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Autore: Dira_    13/12/2010    21 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Capitolo XVIII
 

 



Sweet little words made for silence, not talk

Young heart for love, not heartache
Dark hair for catching the wind
Not to veil the sight of a cold world¹…
(While your lips are still red, Nightwish)
 
 
10 Ottobre 2023.
Lago Nero, Banchina di attracco.
Pomeriggio.
 
Sören non aveva la minima idea di cosa avrebbe potuto dirgli la giovane Lilian… Lily.
Non sarebbe mai riuscito nella sua testa a chiamarla con quel diminutivo familiare, che sembrava invece comune a chiunque la apostrofasse.
Non aveva mai chiamato nessuno con un diminutivo.
La trovò impalata sulla passerella del molo, con le mani sprofondate nelle tasche del mantello invernale, parte dell’uniforme di Hogwarts. La sciarpa le copriva una buona porzione del mento e delle labbra. Quel giorno il freddo era aspro e affilato come un coltello: probabilmente era fastidioso anche per un inglese.
Insolito vederla in uniforme, pensò anche: era più facile che indossasse una di quelle sue spinose minigonne con un giubbotto sufficientemente corto da far intravedere cosa indossasse sotto.
Non era truccata: doveva appena essere uscita da lezione.
“Buon pomeriggio.” Azzardò raggiungendola.
“Non lo è affatto.” Lo smentì immediatamente. Aveva le sopracciglia contratte in un’espressione di irritazione, e Sören si chiese nebulosamente se la causa fosse lui.
Improbabile. Mi ricorderei se avessi fatto o detto qualcosa di sbagliato durante le nostre conversazioni.
“Va tutto bene?” Chiese allora osservando come, quando teneva i capelli sciolti come quel giorno, sembrasse avere delle lingue di fuoco vivo ad ondeggiargli attorno al viso.
“Una brutta giornata, come ho detto.” Tagliò corto la ragazza. Guardò verso un punto imprecisato, oltre il Castello e verso i cancelli della scuola. Sembrò riflettere molto velocemente su qualcosa. “Ti va di andare ad Hogsmeade?” Gli chiese infine.
“… Non dovreste avere un permesso per uscire?”
Lily scrollò le spalle, sorridendogli per la prima volta in quei pochi minuti. Era strano, ma non vederla allegra era… disturbante, anche se forse quella non era la parola giusta. Era come se qualcosa non fosse al suo posto.

In effetti, Lilian Potter sorrideva sempre. O comunque, con sufficiente frequenza per essere ricordata sempre con un sorriso sulle labbra.
“Sì, ma dove c’è la regola, ecco l’inganno. Una lezione piuttosto utile, da queste parti…” Gli spiegò, con quel suo modo particolare di arricciare le labbra al bordo della bocca, in un’espressione monella. “A Durmstrang non ve l’hanno insegnato Ren?”
“Ad Hogwarts sì?” Le chiese e fu una conquista sentirla ridere.

Stava andando bene. Non capiva il perché di quel compito, ma lo stava svolgendo bene.
Era soddisfacente.
Il compito. 
In ogni caso, poteva essere considerato un progresso il fatto che Lily avesse scelto lui come accompagnatore, considerando che aveva una nutrita schiera di amiche e di ammiratori a cui attingere.
“Vieni allora?”
“Certo.” Le sorrise di rimando, cedendole il passo sulla banchina. “Dopo di te…”

 
****
 
Capanna di Hagrid, campo delle zucche.
Pomeriggio.
 
Albus osservò Fanny scomparire in lontananza, fendendo con le ali la superficie cristallina del Lago Nero.
Era seduto sulle scalette della capanna di Hagrid, mentre quest’ultimo spennava un paio di fagiani in cucina per Odino, il suo gigantesco molosso.
Aveva avvistato Fanny mentre tornava dalle serre di Erbologia e la fenice aveva puntato verso la capanna dell’ex-guardiacaccia. Questi aveva passato interi minuti a rimirarla entusiasta mentre si cibava con gusto di pezzi di pesce secco che si erano divertiti a lanciargli.
“Albie, è davvero fantastico!” Osservò per l’ennesima volta, sporgendosi dalla malconcia finestrella. “Dico, che quella fenice è diventata il tuo famiglio!”
“Non è il mio famiglio, ho già un gufo, Anacleto.” Sorrise di rimando. “Io e Fanny siamo solo amici.”

“Fanny…” Fece un barbuto sorriso nostalgico. “Come la fenice di Silente, eh?”
“Secondo me è lei. Potrebbe essere, no?”
L’omone ridacchiò. “Sì, forse. Però sai.” Osservò. “Le fenici non ci si avvicinano spesso agli umani, nossignore… Se viene da te, vuol dire che ci piaci, e che ti considera un po’ il suo padroncino…”

Al non rispose, non volendo intavolare l’ennesima discussione sulla sua proprietà presunta di una fenice.
Del resto vederla gli provocava ogni volta emozioni contrastanti: se da una parte era orgoglioso che venisse a trovarlo – ehi, non era da tutti – dall’altra gli ricordava l’anno prima e quando avesse sofferto.
Si spazzolò le mani dai residui di terra ed erba e dopo aver salutato Hagrid e aver declinato l’ennesima offerta di dubbi manicaretti da portare agli altri, si incamminò verso il castello.  
Una folata di vento gelido misto a pioggia lo fece rabbrividire. Si strinse maggiormente la sciarpa al collo, maledicendo il pessimo clima inglese. Aveva già in mente di partire per qualche luogo tropicale, finiti i MAGO. Possibilmente caldo, pieno di spiagge dorate e acqua in cui sguazzare.
Magari la Polinesia …
C’era una comunità magica primitiva ma con conoscenze di medimagia alternative e interessanti, aveva evinto dalle lettere confusionarie che i gemelli Scamandro spedivano a suo fratello: adesso infatti i due viaggiavano per il globo terraqueo come assistenti del padre.
Sole, spiagge… ottima cucina, studio…
Fantasticare in quel modo era piacevole, quando vigeva una pioggerellina esile e freddissima, che gli scivolava lungo le guance e le mani facendolo rabbrividire.
Chissà se Tom mi seguirebbe…
Nell’eventualità si sarebbe lamentato del rischio di ustione per la propria pelle – seriamente, sembrava privo di melanina - delle malattie tropicali e dell’arretratezza tecnologica del posto.
Come se avesse la possibilità di avere voce in capitolo… Con lui o senza di lui.
Entrò nel cortile pavimentato, dove in caso di bel tempo si disputavano i tornei del Club di Gobbiglie. Lo attraversò di corsa, visto che la pioggia ormai scrosciava in dirittura di acquazzone, infilandosi dentro il corridoio esterno.
Davanti a sé vide Michel. Era da solo, stranamente, e stava fumandosi una sigaretta babbana, vizio che aveva preso l’anno prima – ed era quasi certo che glielo avesse passato James, in quei periodo in cui si erano frequentati.
Sotto le lenzuola… Merlino, solo a pensarci mi dà i brividi.  
L’altro serpeverde lo notò immediatamente e dopo un attimo di incertezza fece un sorriso tirato.
“Spero non mi toglierai punti per questo, Caposcuola.” Esordì pacato, dandole un lungo tiro. “Sto persino congelandomi il sedere per non dare fastidio all’altrui persona. Certo, le regole imporrebbero il veto totale …”
“Maddai.” Lo fermò con un sorriso. “Non sono un tassorosso. Non toglierò certo punti alla mia Casa per una sigaretta…”
“Ne ero certo. Il perfetto, piccolo serpeverde…” Lo canzonò senza acrimonia. Ma neanche senza il solito affetto di fondo.

