Insomniac Doze
Lacrima.
Uno,
due, tre.
Lacrima.
Uno,
due, tre.
Lacrima.
Le raccolgono tutte, una
dopo l’altra, le mani di Tsunade. Come se la pelle arida
segnata dagli anni non desiderasse altro che il contatto con quelle
delicate gocce d’acqua.
Posò lo
sguardo offuscato dalle sue mani al suo studio. Al di là
della scrivania era un tale disastro. La biblioteca in pezzi, alcuni
tomi rari e dall’inestimabile valore gettati a terra alla
rinfusa, altri erano stati scaraventati fuori dalla finestra che ancora
adesso, rimaneva spalancata.
Non era riuscita a
contenersi Tsunade. Perché la rabbia e il dolore li
conosceva bene e sapeva quant’era inutile imporsi,
resistergli.
Alcuni dicono che basta
sfogarsi e tutto passa.
Ma non è vero
niente.
Lo dimostrava il fatto che per
due giorni Tsunade era rimasta a demolire il suo studio e osservare le
lacrime cadere, senza riuscire a far altro. Eppure il dolore non era
scomparso né tanto meno si era attenuato. Era rimasto
perfettamente uguale, una perpetua e atroce fitta nel cuore. Sarebbe
rimasto tale anche nei giorni, nei mesi e probabilmente negli anni a
seguire, Tsunade dubitava che si sarebbe mai placato. Forse la
sofferenza col tempo sarebbe divenuta una torbida cicatrice, che per
quanto non sanguinasse rimaneva comunque un indelebile segno.
Lasciò cadere
gli occhi castani sulla piccola fotografia incorniciata, in bilico
sull’orlo della spaccatura che divideva a metà la
scrivania in rovere. I suoi pugni scagliati con cieca rabbia non
avevano risparmiato neppure quella.
L’immagine
ritratta nel quadretto era allegra, soffusa di calda
serenità. Sullo sfondo c’era Shizune che teneva
stretta tra le braccia una fuggiasca TomTom, Naruto, sbucato
all’ultimo momento, rimaneva sulla destra leggermente
sfocato, mentre con un sorriso beffardo sul volto faceva il segno di
vittoria, in primo piano, invece, c’era Tsunade con le mani
poggiate sulle spalle di Sakura.
In quella foto
sorridevano tutti, inclusa Sakura. Teneva le braccia nascoste dietro la
schiena, le gote leggermente arrossate per chissà quale
imbarazzo e gli occhi, verdissimi e vivaci, erano rivolti verso
l’alto per cogliere uno sguardo d’intesa dalla
maestra.
Sakura non
potrà più sorridere.
Sul vetro della
fotografia iniziarono a precipitare silenziose lacrime che rompendosi
in microscopiche gocce si disseminarono per i volti delle persone
raffigurate. In quel momento parve un’immagine di lutto,
perfino il sorriso sfacciato di Naruto si trasformò in una
smorfia amara.
Sakura aveva deciso di
andarsene. Aveva semplicemente capito che era troppo per lei, per le
sue possibilità di sopportazione.
La solitudine spesso
paralizza le persone dai propri intenti, per questo non se ne sarebbe
mai andata da sola. Per partire aveva bisogno di Naruto, e Naruto fu la
spinta di quel volo che si rivelò caduta.
“Signorina
Tsunade…” Questa è Shizune. Mormora
sempre e lascia le frasi incomplete, è un brutto vizio.
Si
solleva un nugolo di sospiri affranti dai restanti ninja medico
dell’improvvisata spedizione. Come se Tsunade avesse bisogno
della commiserazione degli altri, come se il dolore che lentamente si
scava una nicchia nel suo animo necessitasse di pietà. Non
solo lei, ma l’intero villaggio, quella mattina, richiedevano
silenzio e comprensione, non inutile compatimento.
Per
pochi secondi non sentì nulla, solo la freddezza e le
ciniche maniere di un medico esperto che analizza e risolve. Per pochi
attimi le parve che nulla osasse fiatare, risuonava soltanto il
cadenzato vibrare della sua mantella verde mossa dal vento.
