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Autore: Dira_    04/03/2011    21 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Capitolo XXV
 


 
Boy, you got to see what tomorrow brings
Girl, you've got to be what tomorrow needs
Sing it out, for every time that they want to count you out
Use your voice every single time you open up your mouth…
(Sing, My Chemical Romance¹)
 
 
24 Novembre 2023
Hogwarts, Torre di Grifondoro, Dormitorio maschile.
Sette e mezzo di mattina.
 
Respirare.
Era tutto lì in fondo.
Respirare probabilmente gli avrebbe salvato la vita.
Scorpius Hyperion Malfoy – sì, tutto intero – se ne stava seduto sul suo letto, fissando con insistenza le tende che beccheggiavano leggermente alla brezza mattutina. Era una di quelle giornate dolorosamente terse, dove ci si poteva chiedere come fosse possibile che il cielo potesse essere così azzurro e così pulito.
Era il giorno della Prima Prova. Era il giorno in cui avrebbe dimostrato al mondo, al suo mondo, che meritava di essere acclamato; oppure, au contraire, sarebbe stato solo uno di quei coglioni che voleva cambiare le cose e finiva soltanto per essere imbarazzante.
La divisa di Hogwarts gli sembrava un’armatura e la sua bacchetta, abbandonata sul letto accanto a lui, una spada.
Cavolo, si sentiva un dannato cavaliere.
Ho paura.
Era vero: aveva passato l’intera notte con gli occhi sgranati sul soffitto ascoltando il respiro dei suoi compagni di stanza.   
Aveva paura sì, ma era una paura buona: aveva preceduto le sue prime partite come Capitano del Grifondoro e l’aveva portato a calzare il Cappello proclamando che gli sarebbe andato benissimo vestire rosso-oro.
Può finire di merda, ma può anche finire alla grande, ragazzo mio.
Quella era la sua battaglia: doveva combatterla da solo. Doveva dimostrare al mondo in cui viveva che si poteva andare oltre il passato di un cognome.
Una cosa mica da niente…
Inspirò lentamente ed espirò con la stessa frequenza. Il piccolo Potter gliel’aveva suggerito per calmare l’agitazione.
Micro-medimago…
Sentì la porta aprirsi e la testa arruffata di James Potter fece capolino. Aveva uno di quei suoi giubbotti di pelle da cattivo ragazzo, ma anche sei o sette spille di incoraggiamento ancorate alla sciarpa di Grifondoro.
“Oh, ehi Potty. Ma… sei solo?” Gli chiese perplesso; si aspettava infatti di essere letteralmente scortato dai compagni di Casa fino al campo da Quidditch, improvvisatosi arena.
“Direi di sì.” Annuì James guardandosi scherzosamente indietro, come a voler controllare. “Ho mandato via tutti. Qualcuno ho dovuto pure prenderlo a calci. Ragazzini del Primo…” Fece una smorfia esageratamente scocciata. “Sai, avevo l’impressione che avresti preferito vedere solo la mia bellissima faccia. Mi sbaglio?”
Scorpius sorrise: no, non sbagliava affatto. Non voleva nessun corteo d’onore. L’avrebbe soltanto agitato.

Sono commosso dalla sua capacità di essere sensibile, ogni tanto.
In quel momento non voleva nemmeno Rose: aveva bisogno di concentrarsi su sé stesso.
E non sul fatto che ci saranno i genitori di entrambi.
“Ehi Malfuretto. Pronto?” Sogghignò James, tenendogli aperta la porta mentre passava. “Perché là fuori si comincia a fare sul serio.”
Scorpius annuì, senza trovare battute di spirito adatte a stemperare l’atmosfera tesa. Non che servisse: per fortuna l’altro capiva benissimo come si sentiva.
Infilò la bacchetta nei passanti appositi della cintura. Si sfregò le mani, sorridendo.
“Sicuro Poo. Andiamo a far mangiare la polvere a qualche straniero.”
 
****
 
Torre di Grifondoro, Dormitorio delle ragazze del Quinto.
Nove di mattina.
 
Lily non avrebbe indossato l’uniforme quel giorno.
Il perché era semplice e se lo ripeté mentre passava un’ombra di correttore babbano sotto gli occhi per nascondere le maledette occhiaie che l’affliggevano da quando Sören aveva il cattivo gusto di farla preoccupare a morte.
Siano lodati i make-up artists babbani…
Nonostante un pochino non se lo meritasse, avrebbe tifato per lui: le sembrava dunque brutto esibire una coccarda coi colori Grifondoro quando avrebbe gridato il suo nome.  
Il fatto era che sì, Scorpius era il Campione di Hogwarts, e lo trovava generalmente adorabile, ma non era il suo Campione.
Sorrise al ricordo di quando l’aveva ufficialmente detto all’amico, non appena questi era uscito dall’infermeria. Era stata una fortuna trovarlo prima che lo prendessero in consegna quelli di Durmstrang.
 
“Quindi sarai tu!”
“… Cosa esattamente?”

