Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Dira_    16/02/2011    19 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo XXIV

 



 
Di rado va come ci aspettiamo che vada. Per la precisione, mai.
(Le bugie hanno le gambe corte, Charles Bukowski)
 
 
 
18 Novembre 2023
Ben Nevis¹, Monti Grampiani, Scozia.
 
Sören rimpianse di non aver preso il mantello con sé.
In sola tuta d’allenamento stava letteralmente congelando essendosi materializzato, grazie al localizzatore, su una cima battuta da un vento aspro che gli tagliava impietoso il viso.
Fece scivolare il localizzatore in tasca, strofinando appena con il pollice la superficie del suo anello: suo zio gli aveva detto che i Dissennatori lo avrebbero riconosciuto grazie a quello.
Questo significa che qualcuno prima di me è venuto a parlargli, nella loro riserva. L’anello sarà il mio segno di riconoscimento…
Ma chi? Non è un lavoro da semplice tirapiedi…
Improbabile fosse stato suo zio in persona: da che ricordava non aveva mai lasciato la Germania.
Si guardò attorno, mentre si rifiutava di stringersi le braccia al petto. Una posizione piuttosto imprudente se doveva avere la bacchetta pronta all’uso.
Sono creature programmate per succhiare via l’anima di un essere umano dopotutto…
Il paesaggio sembrava quasi appartenere ad un'altra epoca: sassi grigi e scarni ricoprivano il pianoro, appuntiti come lame di rasoio. Tutto attorno a lui era grigio. Il terreno, le rocce, il cielo. Era esattamente sulla cima della montagna. Poteva sentire i suoi polmoni liberarsi, aspirando l’aria leggera. Era come respirare inconsistenza.
Sono molto in alto… più di mille metri, sicuramente.  
Voltandosi su se stesso notò delle rovine. Dovette muovere più di qualche passo in loro direzione per identificarle: erano babbane. Forse un rifugio per alpinisti. Erano esattamente al centro del pianoro.
I Dissennatori si nasconderanno lì?
Strinse la bacchetta e si incamminò, notando qualche spruzzata di neve sui monconi di pietra meglio conservati. Davano un contrasto stridente con il resto del paesaggio.
Era contento non ci fossero babbani in giro, così da poter tenere la bacchetta ben spianata davanti a sé: doveva essere quel tempo incerto a tenerli lontani.
Oppure sono i Dissennatori... potranno non vederli, ma li percepiscono.
In quel frangente, era felice di essere un mago.
Il freddo si stava facendo più acuto, ad ogni passo che lo avvicinava alle macerie: non c’erano dubbi, era lì che si annidavano.
Sentì le sue scarpe crepitare e abbassando lo sguardo notò che stava pestando della neve compressa e dura, ormai ghiaccio. Dentro le rovine la temperatura si abbassava ulteriormente di una decina di gradi. Sören si trovò a dover stringere i denti per non sentirli sbattere tra di loro.
“Sono Sören Hohenheim. Sono qui per vedervi.” Scandì con precisione, sentendo stranamente stonato il suo cognome, dopo mesi che non lo pronunciava ad alta voce. “Mostratevi.” Aggiunse, levando la mano e mostrando il sigillo del suo anello.
Il freddo si fece improvvisamente insopportabile. Sören serrò le labbra lasciandosi sfuggire un respiro corto e secco, mentre percepiva il cambio di luce. Era come se un enorme nube scura si fosse sprigionata dai muri ghiacciati e gli si stesse riversando addosso. Strinse la bacchetta fino a sentire le giunture dolere mentre una creatura vestita di stracci neri scivolava davanti alla sua visuale, spuntando dal muro, quasi materializzandosi.
Era la prima volta che vedeva un Dissennatore da vicino ed era spaventoso.
Non poteva vedere i lineamenti del viso – sempre che ne avesse uno – dato che aveva il cappuccio calato, ma le mani dalla pelle raggrinzita e allo stesso tempo disfatta bastavano e avanzavano a soddisfare le sue fantasie in merito.
“Sono Sören Hohenheim. Sono qui per parlare con voi.” Ripeté: conosceva l’incantesimo atto ad allontanarli, ma non poteva usarlo.
Poco utile … diplomaticamente parlando.
Sentiva una compressione orribile al petto. Quell’angoscia sottile e terribile che preannunciava il pianto, la realizzazione di provare dolore, e non fisico. Non pensava l’avrebbe mai più sentita da quando era bambino. Era orribile.
Sören continuò a tenere la mano con l’anello tesa, rifiutandosi di guardare da altre parti, se non il Dissennatore. Sapeva che ce n’erano altri, li poteva sentire respirargli sulla nuca, sulle mani, addosso.
Quanti sono?
Poi capì che stavano aspettando i suoi ordini.
“… Dovete venire ad Hogwarts. Tra sei giorni. Si terrà la Prima Prova del Tremaghi. Voi dovrete entrare nello stadio di Quidditch. Tra sei giorni.” Ripeté mentre gli sembrava che non avrebbe mai più sentito caldo in vita sua. Era freddo, troppo freddo. Serrò la mascella. “Avete capito?”

