
potesse essere.
Comunque gli
raccontò tutto. Confessò.
Non gli disse
però che era
felice di avere l’orecchino di controllo, e di non poter
più sentire i pensieri
degli altri, che altrimenti questa sua ridicola fissazione si sarebbe
probabilmente
ingigantita.
Quella era una cosa che non
gli avrebbe mai detto. Forse.
“Tua nonna sembra
essere stata
una strega di talento, senza ombra di dubbio.”
Osservò Sören alla fine del suo
monologo. “Però è morta da molto tempo.
Ormai non devono essere molti i maghi e
le streghe che l’hanno conosciuta di persona
…”
“Non capisci? È proprio questo il punto! Ha una
statua con mio nonno a Godric’s
Hollow, hanno scritto dei libri e dei saggi su di lei! È
persino nei miei libri
di testo!” Esclamò sentendo la frustrazione
montare ad ondate violente. Ren
riusciva a tirare fuori la parte più vera – e
forse poco carina – di lei. “Lo
so, è stupido… ma hai idea di quanto sia
frustrante essere paragonata ad una donna
che è praticamente un’icona di
perfezione?”
“No, naturalmente non lo immagino.” Ebbe lo
straordinario buon gusto di
risponderle. “Ma so cosa vuol dire essere paragonati a
qualcun’altro…” Soggiunse
però pacato. “Non è un po’
quello che succede a tutti i figli con i propri
genitori?”
Era questo a rendere
affascinante Ren: era molto più maturo dei ragazzi della sua
età. A volte
sembrava che avesse gli occhi molto più vecchi di quelli di
un diciassettenne.
“Certo, ma … e non mi sto vantando credimi, io non
ho parentele esattamente
normali. La mia famiglia sembra una svendita di eroi.”
“Tuo padre ti
paragona a lei?”
“Mio padre? No, certo che no! Lui… è
una cosa che hanno fatto anche con lui. Quella
di paragonarlo ai suoi genitori, dico. Ma… il mio
nome.” Fece una smorfia prendendo
a giocherellare con il tappo della bottiglia di burrobirra.
“… Non lo so, a
volte lo vedo come un’aspettativa.”
“Anche per i tuoi
fratelli è
così?”
Non faceva mai domande stupide Ren, quelle poche che faceva. Lily
decise che
era una buona ragione perché gli piacesse.
Non
era così sveglio per lettera…
“Sì,
certo… però, beh, è
diverso. Voglio dire, loro sono unici…”
“E tu non lo sei?”
Lily alzò lo sguardo, per incontrare quello del ragazzo di
fronte a sé. Sören
lo sostenne per un attimo, poi lo distolse immediatamente mentre gli
prendevano
fuoco le guance in quel modo buffo e tenerissimo.
“Questo
sì che è un
complimento galante, Ren…”
“Non prendermi in giro…”
Borbottò vuotando il suo bicchiere in un sorso.
Lily non aggiunse altro per
non imbarazzarlo ulteriormente. “Comunque, scherzi a parte,
per colpa della mia
linguaccia, ho una valanga di
compiti
da fare per Trasfigurazione. E non so da dove iniziare. Credo proprio
avrei
dovuto applicarmi di più invece che insultare la
professoressa.”
“Questo è indubbio.” Vedendo la sua
espressione indispettita, si affrettò a
correggersi. “… intendo dire che se vuoi posso
darti una mano.” Concluse la
frase sembrò anche lui sorpreso di averla pronunciata.
“Davvero? Insomma,
sei uno dei
campioni e la Prima Prova si avvicina, avrai cose più
importanti a cui pensare…”
Gli fece notare, dandogli modo di trovare una scusa credibile.
Sören rimase in
silenzio per
un periodo abbastanza scomodo, poi però scosse la testa.
“Ti darò una mano. Il
vostro programma del Quinto anno non è particolarmente
difficile, e tu certo
non sei stupida.”