Al inspirò. “Ehm.” Disse acutamente. L’aria divertita di Michel, malgrado tutto, gli diede la forza di continuare. “Non dovresti essere al club?”
“Niente duelli oggi per me. La classe serve alle ragazze di Beaux-Batons per non so che corso sui fiori.” Fece un gesto dismissivo. “Gliel’abbiamo gentilmente ceduta.”

“Potevate trovare un’altra aula…”
“Infatti, l’hanno trovata. Gli altri. Oggi non ne avevo voglia, e poi la mia presenza non è indispensabile. Dopotutto è Higgs il capitano di Serpeverde…” Fece un sorriso disimpegnato. “Anche se naturalmente la mia assenza verrà notata.” 
“Naturalmente…” Convenne: era incerto se sedersi o meno, o salutarlo e tirare dritto.

Ma sapeva di non potere evitare per sempre quel confronto.
Gli si sedette quindi accanto, sul bovindo di pietra. Michel non fece gesto di lasciargli posto, ma neppure fece obbiezioni; lo considerò un buon punto di partenza.

“È un po’ che non parliamo …” Esordì Al, trovando improvvisamente interessante fare treccine alle nappe della sua sciarpa verde-argento. “Io e te.”
Michel non rispose immediatamente, piuttosto si limitò a strisciare il mozzicone della sigaretta lungo il muro, in un movimento elegante ed efficace. “È vero.” Ammise infine. “Ma questo non credo dipenda da me.”
Al si morse l’interno della guancia, nervoso. Era nervoso, e lo era perché sapeva di avere la sua parte di torti. Ma una parte, appunto. Non era l’unico che aveva evitato di trovarsi nella stessa stanza con l’altro in quell’ultimo mese; erano compagni di Casa, ma si erano incrociati per i corridoi solo una manciata di volte, e non si erano rivolti la parola se non per un saluto schifosamente formale.

Ma decise di non farglielo notare, per non iniziare quella conversazione con un litigio.
“Avrei voluto parlarti… lo so.” Disse invece. “Scusami… ma lo sai, sono successe parecchie cose in questo periodo.”
“Tom.” Si inserì l’altro, in tono spassionato. “È successo Tom.”

Al a questo non riuscì a replicare. “Senti…” Iniziò invece, mentre tentava di districare il caos che aveva operato sulla trama della sciarpa; non era certo fosse sua, visto che poteva benissimo aver preso quella di Tom. “Senti… so che sono stato un pessimo amico. Non te lo meritavi. E per questo non ho scuse.” Si arrischiò a lanciargli un’occhiata: Michel fissava il muro davanti a loro e aveva la mascella serrata.
Era furioso.
Cavolo.
“Mike…” Sussurrò, sentendosi l’amico più orribile del pianeta: Michel gli era stato vicino per mesi, forse con i suoi tornaconti, ma restava il fatto. Gli aveva tenuto compagnia, lo aveva fatto distrarre e  sopportato nella sua depressione post - Tom senza chiedergli praticamente nulla in cambio.
Non era serpeverde, non era da Zabini. Era una cosa che avrebbe potuto fare solo Michel.
Ed io c’ho sputato sopra…
“Mi dispiace tanto …” Ripeté. Sapeva che non doveva toccarlo, ne sapeva qualcosa su persone che avevano un’ampia concezione del proprio spazio personale.
“Smettila di ripeterlo. Non lo senti veramente.” Ribatté l’altro in tono sarcastico. “Perché stai perseverando in un errore che ti porterà solo a stare male. Ancora.”
“Questa è una cosa tra di noi, Tom non c’entra niente!”
L’occhiata che Zabini gli lanciò era perfettamente giustificata. “Lui tra noi c’entra sempre.”
Non ebbe la forza di ribattere. Era vero, del resto.

“Thomas Dursley non è normale…” Dichiarò, e Al sentì un brivido gelido lungo la nuca. Che sapesse qualcosa sulla sua nascita? Poi però continuò. “Non ha una concezione sana dei rapporti interpersonali. Ha messo in pericolo molte persone l’anno scorso e non credo che la cosa lo abbia toccato più di tanto.”
“Ti sbagli invece!” Protestò con forza. Tom poteva essere un cretino egoista, ma si era seppellito in un paese di pescatori tedeschi perché non era riuscito ad uscire dal pantano dei suoi sensi di colpa. “Sta cercando di rimediare! È tornato, lo hanno riconosciuto non colpevole… gli hanno ridato la sua bacchetta. È qui ad Hogwarts. Perché non gliene dai atto?”
“Perché non mi interessa. Ormai io e Dursley siamo due estranei.” Lo seccò rabbioso. Si passò poi una mano sulla nuca, in un movimento frustrato: c’era sincero dolore in quel gesto e probabilmente, realizzò Al, Michel aveva sofferto l’incrinarsi di quel rapporto, molto più di quanto fosse disposto ad ammettere.

Erano amici… Eravamo tutti amici.
Perché le cose non possono mai tornare perfettamente come prima?
“Albus… te l’avrò ripetuto centinaia di volte forse, ma meriti di meglio.” Interruppe il flusso dei suoi pensieri bruscamente.
“Lui è ciò che voglio, io ti ho risposto questo.” La conversazione sembrava sempre finire lì, inevitabilmente. “Non so come essere più chiaro…”
Michel si voltò, finalmente, per guardarlo. Era ferito, lo registrò con angoscia. Era ferito veramente.

Ed era la prima volta che lo vedeva senza la sua maschera snob e distaccata da lord inglese.
Michel poteva essere spesso arido e sarcastico. Non prendeva mai una posizione certa, ed era affezionato e divertito spettatore di tutte le tragedie emotive della loro Casa. Ma Albus avrebbe sempre ricordato quando, al loro Primo anno, aveva preso le sue difese con Montague e i suoi amici, dichiarando che aveva parentele sufficientemente importanti da non meritare le prese in giro di chicchessia. Si era frapposto fisicamente tra lui e quegli scimmioni, una piccola copia esile ed elegante del ragazzo che era ora.
 
“Signori, è il mio compagno di stanza e un serpeverde. C’è gente molto più meritevole dei vostri scherzi, vi prego quindi di rivolgerli altrove.”
 
“Non sto dicendo… che tu debba metterti con me.” Continuò Michel. “Non è questo che voglio. Non vorrei mai una persona che non mi desidera. Non è un toccasana per il mio ego, che sai essere ben pingue…” Aggiunse con un lieve sorriso ironico. Ad Albus non venne da sorridere di rimando però. “Ma tu meriti di stare con qualcuno che si prenda cura di te e ti renda felice. E temo che Tom, non importa quanto siano buone le sue intenzioni, non ne sia capace…”
“Ti sbagli.”
“Forse, ma non ne sono convinto.” Concesse. “Ma comunque … è questo quello che vuoi per te?”