“Il mio Campione! Tiferò per te!”
“Oh.” Una pausa confusa. “Ah.” Era riuscita a strappargli un sorriso, e considerando quanto ancora sembrava malconcio era una conquista niente male. “Grazie…”
“Non ringraziarmi, hai dei doveri, sai?”
Sören a quel punto l’aveva guardata attento. “Quali?”

“Vincere, prima di tutto.”
“È nelle mie intenzioni.” Aveva annuito, con aria divertita. “Altro?”
“Certo! Devi indossare qualcosa di mio durante la gara.”

Era certa che Sören si stesse trattenendo dall’inarcare un sopracciglio. Ma essendo troppo cavaliere dentro, si era limitato ad un sorriso. “Lilian, questo non è un torneo d’arme come nelle vostre leggende Arturiane… è una competizione tra maghi.”
“Oh, dai, fa’ il bravo e asseconda il mio complesso della principessa!”
“Complesso?” L’aveva guardata con improvvisa preoccupazione. “È qualche genere di malattia?”
Lily aveva fatto uno sforzo immane per non scoppiare a ridere: non sarebbe stato giusto, perché l’altro aveva l’abitudine di prendere le cose alla lettera ed era quindi estremamente serio.

“No, no… è solo, sai, da bambina? Mi credevo una principessa. È una cosa che fanno molte ragazze… Un po’ come quando voi maschietti giocate a fare Merlino?” Vedendo che non l’altro coglieva, glissò. “Lascia stare, è una cosa mia. Guarda…” Aveva frugato nella cartella, estraendo un nastro che usava spesso per legarsi i capelli d’estate: era il suo preferito. Avrebbe dovuto sembrare del tutto casuale lo avesse con sé. O almeno, lo aveva sperato. “È molto semplice. Questo uguale portafortuna.”
“Come codice vuole, capisco…” Aveva replicato, tirando su la manica dell’uniforme e lasciando che glielo legasse al polso. Non l’aveva guardata in modo strano, né aveva chiesto delucidazioni in merito. Sören sapeva qual’era il codice. E lo trovava perfettamente sensato.

Lily l’avrebbe baciato. 
“Funzionerà, fidati!” Aveva concluso, esibendo una sicurezza che non era del tutto certa di provare. L’amico era ancora convalescente e sarebbe comunque sceso nell’arena; sperava solo che il via libera di Poppy non fosse stato condizionato dall’imminenza del Torneo o dalle pressioni di Durmstrang.
Anche se conoscendola, è piuttosto improbabile…
Sören a quel punto le aveva preso la mano e, complice forse il fatto fosse ancora palesemente strafatto di Bevanda della Pace, gliel’aveva baciata. Come un vero cavaliere.
“Ne sono certo, principessa…”
Lily aveva avuto serissimi problemi a smettere di sorridere, persino per le successive due ore di lezione di Storia della Magia.

 
Si guardò allo specchio che le rimandò un riflesso alfine esteticamente accettabile. Prese il giubbotto, indossandolo; Gail e le altre compagne di stanza si erano già precipitate a prendere i posti migliori. Gli ospiti venuti da fuori li avevano assegnati, ma gli studenti no.
E sia mai che un Finnigan prenda un posto da cui non si ha una perfetta visuale panoramica.
Era un po’ in ritardo, ma era un ritardo elegante. Quindi andava bene. Era quasi doveroso.
La realtà era che se non poteva andare nella tenda dei Campioni ad augurare in bocca al lupo a Sören, allora le sembrava inutile andare mezz’ora prima a fissare un campo vuoto.
Sentì la porta aprirsi alle sue spalle, ma non se ne preoccupò. Probabilmente era Gail, tornata a prendere qualcosa.
Si spaventò solo quando sentì qualcuno afferrarla e metterle una mano sulla bocca. Vide con la coda dell’occhio qualcosa di incredibilmente verde. Poi tutto diventò buio e perse i sensi.
 
****
 
Campo di Quidditch.
Dieci di mattina.
 
Rose quasi rimpiangeva i problemi dell’anno prima.
Lucertoloni e tutto il resto…
Sì, perché a ben vedere quella giornata era la più stressante di tutti i suoi diciassette anni di vita.
Indossava l’uniforme preventivamente stirata dagli elfi della scuola, la sua spilla da Prefetto, lucidata con perizia, e come l’anno prima era invischiata a scortare genitori e parenti lungo gli spalti.