Non ci fu risposta, ma Sören non dovette aspettare molto prima che un pensiero gli attraversò la mente.
I patronus … ci saranno i patronus. Auror… Ministero.
Era come se non l’avesse pensato lui, come se gli si fosse palesata un’immagina in mente, forzata: come quando qualcuno lo obbligava a raffigurarsi una determinata situazione, spiegandogliela a parole.
Sono stati loro…
“Di questo non dovete preoccuparvi. Vi darò un varco da cui entrare. Voi pensate soltanto a venire.” Si sentiva la testa pesante e come un sordo rumore continuo. Un ticchettio. E poi sentì un odore, un odore che non avrebbe mai dovuto sentire in cima ad una montagna.
Odore di pozioni. Acuto, fortissimo, odore di pozioni bruciate.
Come quel giorno, il giorno in cui era morto suo padre. Il giorno in cui era diventato ufficialmente uno dei cani da guardia di suo zio.
La sua paura peggiore assumeva la forma del giorno in cui aveva perso la sua infanzia.
Dovevo aspettarmelo…
Stanno avendo effetto… Sono troppi. Non riesco ad avere ragione dei loro poteri semplicemente con la forza di volontà.
Si sentiva le gambe deboli e quell’odore gli sembrava di averlo attaccato addosso, gli sembrava di espirarlo ed inspirarlo.
Senza poter usare l’Incanto Patronus era come essere nudo di fronte ad un plotone d’esecuzione.
 “Devo…” Esalò come se dovesse fornire una spiegazione a quegli esseri. Poi indietreggiò lentamente, e per pura fortuna non si scontrò con uno di loro. O forse gli avevano lasciato libero il passaggio. Indietreggiò finché non sentì di nuovo la pietra priva di ghiaccio sotto i suoi piedi. Non era neppure sicuro di vedere bene, ma stava forse nevicando?
Si sentiva la testa pesantissima e la vista offuscata: sapeva di stare per svenire. Se fosse crollato a terra privo di sensi, non era certo che i Dissennatori avrebbero rispettato la sacra regola di non nuocere ad un ambasciatore.
Si ficcò una mano in tasca con urgenza, serrando le dita attorno alla superficie liscia e gelata del Materializzatore. Con gli ultimi rimasugli di coscienza, si smaterializzò.
 
****
 
Hogwarts, Riva del Lago Nero.
Pomeriggio.
 
“Grazie per avermi accompagnato.”
“È una frase di rito?”
“Eh?”
“Era l’unico modo che avevo per stare con te, da solo… venire con te a raccogliere erbe.”
Albus inarcò le sopracciglia, voltandosi in direzione di Thomas: stavano costeggiando a piedi le rive sabbiose del Lago Nero. Il tempo era rapidamente peggiorato e nuvole gravide di pioggia si addensavano attorno al castello, ma nessuno dei due sembrava farci caso.

Tom aveva le mani abbandonate mollemente nelle tasche del cappotto e si guardava attorno, socchiudendo gli occhi al vento sottile. “Non passiamo molto tempo assieme, in queste ultime settimane…” soggiunse come postilla.
Al sorrise dispiaciuto: sapeva di stare trascurando il suo ragazzo. Oltretutto il tempo libero che riusciva a ritagliare era spesso a disposizione di Rose e Scorpius.
Non posso lasciarli da soli adesso,  sembra che facciano a gara a chi nasconde meglio il proprio tracollo nervoso.
“Lo so, ma da quando la Bones ha ridato la sua spilla sono rimasto solo… Lo sai, non è un ruolo che comprende tanto tempo libero.”
“Ricordami perché ha rinunciato. A parte il fatto che è una tassorosso, naturalmente.”
“Simpatico.” Ironizzò. “Non ha retto la pressione, tutto qui.” Fece spallucce, anche se in realtà la defezione di Megan l’aveva messo in una posizione scomoda.  

Insomma, poteva evitare di accettare la carica in prima istanza… non è ancora stato nominato il sostituto. Non è una priorità, pare.
Si chinò, riconoscendo la pianta che doveva raccogliere. La tagliò con cura, infilandola dentro il tascapane. Lanciò poi un’occhiata a Tom che osservava il vascello di Durmstrang, ormeggiato poco più indietro.
Tom in quelle settimane si era comportato in maniera adorabile.  
Cioè, per i suoi standard.  
Era tornato uno studente a pieno regime e Al era felice di non doversi occupare anche di lui.
“La Bones sentiva la pressione… e tu?” Gli chiese improvvisamente.
“Certo che sì.” Rispose alzandosi e spazzolandosi i jeans sporchi di erba e terra. “Solo che il mio ragazzo non minaccia di lasciarmi perché passo poco tempo con lui. Megan si fidanzerà ufficialmente uscita da Hogwarts, secondo Lils… Ha fatto una scelta.”
“Anche se io non minaccio …” Iniziò Tom, con una punta di auto-compiacimento che lo fece sorridere. “… ciò non toglie che mi senta trascurato.”
“È perché sei viziato. Non volevi toglierti dai riflettori quest’anno?”
“Non dai tuoi.” Rimbeccò corrugando le sopracciglia in un’inequivocabile aria di broncio. Al rise tendendogli la mano. Tom la prese, anche se lasciò che fosse lui a intrecciare le dita alle sue.

