Un
amico
Mancava poco all’inizio delle vacanze estive. La prospettiva
di poter passare giornate intere con Alice senza dovermi preoccupare
dell’orario mi mandava su di giri. Il desiderio di
libertà e spensieratezza ardeva nella mia anima, ogni giorno
più intensamente.
<< Potremmo andare a Las Vegas! Dico io, due
settimane… Non è poi così tanto!
>>
<< Alice, abbiamo quattordici anni. Come puoi pensare che
i nostri genitori ci lascino andare da sole a Las Vegas?
>>, replicai, alzando gli occhi al cielo.
<< Tutto è possibile >>, se ne
uscì annuendo con passione a sé stessa.
<< Non in questo caso. Dico io…
>>, esordii imitandola, << Las Vegas
è Las Vegas:
casinò, night club, droga che gira come l’acqua
nel mare, gente che si sposa dopo due ore di conversazione…
Non è un gioco. >>
<< Lo so! E’ proprio questo il bello!
>>, trillò battendo le mani, uno spettacolare
sorriso d’argento comparsole sulle labbra ad accenderle lo
sguardo.
Sospirai, esasperata. << Va bene sognare, ma fino ad un
certo punto. >>
<< Chiedere non costa nulla, oggi ne parlo coi miei.
>>
<< Va bene >>, approvai per metterla a
tacere.
<< Ci vediamo domani, ciao bella donna! >>,
Alice mi baciò sulla guancia e si avviò verso la
macchina del padre. Attesi l’arrivo di mia sorella in
compagnia della mia amata musica, lasciandomi trasportare in una
dimensione parallela.
Bella donna. Ma dove? Mi
piacerebbe…
Quasi ogni volta che Alice mi salutava abitudinariamente con quelle
parole, mi soffermavo a pensare. Ero in una fase di vita nella quale
guardarmi allo specchio costituiva un grosso sacrificio, per cui la
minima allusione al sostantivo “bellezza” mi
metteva di cattivo umore.
Una ford rosso fiammante sbucò nel parcheggio della scuola.
Raddrizzai le bretelle dello zaino e m’incamminai verso
l’auto.
Tanya guardava oltre il parabrezza, canticchiando allegramente fra
sé e sé. Biondissima, abbronzantissima,
bellissima. Il mio contrario. Aprii la portiera salutandola con uno
stanco “ciao”.
<< Stanca? >>
<< Abbastanza. >>
<< Che sfigati questi qui. >>
Puntai gli occhi sull’oggetto dell’attenzione di
mia sorella. << Perché? >>
<< Guarda come ridono… >>
<< Tu ridevi così alla loro età?
>>, la stuzzicai, fissando i tre ragazzi che
schiamazzavano nel parcheggio, tra urla e versi.
<< Non c’è dubbio. >>
Abbozzai un sorriso e mi misi comoda, intenzionata ad appisolarmi sotto
le note di Claire de Lune durante il viaggio in macchina.
<< Bella?… Bella?? Oh, mi senti?
>>
Riaprii gli occhi accorgendomi che eravamo partiti e mancava poco per
arrivare a casa. Tolsi le cuffie dalle orecchie, annuendo.
<< Oggi io e Jasper andiamo a pescare, vuoi venire con
noi? >>
Jasper era il ragazzo di mia sorella, un tipo riservato e onesto. Lo
consideravo un fratello, e lo ammiravo per il coraggio e la pazienza
che riponeva nel stare assieme a quel peperino di Tanya.
Dopo qualche minuto di riflessione, decisi per un sì.
<< Va bene, non ho nulla da fare oggi. >>
Quando si presentavano delle rare giornate di sole, ne approfittavamo
per stare all’aria aperta.
Spesso mi sentivo un peso in mezzo a Tanya e Jasper; ormai non ero
più una bambina, stavo crescendo, e uscire con loro
m’imbarazzava al pensiero di ciò che i loro amici
avrebbero potuto pensare di me. Eppure Tanya m’invitava quasi
tutte le volte che lei e Jasper andavano da qualche parte, ed entrambi
mi ripetevano che la mia compagnia faceva loro piacere.
“Jasper si piazza a sedere con la canna da pesca in mano e
non apre bocca. Mi lasci andare da sola?”
“Se ci sei tu quando litighiamo almeno posso parlare con
te”.
Queste erano le frasi che utilizzavano più spesso per
persuadermi; la prima lei, la seconda lui.
<< Andremo con la macchina di Jazz. >>
<< Certo. >>
Mi adattavo a tutto quando ero con loro due, per il timore di creare
loro problemi.
Io e Tanya schizzammo ad infilarci il costume da bagno e a preparare la
borsa con l’occorrente non appena giunte a casa. Jasper ci
passò a prendere puntuale, gli occhi calmi e il sorriso
tenero di sempre ad accoglierci.