Ma quest’anno c’è una bella dose di angoscia formato maxi in più per la sottoscritta…
Alzò lo sguardo verso il cielo dolorosamente terzo, punteggiato da qualche sbuffo di nuvola, troppo sfilacciato per non far classificare quella come una bella giornata.
Lo stadio di Quidditch era stato approntato come un’arena trasfigurando le mura in pietra e la porta d’ingresso in un monumentale portone rinforzato con barriere protettive.
Staccò l’ennesimo biglietto per una coppia di genitori con grosse sciarpe Corvonero. Sorrise loro e gli augurò meccanicamente una buona giornata.
Incrociò lo sguardo di Albus che, accanto a lei, cercava di decifrare il pessimo accento inglese di un gruppetto di magi-giornalisti francesi.
Il ragazzo le restituì un’occhiata piena di sfibrata comprensione, prima di scortare dentro gli addetti stampa.  
Perlomeno a me toccano madrelingua…
Mancava mezz’ora alla Prima Prova e Rose sentiva crescere un intenso bisogno di vomitare.
Era ufficialmente angosciata per la sorte del proprio ragazzo, detto altresì lo stupidissimo Campione di Hogwarts.
Ma non c’è solo questo…
L’intero perimetro dell’Arena era circondato dalle forze di Polizia Magica: fin lì poteva essere pure normale, considerando ciò che era successo l’anno prima.
Era gli auror in borghese per cui aveva staccato i biglietti ad averla inquietata.
Aveva riconosciuto molti di loro perché le feste del Dipartimento erano qualcosa che sin da bambina non aveva potuto evitare.
Perché degli auror? Capisco i tiratori scelti, è loro compito preoccuparsi per la sicurezza di questo genere di eventi… ma… cosa c’entra una task-force specializzata in maghi oscuri?
Non aveva ancora avuto modo di confrontarsi con nessuno in merito. Al era troppo occupato nei suoi compiti di unico Caposcuola per poter fermarsi a fare due chiacchiere e il resto del Clan Potter-Weasley era già entrato.
Invece Scorpius non l’ho proprio visto…
Guardò la matrice dei biglietti. Ne erano rimasti una decina.
Forse adesso devo entrare?
“Rosie, ehi, qui abbiamo finito.” La apostrofò infatti Albus, raggiungendola. Rose notò con divertimento che aveva tentato di pettinarsi i capelli e aggiustarsi l’uniforme ma generalmente senza molto successo. Fece una smorfia quando capì il senso del discorso: non che non avesse voglia di riposarsi, era da tutta la mattina che stava lì, e i piedi le facevano male.
Ma non voglio vedere Scorpius rischiare la vita, maledizione.
“Mancano ancora dei biglietti… deve arrivare altra gente. Aspetto.” Controllò, mentre gli altri tre prefetti incaricati del suo stesso compito mollavano baracca e burattini per fuggire letteralmente dentro l’arena.
Al le lanciò un’occhiata  perplessa. “Sì, beh… qualcuno non sarà potuto venire all’ultimo momento. Stanno per chiudere, non c’è motivo per cui tu rimanga qui.”
“Non ho visto Tom.” Gli comunicò, perché era vero e perché sperava di distrarlo.

Al sibilò un’imprecazione a mezza bocca. “Quell’idiota! L’ho lasciato in biblioteca dopo colazione, e scommetto che è ancora lì!”
Bingo …
Rose annuì comprensiva. “Non preoccuparti, resto io ad aspettarlo… tu va’ dentro, sei un Caposcuola, sarai sicuramente richiesto.”
Al esitò, prima che uno dei prefetti di Tassorosso uscisse dall’arena, raggiungendoli. “Potter, ci sono dei ragazzi di Durmstrang che si rifiutano di sedersi accanto a quelli di Beaux-Batons, dicono che gli hanno fregato il posto!”
“Vai.” Ripeté Rose, dandogli un colpetto sulla spalla. “Lo aspetto io. Se non arriva, vengo a chiamarti.”
“Grazie.” Le sorrise sollevato, prima di seguire l’altro ragazzo.  

Rose ispirò, guardandoli andare via: non era solo una questione di gentilezza.
Sapeva di essere l’unica a poter mettere fine a quella situazione. Era lei a dover andare dai suoi genitori, da suo padre e dirgli che amava un Malfoy e che non se ne vergognava.
Sta a me…
Eppure era paralizzata dalla paura, esattamente come lo sarebbe stata di fronte ad un Basilisco.
Non riusciva ad affrontare Ron Weasley: si sentiva codarda, così codarda che non riusciva a confidarsi neppure con Albus.
Inspirò appena, sforzandosi di non ascoltare gli schiamazzi degli spettatori: Scorpius in quel momento doveva essere nella tenda dei Campioni a rilasciare l’intervista per il Profeta.
Si concentrò invece sul guardare i Tiratori scelti che pattugliavano la cinta muraria per tenere la mente occupata.
“Il mio biglietto.”
Quasi cacciò un grido quando si sentì apostrofare, vicinissima all’orecchio. Si voltò di scatto, e Tom era dietro di lei. Le tendeva la mano, con una faccia che mostrava fastidio per l’intero consesso umano, lei compresa.

Idiota.
Grazie per avermi aspettato Rose, e aver fatto in modo che non venissi chiuso fuori…” Borbottò a denti stretti, cacciandoglielo in mano di mala grazia.
“Sappiamo entrambi che sei qui perché non vuoi entrare.” Fu la risposta.
Lo guardò meravigliata, premurandosi comunque di rimanere sulla difensiva. “Scusa?”
“Lo sai benissimo.” Ribatté. “Comprensibile. Lì dentro ci sono le persone che più ami al mondo, ma tra loro si detestano.” Forse fu un’allucinazione dovuta al poco sonno di quelle settimane, ma le sembrò che Tom si sforzasse di empatizzare con lei.  