“Grazie del complimento, tuttavia ti devo avvertire che, a
detta dei
professori, ho problemi a concentrarmi e sono terribilmente
svogliata.” Gli
sorrise grata, stringendogli la mano destra nella sua. Era calda.
Molto
calda.
“Per Morgana, se
scotti!”
Sören
ritirò immediatamente la
mano dalla sua presa; sembrava che non gli piacesse granché
essere toccato. “Ho
una buona circolazione.” Spiegò
rigidamente. Fu svelto poi a cambiare argomento. “Svogliata?
Ti assicuro che so
essere inflessibile.”
“Rigido. Io direi che sei rigido.”
“… Come prego?”
Lily scoppiò a ridere, perché da quando aveva
scoperto che l’altro non capiva
l’humour inglese era
maledettamente
divertente vederlo fare quella faccia offesa.
Non che non avesse senso
dell’umorismo. Era certa che lo avesse, lo si evinceva dalle
sue espressioni
facciali, o il modo singolare con cui ogni tanto inarcava un
sopracciglio – lo
faceva spesso con Poliakoff.
Ma
non si ancora aperto abbastanza con me …
“Stavo scherzando
Ren, non ti
arrabbiare. Grazie, lo apprezzo molto.” Quando lo vide
sorridere leggermente
capì che non l’aveva offeso poi troppo.
Non
è facile leggerlo come gli altri, proprio no…
forse
c’entra il fatto che usa l’Occlumanzia e mi ha
respinto con quella, anche se
non ha capito cosa stavo facendo …
Il
che lo rende ancora più interessante.
“Okay,
quindi… devo chiamarti professore?”
“… scusa?”
Lily rise di nuovo. Sarebbe stato davvero divertente. E a lei piacevano
le cose
divertenti.
****
Sotterranei
di Serpeverde. Dormitorio maschile.
Sette
di sera.
Sapeva che non sarebbe
esattamente stato facile spiegare a Tom quello che era successo tra lui
e
Michel.
Per questo aveva atteso di
essere soli per dirglielo. Era stato anche aiutato dal fatto che non
avevano
cenato assieme, visto che Tom concepiva la cena come rubare toast e
tornare in
Dormitorio per finire i compiti o per farsi i fatti suoi.
Lo trovò quindi
beatamente
adagiato sul letto della sua stanza – beh, a quel punto loro – che leggeva un libro
dalla copertina babbana sboccoccellando
i suddetti.
Si era impadronito di tutti
i
cuscini, quello a forma di boccino compreso.
“Le elementari
regole di
socializzazione con te non si applicano?” Lo
apostrofò scherzoso.
Tom non distolse gli occhi
dalle pagine, ma sorrise. “Come se si fossero mai applicate
…”
Albus si sedette sul ciglio
del letto, prendendo a giocherellare con le maledette frange della sua
sciarpa.
“Non rovinarmela.
Quella è
mia.” Osservò l’altro staccando un morso
da un toast.
“Come fai a sapere
che è tua?
Sono tutte uguali!”
“La mia è ancora come quando me l’hanno
consegnata. La tua sembra ci si sia
impiccato qualcuno.” Fu la risposta quieta, prima che
finalmente lo guardasse.
Rimase un attimo in silenzio, poi sospirò. “Che
succede Al?”
“Michel mi ha
baciato.” Lo
disse tutto di un fiato, senza neanche prendere un respiro di partenza.
Avrebbe
anche chiuso gli occhi, ma non gli sembrava un’idea felice.
Specialmente
perché dopo un
momento di silenzio agghiacciante, Tom scattò in piedi
afferrando la bacchetta
che aveva lasciato sul comodino, con il palese e onesto proposito di
andare ad
ammazzare qualcuno.
“No!”
Gli si parò davanti. “Ti prego, lasciami
spiegare!”
“Scusa?”
Articolò l’altro con un tono
così furiosamente glaciale da lasciarlo qualche momento
senza parole. Ne
approfittò ovviamente. “Zabini sa che sei mio, ed
ha osato infilarti…”
“Non mi ha infilato proprio niente, ed io sono il tuo ragazzo, non un oggetto!” Lo
fermò, piazzandogli le mani sul petto.