Albus non riuscì a rispondere subito: era arrabbiato certo, e voleva difendere Tom, ma c’erano dei punti corretti nel ragionamento dell’altro.  
Tom aveva dei lati oscuri nel suo modo di voler bene. Era capace di amare, forse in modo persino più profondo e complesso di molta, cosiddetta, brava gente, ma era anche violento nel passare dalla fiducia al sospetto: ricordava come aveva reagito con rabbia irragionevole all’idea, sbagliata, che suo padre Harry fosse in combutta con il Ministero per addossargli la colpa dell’attacco a Ted. Ricordava come avesse aggredito Michel per aver solo sospettato che volesse provarci con lui.
C’erano delle zone d’ombra in Thomas, ma questo non faceva di lui la persona che Zabini pensava fosse.
Se solo l’avessi visto abbracciare Meike, o scusarsi con me… o parlare ai suoi genitori e sorridere a mio padre…
“Mi dici spesso…” Si risolse a dire dopo un lungo silenzio. “… cosa dovrei volere per me, Mike. Ma non sei me, è questo il punto. Tom ha bisogno di me, ed io di lui, per essere felice. Non per vivere, sarebbe esagerato… ma per essere felici. Cosa c’è di così sbagliato?”
“Nulla.” Convenne. “Se continuasse a renderti felice.”  

“E pensi che un altro ragazzo potrebbe farlo?”
“Albus…” Michel si voltò completamente verso di lui, prendendogli una mano tra le sue. Le aveva calde, e grandi. Non era la prima volta che gliele prendeva. L’aveva fatto spesso dopo i suoi incubi. “Dursley è il tuo primo tutto. Questo posso capirlo. Ma credimi, non hai avuto sufficienti esperienze per sapere se qualcun altro sarebbe capace di renderti felice o no. Non hai mai pensato, anche solo ipoteticamente… ad un’alternativa?”
Al non rispose: la verità era che sì, aveva pensato, in quei mesi orribili, a come sarebbe stato essere il ragazzo di Michel Zabini. Perché alla fine l’amico era l’unico con cui si sarebbe mai immaginato.

Mike gli voleva bene e avrebbe preso le cose sul serio per lui.  
Ma non voglio una cosa sensata. Perché lui non mi capisce con una sola occhiata e non mi fa sentire a casa ogni volta che si degna di sorridermi. Non è Tom.
“Pensi che sia così assurdo provare a frequentare altre persone?” Lo incalzò Michel. “Sto solo cercando di dirti…”
“Che sei innamorato di me.” Non era il modo migliore affrontare quella cosa, di cui ormai si era accorto da un po’. Ma doveva. Forse lui e Mike non sarebbero mai tornati amici, ma quel continuo girare attorno agli stessi argomenti era ancora più logorante.   
L’amico non rispose nulla, il che fu praticamente una conferma.
Merda… avrei preferito che mi fosse scoppiato a ridere in faccia…
Ma dentro di sé, in fondo, l’aveva sempre saputo. Michel non sarebbe stato così buono con qualcuno per cui provava poco più che un tiepido affetto; non era così neppure con Loki e Malfoy, e li conosceva da una vita.
“Un modo brutale per obbiettare,  non c’è che dire.” Osservò Michel in tono piatto. “Questo…” Aggiunse poi mentre la voce, Al non se lo stava immaginando, si incrinava. “… cambierebbe qualcosa, in ogni caso?”
“No.” Mormorò di rimando, sentendosi scavare lo stomaco dal senso di colpa. Decise però di essere onesto, anche contro il suo stesso interesse, perché perlomeno quello Michel se lo meritava. “Non cambierebbe niente. Lo sai.”
“Già.” Ammirava il modo in cui l’amico riusciva a tenere sotto controllo le sue emozioni. Lui non ci sarebbe mai riuscito. E gliene era egoisticamente grato, anche.

“Non mi aspetto che tu sia ancora mio amico, Mike…” Sussurrò per dire qualcosa, perché doveva dire qualcosa. “Non dopo averti ignorato per un altro. Non mi aspetto neppure che tu abbia stima di me. Non mi aspetto niente.”
Ci fu un lungo silenzio dall’altra parte.
“… Neanche che mi comporti in modo onesto quindi?” Disse infine.
“Ehi, siamo serpeverde…”
Quando Michel abbassò il viso su di lui e lo baciò, Al non poté dire che non se lo fosse aspettato.

Sentì le labbra piene dell’altro ragazzo posarsi sulle sue, ma fu poco più di un attimo, poco più che un bacio leggero.
In un altro universo, in un’altra vita, sarebbe stato più difficile prendere quella decisione.

Forse neanche l’avrei presa… forse adesso sarei il ragazzo di Michel Zabini.
Ma è questa vita, e Tom c’è. Grazie a Merlino, c’è.
Michel si staccò, ritirandosi. “Dursley è decisamente il mago più fortunato di Inghilterra. E tu, au contraire mon cheri, il più sciocco.” Chiosò con un mezzo sorriso.
Al lo ricambiò. “Probabilmente hai ragione.”
Michel ridacchiò. “Mi piace questa tua graduale perdita di modestia. Ti rende grazioso.” Il sorriso gli aleggiò per ancora qualche attimo sulle labbra, poi presa la borsa dei libri e gli fece un cenno, andandosene.

 
****
 
Hogsmeade, Pomeriggio.
Pub Testa di Porco.

 
Lily sorseggiò con una certa dose di piacere la sua burrobirra in bottiglia. Non era calda come quella appena spillata dalle mani di Madame Hannah, ma andava bene lo stesso.
Lei e Sören avevano ovviamente dovuto ripiegare sull’appartato Testa di Porco per poter passare sotto il naso delle regole della scuola.
Che cretinata poi… Cosa credono, che se estendessero il permesso a più di un finesettimana al mese ci ubriacheremmo tutti di sidro sotto gli occhi della Signora Paciock fino a vomitare sullo zerbino di Mielandia?
Lanciò un’occhiata all’amico, che a differenza sua sorseggiava un Ogden Stravecchio senza ghiaccio. Non se ne stupiva, del resto era maggiorenne e probabilmente avvezzo ai liquori forti. Lo beveva con una disinvoltura che la affascinava.
“Ti piace il whiskey incendiario?”
“Meno rispetto alla vodka, ma non mi dispiace…” Fu la risposta, mentre  si guardava attorno. Aveva una lieve ma palese espressione contrariata stampata in faccia.

