Capitolo XXV
Boy,
you got to see what tomorrow brings
Girl, you've got to be what tomorrow needs
Sing it out, for every time that they want to
count you out
Use your voice every single time you open up
your mouth…
(Sing,
My Chemical Romance¹)
24 Novembre 2023
Hogwarts,
Torre di Grifondoro, Dormitorio maschile.
Sette
e mezzo di mattina.
Respirare.
Era tutto lì in
fondo.
Respirare probabilmente gli
avrebbe salvato la vita.
Scorpius Hyperion Malfoy
– sì,
tutto intero – se ne stava seduto sul suo letto, fissando con
insistenza le
tende che beccheggiavano leggermente alla brezza mattutina. Era una di
quelle
giornate dolorosamente terse, dove ci si poteva chiedere come fosse
possibile
che il cielo potesse essere così azzurro e così
pulito.
Era il giorno della Prima
Prova.
Era il giorno in cui avrebbe dimostrato al mondo, al suo
mondo, che meritava di essere acclamato; oppure, au
contraire, sarebbe stato solo uno di
quei coglioni che voleva cambiare le cose e finiva soltanto per essere
imbarazzante.
La divisa di Hogwarts gli
sembrava un’armatura e la sua bacchetta, abbandonata sul
letto accanto a lui,
una spada.
Cavolo, si sentiva un
dannato
cavaliere.
Ho
paura.
Era vero: aveva passato
l’intera notte con gli occhi sgranati sul soffitto ascoltando il
respiro dei suoi
compagni di stanza.
Aveva paura sì,
ma era una
paura buona: aveva preceduto le sue
prime partite come Capitano del Grifondoro e l’aveva portato
a calzare il
Cappello proclamando che gli sarebbe andato benissimo
vestire rosso-oro.
Può
finire di merda, ma può anche finire alla grande,
ragazzo mio.
Quella era la sua battaglia:
doveva combatterla da solo. Doveva dimostrare al mondo in cui viveva
che si
poteva andare oltre il passato di un cognome.
Una
cosa mica da niente…
Inspirò
lentamente ed espirò
con la stessa frequenza. Il piccolo Potter gliel’aveva
suggerito per calmare
l’agitazione.
Micro-medimago…
Sentì la porta
aprirsi e la
testa arruffata di James Potter fece capolino. Aveva uno di quei suoi
giubbotti
di pelle da cattivo ragazzo, ma anche sei o sette spille di
incoraggiamento
ancorate alla sciarpa di Grifondoro.
“Oh, ehi Potty.
Ma… sei
solo?” Gli chiese perplesso; si aspettava infatti di essere
letteralmente scortato dai compagni
di Casa fino al
campo da Quidditch, improvvisatosi arena.
“Direi di
sì.” Annuì James guardandosi
scherzosamente indietro, come a voler controllare. “Ho
mandato via tutti.
Qualcuno ho dovuto pure prenderlo a calci. Ragazzini del
Primo…” Fece una
smorfia esageratamente scocciata. “Sai, avevo
l’impressione che avresti
preferito vedere solo la mia bellissima faccia. Mi sbaglio?”
Scorpius sorrise: no, non sbagliava affatto. Non voleva nessun corteo
d’onore.
L’avrebbe soltanto agitato.
Sono
commosso dalla sua capacità di essere sensibile,
ogni tanto.
In quel momento non voleva
nemmeno Rose: aveva bisogno di concentrarsi su sé stesso.
E
non sul fatto che ci saranno i genitori di entrambi.
“Ehi Malfuretto.
Pronto?” Sogghignò
James, tenendogli aperta la porta mentre passava.
“Perché là fuori si comincia
a fare sul serio.”
Scorpius annuì,
senza trovare
battute di spirito adatte a stemperare l’atmosfera tesa. Non
che servisse: per
fortuna l’altro capiva benissimo come si sentiva.
Infilò la
bacchetta nei
passanti appositi della cintura. Si sfregò le mani,
sorridendo.
“Sicuro Poo.
Andiamo a far
mangiare la polvere a qualche straniero.”
****
Torre
di Grifondoro, Dormitorio delle ragazze del
Quinto.
Nove
di mattina.
Lily non avrebbe indossato
l’uniforme quel giorno.
Il perché era
semplice e se lo
ripeté mentre passava un’ombra di correttore
babbano sotto gli occhi per
nascondere le maledette occhiaie che l’affliggevano da quando
Sören aveva il
cattivo gusto di farla preoccupare a morte.
Siano
lodati i make-up artists babbani…
Nonostante un
pochino non se lo meritasse, avrebbe
tifato per lui: le sembrava dunque brutto esibire una coccarda coi
colori
Grifondoro quando avrebbe gridato il suo nome.
Il fatto era che
sì, Scorpius
era il Campione di Hogwarts, e lo trovava generalmente adorabile, ma
non era il
suo Campione.
Sorrise al ricordo di quando
l’aveva ufficialmente detto all’amico, non appena
questi era uscito
dall’infermeria. Era stata una fortuna trovarlo prima che lo
prendessero in
consegna quelli di Durmstrang.
“Quindi
sarai tu!”
“… Cosa esattamente?”
“Il
mio Campione! Tiferò per te!”
“Oh.”