“Calmati!”
“No.” Fu la risposta. Tom aveva la mascella
così contratta che Albus per un
attimo ebbe paura che se la rompesse tanto era teso.
Avrebbero
dovuto metterlo a Grifondoro per quanto è
spettacolare nel dare di matto…
“Non trattarmi
come se fossi
una principessina bistrattata, se mi ha baciato è
perché gliel’ho lasciato fare!”
Osservò in tono neutro, anche se non aveva nessuna voglia di
indirizzare la
rabbia del suo ragazzo su di lui. Anche se era la verità.
Tom spostò
finalmente lo
sguardo su di lui, e sembrò in dirittura di comprendere e
nel modo più
sbagliato.
“No.
Non ci pensare neanche. Sono innamorato di te, e gliel’ho
lasciato fare perché dovevo sbloccare in qualche modo questa
situazione!”
“Facendoti mettere
le mani
addosso!?”
Sapeva che non sarebbe stato
semplice.
Al tirò un lungo
sospiro. “Non
mi ha messo le mani addosso, mi ha dato solo quel bacio ed è
stato un bacio d’addio.”
Gli premette con forza le mani
sul petto e gli impedì di scacciarlo via o sottrarsi al suo
tocco. “Gliel’ho
lasciato fare perché glielo dovevo. Dopo tutto quello che ha
fatto per …”
“Entrarti nei pantaloni?” Ringhiò
l’altro, liberandosi dalla sua presa e
facendo due lunghi e frustrati passi davanti al camino. “Dio,
Al, come sei
stupido… Ti è stato vicino per un solo
motivo.”
“Lo so!” Proclamò esasperato.
“Ma non importa il motivo per cui l’ha
fatto…
l’ha fatto quando stavo più male, e credimi, stavo male. Lui c’è
stato quando ne avevo bisogno, e non posso
gettarlo via come un fazzoletto usato solo perché sei
tornato!”
Tom non ribatté stavolta. Aveva il respiro accelerato e gli
occhi che
bruciavano di collera ma non si mosse né cerco di aggirarlo
per uscire dalla
stanza.
Aveva finalmente attirato la
sua attenzione.
“Cosa…
provi per lui?” Si scollò
dal palato: sembrava che ogni parola gli fosse costata uno sforzo
enorme.
Probabilmente era così.
“Gli voglio bene.
Come un
amico. E merita di trovarsi una persona speciale verso cui indirizzare
questi
sentimenti. Ma dovevo prima mettere un punto, e dovevo essere io a
farlo.”
“Quindi l’hai lasciato fare perché ti
faceva pena…” Sembrava l’unica
spiegazione che avrebbe potuto accettare, ma Al sapeva che non era
onesta per
Michel, ma neanche per loro due.
“L’ho
lasciato fare perché gli
voglio bene. È diverso, Tom.”
Non capiva.
O meglio, poteva capire
puramente a livello concettuale ma non riusciva a tollerare
l’idea che Albus si
fosse fatto baciare da Michel.
La sola idea gli mandava il
sangue alla testa, gli sembrava di vedere sfuocato e sentiva ruggire
quella
cosa dentro le sue vene.
Falla
pagare a Zabini. Fagli rimpiangere di essere un
ridicolo damerino…
È
una minaccia. Non ti avevo detto che era una
minaccia?
E in quel momento detestava
pure la faccia calma e gentile del suo Al, che cercava di spiegargli
come fosse
perfettamente scusabile quel lurido, schifoso scarafaggio che lo aveva
toccato.
Vorrebbe
spogliarlo, toccarlo, portarselo a letto…
Farlo
gemere e tremare proprio come fa tra le tue
braccia, Tom.
Non riusciva a calmarsi.