Rose esitò, scrutando i lineamenti anodini del cugino acquisito. “Stai cercando di essere gentile con me?” La cosa le sembrava talmente assurda che si aspettava che da un momento all’altro qualcuno arrivasse con un cartello enorme con su scritto ‘scherzo’.
Non successe, e questo la sconvolse.
L’altro scrollò le spalle. “Non proprio. Piuttosto, si direbbe che cerco di esserlo con Malfoy.” Non che sembrasse affabile mentre lo diceva, ma del resto non lo sembrava mai. “Quello che sta facendo il tuo ragazzo è stupido, ma è da ammirare.”
“Cosa, combattere prove mortali?”
“Dimostrare a tutti di che pasta è fatto. Stupido, ma ammirevole, come ho detto. Ha bisogno che tu sia lì, e non ci vuole un genio per capirlo.”

Rose a quel punto non riuscì a ribattere.
Se me lo dice persino lui… allora è proprio il caso che la pianti di farmela sotto.
Si infilò la matrice dei biglietti nelle tasche del mantello, seguendolo. Poi notò che Tom si voltò a guardarsi indietro. Due volte.
“Stai aspettando qualcuno?” Chiese perplessa.
“No.”
Rose lo guardò con attenzione. Teneva le mani infilate nelle tasche del cappotto; era un gesto che faceva spesso, ma la sinistra in quel momento stringeva qualcosa.
La bacchetta. Perché stringe la bacchetta?
Gli auror…
Rose ebbe quello che un babbano avrebbe chiamato fulmine a ciel sereno: un’idea improvvisa.
Gli auror sono qui per proteggere lui?
“Sai perché ci sono degli auror in borghese?” Gli chiese, non per avere risposta, ma per spiarne le reazioni. Infatti lo vide serrare la mascella, con uno scatto secco e quasi sicuramente doloroso.
“Non sapevo neanche ci fossero…” Staccò le parole con apparente disinteresse. “Sarà un protocollo di sicurezza del Ministero. Vogliamo andare?”
“Certo…”
Per quanto fosse un bastardo con la faccia di pietra, Rose lo realizzò in quel momento: Thomas faceva schifo a mentire.
 
****
 
Campo di Quidditch, Tribuna d’onore.
Dieci e un quarto.  
 
“Ehi, hai visto quel ragazzo? Da quando i compagni di classe di mio figlio sono così attraenti?”
“Oh, Merlino benedetto Nora, ma non vedi che è un professore? È quel Lupin!”
“Mmh, ancora meglio allora! Non mi devo sentire in colpa a fantasticare di avercelo tra le lenzuola…”


Ted aveva un quieto terrore delle madri single. Ne aveva avute attorno sin troppe l’anno prima al binario nove e tre quarti e per motivi che gli erano sfuggiti finché James non gli aveva rifilato una gomitata gelosa e gli aveva conseguentemente spiegato i fatti della vita – come li aveva chiamati lui.
A volte sapeva di essere un po’ tardo. Non che fosse del tutto colpa sua: finché era stato con Victoire le donne non gli si erano avvicinate neanche per sbaglio.
Forse era per via dell’aura veela?
Sorrise a denti stretti alle due streghe, le cui occhiate sarebbero valse almeno un’accusa di molestia sessuale e salì gli spalti per arrivare in salvo da Harry e famiglia.
“Ehi, Ted! Il tuo posto è qui!” Lo salutò l’uomo, inconsapevole del suo ruolo di redivivo Salvatore. Ted lo raggiunse, sorridendo a lui e a Ginny, mentre Hermione e Ron si alzavano per fargli posto. “Tutto bene? Sembri spaventato…”
“No, io… sì. Tutto bene.” Borbottò cercando di non arrossire, ma dall’aria materna che gli fu scoccata da Ginny ed Hermione, capì di aver fallito.

Come al solito…
Fu felice però di essere accolto in quel modo: pensava non sarebbe più successo.
Ron gli affibbiò una pacca sulla spalla. Fu un po’ forzata, ma ne apprezzò l’intenzione. “Allora, dici che dobbiamo tifare per i francesi?” Gli chiese allegramente.
Ted scosse la testa. “No, credo che Scorpius si meriti tutti i nostri applausi.”
“Sono d’accordo…” Convenne Harry con uno sguardo ammonitore. “Tifiamo Hogwarts.”
“Io non supporto un Malfoy.” Prima che qualcuno potesse ribattere, continuò. “Beninteso, non ho niente  contro il ragazzo, è una questione di principio.”
“Santo Cielo, Ronald… Non ricominciare!” Sospirò Hermione, la cui solita crocchia, con cui Teddy aveva imparato a vederla fuori dall’ambiente familiare, era stata sostituita da una coda informale. Si trovò anche a pensare che la sciarpa di Grifondoro la facesse sembrare più giovane. “E soprattutto non davanti a Hugo e Rose.”
“Posso dire ciò che voglio di fronte ai ragazzi, l’ho sempre fatto, non vedo perché dovrei smettere!”
“Perché i nostri figli sono amici di Scorpius.” Tagliò corto la donna, con una decisione che Teddy gli invidio, accademicamente parlando.