“Non è il posto più pulito dell’intera Inghilterra lo so, ma almeno qui nessuno fa domande…” Gli spiegò con un sorriso di scuse, mentre sentiva lo sguardo torvo di Aberforth su di loro.
Si voltò e gli servì il migliore dei suoi sorrisi: il barista brontolò qualcosa di intellegibile, ma non smise di guardare nella loro direzione.
Come se fosse la prima volta che vengo qui con qualcuno! Non faccio niente di male poi. Bere una burrobirra e baciarsi con un ragazzo non è reato.
… non che voglia baciare Ren.
Certo, lo trovava carino quando smetteva di avere quell’aria contratta, ma…  
È mio amico.
Tolto Hugo, comunque suo cugino, era il primo ragazzo con cui non si sentisse in dovere di dispiegare tutta l’artiglieria femminile. A Ren non sembrava importare del resto. Perché la ascoltava. Davvero.
Rarità! Rarità!
“Ci vieni spesso?” Le chiese. Si guardava attorno. Era nervoso, capì. Parecchio.
“Abbastanza. Ma se vuoi possiamo andare a farci un giro … se non ti piace stare qui, intendo. Si è messo a piovere e sarà un disastro per i miei capelli, ma potremo sempre andare a Madame Piediburro.”
“È meglio di qui?” Si informò velocemente.
“Beh…” Finse di rifletterci. “Dipende. Hanno delle torte squisite, e la madame terrebbe la bocca chiusa sulla nostra presenza, però…”
“Cosa?”
“Ci vanno le coppiette.” All’espressione confusa dell’altro – doveva ricordarsi che era straniero e non capiva molte espressioni colloquiali – si apprestò a spiegare. “Gli innamorati, Ren.”
“Qui va benissimo.” Borbottò l’altro immediatamente. Lily si impose di ingoiare la risata che le nasceva sulle labbra e finì per soffocarla in un sorso della sua bevanda.  

Si sentiva meglio adesso, la sua irritazione stava scemando. Probabilmente perché aveva messo più metri possibili tra lei ed Hogwarts.
Sören le lanciò un’occhiata valutativa. “Cosa c’è?” Si risolse a chiederle infine.
“Come?”
“Sei venuta alla nave con un’aria terribile. È successo qualcosa a scuola?”
“No…” Naturalmente sì. Sentì il sapore ferreo del sangue sulle labbra, dove se l’era morsicate. Era un brutto vizio che pensava di essersi tolta circa un milioni d’anni prima.

Pur vero che prima non aveva mai avuto Minerva McGrannit come professoressa.
“Lily?” Sören aveva un modo piuttosto particolare di guardare la gente. Sembrava volesse scavarti dentro. Non era la sensazione che aveva avuto la prima volta che avevano incrociato gli sguardi in Sala Grande, ma ci andava piuttosto vicina. “Ti va di parlarmene?”
“Non è successo niente di che…”
“Qualsiasi cosa sia successa, è chiaro ti abbia turbata…” Osservò in tono neutro. “E se siamo qui, è perché, suppongo, tu abbia bisogno di parlarne.”
“In effetti…” Mormorò.

… Ren non era affatto uno scemo. Era rilassante avere a che fare con qualcuno che non ti chiedeva se avevi il tuo periodo del mese ogni volta che eri di cattivo umore.
Povero Hughie… non che sia colpa sua. Ma dovrebbe capire che le donne non hanno quel periodo quindici volte. Al mese.
Ren si accomodò meglio sulla scomoda sedia di legno e le fece cenno. E lei prese a raccontare.
 
La McGrannit era di quanto più tosto una professoressa potesse essere. Considerando che aveva passato due guerre, attacchi alla sua persona e complotti, era praticamente una roccia fatta strega.
Pur con la sua veneranda età e gli acciacchi del caso, aveva tenuto la classe in pugno come un manipolo di gattini mansueti.
Da ammirare, ma anche da temere.
Hugo pendeva dalle sue labbra. Non che fosse l’unico.
Lily au contraire avrebbe preferito seppellirsi sotto il banco, e forse per la prima volta in vita sua aveva rimpianto di essere nelle prime file pronta a farsi ammirare. E notare.
Soprattutto dalla professoressa.
La McGrannit, per accertarsi del loro avanzamento nel programma scolastico, li aveva messi a lavorare su un porcospino da tramutare in un puntaspilli.
Si era sentita tranquilla, perché aveva Abigail come compagna di banco: l’amica era molto brava in quella materia. Solitamente non era difficile farsi aiutare per aggiustare l’incantesimo.
Sfortunatamente quell’anno non avevano a che fare con un professore distratto come lo era stato Ziel, o finto come la Prynn.
La McGrannit si era accorta subito che Gail stava per tramutare in un soffice cuscinetto il dorso irto del suo… puntaspino.
“Signorina Potter, se ha bisogno di aiuto, credo sia più opportuno che chieda a me.” Aveva freddato entrambe. Abigail aveva ritirato immediatamente la bacchetta.
“Era più un suggerimento…” Aveva cercato di rimediare lei, facendo ovviamente peggio.
A quanto sembrava la McGrannit era la grifondoro-di-ferro che i suoi genitori le avevano sempre descritto. Invece di accettare la diversione con un rabbuffo, l’aveva guardata come se avesse appena proposto di barare ai GUFO corrompendo con fiumi di galeoni l’intera commissione.
“Non tollero che nelle mie classi venga svolto un compito con l’inganno, signorina Potter.” Si era avvicinata. “Quindi mi faccia vedere il suo vero livello.”
Lily aveva sentito l’intera classe piombare nel silenzio. Si era sentita arrossire di vergogna e umiliazione per la prima volta in vita sua. Era stato
orribile.

“È questo il mio livello…” Aveva mormorato sentendo di detestarla, e detestare pure quel ridicolo puntaspino che zampettava lungo il banco.
“Allora dovrà fare di meglio se vorrà avere ottenere un GUFO in Trasfigurazione, signorina.” Una breve pausa. “Suo padre non era certo lo studente più eccellente del suo corso, ma speravo che almeno lei avesse preso da sua nonna Lily.”
A quel punto non ci aveva visto più.  

“Mi spiace deluderla, ma non ho particolari interesse a tramutare porcospini in postaspilli, non lo trovo utile nella vita pratica.”
La classe non era mai stata silenziosa come in quel momento. Sembrava respirare come un sol uomo.
“Discorso assolutamente sciocco, signorina Potter.” Aveva scandito l’anziana strega, con occhi gelidi e colmi di riprovazione. “Questa materia è una delle più importanti nella sua formazione scolastica. Io la studio da anni, e ancora riesce a sorprendermi per la sua utilità.”
“Beh, io invece trovo più utile trovarmi un marito.”

Sören la stava fissando come se improvvisamente le fossero spuntate un paio di ali e becco e stesse per starnazzare via.

Poteva capirlo.
Stavolta ho dato del mio meglio per sembrare un’oca.   
Si sentì arrossire di nuovo. “Già. È stata una cosa stupida, me ne rendo conto, ma ero così arrabbiata…”
“Le hai rinfacciato il fatto che fosse…”
“Una zitella, sì. Davanti a tutta la classe.” Si sentì orribile. E profondamente cretina, anche senza lo sguardo sconcertato del suo amico. Bevve un lungo sorso di burrobirra, ormai quasi gelata e quindi schifosa.  “Mi ha tolto dieci punti e mi ha assegnato un sacco di compiti, sia teoria che pratica… Tutto sommato mi è andata pure bene.”

“Insolitamente morbida in effetti. A Durmstrang saresti finita in cella detentiva per un paio di giorni.”
Cella?” Mormorò orripilata. “Una cella vera?”

“Sì, certo.” Osservò l’altro come se fosse perfettamente normale. Ebbe cura di cambiare subito discorso però, vedendo forse la sua aria sconvolta. “Perché ti sei arrabbiata comunque? Dopotutto…”
“La professoressa aveva ragione, lo so!” Si morse le labbra; Sören non poteva capirla, dubitava che chiunque al di fuori della sua famiglia potesse. Non era stata l’umiliazione in sé a farla scattare.