Le
basta uno sguardo a Tsunade per capire se c’è
modo, soluzione, o se non c’è più
niente; ed è così che un’occhiata
clinica le è sufficiente per comprendere che lì
non c’è più nulla. La ragazzina dai
capelli rosati seppellita dalla polvere e dal corpo
dell’amico è immobile al centro del paesaggio.
Come santuario ha scelto il letto arido di un fiume, percorso ai lati
da alte pareti di roccia viva. Non c’è sangue a
bagnare il fondo sabbioso che sollevato dalla brezza ricopre visi e
capelli. Solo un rivolo nerastro incrosta ciglia e ciocche bionde sulla
fronte di Naruto, tutto il resto è pulito, forse dormono.
Il
silenzio permane, mancano i suoni. Il tonfo di Hinata, che ormai perse
le forze cade svenuta, diviene sordo. Il sibilo dell’aria
è un impercettibile taglio nella quiete, perfino quel
fastidioso ticchettio è cessato.
L’orologio
di Tsunade si è rotto, ha smesso per sempre di funzionare.
Si
tratta di un meccanismo delicato e naturale, insito
nell’anima. Scandisce la vita con disarmante precisione. Il
conteggio ha inizio da quando la madre sente la vita germogliare e
crescere in lei. I rintocchi si fanno più intesi quando la
perla preziosa viene al mondo e continuano a riecheggiare con gioia
come campane in festa fino a quando, un giorno, non
s’interrompono. Tsunade non ha mai conosciuto
l’immensa felicità di essere madre, ma a suo modo
lo è diventata. Ha incontrato Sakura, ne è
diventata la sensei, ha imparato a conoscerla, a volerle bene come
allieva e ad amarla come una figlia.
La
valutazione medica effettuata con uno sguardo termina insieme al
melodico ticchettio: fratture multiple alle prime due vertebre
cervicali, organi interni presumibilmente collassati.
L’analisi
è interrotta, la sentenza è già fin
troppo evidente. La vita non scorre più in Sakura.
Basta.
Fermi tutti.
La
freddezza di Tsunade è sciolta sotto lo scorrere di lacrime
incandescenti, e le labbra si piegano, si contorcono in spasimi di
dolore. Le invisibili sopracciglia bionde si corrucciano, gli occhi si
stringono come a non voler vedere, cancellare
l’incancellabile.
I
suoni pian piano tornano a sfiorarle l’orecchio, i sentimenti
il cuore. La stretta di Shizune intorno al suo braccio come a volerle
donare un vano conforto. Hinata che si schianta al suolo, era
già caduta da alcuni secondi, eppur quel secco rumore e la
polvere che si solleva di conseguenza, Tsunade li può
percepire solamente ora. Gli occhi le si sgranano,
l’autocontrollo imposto per pochi attimi si dissolve sotto
l’urlo di una madre distrutta, assassinata. È la
stessa mamma che le dice che non è morta, che è
ancora in tempo per salvare, per vedere il sorriso di Sakura ancora,
ancora e ancora… É la stessa che le da la forza
di gettarsi sui corpi dei due ragazzi, che la sgrida disperata
dicendole che può aiutarli, strapparli alla morte come
sempre è riuscita a fare, come sempre ha tentato di fare,
come…
“Non
ho mai salvato nessuno. Le persone che amavo le ho lasciate morire tra
le mie mani. Senza poter far nulla.”
E
si sente dannatamente in colpa.
Perché
anche questa volta è arrivata troppo tardi quando
l’orologio aveva già interrotto i battiti.
Ha
paura che questa volta non bastino le lacrime, ed è stanca
di questa continua, perpetua, sofferenza che non fa altro che
ingigantirsi finché un giorno non la soffocherà
completamente.
Il
viso di Sakura è così freddo, impolverato.
E
la stessa scena si ripete, Tsunade l’ha impressa nei ricordi,
n’è assuefatta.
Nawari,
Dan, Sakura…
“Signorina
Tsunade.”
Dopo aver bussato
incessantemente senza alcun cenno di risposta, Shizune si era decisa ad
aprire ugualmente la porta con o senza il permesso della Godaime.
Tsunade
sollevò lo sguardo nocciola stringendo con astio gli occhi.
Detestava farsi veder piangere, era un momento in cui tutta la sua
debolezza emergeva lampante.