“Tom? Ascoltami,
per favore…”
“Non adesso.” Sibilò sentendo un sapore
ferroso in bocca, orribile. “Lasciami
uscire.”
“Non in queste condizioni.”
Tom emise un ringhio di
gola,
si sentì mentre lo faceva, e persino Al sembrò
preoccupato. Buttò la sua bacchetta
sul letto. “Contento? La lascio qui. Non andrò da
Zabini. Ora fammi uscire.”
Al a quel punto fu costretto a farsi da parte e lui poté
finalmente andarsene
da quella camera che lo faceva soffocare.
Perché sapeva che
Albus avrebbe
dovuto scegliere Zabini. Al di là di tutto ciò
che li legava, era Zabini ad
essere il ragazzo più corretto
per
lui. Non era frutto di un esperimento alchemico di un manipolo di pazzi
in
delirio di onnipotenza, non aveva dentro di sé il cancro di
un’anima monca e
tormentata, non aveva una maledetta spada di Damocle che gli penzolava
sulla
nuca ad ogni passo che faceva.
Era un ragazzo normale.
Perché
non elimini la concorrenza allora?
“Sta’
zitto…” Sussurrò rivolto a
nessuno mentre incedeva lungo i corridoi tortuosi e stretti del
labirinto che
era il Dormitorio maschile di Serpeverde.
E il caso, o chi per lui,
decise di mettergli quell’opportunità su un piatto
d’argento.
Svoltato
l’ennesimo varco di
pietra si trovò di fronte a Michel Zabini. Di fronte alla
sua pelle scura, agli
occhi da orientale e ai suoi perfetti zigomi pronunciati. Al ragazzo
più bello
di Serpeverde che voleva il suo ragazzo.
“Dursley…”
Esordì quello,
ignaro dei suoi pensieri. Vedendo che non si spostava di un millimetro
per
farlo passare, aggrottò le sopracciglia. “Ti
dispiace?”
Non avendo di nuovo risposta, finalmente capì. Non aveva
detto che era
intelligente?
“Albus deve avertelo detto, mh?”
Interloquì pacato, mentre un sorriso si
formava sulle belle labbra piene. Un sorriso cattivo, che normalmente
avrebbe
suscitato la sua stima. “Alla fine a quanto pare sono
riuscito ad avere quel
bacio.”
… E Tom non ebbe
neanche la
chiara percezione di cosa stesse facendo.
Se ne accorse troppo tardi,
quando vide il suo pugno sbattere con violenza sul naso aristocratico
dell’altro ragazzo.
Sentì lo schiocco
di un osso
fratturato, un discreto dolore e poi l’adrenalina gli esplose
nelle vene.
Quella voce
nella sua testa sembrava oltraggiata. Comprensibile. Stava facendo a botte con Zabini in mezzo ad un
corridoio come un qualsiasi adolescente cretino.
Al stavolta aveva pianto sul
serio. Era solo, Tom non sarebbe tornato e si sentiva
l’imbecille più imbecille
dell’intero mondo magico.
A
ben pensarci, anche di quello babbano…
Si era sciolto il lacrime
perché si era reso conto che forse quel gesto, tanto pensato
e masticato nella
sua testa, agli occhi di Tom era sembrata una totale mancanza di
rispetto.
Sono
un imbecille.
Sentì bussare
alla porta e
scattò in piedi, asciugandosi le lacrime nella manica del
maglione.
“Sarei entrato
comunque,
avverto.” Lo informò Loki Nott, aprendo la porta.
Vedendo i suoi occhi gonfi e
rossi, sorrise. “Stavi piangendo? Povero pulcino.”
“Ma va’ all’inferno. Cosa
vuoi?” Sbottò cercando di ricordarsi la formula
per
l’incantesimo decongestionante che Rose usava dopo i suoi
pianti migliori.
Un
incantesimo da ragazze… Ho davvero toccato il fondo.
“Io, niente in
particolare…”
Replicò Nott guardandosi le unghie con un interesse del
tutto falso. “Però
forse ti interesserebbe sapere che Tommy-boy
e Mastro Zabini si stanno ammazzando nel corridoio dei ragazzi del
Terzo.”