Il punto è che odio essere paragonata a mia nonna. A quella che non ho mai conosciuto, peraltro.  
Suo padre era un uomo meraviglioso, ma i traumi che aveva dovuto portarsi dietro sin da bambino avevano avuto degli strascichi anche dopo la guerra. Molte, troppe persone che amava erano morte per mano delle sua nemesi, e lui aveva voluta ricordarle mettendo a lei, Al e Jamie i nomi di uomini e donne che avevano dato la vita per lui e per il futuro dei suoi figli.
James Sirius, Albus Severus e Lily Luna.
A ben pensarci, sono l’unica che porto il nome di una persona ancora viva.
Ma il suo primo nome, quello con cui tutti la chiamavano era comunque Lily. Non Lilian, non se lo ricordava mai nessuno. 
Ma fosse solo questo… mi sarebbe andata anche bene, Lily è un nome carino.
Il fatto era che il fenotipo Weasley prevedeva capelli color carota, lineamenti squadrati e altezza considerevole oltre, naturalmente, ad un sacco di lentiggini. Quello Potter invece capelli scuri, goffaggine al di fuori di un campo da Quidditch e aria perennemente arruffata.
Aveva visto una sola foto della sua meravigliosa nonna, quella messa nella cornice più bella del camino del salotto di casa loro.
Era a lei che somigliava.
Lily Evans in Potter era stata colei che aveva salvato il Mondo Magico, immolandosi e permettendo a suo figlio di diventare l’eroe che avrebbe sconfitto Voldemort.  
Lily Evans-Potter era ricordata come una madre, una moglie e una strega straordinaria. Dopo la guerra erano stati persino scritti dei libri su di lei, anche se sotto lo stretta supervisione di suo padre. Lily li aveva letti, con una voracità che non riservava nemmeno ai migliori romanzi d’amore.
Come diavolo faccio ad essere all’altezza di una persona simile?
“Lily…” Sören la riportò bruscamente sulla terraferma. Si accorse di avere gli occhi umidi. Si era quasi messa a piangere. “Lily, cos’hai?”
“Smettila di chiamarmi così!” Sbottò alzandosi in piedi, e facendo girare metà locale, almeno la metà che sembrava sufficientemente cosciente di sé.

Si sentì afferrare delicatamente per un polso: Sören aveva una presa morbidissima per sembrare un soldato in ogni movimento che faceva.
“Bene.” Disse serio. Era un tipo molto serio. “Se vuoi ti chiamerò Lilian o in qualunque modo tu voglia, ma adesso siediti, stai dando spettacolo e dubito nel modo che preferisci.”
Lily si sedette obbediente. Gli lanciò un’occhiata in tralice, e vide un’espressione neutra, solo leggermente curiosa. Sentì che poteva parlare con lui. Era Ren, il suo amico di piuma. E non era solo quello, anche se non riusciva ben a capire cos’altro potesse essere.
Comunque gli raccontò tutto. Confessò.
Non gli disse però che era felice di avere l’orecchino di controllo, e di non poter più sentire i pensieri degli altri, che altrimenti questa sua ridicola fissazione si sarebbe probabilmente ingigantita.
Quella era una cosa che non gli avrebbe mai detto. Forse.
“Tua nonna sembra essere stata una strega di talento, senza ombra di dubbio.” Osservò Sören alla fine del suo monologo. “Però è morta da molto tempo. Ormai non devono essere molti i maghi e le streghe che l’hanno conosciuta di persona …”
“Non capisci? È proprio questo il punto! Ha una statua con mio nonno a Godric’s Hollow, hanno scritto dei libri e dei saggi su di lei! È persino nei miei libri di testo!” Esclamò sentendo la frustrazione montare ad ondate violente. Ren riusciva a tirare fuori la parte più vera – e forse poco carina – di lei. “Lo so, è stupido… ma hai idea di quanto sia frustrante essere paragonata ad una donna che è praticamente un’icona di perfezione?”
“No, naturalmente non lo immagino.” Ebbe lo straordinario buon gusto di risponderle. “Ma so cosa vuol dire essere paragonati a qualcun’altro…” Soggiunse però pacato. “Non è un po’ quello che succede a tutti i figli con i propri genitori?”

Era questo a rendere affascinante Ren: era molto più maturo dei ragazzi della sua età. A volte sembrava che avesse gli occhi molto più vecchi di quelli di un diciassettenne.
“Certo, ma … e non mi sto vantando credimi, io non ho parentele esattamente normali. La mia famiglia sembra una svendita di eroi.”

“Tuo padre ti paragona a lei?”
“Mio padre? No, certo che no! Lui… è una cosa che hanno fatto anche con lui. Quella di paragonarlo ai suoi genitori, dico. Ma… il mio nome.” Fece una smorfia prendendo a giocherellare con il tappo della bottiglia di burrobirra. “… Non lo so, a volte lo vedo come un’aspettativa.”

“Anche per i tuoi fratelli è così?”
Non faceva mai domande stupide Ren, quelle poche che faceva. Lily decise che era una buona ragione perché gli piacesse.

Non era così sveglio per lettera…
“Sì, certo… però, beh, è diverso. Voglio dire, loro sono unici…”
“E tu non lo sei?”
Lily alzò lo sguardo, per incontrare quello del ragazzo di fronte a sé. Sören lo sostenne per un attimo, poi lo distolse immediatamente mentre gli prendevano fuoco le guance in quel modo buffo e tenerissimo.

“Questo sì che è un complimento galante, Ren…”
“Non prendermi in giro…” Borbottò vuotando il suo bicchiere in un sorso.

Lily non aggiunse altro per non imbarazzarlo ulteriormente. “Comunque, scherzi a parte, per colpa della mia linguaccia, ho una valanga di compiti da fare per Trasfigurazione. E non so da dove iniziare. Credo proprio avrei dovuto applicarmi di più invece che insultare la professoressa.”
“Questo è indubbio.” Vedendo la sua espressione indispettita, si affrettò a correggersi. “… intendo dire che se vuoi posso darti una mano.” Concluse la frase sembrò anche lui sorpreso di averla pronunciata.

“Davvero? Insomma, sei uno dei campioni e la Prima Prova si avvicina, avrai cose più importanti a cui pensare…” Gli fece notare, dandogli modo di trovare una scusa credibile.
Sören rimase in silenzio per un periodo abbastanza scomodo, poi però scosse la testa. “Ti darò una mano. Il vostro programma del Quinto anno non è particolarmente difficile, e tu certo non sei stupida.”
“Grazie del complimento, tuttavia ti devo avvertire che, a detta dei professori, ho problemi a concentrarmi e sono terribilmente svogliata.” Gli sorrise grata, stringendogli la mano destra nella sua. Era calda.

Molto calda.
“Per Morgana, se scotti!”
Sören ritirò immediatamente la mano dalla sua presa; sembrava che non gli piacesse granché essere toccato.  “Ho una buona circolazione.” Spiegò rigidamente. Fu svelto poi a cambiare argomento. “Svogliata? Ti assicuro che so essere inflessibile.”
“Rigido. Io direi che sei rigido.”
“… Come prego?”
Lily scoppiò a ridere, perché da quando aveva scoperto che l’altro non capiva l’humour inglese era maledettamente divertente vederlo fare quella faccia offesa.