“Ti avevo
chiesto esplicitamente di non disturbarmi per alcun motivo,
Shizune!” Sbraitò con forza asciugandosi con un
gesto veloce del palmo le ultime ribelli.
“L-le chiedo
scusa Madamigella Tsunade.” Mormorò mortificata
notando lo stato in cui versava la maestra. Senza più la
tecnica segreta a renderle l’aspetto di una ventenne, davanti
a suoi occhi si presentava una debole anziana dai profondi solchi a
segnarle il viso e dalle dita deboli e ossute intrecciate fra loro.
“Naruto si
è appena risvegliato, sta bene, pensavo che sarebbe stata
felice di andarlo a trovare.” Spiegò Shizune
chinando leggermente il capo.
Tsunade si volse verso
la finestra da cui entrava una brezza lieve ed estiva. Racchiuse le
mani a pugno sotto il mento mordicchiandosi per un attimo il labbro
inferiore. Un sottile bagliore le attraversò le iridi velate
dalle lacrime.
“Sa,
già?” Domandò scandendo con lentezza le
parole.
“No, o meglio
nessuno gli ha ancora detto nulla.” Rispose Shizune con una
punta di tristezza.
Tsunade
sospirò tornando a posare lo sguardo sulla giovane
assistente.
“Ci saranno
persone che Naruto avrà ben più a cuore di
vedere, che una vecchia smidollata come me.” Disse terminando
la frase con un piccolo quanto amaro sorriso.
“Andrò più tardi da lui. Ora, per
favore, lasciami sola.”
Shizune, dopo aver
accennato un inchino, tornò alla porta. Lasciò
cadere un’ultima volta lo sguardo sulla maestra ritrovandosi
a stringere con foga la maniglia.
“Tsunade-sama
se io potessi…”
“Lasciami
sola.” Bisbigliò esausta. “Per
favore.”
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Sbatté
più volte le palpebre, frastornato, mentre i caldi raggi del
sole che filtravano dalla finestra gli sfioravano il volto.
Ancora una volta si
ritrovò in quella stanza immacolata d’ospedale. Il
solo contrasto a quel bianco innaturale era dato dallo spicchio di
cielo estivo che s’intravedeva dalla finestra, e dalla
graziosa ragazza dai capelli scuri come la notte che riposava
tranquilla accanto al suo capezzale.
“Hi-Hinata.”
Mormorò con voce roca carezzando con delicatezza la chioma
corvina.
La giovane si
svegliò di soprassalto facendo stridere le gambe del piccolo
sgabello su cui sedeva.
Guardò Naruto
spalancando sempre più i candidi occhi. Dischiuse le labbra
per prendersi un grosso respiro, quasi stesse lì per
lì per morire di meraviglia e felicità.
Gli gettò le
braccia al collo scoccandogli un morbido bacio sulla zazzera bionda.
“Oh Naruto,
finalmente ti sei svegliato.” Gli stuzzicò un
orecchio con quel lieve bisbiglio.
Il ragazzo si
discostò con garbo da Hinata, portandosi la sola mano
destra, poiché il braccio sinistro era stato completamente
ingessato, al capo cercando di alleviare le fitte di dolore. Sotto le
dita avvertì subito la ruvida fasciatura ben stretta intorno
alla fronte.
Strinse gli occhi
cerulei tirando in una smorfia di sofferenza le labbra.
“Naruto, tutto
bene?” Gli chiese un’apprensiva Hinata sfiorandogli
il viso con una dolce carezza.
“Che
è successo?” Mormorò rauco sforzandosi
di ricollegare tutti i piccoli particolari che pian piano gli
riaffioravano alla mente.
Hinata sembrò
sospirare di sollievo. In un certo senso trovava confortante che Naruto
fosse ancora all’oscuro della triste notizia o che comunque
non ricordasse gli ultimi avvenimenti. Ciò però
significava che presto o tardi qualcuno avrebbe dovuto informarlo, e
quel compito sentiva che non poteva spettare a nessun altro che a lei.
Hinata sorrise
amaramente, mentre Naruto osservava il panorama fuori dalla finestra e
le stringeva la mano per trovare conforto.
“Non lo so,
Naruto.” Sussurrò adagiandosi sulla spalla del
ragazzo.