“Scusami… è che ho un milione di cose a cui pensare. Ma adesso siamo qui, no?”
“Sì. E sta per piovere.”
Al sospirò, perché Tom era sì una spalla a cui appoggiarsi in quel periodo convulso, ma ogni tanto ricadeva inevitabilmente nei vecchi schemi da ragazzino egocentrico. A volte sospettava lo facesse apposta solo per farsi coccolare.

Anche se poi dice a me che sono appiccicoso…  
“Senti. È importante. È una pozione complessa, con un sacco di ingredienti freschi e se eviterò di far fondere il calderone può anche darsi che il professore invii la mia relazione alla rubrica Pozioni del Profeta… potrebbero pubblicarla!”
Tom non rispose, anche se a suo favore, cercò di produrre una specie di sorriso.
“Sono contento. Per te.” Aggiunse, e Al seppe che era vero, anche se lo spirito competitivo che gli ardeva dentro gli impediva di felicitarsi decentemente. Alcune persone avrebbero potuto considerarlo un grosso difetto, una mancanza fondamentale in un fidanzato.
Ma piuttosto che impostare un rapporto sulla menzogna preferirei rimanere single a vita.
C’erano già stati dei precedenti ed era stato orribile. Tom doveva essere onesto con lui. Persino a costo di sembrare sgradevole.
Sta imparando… magari nel modo di dirmi le cose può migliorare, ma… va bene così.
“Uno zellino per i tuoi pensieri.” Lo invitò comunque, dandogli un colpetto con la spalla. Tom non era tormentato come l’anno prima, ma si vedeva che spesso gli si avvicendavano pensieri poco allegri in testa. E probabilmente, anche se non lo diceva ad alta voce, c’entrava la Thule e suo padre.
 
Era fiero di Al.
Detto questo…
Naturalmente era anche invidioso.
Albus era stato nominato Caposcuola, aveva lavorato durante l’estate al San Mungo, la meta finale dei suoi sogni lavorativi e voleva pubblicare articoli per implementare il suo curriculum di studi.
Albus era cresciuto in quell’ultimo anno, stava diventando adulto: gli sembravano passati secoli da quando era lui quello con le idee chiare, e l’altro un ragazzino impacciato che seguiva i suoi passi.
Ciò che era successo l’aveva rafforzato. Aveva ripreso a camminare, mentre a lui sembrava di essere ancora in ginocchio ad aspettare il prossimo colpo. Questo, gli invidiava.
Ed io cosa faccio?
Non riusciva a pensare al futuro come facevano gli altri, perché non aveva la minima idea se ne avrebbe avuto uno. Nel suo futuro vedeva solo suo padre.
E non è un bel vedere…
Al gli tirò un secondo colpetto. “Ehi, sto parlando con te!”
“Sì, scusa.” Replicò, strofinando il pollice sul manico della bacchetta che teneva praticamente sempre in tasca. Prima di dormire la infilava sempre nella federa del cuscino.“Pensavo solo che sarai un gran medimago.”
Al ridacchiò. “Fammi prima passare il test per l’Accademia!”
“Certo che lo farai.”

“Ma dai… troppa fiducia.”
“Non è fiducia, è un’aspettativa realistica.”

E lo era davvero. Tom osservò Al chinarsi per cogliere un’altra pianta, probabilmente per non fargli vedere che era arrossito: dietro quell’aria ordinaria e quieta, il più piccolo dei Potter nascondeva un incredibile forza d’animo. Senza scalpore, senza sbandierarlo in giro come faceva James, stava raggiungendo i suoi scopi.
E non sembra, ma è pure piuttosto ambizioso…
“Non sei stato agli incontri di orientamento la settimana scorsa, vero?” Ruppe improvvisamente il silenzio Al, distogliendolo dai suoi pensieri. Tom non disse nulla: aveva saputo che docenti di vari corsi post-scolastici erano venuti a parlare a scuola. Li aveva visti. Accademia Auror, quella di Medimagia, corsi di inserimento della professione del Ministero. Lui aveva passato quella giornata in biblioteca, a studiare.
“No.”
“Perché?”  

“Dovevo studiare Incantesimi.”
Al gli lanciò un’occhiata tra l’incredulo e il divertito. “Questa è la scusa più scema che abbia mai sentito…”

Tom sentì un moto di irritazione che si apprestò a reprimere. “Probabile.” Disse sforzandosi di non essere tagliente. “Ma con la spada di Damocle che ho sulla testa, non sono molto propenso a pianificare il mio futuro. Per ora mi limito ad aspirare a dodici MAGO.”
“Dici pochi…” Ironizzò, tirandosi nuovamente in piedi e osservando con attenzione le foglie della piantina che teneva tra le dita. “Non devi farlo, sai?” Disse poi, piantando improvvisamente gli occhi nei suoi.