“Cosa? Ma è
senza bacchetta!” Non era
possibile. Tom non era così preciso negli incantesimi senza
di essa. Non li
avrebbe mai usati in un posto così stretto col rischio di
farseli rimbalzare
contro.
Il luccichio divertito negli
occhi bicolori di Loki si palesò in tutto il suo splendore.
“Appunto. Stanno
facendo a pugni.” Gli
squadernò un ghigno
estasiato. “Ora se non ti dispiace, vado. Vorrei essere il
primo a piazzare le
scommesse.”
Al era troppo incredulo per
chiedere ulteriori delucidazioni, e lo seguì senza una
parola.
Nel corridoio dei ragazzi
del
Terzo si era formato un ingorgo: un sacco di ragazzi sentendo i rumori
erano
usciti dalle proprie stanze. Vide anche qualcuno non di
quell’anno, e persino
qualche ragazza.
Merlino
benedetto, devono averli sentiti dalla Sala
Comune!
Riuscì a farsi
largo tra la
piccola folla, e fu davvero grato alla sua spilla di Caposcuola per
questo.
Arrivò in prima
fila e quando
li vide, non seppe se arrabbiarsi o rimanere a fissarli incredulo.
Tom odiava
la colluttazione fisica con una tenacia che aveva quasi del
pacifismo, se solo non fosse stato di fattura facile; da che lo
conosceva non
aveva mai usato le mani, nemmeno nei suoi momenti peggiori.
Per questo era inconcepibile
che si stesse rotolando nel pavimento con Zabini, che aveva perso del
tutto la
sua aria composta in favore di un piglio da rissaiolo da pub.
Ovviamente Tom stava avendo
la
peggio: Michel era uno sportivo, il capitano della loro squadra di Quidditch
mentre
l’altro era il secchione della Casa. Nonostante questo, Mike
aveva il naso
grondante sangue e un occhio nero, segno che qualche colpo di Tom Oltre
Ogni
Previsione era andato comunque a segno.
Gli altri ragazzi invece di
fermali li stavano incitando, come norme tra gentiluomini serpeverde
prevedevano.
“Spettacolo poco
edificante,
nevvero dolce Al?” Gli disse all’orecchio Nott, la
Coscienza Sporca di tutti
loro. “Tu su chi scommetti?”
Doveva farli smettere.
Ricordandosi
di come Rose avesse fermato la lite scherzosa
tra suo fratello e Malfoy, tirò fuori la bacchetta.
“Aguamenti!”
Uno scroscio d’acqua gelida investì i due
litiganti che con smorfie gemelle e
imprecazioni si bloccarono, voltando lo sguardo su di lui.
Come
fanno certe ragazze a voler essere contese? Lily
lo troverà pure divertente, ma io lo trovo agghiacciante.
“Finitela subito prima che chiami il
Direttore!” Proclamò, riparandosi dietro
la sua spilla. “State dando un’immagine ridicola ed
umiliante della nostra Casa
agli studenti più giovani!”
Tom non disse nulla, ma ad Al fu ben chiaro dove pensava potesse
infilarsi la
sua autorità di Caposcuola.
Michel non sembrava poi
molto
lontano da quel pensiero.
“Al, non ho
iniziato io!”
Sbottò furioso, lanciando un’occhiata linciante a
Tom, che ricambiò di buona
misura.
“Non mi interessa!
Che diavolo
vi è preso?!”
Non avendo risposta, si
chinò
ed afferrò per un braccio il proprio ragazzo. “Tu
vieni con me, e Mike… vattene
in camera tua. Per favore.”
Lo pregò
vedendo un accenno di protesta fiorirgli sulle labbra. “Loki,
assicurati che ci
rimanga.” Ordinò poi perentorio.
Non aspettò
risposta e si fece
largo tra gli altri serpeverde, mentre Tom si lasciava trascinare via
insolitamente docile.