Non aveva mentito
Hinata. Lei davvero non sapeva come fossero precipitati nel letto in
secca del fiume, come fosse potuta accadere una simile tragedia.
Fremette lievemente al ricordo di quell’immagine straziante.
Naruto e Sakura gettati
come bambole nella polvere, abbracciati l’uno
all’altra. Era questa l’atroce visione che si era
presentata davanti agli occhi spauriti di Hinata. Aveva raggiunto i due
corpi correndo per poi inginocchiarsi di colpo, mentre le lacrime
silenziose avevano preso a rigarle il viso. Con mano tremante aveva
sentito il polso di entrambi, e mentre quello di Naruto seppur debole
era presente, i battiti di Sakura si erano già fermati da
tempo.
Hinata dovette bloccare il flusso dei suoi pensieri, troncare ogni
sentimento sul nascere e così, d’impulso,
costringersi a fare la cosa giusta: tornare sui suoi passi e correre,
volare, ad avvertire Tsunade. Era certa che fosse la Godaime
l’unica persona capace di salvare il suo Naruto e forse,
anche Sakura; sì anche lei, perché Hinata ancora
non riusciva a capacitarsi di come la morte avesse potuto strapparla
così presto e ingiustamente alla vita. La speranza non
abbandonò mai la ragazza, da quando senza distoglierli da
quel commovente e ultimo abbraccio posò un delicato bacio
sulla fronte di Naruto, fino a quando divorandosi le labbra per
l’angoscia e conficcandosi le unghie nei palmi non raggiunse
rapidissima il palazzo dell’Hokage.
Una volta guidata
Tsunade e gli altri ninja medico sul posto, Hinata, sfiancata dalla
corsa e distrutta da quel cuore che le batteva a mille nel petto, si
lasciò crollare al suolo, mentre l’immagine di
Naruto spariva lentamente dai suoi occhi tra polvere e ombre.
“Dov’è
Sakura?”
Hinata si distolse
bruscamente dai propri pensieri non appena udì la domanda di
Naruto. Irrigidì il collo scostandosi le ciocche corvine dal
viso.
“Hinata.”
La richiamò debolmente aspettando una qualsiasi risposta.
La ragazza
abbassò il capo, annientata. Come avrebbe potuto dirgli: mi
dispiace, ma Sakura è volata in cielo, è
tramontata. Come avrebbe potuto dirgli che la sua amica, una delle
persone più care che aveva al mondo se n’era
andata per sempre?
Strinse i pugni, mentre
i gemiti di Naruto iniziarono a trapassarle le orecchie.
Un pianto liberatorio
fatto di sussulti incontrollati e d’irrefrenabili lacrime
invase l’asettica stanza. Non c’era più
bisogno che dicesse nulla Hinata, il suo silenzio era bastato.
Da quando aveva riaperto
gli occhi stupendosi della calda luce del sole, Naruto aveva
già percepito la voragine, la mancanza che si era aperta nel
suo cuore accanto a quella di Sasuke, solo che in quel momento non era
riuscito a darle un nome.
Ora invece, mentre si
piegava in avanti soffocando le urla con il bianchissimo lenzuolo e si
stringeva il volto con l’unica mano valida, quel nome
l’aveva trovato.
Sakura gli bruciava in petto, ogni suo singolo muscolo si stringeva
intorno a quel viso, a quegli occhi, a quella voce che ormai erano
ridotti a solo un ricordo. La tremenda consapevolezza che di Sakura non
gli era rimasto null’altro.
Il calore di Hinata
abbracciata a lui, che inutilmente gli mormorava parole di conforto,
non lo percepiva nemmeno. C’era solo lui, il nome di Sakura
urlato disperatamente, e la voglia di distruggere le fredde pareti di
quella stanza.
Far crollare le barriere
del mondo, riprendersi il
suo tutto e stringerlo tra le mani per non lasciarlo mai
più andar via.
“Non me ne
faccio nulla della vita se non posso condividerla con loro.”
Esalò immergendo il volto segnato dal pianto tra le lenzuola.
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Un lieve bussare alla
porta costrinse Hinata a sollevare il volto dalla spalla di Naruto, il
quale, nonostante il lungo lasso di tempo trascorso, rimaneva ancora
scosso dai singhiozzi.