Una pausa confusa. “Ah.” Era riuscita a
strappargli un sorriso, e considerando quanto ancora sembrava malconcio
era una
conquista niente male. “Grazie…”
“Non ringraziarmi, hai dei doveri, sai?”
Sören a quel punto l’aveva guardata attento.
“Quali?”
“Vincere,
prima di tutto.”
“È nelle mie intenzioni.” Aveva annuito,
con aria divertita. “Altro?”
“Certo! Devi indossare qualcosa di mio durante la
gara.”
Era
certa che Sören si stesse trattenendo dall’inarcare
un sopracciglio. Ma essendo troppo cavaliere dentro, si
era limitato ad un
sorriso. “Lilian, questo non è un torneo
d’arme come nelle vostre leggende
Arturiane… è una competizione tra
maghi.”
“Oh,
dai, fa’ il bravo e asseconda il mio complesso
della principessa!”
“Complesso?”
L’aveva guardata con improvvisa
preoccupazione. “È qualche genere di
malattia?”
Lily aveva fatto uno sforzo immane per non scoppiare a ridere: non
sarebbe
stato giusto, perché l’altro aveva
l’abitudine di prendere le cose alla lettera
ed era quindi estremamente serio.
“No,
no… è solo, sai, da bambina? Mi credevo una
principessa. È una cosa che fanno molte ragazze…
Un po’ come quando voi
maschietti giocate a fare Merlino?” Vedendo che non
l’altro coglieva, glissò.
“Lascia stare, è una cosa mia.
Guarda…” Aveva frugato nella cartella, estraendo
un nastro che usava spesso per legarsi i capelli d’estate:
era il suo preferito.
Avrebbe dovuto sembrare del tutto casuale lo avesse con sé.
O almeno, lo aveva sperato.
“È molto semplice. Questo uguale
portafortuna.”
“Come codice vuole, capisco…” Aveva
replicato, tirando su la manica
dell’uniforme e lasciando che glielo legasse al polso. Non
l’aveva guardata in
modo strano, né aveva chiesto delucidazioni in merito.
Sören sapeva qual’era il
codice. E lo trovava perfettamente sensato.
Lily
l’avrebbe baciato.
“Funzionerà,
fidati!” Aveva concluso, esibendo una
sicurezza che non era del tutto certa di provare. L’amico era
ancora
convalescente e sarebbe comunque
sceso nell’arena; sperava solo che il via
libera di Poppy non fosse stato condizionato dall’imminenza
del Torneo o dalle
pressioni di Durmstrang.
Anche se conoscendola,
è piuttosto
improbabile…
Sören
a quel punto le aveva preso la mano e, complice
forse il fatto fosse ancora palesemente strafatto di Bevanda della
Pace, gliel’aveva
baciata. Come un vero cavaliere.
“Ne
sono certo, principessa…”
Lily aveva avuto serissimi problemi a smettere di sorridere, persino
per le
successive due ore di lezione di Storia della Magia.
Si guardò allo
specchio che le
rimandò un riflesso alfine esteticamente accettabile. Prese
il giubbotto,
indossandolo; Gail e le altre compagne di stanza si erano
già precipitate a
prendere i posti migliori. Gli ospiti venuti da fuori li avevano
assegnati, ma
gli studenti no.
E
sia mai che un Finnigan prenda un posto da cui non si
ha una perfetta visuale panoramica.
Era un po’ in
ritardo, ma era
un ritardo elegante. Quindi andava
bene. Era quasi doveroso.
La realtà era che
se non
poteva andare nella tenda dei Campioni ad augurare in bocca al lupo a
Sören,
allora le sembrava inutile andare mezz’ora prima a fissare un
campo vuoto.
Sentì la porta
aprirsi alle
sue spalle, ma non se ne preoccupò. Probabilmente era Gail,
tornata a prendere
qualcosa.
Si spaventò solo
quando sentì
qualcuno afferrarla e metterle una mano sulla bocca. Vide con la coda
dell’occhio qualcosa di incredibilmente verde. Poi tutto
diventò buio e perse i
sensi.
****
Campo
di Quidditch.
Dieci
di mattina.
Rose quasi rimpiangeva i
problemi dell’anno prima.
Lucertoloni
e tutto il resto…
Sì,
perché a ben vedere quella
giornata era la più stressante di tutti i suoi diciassette
anni di vita.
Indossava l’uniforme preventivamente stirata dagli elfi della
scuola, la sua
spilla da Prefetto, lucidata con perizia, e come l’anno prima
era invischiata a
scortare genitori e parenti lungo gli spalti.
Ma
quest’anno c’è una bella dose di
angoscia formato
maxi in più per la sottoscritta…
Alzò lo sguardo
verso il cielo
dolorosamente terzo, punteggiato da qualche sbuffo di nuvola, troppo
sfilacciato
per non far classificare quella come una bella giornata.
Lo stadio di Quidditch era
stato approntato come un’arena trasfigurando le mura in
pietra e la porta
d’ingresso in un monumentale portone rinforzato con barriere
protettive.
Staccò
l’ennesimo biglietto
per una coppia di genitori con grosse sciarpe Corvonero. Sorrise loro e
gli
augurò meccanicamente una buona giornata.
Incrociò lo
sguardo di Albus
che, accanto a lei, cercava di decifrare il pessimo accento inglese di
un
gruppetto di magi-giornalisti francesi.