“Inoltre i suoi genitori sono due file avanti a noi e credo stiano facendo finta di non ascoltarci…” Soggiunse Ginny tranquilla, dandogli una pacca sulla spalla.  
Harry non espresse opinioni, ma Ted lo vide guardare verso la nuca bionda di Lord Malfoy con aria pensierosa.
Ron sbuffò scocciato. “Piuttosto, dove sono i ragazzi?”
“Negli spalti riservati agli studenti… Laggiù.” Li indicò. “Al e Rose sono vicini alle delegazioni straniere.”
“Come se la sta cavando Albie come Caposcuola?” Si informò Ginny e Teddy la ringraziò mentalmente per aver glissato sull’altro figlio. James era sicuramente tra i grifondoro.

Probabilmente a dirigere i cori … Speriamo si tenga la maglietta addosso e non si sia dipinto il petto come mi ha accennato.  
“È bravo, sa farsi ascoltare. Sta facendo un gran lavoro, specie considerando il fatto che l’altro Caposcuola ha abbandonato la carica un paio di settimane fa.”
“E chi l’avrebbe mai detto…” Disse Harry, con palese e paterno orgoglio. “Era il più introverso dei nostri ragazzi e adesso gli dà retta tutta la scuola!”
“Al non è mai stato introverso, Harry… timido e riservato, questo sì. Certo, non che un estroverso come te capisca certe sfumature…” Lo canzonò Ginny.

Teddy si immerse in quegli scambi di parole con piacere. Vivere ad Hogwarts era grandioso, gli era mancata la sua vecchia scuola e l’ambiente accademico in generale nei suoi anni in Provenza. Ma adesso, doveva ammetterlo, sentiva un po’ la mancanza del mondo reale.
Hogwarts è un piccolo microcosmo, chiuso a tutto il resto…  
Harry si sporse verso di lui, approfittando del fatto che Ron e le due due donne avessero preso a chiacchierare tra di loro. “Teddy, ascolta…” L’espressione improvvisamente seria del padrino gli fece capire che avrebbero parlato di cose ben diverse dall’imminente Prova. “Com’è andata coi Patronus?”
“Meglio di quanto mi aspettassi…”
“Ma? C’è un ma, vero?”
Teddy sospirò massaggiandosi la rada barba che quel giorno aveva dimenticato di far scomparire. Gliel’aveva fatto notare quella mattina James, baciandolo e ritraendosi subito dopo. “… Sono ragazzi, Harry. Se succedesse davvero quello che pensi, non credo sarebbero in grado di produrli. Una cosa è quando ci si esercita in classe, un’altra…”

“Lo so.” L’uomo annuì, aggiustandosi gli occhiali con un gesto secco. “Ma preferisco qualche sbuffo di nebbia argentata al lasciarli disarmati.”
Teddy non ebbe cuore di dirgli che Tom era riuscito a produrre solo quello, nebbia argentata appunto. “Ci sono gli auror, ci sono i Tiratori… e le barriere. Non vedo come potrebbero entrare.”
“Neppure io. Ma abbiamo visto l’anno scorso come si possa comunque trovare il modo.”

Ted non replicò a quel punto: sperò che ciò che Harry gli aveva detto via camino qualche giorno prima, dopo la lettera in cui gli chiedeva di insegnare i Patronus, fossero probabilità, non certezze.
Come possono dei Dissennatori entrare qui dentro?
Vide poi il padrino alzarsi con un gran sorriso che cancellò l’espressione precedente; stava sorridendo alla professoressa McGrannit, e Teddy si affrettò con lui ad aiutarla a salire gli impervi scalini della postazione.
“So ancora usare le mie gambe, non è necessario.” Li rabbuffò entrambi, sedendosi con assoluta dignità al suo posto. Teddy capiva perché Harry fosse tornato immediatamente di buon’umore a vederla: i professori come la McGrannit, grazie al proprio carisma, riuscivano a far sembrare le situazioni più angosciose meno nere semplicemente con la propria presenza.
“Non ne dubito, professoressa. È un piacere rivederla.” Esclamò infatti l’uomo. “Direi che è in forma se non avessi paura di dire banalità.”
“Le ha dette infatti.” Replicò la strega, ma con un’ombra di sorriso ad aleggiargli sulle labbra. Era il suo modo per apprezzare un complimento. “Signor Weasley, cos’è quell’aria stupita?” Apostrofò Ron inarcando le sopracciglia. “Ha forse visto un fantasma?”
Harry trattenne una risatina, e così fece Teddy, mentre l’interpellato arrossiva come lo studente che doveva essere stato un tempo. “No… io. Non pensavo di vederla qui… insomma. A… sapevo che era qui ad insegnare, naturalmente, ma…”
“Non credeva possibile che alla mia età abbia ancora diletto nell’assistere ad una competizione?”
“No, io…”
“Ron è felice di vederla, professoressa, lo siamo tutti.” Intervenne Hermione con un sorriso affettuoso ed esasperato in egual misura verso il marito. “Stavamo giusto discutendo del Torneo.”
“Pronostici sulla vittoria?” Chiese Harry. “Che ne pensa del nostro Campione?”
“Malfoy è un grifondoro.” Ron tentò un’obiezione, ma fu immediatamente stroncato da un’occhiata linciante della moglie. “Una testa calda con una vera predilezione nel cacciarsi nei guai. Ma sembra capire il valore dei buoni consigli. Più di quanto facesse l’ultimo Campione, in effetti…” Soggiunse con un’occhiata verso Harry, che ridacchiò.