La porta si dischiuse
lasciando intravedere la sagoma di una giovane infermiera.
“È
permesso?” Chiese la signorina spezzando con il suo vociare
allegro la triste atmosfera della camera.
Hinata
abbassò il capo socchiudendo gli occhi. - Tanto sei
già entrata! - pensò con fastidio.
“Salve.”
Salutò cortesemente lasciando ricadere lo sguardo prima su
Naruto e poi sulla corvina.
Hinata la
osservò attentamente, c’era qualcosa di familiare
in quel volto, era quasi certa di averla già vista.
Infatti, quegli occhi color magenta erano inconfondibili, era di certo
la stessa donna che aveva incontrato domenica insieme a Naruto.
Dato che dopo alcuni
secondi non ottenne alcuna risposta al saluto, la giovane
continuò.
“Sono Touei
Ashimura, l’infermiera che si occuperà
personalmente di Naruto. Ora, vorrei chiederle gentilmente di lasciare
la stanza. Devo rifargli le fasciature.” Sorrise impacciata
indicando il piccolo kit-medico che teneva al fianco.
“Potrà venire a trovarlo più tardi,
durante l’orario di visita serale che va dalle sei fino alle
otto.”
Hinata tornò
a posare lo sguardo su Naruto che lentamente si era sollevato
poggiandosi allo schienale del letto.
Il ragazzo
guardò Hinata con gli occhi cerulei ancora lucidi e rossi di
pianto.
“Hinata non
preoccuparti, vai pure.” Mormorò con un filo di
voce.
“Ma, Naruto,
guarda che non ci sono problemi. Io…”
“Davvero, va
bene così.” Disse piano. “Grazie
Hinata.”
Gli regalò un
piccolo bacio sull’angolo della bocca e dopo avergli
carezzato il viso, si alzò per avviarsi alla porta.
Touei sorrise allegra al
passaggio di Hinata e si avvicinò a Naruto che
preferì voltarsi dalla parte opposta per osservare il
panorama alla finestra.
“Bene, Naruto
Uzumaki,” Sottolineò il nome pronunciandolo con
brio. “cambiamo queste fasciature?”
Non ricevette risposta e
iniziò ad armeggiare con garze e batuffoli di cotone
imbevuti in acqua ossigenata.
“Sai noi ci
siamo già incontrati, sei quel ragazzino che non trovava
più la sua amica, giusto?” Continuò
togliendo delicatamente le bende attorno alla fronte del ragazzo.
“Sì,
e lei è la donna a cui sono andato a sbattere
contro.” Replicò atono.
“Esatto,”
Rise piano. “ma ho un nome, sai? Io mi chiamo
Touei.” Cominciò a tamponare con cura la ferita
che ancora non si era completamente rimarginata.
Naruto
sollevò lo sguardo su di lei soffermandosi sui vivaci e
attenti occhi magenta e sul viso ovale incorniciato da ciocche castane.
“È
molto carina la tua fidanzata.” Sorrise aggiungendo
dell’altro disinfettante.
Naruto strinse gli occhi
infastidito dal bruciore. Nonostante Touei si sforzasse di instaurare
una conversazione, lui non ne aveva alcuna intenzione, preferiva
rimanere solo nel silenzio e nel suo dolore.
La giovane
sembrò capire e continuò a medicarlo senza
proferir parola.
“Stringe
troppo così?” Gli chiese una volta terminato di
applicare le bende pulite.
“Mhf”
Bofonchiò di risposta tornando a posare lo sguardo celeste
alla finestra.
Touei ritirò
il materiale nel kit-medico e con lievi tocchi lisciò le
pieghe della gonna blu da infermiera.
“Non
dirò nulla, Naruto, riguardo a ciò che
è successo, so che non varrebbe a niente un semplice mi
dispiace. Ma sappi che comunque ti sono vicina e ti
comprendo.” Disse piano con tono dolce posandogli una mano
sulla spalla.
Naruto si
voltò verso di lei lievemente sorpreso, poi distolse lo
sguardo, mentre le lacrime iniziavano a pizzicargli nuovamente gli
angoli degli occhi.
“Come fa a
dire che mi comprende?” Ribatté con rabbia in un
roco sussurro.