Quando furono finalmente in
stanza, capì il perché di
quell’improvvisa mansuetudine: il cretino
era pesto da far pietà e si
reggeva in piedi per un purissimo capriccio d’orgoglio,
specialmente da come si
teneva un fianco.
“Stai
bene?” Si accorse che la
domanda era idiota non appena l’altro lo fulminò
con lo sguardo.
“Avrei dovuto
prendere la
bacchetta.” Disse soltanto, malmostoso.
“Così
vi sareste ammazzati sul
serio? Perlomeno nessuno di voi due sa fare a
pugni…”
“Non direi, Zabini è singolarmente prono alle
manifestazioni di violenza
babbane per essere un purosangue.” Borbottò
lasciandosi cadere sulla poltrona
accanto al fuoco con una smorfia. Si toccò
l’angolo delle labbra. “… Mi ha picchiato.” Scandì
lentamente, come se
fosse l’offesa peggiore che fosse mai stata fatta alla sua
persona.
“Vi siete
picchiati.” Lo corresse, non riuscendo a trattenere un
sorriso intenerito alla sua aria inequivocabilmente imbronciata.
Lo ammetteva: aveva avuto
paura quando Nott l’aveva chiamato. Negli ultimi tempi il suo
ragazzo era stato
fin troppo pronto ad essere inquietantemente minaccioso.
Invece era finita tutta in
una
rissa stupida, degna di grifondoro tonto.
Un
sollievo…
Si avvicinò, con
la bacchetta
in pugno e Tom si ritrasse di istinto, guardandolo con sospetto.
“Non fare lo
scemo, voglio medicarti… o preferisci andare in
infermeria?”
“Non voglio andare in infermeria.” Convenne con una
smorfia. Si lasciò disinfettare
docilmente il taglio al labbro e i vari lividi che gli stavano fiorendo
sul
viso, anche se non smetteva di guardarlo male.
“Senti…”
Iniziò Al. “So che…”
“Gli ho rotto la bacchetta.” Lo fermò
mentre un sorrisetto torvo gli fioriva
sulle labbra. “Spaccata in due, a quanto ho potuto
vedere.”
“Tom!”
“Se lo meritava.” Tagliò corto, mentre
si lasciava sfilare il maglione dalla
testa. Al lo sentì soffocare un gemito, ma non
infierì, specie quando gli
slacciò la camicia e vide come erano ridotte le sue costole.
Okay.
Mike sa come comportarsi in una rissa. Scommetto
c’entra quel pazzo di Malfoy.
“Dovrai farti
vedere da Poppy,
hai delle contusioni abbastanza…”
“Non vuoi diventare un guaritore?” Lo
apostrofò. “Allora occupatene tu, visto
che è colpa tua.”
“Colpa mia? Non ti ho certo ordinato di andare a fare a botte
con Michel!”
“Mi ci hai costretto.” Sibilò a denti
stretti. Si guardarono per qualche istante,
poi Al capì che qualcuno doveva capitolare. Lui. Quindi non
ribatté.
Non
gli chiedo certo scusa. Questo proprio no.
Passò
la punta della bacchetta lungo
le costole maltrattate, mormorando la formula che gli permetteva di
capire lo
stato delle suddette. La pelle in corrispondenza diventò di
un blu tenue.
“Non sono rotte
per fortuna…”
“Sì, ma adesso ho la pelle blu.”
Gemette
Tom guardandolo incredulo. “Cosa…”
“Non lamentarti, il colore andrà via tra qualche
minuto. Se eri rosso sì che
avresti dovuto preoccuparti, significa che c’era il rischio
di perforazione di
qualche organo vitale.” Fece per riabbottonargli la camicia,
ma Tom mise una
mano sulla sua, bloccandolo.
“Sono ancora
arrabbiato.” Gli
comunicò. “Vorrei ancora ammazzarlo.”