Il ragazzo le
restituì
un’occhiata piena di sfibrata comprensione, prima di scortare
dentro gli
addetti stampa.
Perlomeno
a me toccano madrelingua…
Mancava mezz’ora
alla Prima Prova
e Rose sentiva crescere un intenso bisogno di vomitare.
Era ufficialmente angosciata
per la sorte del proprio ragazzo, detto altresì lo stupidissimo Campione di Hogwarts.
Ma
non c’è solo questo…
L’intero perimetro
dell’Arena
era circondato dalle forze di Polizia Magica: fin lì poteva
essere pure
normale, considerando ciò che era successo l’anno
prima.
Era gli auror in borghese
per
cui aveva staccato i biglietti ad averla inquietata.
Aveva riconosciuto molti di
loro perché le feste del Dipartimento erano qualcosa che sin
da bambina non
aveva potuto evitare.
Perché
degli auror? Capisco i tiratori scelti, è loro
compito preoccuparsi per la sicurezza di questo genere di
eventi… ma… cosa
c’entra una task-force
specializzata in maghi oscuri?
Non aveva ancora avuto modo
di
confrontarsi con nessuno in merito. Al era troppo occupato nei suoi
compiti di
unico Caposcuola per poter fermarsi a fare due chiacchiere e il resto
del Clan
Potter-Weasley era già entrato.
Invece
Scorpius non l’ho proprio visto…
Guardò la matrice
dei
biglietti. Ne erano rimasti una decina.
Forse
adesso devo entrare?
“Rosie, ehi, qui
abbiamo
finito.” La apostrofò infatti Albus,
raggiungendola. Rose notò con divertimento
che aveva tentato di pettinarsi i capelli e aggiustarsi
l’uniforme ma
generalmente senza molto successo. Fece una smorfia quando
capì il senso del
discorso: non che non avesse voglia di riposarsi, era da tutta la
mattina che
stava lì, e i piedi le facevano male.
Ma
non voglio vedere Scorpius rischiare la vita,
maledizione.
“Mancano ancora
dei biglietti…
deve arrivare altra gente. Aspetto.” Controllò,
mentre gli altri tre prefetti
incaricati del suo stesso compito mollavano baracca e burattini per
fuggire
letteralmente dentro l’arena.
Al le lanciò
un’occhiata perplessa.
“Sì, beh… qualcuno non sarà
potuto
venire all’ultimo momento. Stanno per chiudere, non
c’è motivo per cui tu
rimanga qui.”
“Non ho visto Tom.” Gli comunicò,
perché era vero e perché sperava di distrarlo.
Al sibilò
un’imprecazione a
mezza bocca. “Quell’idiota! L’ho lasciato
in biblioteca dopo colazione, e
scommetto che è ancora lì!”
Bingo
…
Rose
annuì comprensiva. “Non
preoccuparti, resto io ad aspettarlo… tu va’
dentro, sei un Caposcuola, sarai
sicuramente richiesto.”
Al esitò, prima che uno dei prefetti di Tassorosso uscisse
dall’arena,
raggiungendoli. “Potter, ci sono dei ragazzi di Durmstrang
che si rifiutano di
sedersi accanto a quelli di Beaux-Batons, dicono che gli hanno fregato
il
posto!”
“Vai.” Ripeté Rose, dandogli un colpetto
sulla spalla. “Lo aspetto io. Se non
arriva, vengo a chiamarti.”
“Grazie.” Le sorrise sollevato, prima di seguire
l’altro ragazzo.
Rose ispirò,
guardandoli
andare via: non era solo una questione di gentilezza.
Sapeva di essere
l’unica a
poter mettere fine a quella situazione. Era lei a dover andare dai suoi
genitori, da suo padre e dirgli che
amava un Malfoy e che non se ne vergognava.
Sta
a me…
Eppure era paralizzata dalla
paura, esattamente come lo sarebbe stata di fronte ad un Basilisco.
Non riusciva ad affrontare
Ron
Weasley: si sentiva codarda, così codarda che non riusciva a
confidarsi neppure
con Albus.
Inspirò appena,
sforzandosi di
non ascoltare gli schiamazzi degli spettatori: Scorpius in quel momento
doveva
essere nella tenda dei Campioni a rilasciare l’intervista per
il Profeta.
Si concentrò
invece sul
guardare i Tiratori scelti che pattugliavano la cinta muraria per
tenere la
mente occupata.
“Il mio
biglietto.”
Quasi cacciò un grido quando si sentì
apostrofare, vicinissima all’orecchio. Si
voltò di scatto, e Tom era dietro di lei. Le tendeva la
mano, con una faccia
che mostrava fastidio per l’intero consesso umano, lei
compresa.
Idiota.
“Grazie
per avermi aspettato Rose, e aver fatto in modo che non venissi
chiuso fuori…” Borbottò a
denti stretti, cacciandoglielo in mano di mala
grazia.
“Sappiamo entrambi
che sei qui
perché non vuoi entrare.” Fu la risposta.
Lo guardò
meravigliata,
premurandosi comunque di rimanere sulla difensiva.
“Scusa?”
“Lo sai benissimo.” Ribatté.
“Comprensibile. Lì dentro ci sono le persone che
più ami al mondo, ma tra loro si detestano.” Forse
fu un’allucinazione dovuta
al poco sonno di quelle settimane, ma le sembrò che Tom si
sforzasse di empatizzare con lei.