Non che non avesse senso dell’umorismo. Era certa che lo avesse, lo si evinceva dalle sue espressioni facciali, o il modo singolare con cui ogni tanto inarcava un sopracciglio – lo faceva spesso con Poliakoff.
Ma non si ancora aperto abbastanza con me …
“Stavo scherzando Ren, non ti arrabbiare. Grazie, lo apprezzo molto.” Quando lo vide sorridere leggermente capì che non l’aveva offeso poi troppo.
Non è facile leggerlo come gli altri, proprio no… forse c’entra il fatto che usa l’Occlumanzia e mi ha respinto con quella, anche se non ha capito cosa stavo facendo …
Il che lo rende ancora più interessante.
“Okay, quindi… devo chiamarti professore?”
“… scusa?”
Lily rise di nuovo. Sarebbe stato davvero divertente. E a lei piacevano le cose divertenti.

 
****
 
Sotterranei di Serpeverde. Dormitorio maschile.
Sette di sera.
 
Sapeva che non sarebbe esattamente stato facile spiegare a Tom quello che era successo tra lui e Michel.
Per questo aveva atteso di essere soli per dirglielo. Era stato anche aiutato dal fatto che non avevano cenato assieme, visto che Tom concepiva la cena come rubare toast e tornare in Dormitorio per finire i compiti o per farsi i fatti suoi.
Lo trovò quindi beatamente adagiato sul letto della sua stanza – beh, a quel punto loro – che leggeva un libro dalla copertina babbana sboccoccellando i suddetti.
Si era impadronito di tutti i cuscini, quello a forma di boccino compreso.
“Le elementari regole di socializzazione con te non si applicano?” Lo apostrofò scherzoso.
Tom non distolse gli occhi dalle pagine, ma sorrise. “Come se si fossero mai applicate …”
Albus si sedette sul ciglio del letto, prendendo a giocherellare con le maledette frange della sua sciarpa.
“Non rovinarmela. Quella è mia.” Osservò l’altro staccando un morso da un toast.
“Come fai a sapere che è tua? Sono tutte uguali!”
“La mia è ancora come quando me l’hanno consegnata. La tua sembra ci si sia impiccato qualcuno.” Fu la risposta quieta, prima che finalmente lo guardasse. Rimase un attimo in silenzio, poi sospirò. “Che succede Al?”

“Michel mi ha baciato.” Lo disse tutto di un fiato, senza neanche prendere un respiro di partenza. Avrebbe anche chiuso gli occhi, ma non gli sembrava un’idea felice.
Specialmente perché dopo un momento di silenzio agghiacciante, Tom scattò in piedi afferrando la bacchetta che aveva lasciato sul comodino, con il palese e onesto proposito di andare ad ammazzare qualcuno.
No!” Gli si parò davanti. “Ti prego, lasciami spiegare!”
Scusa?” Articolò l’altro con un tono così furiosamente glaciale da lasciarlo qualche momento senza parole. Ne approfittò ovviamente. “Zabini sa che sei mio, ed ha osato infilarti…”
“Non mi ha infilato proprio niente, ed io sono il tuo ragazzo, non un oggetto!” Lo fermò, piazzandogli le mani sul petto. “Calmati!”
“No.” Fu la risposta. Tom aveva la mascella così contratta che Albus per un attimo ebbe paura che se la rompesse tanto era teso.

Avrebbero dovuto metterlo a Grifondoro per quanto è spettacolare nel dare di matto…
“Non trattarmi come se fossi una principessina bistrattata, se mi ha baciato è perché gliel’ho lasciato fare!” Osservò in tono neutro, anche se non aveva nessuna voglia di indirizzare la rabbia del suo ragazzo su di lui. Anche se era la verità.
Tom spostò finalmente lo sguardo su di lui, e sembrò in dirittura di comprendere e nel modo più sbagliato.
No. Non ci pensare neanche. Sono innamorato di te, e gliel’ho lasciato fare perché dovevo sbloccare in qualche modo questa situazione!”
“Facendoti mettere le mani addosso!?”
Sapeva che non sarebbe stato semplice.
Al tirò un lungo sospiro. “Non mi ha messo le mani addosso, mi ha dato solo quel bacio ed è stato un bacio d’addio.” Gli premette con forza le mani sul petto e gli impedì di scacciarlo via o sottrarsi al suo tocco. “Gliel’ho lasciato fare perché glielo dovevo. Dopo tutto quello che ha fatto per …”
“Entrarti nei pantaloni?” Ringhiò l’altro, liberandosi dalla sua presa e facendo due lunghi e frustrati passi davanti al camino. “Dio, Al, come sei stupido… Ti è stato vicino per un solo motivo.”
“Lo so!” Proclamò esasperato. “Ma non importa il motivo per cui l’ha fatto… l’ha fatto quando stavo più male, e credimi, stavo male. Lui c’è stato quando ne avevo bisogno, e non posso gettarlo via come un fazzoletto usato solo perché sei tornato!”
Tom non ribatté stavolta. Aveva il respiro accelerato e gli occhi che bruciavano di collera ma non si mosse né cerco di aggirarlo per uscire dalla stanza.

Aveva finalmente attirato la sua attenzione.
“Cosa… provi per lui?” Si scollò dal palato: sembrava che ogni parola gli fosse costata uno sforzo enorme. Probabilmente era così.
“Gli voglio bene. Come un amico. E merita di trovarsi una persona speciale verso cui indirizzare questi sentimenti. Ma dovevo prima mettere un punto, e dovevo essere io a farlo.”
“Quindi l’hai lasciato fare perché ti faceva pena…” Sembrava l’unica spiegazione che avrebbe potuto accettare, ma Al sapeva che non era onesta per Michel, ma neanche per loro due.

“L’ho lasciato fare perché gli voglio bene. È diverso, Tom.”
 
Non capiva.
O meglio, poteva capire puramente a livello concettuale ma non riusciva a tollerare l’idea che Albus si fosse fatto baciare da Michel.
La sola idea gli mandava il sangue alla testa, gli sembrava di vedere sfuocato e sentiva ruggire quella cosa dentro le sue vene.
Falla pagare a Zabini. Fagli rimpiangere di essere un ridicolo damerino…
È una minaccia. Non ti avevo detto che era una minaccia?
E in quel momento detestava pure la faccia calma e gentile del suo Al, che cercava di spiegargli come fosse perfettamente scusabile quel lurido, schifoso scarafaggio che lo aveva toccato.
Vorrebbe spogliarlo, toccarlo, portarselo a letto…
Farlo gemere e tremare proprio come fa tra le tue braccia, Tom.
Non riusciva a calmarsi.
“Tom? Ascoltami, per favore…”
“Non adesso.” Sibilò sentendo un sapore ferroso in bocca, orribile. “Lasciami uscire.”
“Non in queste condizioni.”

Tom emise un ringhio di gola, si sentì mentre lo faceva, e persino Al sembrò preoccupato. Buttò la sua bacchetta sul letto. “Contento? La lascio qui. Non andrò da Zabini. Ora fammi uscire.”
Al a quel punto fu costretto a farsi da parte e lui poté finalmente andarsene da quella camera che lo faceva soffocare.