Qualcuno prima o poi avrebbe dovuto dirgli che era come costringerlo a fissarlo. Quel verde aveva lo stesso potere di un pugno nello stomaco su di lui.
“Fare cosa?”  
“Permettere a tuo padre di condizionarti la vita…” Si attorcigliò al dito uno dei lacci della felpa. “Perché non è qui. Con i voti che hai, fuori di qui potrai fare tutto quello che vuoi.”
“Forse tutto quello che voglio al momento è la certezza di poterlo fare.” Sbottò, non riuscendo a trattenersi. Hogwarts in quel momento era una fucina di cose da fare e a cui prestare attenzione. Aveva paura che tutto quel caos avrebbe solo potuto aiutare la Thule.
“Tom…”
“E tra l’altro non riesco neanche a produrre un patronus corporeo.”  

Al, a quell’ultima asserzione, lo guardò stupito. “È per questo che oggi sei così brontolone?”
Tom fece per negare, poi ci rifletté su. Effettivamente quel continuo nervosismo che gli scorreva sottopelle era iniziato proprio dopo la lezione di Lupin.

È decisamente inquietante che Al capisca i miei malumori meglio del sottoscritto.
“Diciamo che il mio evidente fallimento non ha migliorato la giornata.” Concesse. “Come posso pensare di affrontare mio padre se non riesco neanche a dare una forma ad uno scudo magico?”
“Perché, pianifichi di affrontare tuo padre con un patronus?” Non aspettò che negasse, si limitò ad aspettare che cercasse di aprire bocca. “Era solo un esercizio… non puoi essere sempre perfetto!”
Tom fece una smorfia. “Sembrate tutti coalizzati per convincermi che sono al sicuro. Tu, Harry, persino un agente del DALM americano…”
“Certo che sei proprio…” Al si bloccò, assottigliando improvvisamente gli occhi, come a valutarlo. “Tu. Non è che per caso…” Disse, staccando le parole lentamente. “… non sei andato all’orientamento perché stai valutando l’offerta di quello Scott?”
Tom ci mise più di qualche attimo a ricordare l’offerta a cui l’altro si riferiva.

Di andare a studiare negli States sotto la protezione del Ministero Magico americano?
E poi non stavamo parlando di tutt’altro?
A volte Al aveva la capacità, tutta femminile, di saltare da un argomento all’altro senza nessun apparente filo logico. Non che glielo avrebbe mai detto: sapeva essere creativo quando si trattava di difendere la sua dignità virile.   
“No?” Disse sentendosi comunque confuso dallo sguardo accusatorio dell’altro. 
Quando ho dato l’impressione di voler diventare la mascotte di gente viscida come Scott?
“Bene.” Disse, prima di dargli le spalle. “Perché se seguissi gli americani e le loro lusinghe non ti perdonerei mai.”
“Ma…”
Mai.” E si infilò nella boscaglia bassa che costeggiava l’imponente cancello. Tom rimase in religioso silenzio, sapendo che Al aveva ancora quella carta da giocare in mano.

Otto mesi. Nessuna spiegazione.
Al aveva sofferto, ne era stato segnato sì. Ma invece di farglielo pesare sin all’inizio, invece di dargli gradualmente la possibilità di farsi perdonare…
Mi ha perdonato. Mi ha dato il beneficio. Ma alla prima mossa falsa mi farà scontare tutto.
Lo affiancò, mentre l’altro aveva disteso di nuovo i lineamenti e stava staccando con un coltellino un lichene dalla corteccia di una quercia.
“Sei proprio un serpeverde…” Si chinò, sussurrandoglielo all’orecchio. Era sempre stato un lato che Al mostrava raramente, quella della rappresaglia retroattiva.
E con me è maledettamente efficace. E lo sa.
Al sorrise, guardandolo da sopra la spalla. “Il Cappello non sbaglia mai, giusto?” Sogghignò prima di baciargli le labbra, appena un tocco. Poi riprese a grattar via licheni.
Tom a quel punto si sentì del tutto legittimato a voltarlo, e pure un po’ bruscamente, per pretendere un bacio un po’ più consistente. Al gli rise sulle labbra, prima di lasciar cadere il coltellino e passargli le braccia attorno al collo e ricambiare.
Tom non fece in tempo a pensare che la posizione fosse scomoda e che stava cominciando a piovere che entrambi sentirono un rumore. Come di qualcosa che cadeva. O meglio, qualcuno considerando che fu seguito da un lamento inequivocabilmente umano.
“Gazza?” Chiese Al, staccandosi. “Quel povero vecchio cade ovunque ormai… Dovrebbero mandarlo in pensione.”
“Non credo sia Gazza…” Replicò tirando fuori la bacchetta. Al gli lanciò un’occhiataccia, ma la ignorò.

Stare all’erta non fa di me un paranoico
L’erba e le felci crepitavano sotto i loro passi. In prossimità del cancello infatti, la vegetazione del sottobosco era particolarmente fitta, forse parte del suo meccanismo di occultamento anti-babbani.
Al gli si affiancò e Tom vide con soddisfazione che aveva preso la bacchetta: del resto non potevano non sentire entrambi il respiro di qualcuno, a pochi passi da loro.
Tom scostò una fronda di felce particolarmente grande e si bloccò, troppo stupito per tentare altri movimenti.
“Ma questo non è…” Sussurrò Al, scostandosi una ciocca bagnata dalla fronte, quasi non fosse certo di vederci bene. “… È?”
“Sì. È Sören.”
Al si chinò immediatamente a controllargli i parametri vitali. Per quello, Tom lo sapeva, non c’era neppure bisogno della bacchetta; metodi babbani e magici erano gli stessi.