“Ha perfettamente ragione, professoressa. Sarà un Campione molto più giudizioso del sottoscritto.”
“No, questo non lo credo.” Lo fermò con una leggera scrollata di spalle. “È dai tempi di Black che non vedevo tanta voglia di rischiare il collo… Quel ragazzo ha il suo sangue nelle vene.”   
Fu stavolta il turno di Teddy di soffocare una risata, mentre il padrino assumeva un’aria di puro shock.
“In che senso?” Chiese infatti.
La vecchia strega scosse appena la testa. “Gira voce che Malfoy usi il suo tempo libero per cavalcare uno degli ippogrifi della scuola… cosa vietata in una decina di regole di Hogwarts e un paio del Ministero.” Fece una pausa, mentre trai quattro ex-alunni era piombato il silenzio. “Naturalmente è solo una voce.”
“Un ippogrifo…” Mormorò Harry incredulo. Si guardò con Ron e Teddy fu certo che quello avesse definitivamente impressionato il lato malandrino di entrambi.

 
****
 
Tenda dei Campioni.
Pochi minuti dall’inizio della Prova.

 
Sören riteneva tutto quel teatrino una grandissima seccatura.
Ma doveva attenervicisi scrupolosamente, perché il minimo comportamento dissonante sarebbe stato notato.
Lanciò un’occhiata alla Campionessa di Beaux-Batons, una ragazza assolutamente improbabile, mentre stordiva di chiacchiere il giornalista della Gazzetta del Profeta. Accanto a lei, il suo assistente, un piccoletto biondo e dall’aria eccitata sgomitava per avere la sua fetta d’attenzione.

Era normale, per quei ragazzi il Tremaghi era il centro di ogni interesse, ogni attenzione. La loro grande occasione.
Per lui, solo una copertura.
Si sentì dare una pacca sulla spalla. Si voltò di scatto, mettendo mano alla bacchetta. Si rilassò quando vide che era il concorrente di Hogwarts, quel Malfoy.
“Nervoso, vedo…” Osservò ironico. Era però pallido dietro la sua aria spavalda. “… Disturbo qualche riflessione?”
“Non preoccuparti.” Tagliò corto. “Hai bisogno di qualcosa?”
“Volevo solo augurarti in bocca al lupo.” Gli tese la mano. Esitò quando vide che non coglieva. “… È tipo un augurio? Vinca il migliore?”

“Ah… altrettanto.” Annuì imbarazzato, stringendogliela. I proverbi inglesi erano profondamente contorti. Avrebbe dovuto chiedere a Lily di insegnarglieli per evitare future figuracce.
Lily…
Aveva fatto la cosa giusta. Narcotizzarla era il metodo migliore per impedirle di venire alla Prova.
Non potevo schiantarla… non posso sapere in quanto tempo si riprende da un incantesimo del genere. È soggettivo per ogni persona. E poi rischiavo di farle male.
Non era la cosa giusta, in realtà. Era solo una cosa che aveva voluto fare. Dalla realizzazione in infermieria, tenerla al sicuro era stato un chiodo fisso.
Non credo di disattendere gli ordini di Hohenheim. Dopotutto mi ha detto di conquistarmi la sua fiducia. Avvicinarla. Assicurarmi che rimanga incolume è un compito collaterale.
“Ehi, vi state facendo virili auguri ed io non ci sono? Maschi…” Sbuffò la francese avvicinandosi e interrompendo le sue riflessioni. Era più alta di lui di una buona testa e questo, anche se non l’avrebbe mai ammesso ad anima viva, lo infastidiva da morire.
“In bocca al lupo anche a te, Dom.” Replicò cordiale l’inglese, dandole una pacca sulla spalla decisamente troppo energica per essere rivolta ad una donna. Quella però non fece una piega.
Forse non è una donna… Di certo, non ne ha i modi.
“Grazie raggio di sole. Che vinca il migliore, cioè la sottoscritta, perché diciamocelo, io non sono di certo il sesso debole.” Blaterò senza senso. “Voi cosa pensate che ci faranno affrontare? Ormai è inutile tenere il segreto, ci siamo.”
Malfoy assunse un’aria meditabonda. “Beh, le tre prove rispecchiano la triade fegato, cuore e mente. Adesso ci toccherà dimostrarci coraggiosi, quindi… qualcosa di spaventoso?”