Perché sapeva che Albus avrebbe dovuto scegliere Zabini. Al di là di tutto ciò che li legava, era Zabini ad essere il ragazzo più corretto per lui. Non era frutto di un esperimento alchemico di un manipolo di pazzi in delirio di onnipotenza, non aveva dentro di sé il cancro di un’anima monca e tormentata, non aveva una maledetta spada di Damocle che gli penzolava sulla nuca ad ogni passo che faceva.
Era un ragazzo normale.
Perché non elimini la concorrenza allora?
“Sta’ zitto…” Sussurrò rivolto a nessuno mentre incedeva lungo i corridoi tortuosi e stretti del labirinto che era il Dormitorio maschile di Serpeverde.
E il caso, o chi per lui, decise di mettergli quell’opportunità su un piatto d’argento.
Svoltato l’ennesimo varco di pietra si trovò di fronte a Michel Zabini. Di fronte alla sua pelle scura, agli occhi da orientale e ai suoi perfetti zigomi pronunciati. Al ragazzo più bello di Serpeverde che voleva il suo ragazzo.
“Dursley…” Esordì quello, ignaro dei suoi pensieri. Vedendo che non si spostava di un millimetro per farlo passare, aggrottò le sopracciglia. “Ti dispiace?”
Non avendo di nuovo risposta, finalmente capì. Non aveva detto che era intelligente?
“Albus deve avertelo detto, mh?” Interloquì pacato, mentre un sorriso si formava sulle belle labbra piene. Un sorriso cattivo, che normalmente avrebbe suscitato la sua stima. “Alla fine a quanto pare sono riuscito ad avere quel bacio.”

… E Tom non ebbe neanche la chiara percezione di cosa stesse facendo.
Se ne accorse troppo tardi, quando vide il suo pugno sbattere con violenza sul naso aristocratico dell’altro ragazzo.
Sentì lo schiocco di un osso fratturato, un discreto dolore e poi l’adrenalina gli esplose nelle vene.
Quella voce nella sua testa sembrava oltraggiata. Comprensibile. Stava facendo a botte con Zabini in mezzo ad un corridoio come un qualsiasi adolescente cretino.
 
Al stavolta aveva pianto sul serio. Era solo, Tom non sarebbe tornato e si sentiva l’imbecille più imbecille dell’intero mondo magico.
A ben pensarci, anche di quello babbano…
Si era sciolto il lacrime perché si era reso conto che forse quel gesto, tanto pensato e masticato nella sua testa, agli occhi di Tom era sembrata una totale mancanza di rispetto.
Sono un imbecille.
Sentì bussare alla porta e scattò in piedi, asciugandosi le lacrime nella manica del maglione.
“Sarei entrato comunque, avverto.” Lo informò Loki Nott, aprendo la porta. Vedendo i suoi occhi gonfi e rossi, sorrise. “Stavi piangendo? Povero pulcino.”
“Ma va’ all’inferno. Cosa vuoi?” Sbottò cercando di ricordarsi la formula per l’incantesimo decongestionante che Rose usava dopo i suoi pianti migliori.

Un incantesimo da ragazze… Ho davvero toccato il fondo.
“Io, niente in particolare…” Replicò Nott guardandosi le unghie con un interesse del tutto falso. “Però forse ti interesserebbe sapere che Tommy-boy e Mastro Zabini si stanno ammazzando nel corridoio dei ragazzi del Terzo.”
Cosa? Ma è senza bacchetta!” Non era possibile. Tom non era così preciso negli incantesimi senza di essa. Non li avrebbe mai usati in un posto così stretto col rischio di farseli rimbalzare contro.  

Il luccichio divertito negli occhi bicolori di Loki si palesò in tutto il suo splendore.
“Appunto. Stanno facendo a pugni.” Gli squadernò un ghigno estasiato. “Ora se non ti dispiace, vado. Vorrei essere il primo a piazzare le scommesse.”
Al era troppo incredulo per chiedere ulteriori delucidazioni, e lo seguì senza una parola.
Nel corridoio dei ragazzi del Terzo si era formato un ingorgo: un sacco di ragazzi sentendo i rumori erano usciti dalle proprie stanze. Vide anche qualcuno non di quell’anno, e persino qualche ragazza.
Merlino benedetto, devono averli sentiti dalla Sala Comune!
Riuscì a farsi largo tra la piccola folla, e fu davvero grato alla sua spilla di Caposcuola per questo.
Arrivò in prima fila e quando li vide, non seppe se arrabbiarsi o rimanere a fissarli incredulo.
Tom odiava la colluttazione fisica con una tenacia che aveva quasi del pacifismo, se solo non fosse stato di fattura facile; da che lo conosceva non aveva mai usato le mani, nemmeno nei suoi momenti peggiori.
Per questo era inconcepibile che si stesse rotolando nel pavimento con Zabini, che aveva perso del tutto la sua aria composta in favore di un piglio da rissaiolo da pub.
Ovviamente Tom stava avendo la peggio: Michel era uno sportivo, il capitano della loro squadra di Quidditch mentre l’altro era il secchione della Casa. Nonostante questo, Mike aveva il naso grondante sangue e un occhio nero, segno che qualche colpo di Tom Oltre Ogni Previsione era andato comunque a segno.
Gli altri ragazzi invece di fermali li stavano incitando, come norme tra gentiluomini serpeverde prevedevano.
“Spettacolo poco edificante, nevvero dolce Al?” Gli disse all’orecchio Nott, la Coscienza Sporca di tutti loro. “Tu su chi scommetti?”
Doveva farli smettere. Ricordandosi di come Rose avesse fermato la lite scherzosa tra suo fratello e Malfoy, tirò fuori la bacchetta.
Aguamenti!
Uno scroscio d’acqua gelida investì i due litiganti che con smorfie gemelle e imprecazioni si bloccarono, voltando lo sguardo su di lui.

Come fanno certe ragazze a voler essere contese? Lily lo troverà pure divertente, ma io lo trovo agghiacciante.
“Finitela subito prima che chiami il Direttore!” Proclamò, riparandosi dietro la sua spilla. “State dando un’immagine ridicola ed umiliante della nostra Casa agli studenti più giovani!”
Tom non disse nulla, ma ad Al fu ben chiaro dove pensava potesse infilarsi la sua autorità di Caposcuola.

Michel non sembrava poi molto lontano da quel pensiero.
“Al, non ho iniziato io!” Sbottò furioso, lanciando un’occhiata linciante a Tom, che ricambiò di buona misura.
“Non mi interessa! Che diavolo vi è preso?!”
Non avendo risposta, si chinò ed afferrò per un braccio il proprio ragazzo. “Tu vieni con me, e Mike… vattene in camera tua. Per favore.” Lo pregò vedendo un accenno di protesta fiorirgli sulle labbra. “Loki, assicurati che ci rimanga.” Ordinò poi perentorio.
Non aspettò risposta e si fece largo tra gli altri serpeverde, mentre Tom si lasciava trascinare via insolitamente docile.
Quando furono finalmente in stanza, capì il perché di quell’improvvisa mansuetudine: il cretino era pesto da far pietà e si reggeva in piedi per un purissimo capriccio d’orgoglio, specialmente da come si teneva un fianco.
“Stai bene?” Si accorse che la domanda era idiota non appena l’altro lo fulminò con lo sguardo.
“Avrei dovuto prendere la bacchetta.” Disse soltanto, malmostoso.
“Così vi sareste ammazzati sul serio? Perlomeno nessuno di voi due sa fare a pugni…”
“Non direi, Zabini è singolarmente prono alle manifestazioni di violenza babbane per essere un purosangue.” Borbottò lasciandosi cadere sulla poltrona accanto al fuoco con una smorfia. Si toccò l’angolo delle labbra. “… Mi ha picchiato.” Scandì lentamente, come se fosse l’offesa peggiore che fosse mai stata fatta alla sua persona.