Rose esitò,
scrutando i
lineamenti anodini del cugino acquisito. “Stai cercando di
essere gentile con
me?” La cosa le sembrava talmente assurda che si aspettava
che da un momento
all’altro qualcuno arrivasse con un cartello enorme con su
scritto ‘scherzo’.
Non successe, e questo la
sconvolse.
L’altro
scrollò le spalle. “Non
proprio. Piuttosto, si direbbe che cerco di esserlo con
Malfoy.” Non che
sembrasse affabile mentre lo diceva, ma del resto non lo sembrava mai.
“Quello
che sta facendo il tuo ragazzo è stupido, ma è da
ammirare.”
“Cosa, combattere prove mortali?”
“Dimostrare a tutti di che pasta è fatto. Stupido,
ma ammirevole, come ho
detto. Ha bisogno che tu sia lì, e non ci vuole un genio per
capirlo.”
Rose a quel punto non
riuscì a
ribattere.
Se
me lo dice persino lui…
allora è
proprio il caso che la pianti di farmela sotto.
Si infilò la
matrice dei
biglietti nelle tasche del mantello, seguendolo. Poi notò
che Tom si voltò a
guardarsi indietro. Due volte.
“Stai aspettando
qualcuno?”
Chiese perplessa.
“No.”
Rose lo guardò
con attenzione.
Teneva le mani infilate nelle tasche del cappotto; era un gesto che
faceva
spesso, ma la sinistra in quel momento stringeva qualcosa.
La
bacchetta. Perché stringe la bacchetta?
Gli
auror…
Rose ebbe quello che un
babbano avrebbe chiamato fulmine a ciel
sereno: un’idea improvvisa.
Gli
auror sono qui per proteggere lui?
“Sai
perché ci sono degli
auror in borghese?” Gli chiese, non per avere risposta, ma
per spiarne le
reazioni. Infatti lo vide serrare la mascella, con uno scatto secco e
quasi
sicuramente doloroso.
“Non sapevo
neanche ci
fossero…” Staccò le parole con
apparente disinteresse. “Sarà un protocollo di
sicurezza del Ministero. Vogliamo andare?”
“Certo…”
Per quanto fosse un bastardo
con la faccia di pietra, Rose lo realizzò in quel momento:
Thomas faceva schifo
a mentire.
****
Campo
di Quidditch, Tribuna d’onore.
Dieci
e un quarto.
“Ehi, hai visto
quel ragazzo?
Da quando i compagni di classe di mio figlio sono così
attraenti?”
“Oh, Merlino benedetto Nora, ma non vedi che è un
professore? È quel Lupin!”
“Mmh, ancora meglio allora! Non mi devo sentire in colpa a
fantasticare di
avercelo tra le lenzuola…”
Ted aveva un quieto terrore
delle madri single. Ne aveva avute attorno sin troppe l’anno
prima al binario
nove e tre quarti e per motivi che gli erano sfuggiti finché
James non gli aveva
rifilato una gomitata gelosa e gli aveva conseguentemente spiegato i fatti della vita – come li
aveva
chiamati lui.
A volte sapeva di essere un
po’ tardo. Non che fosse del tutto colpa sua:
finché era stato con Victoire le
donne non gli si erano avvicinate neanche per sbaglio.
Forse
era per via dell’aura veela?
Sorrise a denti stretti alle
due streghe, le cui occhiate sarebbero valse almeno un’accusa
di molestia
sessuale e salì gli spalti per arrivare in salvo da Harry e
famiglia.
“Ehi, Ted! Il tuo
posto è qui!”
Lo salutò l’uomo, inconsapevole del suo ruolo di
redivivo Salvatore. Ted lo
raggiunse, sorridendo a lui e a Ginny, mentre Hermione e Ron si
alzavano per
fargli posto. “Tutto bene? Sembri
spaventato…”
“No, io… sì. Tutto bene.”
Borbottò cercando di non arrossire, ma dall’aria
materna che gli fu scoccata da Ginny ed Hermione, capì di
aver fallito.
Come
al solito…
Fu felice però di
essere
accolto in quel modo: pensava non sarebbe più successo.
Ron gli affibbiò
una pacca
sulla spalla. Fu un po’ forzata, ma ne apprezzò
l’intenzione. “Allora, dici che
dobbiamo tifare per i francesi?” Gli chiese allegramente.
Ted scosse la testa.
“No,
credo che Scorpius si meriti tutti i nostri applausi.”
“Sono d’accordo…” Convenne
Harry con uno sguardo ammonitore. “Tifiamo Hogwarts.”
“Io non supporto un Malfoy.” Prima che qualcuno
potesse ribattere, continuò. “Beninteso,
non ho niente contro
il ragazzo, è una
questione di principio.”
“Santo Cielo, Ronald… Non ricominciare!”
Sospirò Hermione, la cui solita
crocchia, con cui Teddy aveva imparato a vederla fuori
dall’ambiente familiare,
era stata sostituita da una coda informale. Si trovò anche a
pensare che la
sciarpa di Grifondoro la facesse sembrare più giovane.
“E soprattutto non
davanti a Hugo e Rose.”
“Posso dire ciò che voglio di fronte ai ragazzi,
l’ho sempre fatto, non vedo
perché dovrei smettere!”