Forse
avrei dovuto specificare, quella volta al faro,
che non mi deve proprio comunicare tutto
ciò che gli passa per la testa…
“Sì…
beh.” Replicò piano di
rimando, lasciando la mano dove stava, poco sopra al cuore.
“Non volevo
ferirti, non era questo la mia intenzione quando ho parlato con
Mike.”
“Lo so.” Tom fece un lungo sospiro.
“Capisco perché l’hai fatto, anche se
avrei
voluto che prima me lo dicessi.”
“Non l’avevo programmato!”
“So anche questo…” Gli strinse la mano,
premendosela sul petto. “… come so che
Michel sarebbe sicuramente un compagno migliore di quanto
potrò mai esserlo
io.”
Ci fu un lungo silenzio,
interrotto solo dagli scoppi dei ciocchi che ardevano nel camino. Se lo
meritava, ma Al non aveva voglia di tenere sulla corda Tom, specie con
quell’espressione disarmata, bisognosa.
“Non voglio qualcuno migliore di te, voglio
te. Quante volte dovrò ripetertelo?”
Quel poco di rabbia che
rimaneva ancora saldamente ancorata nel cuore di Tom si sciolse,
perdendosi da
qualche parte. Glielo lesse negli occhi. E nel sorriso.
“Anche se, certo, avrei
preferito che non gli rompessi la bacchetta. È stato davvero
una mossa da
carogna quella…”
Tom sbuffò qualcosa di incomprensibile.
“… ci sono caduto sopra, non l’ho fatto
apposta in realtà.”
Al non poté fare a meno di ridacchiare, mentre gli baciava
le labbra offese,
sottili e fredde.
Quelle erano le labbra che
avrebbe baciato per il resto della sua vita.
“È
ufficiale. Fai veramente
schifo nelle risse, mio caro.”
“Sì.” Ammise, ignorando il sicuro dolore
a molte parti del suo corpo, per
attirarlo sulle sue ginocchia. “… preferisco
infatti un altro genere di
colluttazioni. Che coinvolgono te.”
“Non si chiamano colluttazioni, maniaco.”
“Curami, guaritore. E ne riparliamo.”
****
Germania
del Nord. Notte.
Le fiamme si attorcigliavano
in volute arancioni, spruzzando lapilli e cenere che cadevano come
piccole
valanghe sui ciocchi arroventati.
Alberich Von Hohenheim
attendeva. Spostava i ciocchi con brevi colpi
dell’attizzatoio, abbeverandosi
di quelle braci luminose.
Sentì la porta
aprirsi e uno
dei suoi servitori annunciò l’arrivo del Corriere.
Rimpiangeva la mancanza di Johannes; parlava troppo, ma era leale solo
a lui, a
differenza dei nuovi Corrieri che gli portavano le notizie, devoti alla
Thule
in quanto organismo.
“Lode alla
Thule.” Recitò
infatti quello compitamente. “Mio
Signore…” Disse inchinandosi. “Non porto
buone notizie, temo.”
“Parla.”
“Hogwarts non è penetrabile, in nessun modo.
Stavolta il Ministero britannico
non ha lasciato nulla di intentato. È impossibile entrare
senza far saltare la
propria copertura.”
“Capisco.”
Lo aveva immaginato. Solo Sören era riuscito a varcare i
cancelli della scuola,
ma perché giovane: non si aspettavano che
l’Organizzazione avesse dei ragazzini
tra gli adepti.
Stese le labbra in un lieve
sorriso, beandosi del calore che arroventava l’attizzatoio.
“Come ha
intenzione di
procedere?”
“Hai detto che ad
Hogwarts
nessuno può entrare…”
“Nessuno di vivo, Mio Signore, perlomeno.”
Hohenheim scostò un ciocco, facendolo crollare tra una
colata di lapilli. E
sorrise di nuovo.
“Allora basta che
non lo
siano.”
****
Note:
Un po’ di teen-drama. Ma almeno le cose trai
serpentelli si sono in qualche
modo messe a posto.
Qui la canzone.
|