“Vi siete picchiati.” Lo corresse, non riuscendo a trattenere un sorriso intenerito alla sua aria inequivocabilmente imbronciata.
Lo ammetteva: aveva avuto paura quando Nott l’aveva chiamato. Negli ultimi tempi il suo ragazzo era stato fin troppo pronto ad essere inquietantemente minaccioso.
Invece era finita tutta in una rissa stupida, degna di grifondoro tonto.
Un sollievo…
Si avvicinò, con la bacchetta in pugno e Tom si ritrasse di istinto, guardandolo con sospetto. “Non fare lo scemo, voglio medicarti… o preferisci andare in infermeria?”
“Non voglio andare in infermeria.” Convenne con una smorfia. Si lasciò disinfettare docilmente il taglio al labbro e i vari lividi che gli stavano fiorendo sul viso, anche se non smetteva di guardarlo male.

“Senti…” Iniziò Al. “So che…”
“Gli ho rotto la bacchetta.” Lo fermò mentre un sorrisetto torvo gli fioriva sulle labbra. “Spaccata in due, a quanto ho potuto vedere.”
Tom!
“Se lo meritava.” Tagliò corto, mentre si lasciava sfilare il maglione dalla testa. Al lo sentì soffocare un gemito, ma non infierì, specie quando gli slacciò la camicia e vide come erano ridotte le sue costole.

Okay. Mike sa come comportarsi in una rissa. Scommetto c’entra quel pazzo di Malfoy.
“Dovrai farti vedere da Poppy, hai delle contusioni abbastanza…”
“Non vuoi diventare un guaritore?” Lo apostrofò. “Allora occupatene tu, visto che è colpa tua.”
“Colpa mia? Non ti ho certo ordinato di andare a fare a botte con Michel!”
“Mi ci hai costretto.” Sibilò a denti stretti. Si guardarono per qualche istante, poi Al capì che qualcuno doveva capitolare. Lui. Quindi non ribatté.

Non gli chiedo certo scusa. Questo proprio no.
Passò la punta della bacchetta lungo le costole maltrattate, mormorando la formula che gli permetteva di capire lo stato delle suddette. La pelle in corrispondenza diventò di un blu tenue.
“Non sono rotte per fortuna…”
“Sì, ma adesso ho la pelle blu.” Gemette Tom guardandolo incredulo. “Cosa…”
“Non lamentarti, il colore andrà via tra qualche minuto. Se eri rosso sì che avresti dovuto preoccuparti, significa che c’era il rischio di perforazione di qualche organo vitale.” Fece per riabbottonargli la camicia, ma Tom mise una mano sulla sua, bloccandolo.

“Sono ancora arrabbiato.” Gli comunicò. “Vorrei ancora ammazzarlo.”
Forse avrei dovuto specificare, quella volta al faro, che non mi deve proprio comunicare tutto ciò che gli passa per la testa…
“Sì… beh.” Replicò piano di rimando, lasciando la mano dove stava, poco sopra al cuore. “Non volevo ferirti, non era questo la mia intenzione quando ho parlato con Mike.”
“Lo so.” Tom fece un lungo sospiro. “Capisco perché l’hai fatto, anche se avrei voluto che prima me lo dicessi.”
“Non l’avevo programmato!”
“So anche questo…” Gli strinse la mano, premendosela sul petto. “… come so che Michel sarebbe sicuramente un compagno migliore di quanto potrò mai esserlo io.”

Ci fu un lungo silenzio, interrotto solo dagli scoppi dei ciocchi che ardevano nel camino. Se lo meritava, ma Al non aveva voglia di tenere sulla corda Tom, specie con quell’espressione disarmata, bisognosa.
“Non voglio qualcuno migliore di te, voglio te. Quante volte dovrò ripetertelo?”  

Quel poco di rabbia che rimaneva ancora saldamente ancorata nel cuore di Tom si sciolse, perdendosi da qualche parte. Glielo lesse negli occhi. E nel sorriso. “Anche se, certo, avrei preferito che non gli rompessi la bacchetta. È stato davvero una mossa da carogna quella…”
Tom sbuffò qualcosa di incomprensibile. “… ci sono caduto sopra, non l’ho fatto apposta in realtà.”
Al non poté fare a meno di ridacchiare, mentre gli baciava le labbra offese, sottili e fredde.

Quelle erano le labbra che avrebbe baciato per il resto della sua vita.
“È ufficiale. Fai veramente schifo nelle risse, mio caro.”
“Sì.” Ammise, ignorando il sicuro dolore a molte parti del suo corpo, per attirarlo sulle sue ginocchia. “… preferisco infatti un altro genere di colluttazioni. Che coinvolgono te.”
“Non si chiamano colluttazioni, maniaco.”
“Curami, guaritore. E ne riparliamo.”



****
 
Germania del Nord. Notte.
 
Le fiamme si attorcigliavano in volute arancioni, spruzzando lapilli e cenere che cadevano come piccole valanghe sui ciocchi arroventati.
Alberich Von Hohenheim attendeva. Spostava i ciocchi con brevi colpi dell’attizzatoio, abbeverandosi di quelle braci luminose.
Sentì la porta aprirsi e uno dei suoi servitori annunciò l’arrivo del Corriere. Rimpiangeva la mancanza di Johannes; parlava troppo, ma era leale solo a lui, a differenza dei nuovi Corrieri che gli portavano le notizie, devoti alla Thule in quanto organismo.
“Lode alla Thule.” Recitò infatti quello compitamente. “Mio Signore…” Disse inchinandosi. “Non porto buone notizie, temo.”
“Parla.”
“Hogwarts non è penetrabile, in nessun modo. Stavolta il Ministero britannico non ha lasciato nulla di intentato. È impossibile entrare senza far saltare la propria copertura.”
“Capisco.”
Lo aveva immaginato. Solo Sören era riuscito a varcare i cancelli della scuola, ma perché giovane: non si aspettavano che l’Organizzazione avesse dei ragazzini tra gli adepti.

Stese le labbra in un lieve sorriso, beandosi del calore che arroventava l’attizzatoio.
“Come ha intenzione di procedere?”
“Hai detto che ad Hogwarts nessuno può entrare…”
“Nessuno di vivo, Mio Signore, perlomeno.”
Hohenheim scostò un ciocco, facendolo crollare tra una colata di lapilli. E sorrise di nuovo.

“Allora basta che non lo siano.”
 
 
****
 
 
Note:
Un po’ di teen-drama. Ma almeno le cose trai serpentelli si sono in qualche modo messe a posto.
Qui la canzone.
  
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