“Perché i nostri figli sono amici
di
Scorpius.” Tagliò corto la donna, con una
decisione che Teddy gli invidio,
accademicamente parlando.
“Inoltre i suoi
genitori sono
due file avanti a noi e credo stiano facendo finta di non
ascoltarci…” Soggiunse
Ginny tranquilla, dandogli una pacca sulla spalla.
Harry non espresse opinioni,
ma Ted lo vide guardare verso la nuca bionda di Lord Malfoy con aria
pensierosa.
Ron sbuffò
scocciato.
“Piuttosto, dove sono i ragazzi?”
“Negli spalti riservati agli studenti…
Laggiù.” Li indicò. “Al e
Rose sono
vicini alle delegazioni straniere.”
“Come se la sta cavando Albie come Caposcuola?” Si
informò Ginny e Teddy la
ringraziò mentalmente per aver glissato sull’altro
figlio. James era
sicuramente tra i grifondoro.
Probabilmente
a dirigere i cori … Speriamo si tenga la
maglietta addosso e non si sia dipinto il petto come mi ha accennato.
“È
bravo, sa farsi ascoltare.
Sta facendo un gran lavoro, specie considerando il fatto che
l’altro Caposcuola
ha abbandonato la carica un paio di settimane fa.”
“E chi
l’avrebbe mai detto…” Disse
Harry, con palese e paterno orgoglio. “Era il più
introverso dei nostri ragazzi
e adesso gli dà retta tutta la scuola!”
“Al non è mai stato introverso, Harry…
timido e riservato, questo sì. Certo,
non che un estroverso come te capisca certe
sfumature…” Lo canzonò Ginny.
Teddy si immerse in quegli
scambi di parole con piacere. Vivere ad Hogwarts era grandioso, gli era
mancata
la sua vecchia scuola e l’ambiente accademico in generale nei
suoi anni in
Provenza. Ma adesso, doveva ammetterlo, sentiva un po’ la
mancanza del mondo
reale.
Hogwarts
è un piccolo microcosmo, chiuso a tutto il
resto…
Harry si sporse verso di
lui,
approfittando del fatto che Ron e le due due donne avessero preso a
chiacchierare tra di loro. “Teddy,
ascolta…” L’espressione improvvisamente
seria del padrino gli fece capire che avrebbero parlato di cose ben
diverse dall’imminente
Prova. “Com’è andata coi
Patronus?”
“Meglio di quanto mi aspettassi…”
“Ma? C’è un ma, vero?”
Teddy sospirò massaggiandosi la rada barba che quel giorno
aveva dimenticato di
far scomparire. Gliel’aveva fatto notare quella mattina
James, baciandolo e
ritraendosi subito dopo. “… Sono ragazzi, Harry.
Se succedesse davvero quello
che pensi, non credo sarebbero in grado di produrli. Una cosa
è quando ci si
esercita in classe, un’altra…”
“Lo so.”
L’uomo annuì,
aggiustandosi gli occhiali con un gesto secco. “Ma preferisco
qualche sbuffo di
nebbia argentata al lasciarli disarmati.”
Teddy non ebbe cuore di dirgli che Tom era riuscito a produrre solo
quello,
nebbia argentata appunto. “Ci sono gli auror, ci sono i
Tiratori… e le
barriere. Non vedo come potrebbero entrare.”
“Neppure io. Ma abbiamo visto l’anno scorso come si
possa comunque trovare il
modo.”
Ted non replicò a
quel punto:
sperò che ciò che Harry gli aveva detto via
camino qualche giorno prima, dopo la lettera in cui gli chiedeva di insegnare i Patronus, fossero
probabilità, non certezze.
Come
possono dei Dissennatori entrare qui dentro?
Vide poi il padrino alzarsi
con un gran sorriso che cancellò l’espressione
precedente; stava sorridendo
alla professoressa McGrannit, e Teddy si affrettò con lui ad
aiutarla a salire
gli impervi scalini della postazione.
“So ancora usare
le mie gambe,
non è necessario.” Li rabbuffò
entrambi, sedendosi con assoluta dignità al suo
posto. Teddy capiva perché Harry fosse tornato
immediatamente di buon’umore a
vederla: i professori come la McGrannit, grazie al proprio carisma,
riuscivano
a far sembrare le situazioni più angosciose meno nere
semplicemente con la
propria presenza.
“Non ne dubito,
professoressa.
È un piacere rivederla.” Esclamò
infatti l’uomo. “Direi che è in forma se
non
avessi paura di dire banalità.”
“Le ha dette infatti.” Replicò la
strega, ma con un’ombra di sorriso ad
aleggiargli sulle labbra. Era il suo modo per apprezzare un
complimento.
“Signor Weasley, cos’è
quell’aria stupita?” Apostrofò Ron
inarcando le
sopracciglia. “Ha forse visto un fantasma?”
Harry trattenne una risatina, e così fece Teddy, mentre
l’interpellato
arrossiva come lo studente che doveva essere stato un tempo.
“No… io. Non
pensavo di vederla qui… insomma. A… sapevo che
era qui ad insegnare,
naturalmente, ma…”
“Non credeva possibile che alla mia età abbia
ancora diletto nell’assistere ad
una competizione?”