“Per Nimue, è gelato…” Mormorò Al, posandogli una mano sulla spalla. “Ehi, riesci a sentirmi?”
Il ragazzo mandò un lieve gemito, socchiudendo gli occhi: non riuscì a riprendere conoscenza in tempo che subito la perse. 

 
****
 
Sören aveva paura.
A sei anni qualcuno dovrebbe dirti che i mostri esistono, ma che non bisogna temerli.
A sei anni qualcuno, i tuoi genitori, dovrebbero abbracciarti e portarti via da loro.
Ma lui non aveva più i genitori, o forse non li aveva mai avuti. Sua madre non era una mamma e suo padre era appena morto.
Come ci si doveva sentire? Andava bene essere triste? Andava bene obbedire agli ordini dello Zio?
La mano dello Zio lo sospingeva dolcemente lungo le scale strette e umide. Stavano scendendo. Sören sapeva che il castello di famiglia era pieno di passaggi segreti, stanze mai viste e tanti, tanti piani.
Forse sei. Forse addirittura sette.
Stavano scendendo nelle segrete, l’ultimo piano: lo sapeva perché lo aveva sentito dire da Johannes, che chiudeva la loro piccola fila.
“Attento a dove metti i piedi, principino. Si scivola.” Aveva sentito la sua voce beffarda dietro le spalle e si era irrigidito.
“Non ti è stato dato il permesso di parlare.” Suo zio l’aveva appena difeso? Difficile dirlo, ma Sören si era sentito leggermente meno spaventato e freddo.
Il freddo, quello, ne sentiva tanto.
Erano entrati in una stanza. Era illuminata da torce, e Sören aveva visto che c’erano anche altre persone. Non poteva vedere i volti, perché erano chiusi in mantelli e cappucci che ne nascondevano il viso. C’era una lastra di marmo, bianca in un angolo. Sören aveva capito che era per lui.
“Siediti lì, Sören.” All’ordine dello Zio, aveva semplicemente obbedito. Gli era stata data una ciotola piena di un liquido fumante. Forse una medicina?
“Bevi.”
Aveva bevuto. Il sapore era orribile, e si era sentito improvvisamente caldo e stordito.

“Ora stenditi Sören… Non preoccuparti, andrà tutto bene.”
Aveva tanta paura adesso. Il cuore gli era sembrato scoppiare nel petto, ma non aveva aperto bocca, perché era un bravo bambino obbediente.

Johannes si era chinato. Sorrideva, lui, sorrideva sempre. Gli aveva tirato su la manica della camicia, fino a sopra il gomito.
“Rilassati principino, perché farà un po’ male…”
Aveva guardato allora lo Zio. Perché doveva fare male? Quello non era nei patti. Non doveva fare male, non se aveva paura.
Lo Zio era una macchia sfuocata di luce. C’erano altre persone sì, e adesso erano tutte attorno a lui.
Voleva gridare che non voleva più, che aveva paura e che voleva andare via da quel posto, che si sentiva male.
“Non sei un bravo bambino, Sören? Lo sei, non è vero?”
Sören aveva sentito qualcosa mordergli il braccio. O forse era solo la sensazione di avere una morsa che glielo intrappolasse. Un ago poi gli aveva perforato la carne, e bruciava, bruciava come se gli stessero iniettando lava liquida nelle vene.
“Fai il bravo bambino Sören…” la voce di Johannes gli accarezzava le orecchie come le spire di un serpente. “Allo zio serve un’arma…”
Dolore. Sentiva solo dolore mentre centinaia di mani lo tenevano fermo, schiacciandolo contro la lastra di marmo, gelida, fredda.

Urlava.
Stava urlando.
 
“Ren… ehi! Ren, è tutto a posto, svegliati, dai…”

E tutto era cessato, di colpo.
Una mano, una sola, morbida e leggera gli accarezzava il petto. Non c’erano più mani come artigli a ghermirlo.
Sören socchiuse gli occhi: e Lily era lì, avvolta nella luce violenta del mattino.
 
Infermeria, Mattino.
 