Mi rilassai ascoltando i suoi racconti, finché Tanya non lo
interruppe: << Spero che sia pronto. >>
Pronto cosa?
Jasper ridacchiò, imboccando la strada che portava a
Seattle.
<< Scusate, ma non stiamo andando a pescare?
>>
<< Sì, ma prima dobbiamo fermarci a prendere
un amico. >>
Oh no… Chi è l’intruso?, pensai,
allarmandomi. Ero dannatamente timida, e tutto ciò per il
quale non venivo informata in anticipo – così da
potermi preparare psicologicamente ad affrontarlo – mi
sconvolgeva nel profondo. “Ecco
perché Tanya mi ha chiesto di venire!, non voleva rimanere
sola mentre Jasper pescava col suo amico…”
<< Okay. >> Deglutii.
<< Nessun problema, vero Bella? >>,
domandò Jasper premurosamente.
<< No no! >>
Stai calma, magari
è un ragazzo timido quanto te. Aspetta…
Impossibile.
Mi accucciai sul sedile, il cuore che palpitava forsennatamente nel
petto. Avevo una strana sensazione. Di solito le mie sensazioni erano
esatte.
Giungemmo a Seattle quando la mia curiosità minacciava
oramai di farmi esplodere in una raffica di domande. Jasper
rallentò in un viale e si fermò di fronte ad un
appartamento dai colori un po’ tristi.
Nessuno dei tre parlava.
<< Quello scemo, ci farà arrivare quando il
sole sarà sparito. >>
Ridacchiai silenziosamente, mia sorella era sempre la solita.
Aspettammo qualche minuto, minuto nel quale la mia sensazione crebbe
come un fico maturo nel mio petto.
<< Edward, ciao, sono io, Jasper. Quanto ti manca?
>>
Edward.
Edward.
Benissimo. Okay.
Perfetto.
Una scossa mi attraversò in due.
“No, non può essere quell’… Edward.”
“… Edward!”
Merda.
Avrei voluto scendere immediatamente dalla macchina, dire “Io
vado a casa” e ci sarei tranquillamente andata a piedi, ma
non lo feci.
<< Ah, stai scendendo adesso, va bene…
>>
Adesso.
<<… muoviti e non cadere dalle
scale! >>
La voce di Jasper che parlava al cellulare giunse distrattamente alle mie orecchie. Ero rigida
come un paletto di cemento conficcato nella terra, uno spiacevole
formicolio mi solleticava tutta, caldo e stuzzicante nello stomaco.
<< Eccolo. Meno male… >>,
sospirò Tanya.
E alzai lo sguardo, per vedere oltre il finestrino. La prima cosa che
vidi, furono due stampelle e un paio di pantaloni della tuta neri, poi
le mani che reggevano le stampelle, due braccia, l’intero
corpo del ragazzo appena uscito dal portone, infine il profilo del suo
viso.
Una scintilla divampò dal basso ventre e mi risalì
fulminea lungo la gola. Deglutii pesantemente, come se avessi dovuto inghiottire del
cemento.
Nel magnetismo di quel viso, radioso, sorridente, riconobbi emozioni
che una sola volta avevo provato in tutta la mia vita. Edward teneva
gli occhi bassi, attento a dove metteva i piedi, procedendo disinvolto
e rapido sulle stampelle; aveva l’aria di uno che ci aveva
fatto l’abitudine.
<< Io monto dietro. >>
“Tanya,
grazie. Grazie.”
*
Spazio
dell’autrice:
ehm ehm… scusate il ritardo. Come
giustificarmi? E’ che all’improvviso
l’entusiasmo per questa storia, com’è
venuto, se n’è andato, non so perché.
E’ tornato solo oggi, così ho deciso di postare il
primo capitolo. Noioso direte, ma è così che deve
andare questa storia: lentamente. Se avete pazienza, potrete continuare
a leggere, altrimenti… mmmh! :D
Forse dico troppo, ma credo che un giorno scriverò questa
storia per farne un libro, ovviamente restituendo ai protagonisti il
loro vero volto. Twilight li ha solo sostituiti ;)
Sono indecisa se continuarla o meno, forse non dovrei farla conoscere
su un sito pubblico se voglio farne un libro, ma ho bisogno di
scriverla adesso, ora che me la sento dentro; inoltre sono troppo
abituata a “scrivere per condividere” e incapace di
lasciare una storia dimenticata nell’archivio di Word: questi
i tre motivi per cui ho deciso di pubblicarla.
Potrei pentirmene, e sospendere la stesura. Dipende tutto da come mi
sentirò, ma soprattutto, da ciò che mi direte
voi. Non è una minaccia, una tattica per spingervi a
recensire questa; più che altro è una
puntualizzazione che ci tenevo a fornirvi.
Ringrazio le quattro ragazze che hanno recensito
il prologo e coloro che mi seguono. Un bacione.
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