“No, io…”
“Ron è felice di vederla, professoressa, lo siamo
tutti.” Intervenne Hermione
con un sorriso affettuoso ed esasperato in egual misura verso il
marito. “Stavamo
giusto discutendo del Torneo.”
“Pronostici sulla vittoria?” Chiese Harry.
“Che ne pensa del nostro Campione?”
“Malfoy è un grifondoro.” Ron
tentò un’obiezione, ma fu immediatamente
stroncato da un’occhiata linciante della moglie.
“Una testa calda con una vera
predilezione nel cacciarsi nei guai. Ma sembra capire il valore dei
buoni consigli.
Più di quanto facesse l’ultimo Campione, in
effetti…” Soggiunse con un’occhiata
verso Harry, che ridacchiò.
“Ha perfettamente
ragione,
professoressa. Sarà un Campione molto più
giudizioso del sottoscritto.”
“No, questo non lo
credo.” Lo
fermò con una leggera scrollata di spalle.
“È dai tempi di Black che non vedevo
tanta voglia di rischiare il collo… Quel ragazzo ha il suo
sangue nelle vene.”
Fu stavolta il turno di
Teddy
di soffocare una risata, mentre il padrino assumeva un’aria
di puro shock.
“In che
senso?” Chiese
infatti.
La vecchia strega scosse
appena la testa. “Gira voce che Malfoy usi il suo tempo
libero per cavalcare
uno degli ippogrifi della scuola… cosa vietata in una decina
di regole di
Hogwarts e un paio del Ministero.” Fece una pausa, mentre
trai quattro
ex-alunni era piombato il silenzio. “Naturalmente
è solo una voce.”
“Un ippogrifo…” Mormorò Harry
incredulo. Si guardò con Ron e Teddy fu certo che
quello avesse definitivamente impressionato il lato malandrino
di entrambi.
****
Tenda
dei Campioni.
Pochi minuti dall’inizio della Prova.
Sören riteneva
tutto quel
teatrino una grandissima seccatura.
Ma doveva attenervicisi
scrupolosamente, perché il minimo comportamento dissonante
sarebbe stato
notato.
Lanciò un’occhiata alla Campionessa di Beaux-Batons,
una ragazza assolutamente
improbabile, mentre stordiva di chiacchiere il giornalista della
Gazzetta del
Profeta. Accanto a lei, il suo assistente, un piccoletto biondo e
dall’aria
eccitata sgomitava per avere la sua fetta d’attenzione.
Era normale, per quei
ragazzi il
Tremaghi era il centro di ogni interesse, ogni attenzione. La loro
grande
occasione.
Per lui, solo una copertura.
Si sentì dare una
pacca sulla
spalla. Si voltò di scatto, mettendo mano alla bacchetta. Si
rilassò quando
vide che era il concorrente di Hogwarts, quel Malfoy.
“Nervoso,
vedo…” Osservò
ironico. Era però pallido dietro la sua aria spavalda.
“… Disturbo qualche
riflessione?”
“Non preoccuparti.” Tagliò corto.
“Hai bisogno di qualcosa?”
“Volevo solo augurarti in bocca al lupo.” Gli tese
la mano. Esitò quando vide
che non coglieva. “… È tipo un augurio?
Vinca il migliore?”
“Ah…
altrettanto.” Annuì
imbarazzato, stringendogliela. I proverbi inglesi erano profondamente
contorti.
Avrebbe dovuto chiedere a Lily di insegnarglieli per evitare future
figuracce.
Lily…
Aveva fatto la cosa giusta.
Narcotizzarla era il metodo migliore per impedirle di venire alla
Prova.
Non
potevo schiantarla… non posso sapere in quanto
tempo si riprende da un incantesimo del genere. È soggettivo
per ogni persona.
E poi rischiavo di farle male.
Non era la cosa giusta, in
realtà. Era solo una cosa che aveva voluto
fare. Dalla realizzazione in infermieria, tenerla al sicuro era stato
un chiodo
fisso.
Non
credo di disattendere gli ordini di Hohenheim.
Dopotutto mi ha detto di conquistarmi la sua fiducia. Avvicinarla.
Assicurarmi
che rimanga incolume è un compito collaterale.
“Ehi, vi state
facendo virili
auguri ed io non ci sono? Maschi…”
Sbuffò la francese avvicinandosi e
interrompendo le sue riflessioni. Era più alta di lui di una
buona testa e
questo, anche se non l’avrebbe mai ammesso ad anima viva, lo
infastidiva da
morire.
“In bocca al lupo
anche a te,
Dom.” Replicò cordiale l’inglese,
dandole una pacca sulla spalla decisamente
troppo energica per essere rivolta ad una donna. Quella però
non fece una
piega.
Forse
non è una donna… Di certo, non ne ha i modi.
“Grazie raggio di
sole. Che
vinca il migliore, cioè la sottoscritta, perché
diciamocelo, io non sono di certo
il sesso debole.” Blaterò
senza senso. “Voi cosa pensate che ci faranno affrontare?
Ormai è inutile
tenere il segreto, ci siamo.”
Malfoy assunse un’aria meditabonda. “Beh, le tre
prove rispecchiano la triade
fegato, cuore e mente. Adesso ci toccherà dimostrarci
coraggiosi, quindi…
qualcosa di spaventoso?”