“Era solo un incubo… mattutino, in realtà, ma incubo. Okay? Va tutto bene…”
Lily si era spaventata, e pure parecchio. In realtà aveva passato quasi una giornata intera a preoccuparsi per l’amico.
La sera prima Al era venuto nella torre di Grifondoro, trattenendosi il tempo necessario per dirle che Sören era in infermeria, svenuto. L’avevano trovato lui e Tom.
Anche se le sarebbe piaciuto dirlo – perché faceva tanto eroina romantica – non era rimasta tutta la notte al suo capezzale. Poppy l’aveva rispedita nel suo Dormitorio non appena era scaduto l’orario di visita.
Quella mattina però aveva afferrato un muffin, bevuto un po’ di caffè e poi si era precipitata da lui.
Era arrivata appena in tempo per svegliarlo dall’incubo.
Un altro… Poppy ha detto ne ha avuti per tutta la notte…
Sören adesso la guardava, tenendo gli occhi leggermente socchiusi per difendersi dall’impietosa luce del giorno. “Piano…” Le mormorò con un filo di voce. “… acqua.” Chiese poi.  
Lily sorrise. “Subito!” Sentiva il senso di colpa attenuarsi un po’ e questa era cosa buona e giusta.
Dopotutto, cavolo, mica avevo scelta!
Sören prese il bicchiere: bevve a piccoli sorsi, e sembrava non bevesse da decenni. Aveva davvero un aspetto tremendo, oggettivamente parlando.
Beh, è rimasto incosciente qualcosa come quattordici ore dopotutto…
“Come ti senti?” Gli chiese sedendosi sul letto, lisciando le pieghe del lenzuolo. Si accorse che per la seconda volta l’amico stava sfuggendo il suo sguardo.
Beh?
“Quanto sono rimasto incosciente?” Non rispose, continuando a fissarsi le mani, con particolare attenzione a quella destra: sembrava stare controllando che tutte le dita fossero al suo posto.
Strano.
“Da ieri sera.” Rispose pronta. “Ti hanno trovato Al e Tom, vicino ai Cancelli… Che ci facevi lì?”
 “Mi allenavo…” Bevve un altro sorso d’acqua vuotando il bicchiere in un colpo solo. Da brava infermierina si apprestò a riempirglielo di nuovo. Ricevette perlomeno un cenno di ringraziamento. “… a quanto pare devo aver esagerato.”
“Ma dai!” Esclamò, perché di tutte le asserzioni quella era la più scema e ovvia di tutte. “Vorrei farti notare che nessuno degli altri Campioni è svenuto allenandosi! Va bene che la prova è tra pochi giorni, ma…”
“Lo so.” La bloccò. Poi si guardò infastidito, quasi gli avessero fatto un dispetto a mettergli uno dei pigiami in dotazione all’infermeria. “Dove sono i miei vestiti?”

Tipico caso di paziente non paziente…
“Nel cassetto, nel mobile.” Fece un cenno distratto: non voleva prendersela con l’amico male in arnese, ma si sentiva decisamente ferita dal suo atteggiamento brusco e menefreghista. Quasi  che la sua presenza lì fosse per lui un peso, invece che un aiuto.
Ci sono dei ragazzi che pagherebbero per avermi al loro capezzale, sai?
… Chi voglio prendere in giro. È proprio perché non è uno di loro che sono qui…
“… Sei rimasta con me tutto questo tempo?”
La domanda la colse di sorpresa, dato il pensiero precedente. Alzò lo sguardo e finalmente Sören la guardava. Con attenzione, persino. Si sentì arrossire, ma fece supremamente finta di niente, perché quello era il segreto.

“Non proprio… Madama Chips non mi ha fatto rimanere qui per la notte. Anche se ho insistito!” Si premurò di sottolineare, aggrottando le sopracciglia al ricordo. “Tanto. Ma quell’arpia è stata inamovibile… mi ha detto che l’unico modo che avevo per restare era farmi schiantare da lei.”
Sören le sorrise, finalmente. “Allora perché non sembri aver dormito?”
“Perché ero preoccupata.” Lo sottolineò con forza, prima di tirargli un colpo sulla spalla. “Per te, razza di testone!”

L’asserzione non ebbe l’effetto che Lily sperava: Sören non sembrò lusingato dalle sue premure. Forse era imbarazzato, ma soprattutto le sembrava infastidito. Lo poteva capire dalla linea contratta delle sopracciglia e dalla postura irrigidita.
“Non devi preoccuparti, so badare a me stesso.” Disse infatti brusco.  
Ma sentilo!
Lily mandò alle ortiche i suoi buoni propositi da infermierina sollecita: aveva passato tutta la notte a rigirarsi nel letto per lui, rischiando di farsi affatturare dalle compagne di stanza.
“Certo, perché è del tutto normale svenire in mezzo ad un parco, vero? Se mio fratello e Tom non fossero stati saresti rimasto all’addiaccio tutta la notte! Forse saresti morto!” Replicò sentendo la voce salire e un familiare groppo alla gola, compagno fedele di tutti i suoi capricci e pianti infantili.
Ma quello non era un capriccio: si era davvero spaventata quando Al era venuto a chiamarla. E l’angoscia non si era dissipata neanche quando Poppy gli aveva detto che non aveva nulla di grave: dopotutto l’aveva visto steso sul lettino, pallido come un lenzuolo e con una mano serrata sul braccio, quasi a volerlo proteggere.
Che razza di allenamenti folli sta facendo per questo stupido Torneo?
“Lily…”
Sentendosi apostrofata si azzardò a lanciargli un’occhiata. E si dovette frenare dal sorridere: l’amico aveva un’aria improvvisamente meno fredda. Più che altro sembrava terrorizzato e molto, molto a disagio.
Ah, maschietti.
Odiano le lacrime delle ragazze, specie se sono dei cavalieri nell’anima come te, Ren…
“Non sarei morto.” Lo sentì borbottare frettolosamente. “Immagino di aver chiesto troppo al mio corpo. Ma mi sento bene adesso. Forse avevo solo bisogno di dormi…”
“Dormire un cavolo!” Sbottò per sottolineare quando fosse preoccupata e quanto fosse orribile lui a non essersene reso conto. Lo vide inspirare agitato, e guardarsi attorno alla ricerca di qualcosa da offrirle per asciugarsi le lacrime.