“Però, che acume… e poi dicono tutte quelle malignità su voi biondi…”
Sören non aveva voglia di ascoltare quei discorsi. Per lui le speculazioni erano inutili. Dentro quella tenda sapevano tutti che avrebbero dovuto affrontare qualche bestia potenzialmente mortale. E quello avrebbe fatto: sarebbe uscito, l’avrebbe sconfitta e…

… e poi fingerò che i Dissennatori siano una sorpresa.
Tais toi Dominique, non parlare con gli altri Compioni!” La riprese burbera la preside Maxime.
“Scusate ragazzi, avete sentito maman, non si fraternizza con il nemico!” Sghignazzò la ragazza, minimamente turbata dall’aria irritata della donna, mentre tornava dal suo lato della tenda.
Malfoy gli sorrise. “Beh Luzhin, che vinca il migliore allora!” Lo sguardo poi gli cadde sul nastro di Lily: se ne intravedeva il colore vivace, sotto la maglia di Durmstrang, invece color kaki. “… un portafortuna da una ragazza?”
“Non sono affari tuoi.” Gli uscì dalle labbra prima che potesse fermarsi, e arrossì di conseguenza. Ebbe il distinto nitore che l’altro a quel punto avesse capito sin troppo.
“La piccola Potter è una mia amica…” Commentò infatti. “…ma sappiamo tutti che non tifa per me, tranquillo.” Detto questo, gli diede una pacca sulla spalla prima di allontanarsi.
Sören ebbe poco tempo per riflettere sulla frase, perché la tenda fu scostata, ed entrò Poliakoff. Vide con la coda dell’occhio il Direttore distanziarsi da loro, quasi volesse mettere distanza fisica da ogni probabile cospirazione. Era un atteggiamento stupido.
Ci sei dentro anche tu, fino al collo, come Kirill, come me…  
“Sören.”  Kirill gli toccò un braccio, rivolgendosi a lui in russo. Era la loro lingua franca in caso dovessero comunicare senza farsi capire dagli altri. “È tutto pronto.”
“Hai avuto difficoltà?”
Il ragazzo sbuffò. “Stai scherzando? Si aspettano che qualcuno cerchi di annullare le barriere magiche, non che venga indebolita la struttura metallica dell’Arena a mano. Tra parentesi, svitare tutti quei bulloni è stata una fatica immane… Come fanno i babbani senza bacchetta?”
“Ci sono abituati.” Osservò, irritato dal fatto che l’altro ingigantisse le cose. In quel momento tutto lo irritava, ma veramente, aveva solo allentato un paio di pannelli.  Il piano era semplice: sotto gli spalti era completamente vuoto e nessuno aveva pensato di mandare agenti lì, come avrebbero fatto dei babbani. Per l’altro doveva essere stato un gioco da ragazzi sparire sotto le gradinate.

“Cerca di non dare troppo dettagli in presenza di altre persone…” Aggiunse poi con un sibilo.
L’altro assunse un’espressione impacciata, prima di fare una seconda smorfia. “Ma se stanno tutti confabulando tra di loro? E poi in questa tenda gli unici che parlano russo siamo io e te.”
“Le precauzioni non sono mai troppe.”
Bozhe Moi, a volte sembri un vecchio…” Fece un sorrisetto. “Non vedo l’ora di vedere le facce di questi idioti… fargliela sotto il naso, ecco come si chiama.”
Sören non rispose: Kirill era un ingenuo. Dopo l’iniziale spavento alla notizia che avrebbero chiamato in causa dei demoni, era stato trascinato dall’entusiasmo della missione per conto dell’Organizzazione. Quello che vedeva era solo un modo di mettersi in luce presso Alberich Von Hohenheim.

Lui vedeva altro. Vedeva i danni collaterali nello sguinzagliare quei demoni, il rischio di essere in un posto in cui era riunita una grossa fetta di Polizia magica britannica, tra cui il Salvatore dei Mondi.
Avrebbe avuto gli occhi di tutti puntati addosso e avrebbe dovuto compiere il famoso delitto perfetto.
Tutto questo… e zio non si fida abbastanza di me per dirmi perché diavolo abbiamo voluto portare i Dissennatori qui.
A Johannes l’avrebbe detto.
“Sören?” La voce di Kirill, di nuovo su sonorità teutoni, lo riportò alla realtà. “Va tutto bene?”
“Sì.” Confermò con un cenno della testa. Avrebbe gestito quella situazione. Come sempre.
Zio non mi avrebbe dato questo compito, se non avesse pensato che sarei stato in grado di svolgerlo.
È un test. Non devo sbagliare. Non è difficile.
Doveva solo obbedire.
 