“Però,
che acume… e poi dicono
tutte quelle malignità su voi biondi…”
Sören non aveva voglia di ascoltare quei discorsi. Per lui le
speculazioni
erano inutili. Dentro quella tenda sapevano tutti che avrebbero dovuto
affrontare
qualche bestia potenzialmente mortale. E quello avrebbe fatto: sarebbe
uscito, l’avrebbe
sconfitta e…
…
e poi fingerò che i Dissennatori siano una sorpresa.
“Tais
toi Dominique, non parlare con gli altri Compioni!”
La riprese burbera la preside Maxime.
“Scusate ragazzi,
avete
sentito maman, non si fraternizza
con
il nemico!” Sghignazzò la ragazza, minimamente
turbata dall’aria irritata della
donna, mentre tornava dal suo lato della tenda.
Malfoy gli sorrise.
“Beh
Luzhin, che vinca il migliore allora!” Lo sguardo poi gli
cadde sul nastro di
Lily: se ne intravedeva il colore vivace, sotto la maglia di
Durmstrang, invece
color kaki. “… un portafortuna da una
ragazza?”
“Non sono affari
tuoi.” Gli
uscì dalle labbra prima che potesse fermarsi, e
arrossì di conseguenza. Ebbe il
distinto nitore che l’altro a quel punto avesse capito sin
troppo.
“La piccola Potter
è una mia
amica…” Commentò infatti.
“…ma sappiamo tutti che non tifa per me,
tranquillo.”
Detto questo, gli diede una pacca sulla spalla prima di allontanarsi.
Sören ebbe poco
tempo per
riflettere sulla frase, perché la tenda fu scostata, ed
entrò Poliakoff. Vide
con la coda dell’occhio il Direttore distanziarsi da loro,
quasi volesse
mettere distanza fisica da ogni probabile cospirazione. Era un
atteggiamento
stupido.
Ci
sei dentro anche tu, fino al collo, come Kirill,
come me…
“Sören.”
Kirill gli
toccò un braccio, rivolgendosi a
lui in russo. Era la loro lingua franca in caso dovessero comunicare
senza
farsi capire dagli altri. “È tutto
pronto.”
“Hai avuto difficoltà?”
Il ragazzo sbuffò. “Stai scherzando? Si aspettano
che qualcuno cerchi di
annullare le barriere magiche, non che venga indebolita la struttura
metallica
dell’Arena a mano. Tra
parentesi,
svitare tutti quei bulloni è stata una fatica
immane… Come fanno i babbani
senza bacchetta?”
“Ci sono abituati.” Osservò, irritato
dal fatto che l’altro ingigantisse le
cose. In quel momento tutto lo irritava, ma veramente, aveva solo
allentato un
paio di pannelli. Il
piano era semplice:
sotto gli spalti era completamente vuoto e nessuno aveva pensato di
mandare
agenti lì, come avrebbero fatto dei babbani. Per
l’altro doveva essere stato un
gioco da ragazzi sparire sotto le gradinate.
“Cerca di non dare
troppo
dettagli in presenza di altre persone…” Aggiunse
poi con un sibilo.
L’altro assunse
un’espressione
impacciata, prima di fare una seconda smorfia. “Ma se stanno
tutti confabulando
tra di loro? E poi in questa tenda gli unici che parlano russo siamo io
e te.”
“Le precauzioni
non sono mai
troppe.”
“Bozhe Moi, a volte sembri
un
vecchio…” Fece un sorrisetto. “Non vedo
l’ora di vedere le facce di questi
idioti… fargliela sotto il naso, ecco come si
chiama.”
Sören non rispose: Kirill era un ingenuo. Dopo
l’iniziale spavento alla notizia
che avrebbero chiamato in causa dei demoni, era stato trascinato
dall’entusiasmo della missione per conto
dell’Organizzazione. Quello che vedeva
era solo un modo di mettersi in luce presso Alberich Von Hohenheim.
Lui vedeva altro.
Vedeva i danni collaterali nello
sguinzagliare quei demoni, il rischio di essere in un posto in cui era
riunita
una grossa fetta di Polizia magica britannica, tra cui il Salvatore dei
Mondi.
Avrebbe avuto gli occhi di
tutti puntati addosso e avrebbe dovuto compiere il famoso delitto
perfetto.
Tutto
questo… e zio non si fida abbastanza di me per
dirmi perché diavolo abbiamo voluto portare i Dissennatori
qui.
A
Johannes l’avrebbe detto.
“Sören?”
La voce di Kirill, di
nuovo su sonorità teutoni, lo riportò alla
realtà. “Va tutto bene?”
“Sì.”
Confermò con un cenno
della testa. Avrebbe gestito quella situazione. Come sempre.
Zio
non mi avrebbe dato questo compito, se non avesse
pensato che sarei stato in grado di svolgerlo.
È
un test. Non devo sbagliare. Non è difficile.
Doveva solo obbedire.
Scorpius era decisamente
geloso del portafortuna del tedesco.
Scorpius si sentiva anche
discretamente terrorizzato, e in quel momento avrebbe davvero voluto
avere Rose
accanto a sé, invece del Preside Vitious che sembrava
persino più agitato di
lui.
O
Poo. Avrebbe cominciato a sparare cretinate e avrebbe
attaccato briga con qualcuno… perlomeno mi avrebbe distratto.