C’era qualcosa di incredibilmente tenero in Sören, in quella sua ingenuità nei rapporti interpersonali.
“Lilian, ascolta…” 
“Hai avuto il sonno agitatissimo!” Lo interruppe con un singhiozzo drammatico. Perché sì, era un suo dovere morale fargli capire che non si doveva mai far preoccupare una ragazza. “Mormoravi delle… cose… nel sonno, e la Chips ti avrà fatto bere litri di Distillato della Pace2! Merlino, ero preoccupata da morire…”
Dopotutto non è che sto mentendo. Queste cose me le ha dette davvero.
E una parte di sé voleva sapere cosa Ren avesse sognato per essere così turbato; ma non avrebbe certo ottenuto risposte a domanda diretta.
Devo essere più subdola temo…
Sören intanto le passò un fazzoletto: separé e fazzoletti erano cose che non mancavano mai nell’infermeria di Madama Chips.
“Non piangere…” Mormorò serio. “Non ti farò più preoccupare, te lo prometto.”
Erano gli occhi, pensò Lily sentendo il cuore darle una brusca accelerata. Gli occhi di Ren erano specchio di qualcosa che non riusciva a capire, ma che l’attirava come una falena alla luce.

Il che è pure un controsenso visto che ce li ha neri…
Abigail non faceva che dirle che era ovvio e palese che si fosse presa una cotta. Hugo la guardava con aria depressa, come se pensasse che il suo continuo negare fosse un sintomo allarmante di qualche rara malattia sconosciuta. E dulcis in fundo, James aveva dato spettacolo nel ruolo di fratello protettivo.
E lei? Lei si fidava.
Non era una cotta, ma un legame. Ecco, c’era un legame tra di loro. Era qualcosa di fisico; era venuto fuori solo quando si erano incontrati per la prima volta.
“Non vuoi dirmi cos’hai sognato? O meglio, su cosa hai avuto gli incubi?” Gli chiese tirando su con il naso. Detestava piangere, al di là dell’utilità tattica della cosa. Finiva sempre con gli occhi gonfi e il naso colante.
Sören fece una smorfia. “Non me lo ricordo.”
“Bugia.”
Almeno fin lì ci arrivava, con o senza i suoi fichissimi poteri. 

 
Senso di colpa. Sören non avrebbe mai pensato di poterlo provare, men che meno per una ragazzina che fino a tre mesi prima era un’estranea.
Ma Lily gli si era insinuata sotto pelle, leggera. Lily era leggera dentro. Gli era scivolata nell’anima con un sorriso o una battuta. Con i suoi occhi.
Non aveva idea di cosa fosse quel sentimento, e in fondo non voleva saperlo: aveva una missione, doveva compierla. Tutto il resto era semplicemente legato alla persona che stava fingendo di essere.
Quel modo di pensare lo stava aiutando. Sperava avrebbe continuato a farlo.
“… sì, è una bugia.” Disse, perché doveva dirlo. “Ma non voglio parlarne. Tutti facciamo incubi. Sono teso per la Prova… probabilmente è per questo.”
“Come vuoi…” Non sembrava molto convinta, ma per fortuna lasciò cadere il discorso. Si alzò in piedi mettendosi la borsa a tracolla. “Adesso devo proprio scappare… ma vengo a trovarti all’ora di pranzo!”
“Spero che mi abbiano dimesso per allora.” Aveva molte cose da fare. Compiti di Luzhin, e compiti suoi.

“Vero, ma Poppy è un sergente di ferro, non ci spererei troppo!” Gli sorrise. Forse fu un gioco della luce, il viso di Lily adesso era in ombra, ma Sören notò che aveva le occhiaie. Il trucco le aveva nascoste bene, ma non le aveva eliminate completamente.
Allora è vero che è rimasta sveglia tutta la notte…
“Allora è vero che sei rimasta sveglia tutta la notte…” Quando si sentì dirlo ad alta voce, ebbe voglia di mordersi la lingua.
Lily gli scoccò un’occhiata indispettita, ma per fortuna non si rimise a piangere.
“Perché, pensavi ti raccontassi una bugia?”
“No, però… perché?” Razionalmente non aveva molto senso.