Scorpius era decisamente geloso del portafortuna del tedesco.
Scorpius si sentiva anche discretamente terrorizzato, e in quel momento avrebbe davvero voluto avere Rose accanto a sé, invece del Preside Vitious che sembrava persino più agitato di lui.
O Poo. Avrebbe cominciato a sparare cretinate e avrebbe attaccato briga con qualcuno… perlomeno mi avrebbe distratto.
In quel momento gli sarebbero andati bene anche i suoi genitori.
E visto che non ho più dieci anni questo la dice lunga…
Lanciò un’occhiata a Dominique, l’unica persona più o meno carina con lui in quel consesso traspirante competitività.
“Pronto biondino?” Lo apostrofò avvicinandosi, ignorando le occhiatacce della propria Preside. “Sta per arrivare mio zio Percy. Tra poco sapremo contro chi dovremmo giocare …”
“Non vedo l’ora…” Notò un luccichio al lato della testa della ragazza. Divertito capì che aveva rimesso i piercing, in barba alle norme di sicurezza. “Non sono un po’ vistosi per affrontare qualcosa che potrebbe strapparti le orecchie?”
“Ho sentito che parlavi di portafortuna con Mister Sorriso, là…” Indicò con un cenno della testa Luzhin, che confabulava in una lingua forse slava con il suo Assistente. “… ed io ho i miei.”

“Non ti facevo tipa da orecchini di ametista viola²…”
“Orecchino.” Precisò, sfiorando il suddetto. “È un prestito tra l’altro. Se alla fine della prova avrò un orecchio in meno, saprò che non ha funzionato.” Rise poi, facendolo ridere di rimando.

Scorpius quindi quasi non notò l’aereoplanino di carta che gli sfrecciò davanti. Lo afferrò al volo, approfittando del fatto che nessuno l’avesse notato, eccezion fatta per Dominique, che gli sorrise e si allontanò.
Un biglietto?
Lo dispiegò, dando le spalle agli astanti. C’era due sole frasi, con inchiostro sbavato, come se chi avesse scritto l’avesse fatto di fretta, senza per giunta appoggiarsi ad una superficie liscia.
 
Andrai alla grande, quindi fa un bel respiro e non preoccuparti.
Sono fiera di te (anche se vorrei prenderti a calci).’
 
Seguiva uno sgorbio incomprensibile. Scorpius lo guardò meglio e capì, prima di mettersi a ridere da solo come un povero demente, attirandosi gli sguardi curiosi di tutti addosso.
Lo sgorbio in questione era un cactus. Per la precisione, il tentativo di un fiore di cactus, in seguito cancellato da un ripensamento imbarazzato.
Gli si spense il sorriso quando vide entrare Percy Weasley, seguito dal Diretto del Dipartimento Giochi Magici e un paio di altri funzionari.
“Campioni, prego… disponetevi a semicerchio davanti a me, spiegherò le regole.” Se l’uomo aveva qualche problema con lui, non lo mostrò quando gli si mise di fianco. “Dovrete affrontare la creatura da voi scelta, come avrete già avuto modo di capire.” Un funzionario poi estrasse quelle che a Scorpius sembrarono piccole bandiere, terminanti con un uncino metallico.
“Dovremo conficcarle sulla nostra creatura?” Esclamò Dom, che sembrava poco contenta della cosa. Non lo era neanche lui.
Non la prenderanno tanto bene, secondo me, ad essere usate come un pollo allo spiedo…
“No. Agganciarla ad un moschettone, lo vedrete al collo della vostra creatura. Questo sarà il vostro compito. Meno tempo ci metterete, più punti otterrete. Ora, pescate. Il primo vuol essere lei Signor Malfoy?”
Scorpius annuì, cercando di dissimulare il nervosismo. Il Basilisco, dunque, era solo una delle tre possibilità che poteva capitargli. Gli altri sapevano quale altre possibilità c’erano? Avevano già una creatura a cui puntare?

Infilò la mano nel sacchetto, e ne estrasse un cartiglio. Effettivamente essendo creature diverse, una miniatura delle stesse avrebbe potuto essere riconoscibile. Lo lesse.
“Basilisco Signor Malfoy…” Lesse con lui il direttore Weasley. “Creatura notevole.”
“Già.” Masticò a mezza bocca, tentando un sorriso: era un bene o un male? Sapeva come neutralizzare i suoi attacchi, ma era pur sempre un fottuto, enorme serpente capace di uccidere a sguardo diretto.

Sono stato fortunato o no, a beccare quello per cui mi ero preparato?
Quando a Luzhin toccò un’acromantula e a Dominique una chimera realizzò che non c’era vincitori né vinti. Vedendo le espressioni dei due, specialmente.
Qua siamo tutti democraticamente nella merda.
“Chi vuole essere il primo?” Chiese Weasley.
Luzhin fece un passo avanti, senza quasi aspettare che finisse la frase. “Io, signore.”
“Prego allora. Il pubblico sta aspettando.”

Quando il tedesco fu uscito, Dom gli rivolse un sorriso che per la prima volta sembrò davvero nervoso.
“Posso essere io la seconda?”
“Come no, campionessa. Prima le donne …” Sorrise di rimando, stringendo in pugno la lettera di Rose. Se la sarebbe portata nell’arena.

Non si butta via un portafortuna, giusto?
 
****
 
Note:
Il capitolo, come avrete capito, si articola in due parti. ;)
1.Qui la canzone.
2. Gli orecchini in questione .
  
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