In quel momento gli
sarebbero
andati bene anche i suoi genitori.
E
visto che non ho più dieci anni questo la dice
lunga…
Lanciò
un’occhiata a
Dominique, l’unica persona più o meno carina con
lui in quel consesso
traspirante competitività.
“Pronto
biondino?” Lo
apostrofò avvicinandosi, ignorando le occhiatacce della
propria Preside. “Sta
per arrivare mio zio Percy. Tra poco sapremo contro chi dovremmo
giocare …”
“Non vedo l’ora…”
Notò un luccichio al lato della testa della ragazza.
Divertito capì che aveva rimesso i piercing, in barba alle
norme di sicurezza.
“Non sono un po’ vistosi per affrontare qualcosa
che potrebbe strapparti le
orecchie?”
“Ho sentito che parlavi di portafortuna con Mister Sorriso,
là…” Indicò con un
cenno della testa Luzhin, che confabulava in una lingua forse slava con
il suo
Assistente. “… ed io ho i miei.”
“Non ti facevo
tipa da
orecchini di ametista viola²…”
“Orecchino.”
Precisò, sfiorando il
suddetto. “È un prestito tra l’altro. Se
alla fine della prova avrò un orecchio
in meno, saprò che non ha funzionato.” Rise poi,
facendolo ridere di rimando.
Scorpius quindi quasi non
notò
l’aereoplanino di carta che gli sfrecciò davanti.
Lo afferrò al volo,
approfittando del fatto che nessuno l’avesse notato, eccezion
fatta per
Dominique, che gli sorrise e si allontanò.
Un
biglietto?
Lo dispiegò,
dando le spalle
agli astanti. C’era due sole frasi, con inchiostro sbavato,
come se chi avesse
scritto l’avesse fatto di fretta, senza per giunta
appoggiarsi ad una superficie
liscia.
‘Andrai
alla grande, quindi fa un bel respiro e non preoccuparti.
Sono
fiera di te
(anche se vorrei prenderti a calci).’
Seguiva uno sgorbio
incomprensibile. Scorpius lo guardò meglio e
capì, prima di mettersi a ridere
da solo come un povero demente, attirandosi gli sguardi curiosi di
tutti
addosso.
Lo sgorbio in questione era
un
cactus. Per la precisione, il tentativo di un fiore
di cactus, in seguito cancellato da un ripensamento
imbarazzato.
Gli si spense il sorriso
quando vide entrare Percy Weasley, seguito dal Diretto del Dipartimento
Giochi
Magici e un paio di altri funzionari.
“Campioni,
prego… disponetevi
a semicerchio davanti a me, spiegherò le regole.”
Se l’uomo aveva qualche
problema con lui, non lo mostrò quando gli si mise di
fianco. “Dovrete
affrontare la creatura da voi scelta, come avrete già avuto
modo di capire.” Un
funzionario poi estrasse quelle che a Scorpius sembrarono piccole
bandiere,
terminanti con un uncino metallico.
“Dovremo conficcarle sulla nostra
creatura?” Esclamò Dom, che sembrava poco
contenta della cosa. Non lo era neanche lui.
Non
la prenderanno tanto bene, secondo me, ad essere
usate come un pollo allo spiedo…
“No. Agganciarla
ad un
moschettone, lo vedrete al collo della vostra creatura. Questo
sarà il vostro
compito. Meno tempo ci metterete, più punti otterrete. Ora,
pescate. Il primo
vuol essere lei Signor Malfoy?”
Scorpius annuì, cercando di dissimulare il nervosismo. Il
Basilisco, dunque,
era solo una delle tre possibilità che poteva capitargli.
Gli altri sapevano
quale altre possibilità c’erano? Avevano
già una creatura a cui puntare?
Infilò la mano
nel sacchetto,
e ne estrasse un cartiglio. Effettivamente essendo creature diverse,
una
miniatura delle stesse avrebbe potuto essere riconoscibile. Lo lesse.
“Basilisco Signor
Malfoy…”
Lesse con lui il direttore Weasley. “Creatura
notevole.”
“Già.” Masticò a mezza bocca,
tentando un sorriso: era un bene o un male?
Sapeva come neutralizzare i suoi attacchi, ma era pur sempre un
fottuto, enorme
serpente capace di uccidere a sguardo diretto.
Sono
stato fortunato o no, a beccare quello per cui mi
ero preparato?
Quando
a Luzhin toccò un’acromantula e
a Dominique una chimera realizzò che non c’era
vincitori né vinti. Vedendo le
espressioni dei due, specialmente.
Qua
siamo tutti democraticamente nella merda.
“Chi vuole essere
il primo?”
Chiese Weasley.
Luzhin fece un passo avanti,
senza quasi aspettare che finisse la frase. “Io,
signore.”
“Prego allora. Il pubblico sta aspettando.”
Quando il tedesco fu uscito,
Dom gli rivolse un sorriso che per la prima volta sembrò
davvero nervoso.
“Posso essere io
la seconda?”
“Come no, campionessa. Prima le donne …”
Sorrise di rimando, stringendo in
pugno la lettera di Rose. Se la sarebbe portata nell’arena.
Non
si butta via un portafortuna, giusto?
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Note:
Il capitolo, come avrete
capito, si articola in due parti. ;)
1.Qui
la canzone.
2.
Gli orecchini in questione .
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