Dopotutto stando sveglia non avrebbe cambiato la situazione…
Glielo disse e Lily lo guardò come se fosse un idiota. Poi si chinò su di lui e Sören sentì il cuore fare una capriola. Nulla di straordinario. Gli succedeva ogni volta che la ragazza gli si avvicinava.
Normale. Non ho mai avuto contatti con donne… è del tutto normale.
“Ren? Siamo amici. E ti voglio bene. È naturale che sia in ansia per te…” Sbuffò. “A volte mi chiedo che razza di infanzia tu abbia avuto.”
“… purosangue.”
Lily ridacchiò. “Sì, in effetti questo spiega molte cose.” Guardò l’orologio alla parete. “Ookay, devo andare o la McGrannit pretenderà il mio scalpo. A dopo!”
La guardò andare via, in silenzio.
Lei sarà lì quando arriveranno i Dissennatori.
Quel pensiero arrivò, netto e preciso come una ferita di coltello. Sentì un peso doloroso allo stomaco e gli venne la nausea: Lily avrebbe potuto essere un bersaglio.  
Anche se dovrebbe conoscere l’Incanto Patronus…
Serrò le labbra: no, quel genere di scudo magico era troppo avanzato per le sue capacità. Specie se avrebbe dovuto difenderla da più di una dozzina di Dissennatori. Specie perché fondava la sua forza nel sangue freddo di un mago.
E l’ho quasi perso io. Figuriamoci una quindicenne che non ha mai visto una creatura oscura in vita sua…
Lily avrebbe rischiato la vita e lui non sapeva neanche se questo facesse parte del piano: non aveva avuto ordini in merito.
Quindi…
La soluzione arrivò veloce come era arrivato il problema.
Posso tenerla fuori da questa storia. Posso fare in modo che lei non sia alla prova.   
Posso tenerla al sicuro.
Non si chiese subito perché lo stesse facendo: ma Luzhin conosceva la risposta.
Non vuoi sporcarti le mani del suo sangue… non è vero Sören?
Strinse la mano destra, come se potesse afferrare la bacchetta, come se potesse afferrare quei pensieri, e stritolarli.
Non vuoi, non è vero?
 
**** 
 
Dormitorio di Serpeverde, stanza del Caposcuola.
Notte.
 
C’era qualcosa che non andava in Sören Luzhin. Ormai Tom ne era certo.
Lanciò uno sguardo ad Albus, che dormiva abbracciato appassionatamente al suo boccino di peluche, Jenkins.
Fece un sorriso vedendolo arricciare il naso infastidito quando gli solletico la porzione di pelle sotto l’orecchio.
Lo scoppio di un ciocco nel camino lo riportò sulla linea di pensieri precedente.
Quel Luzhin aveva qualcosa di sospetto: non era tanto nel suo atteggiamento – del resto tutti gli allievi dell’Istituto sembravano degni personaggi di qualche cupo drammone russo.
No, era ciò che non faceva ad avergli infilato la famosa pulce nell’orecchio. E quel ritrovamente poi, lo aveva solo convinto maggiormente della sua teoria.
Luzhin era vicino ai Cancelli, un punto in cui non si spingeva praticamente nessuno con ettari di parco da percorrere e le sponde del Lago Nero in cui allenarsi. Era svenuto, ma non c’erano segni di traumi alla testa, o ferite.
Un mancamento, come ha detto la Chips…
Ragionevole, certo.
Si rigirò tra le dita la bacchetta, accarezzandole il manico con attenzione.
Ma le sue scarpe…
Quando lui ed Al lo avevano fatto levitare per poterlo portare agevolmente fino al castello, Tom se le era ritrovate ad altezza viso.
C’era del ghiaccio sulle sue scarpe. Ghiaccio e ghiaia. Avrebbe dovuto esserci fango ed erba secca, le classiche cose che trovi calpestando i terreni di Hogwarts…
Sören Luzhin quando era svenuto non era nello stesso posto in cui era stato ritrovato.
Ma domanda è: dov’era per aver calpestato ghiaccio? Non fa ancora così freddo.
Sentì improvvisamente un mugugno provenire da Albus.
“La luce… spegnila.” Gli bofonchiò contro.
“Stavo pensando.”
“Allora non farlo. Grazie.” Biascicò afferrandolo per la maglietta e tirandolo giù. “Dormi, per Merlino… spegni quel gran cervello che ti ritrovi e dormi. O ti schianto.”

Tom fece un sospiro: naturalmente erano solo congetture, e non aveva il coraggio di esporle al suo ragazzo: Albus l’avrebbe tacciato come al solito di paranoia. In effetti, quelle coincidenze, come l’anello che non era della sua misura, e le scarpe, potevano essere spiegate ragionevolmente.
Solo… come?
Si infilò sotto le coperte, spegnendo le candele con un colpo di bacchetta, lasciando che fossero solo le braci del camino ad illuminare la stanza. Sentì subito il corpo di Al premere contro il proprio.
“Appiccicoso.”
“Sta’ zitto. Dormi.” Ripeté il più piccolo, sorridendo nel buio e afferrandogli un braccio per passarselo attorno alla vita.

“Agli ordini…”
Tom non si fidava di Luzhin, ma quando l’aveva visto a terra, esanime, gli era venuto in mente come si era sentito quando era stato raccolto da Cordula e Meike: solo e sperduto.

Quando per un attimo l’altro ragazzo aveva aperto gli occhi, Tom poteva giurarlo: aveva quello sguardo.
 
 
****
 
Note:
La canzone del capitolo qui .

1. Ben Nevis è uno dei monti più importanti della Scozia. Qui la cima.

2. Distillato della Pace: una pozione che calma l’ansia di chi la beve. 
  
Leggi le 19 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Dira_