“Anch’io
quando avevo all’incirca la tua età persi una
persona a me molto cara, e per quanto le sofferenze non siano mai una
uguale all’altra, un po’ posso capire cosa provi in
questo momento.” Spiegò allungando sulle labbra un
piccolo sorriso d’incoraggiamento.
Naruto non aggiunse
nient’altro e Touei invece di uscire dalla stanza preso posto
sulla sedia accanto al comò.
Il cielo estivo vibrava
di un azzurro inteso e terso, screziato unicamente dai rari voli dei
falchi. La montagna degli Hokage tagliava l’orizzonte ed era
nascosta in parte dalle fronde rigogliose di peschi e ciliegi.
Era la stessa stanza in cui era stato ricoverato dopo lo scontro con
Sasuke, e nulla era cambiato da allora in quel posto. Le stesse bianche
pareti, lo stesso caldo sole estivo, mancavano unicamente i fiori di
Sakura. Quei bellissimi amaranti e camelie non li avrebbe
più portati nessuno.
Di nuovo il desiderio di
distruggere le fredde pareti della camera raggiunse Naruto. La voglia
di far cadere una a una le barriere del mondo e riprendersi il tutto,
stringerlo fra le mani per non farselo mai più sfuggire.
Per quanto il ricordo
più intenso era ora Sakura, quello di Sasuke emergeva
ugualmente con forza. Come una striscia nel limpido cielo, le memorie
dei due amici si fondevano in un unico colore. Spalancò gli
occhi celesti, quasi potesse rivedere i volti di Sakura e Sasuke nel
panorama estivo, mentre il pensiero continuo e soffocante di - avrei
dovuto esserci io al loro posto - non gli dava pace.
Sakura, come quei petali
di ciliegio a cui tanto somigliava, era volata lontano trasportata dal
vento, Sasuke, invece, era precipitato nel baratro delle tenebre.
Naruto, che restava fermo e tremante proprio nel mezzo, vedeva sempre
più difficile il dividersi per salire in cielo da una parte
e il cadere nella perdizione per raggiungere l’amico
dall’altra. Quanto avrebbe desiderato poter prenderli
entrambi per mano e riportarli con sé nel mezzo, ma la
realtà spezzava le sue speranze come ali di passero.
“A cosa
pensi?” La fresca voce di Touei lo riscosse bruscamente dai
propri pensieri.
Asciugò
veloce la lacrima solitaria che aveva preso a scorrergli lungo la
guancia. “A perché resta.”
La giovane
fletté la bocca, stranita.
“Ah dici a me?
Ma dammi pure del tu, non essere così formale!”
Esclamò sorridendo piano.
“Non ha altri
pazienti di cui occuparsi?”
“A dir la
verità oggi è il mio giorno libero.”
Stiracchiò le
gambe in avanti per poi lasciarle dondolare alternate.
“Pensavo che
un po’ di compagnia ti avrebbe fatto piacere, ma non
preoccuparti, tolgo subito il disturbo.” Disse alzandosi di
scatto per avviarsi alla porta.
Con la mano alzata era
pronta a dargli l’ultimo saluto prima di uscire, ma si
bloccò con il braccio a mezz’aria. Naruto in quel
momento le dava le spalle, ma guardandolo nel riflesso della finestra
le sembrava proprio di scorgere gli occhi del ragazzo lucidi di pianto.
Le prese un groppo alla gola, e come ogni volta che vedeva una persona
in difficoltà si lasciò commuovere.
Iniziò così a parlare a vanvera nella speranza di
strappargli un piccolo sorriso.
“Sono qui
fuori nel corridoio, ok? Tu se hai bisogno di qualunque cosa basta che
suoni la campanella che hai lì vicino e io arrivo subito!
Sai al mio villaggio natale gli ospedali non ci sono manco, abbiamo
solo dei capannoni improvvisati! Pensa che i feriti, poveretti, se gli
serve qualcosa devono gridare - infermiera! - a squarciagola per farsi
sentire da un capo all’altro. Qui alla foglia, invece, che
fortuna, avete tutte le comodità!” Disse con animo
mimando la scena.
Quando notò
che Naruto non si era nemmeno voltato a guardarla, rise imbarazzata
convinta di aver esagerato.
Uscì dalla
stanza e mormorando un saluto richiuse la porta alle sue spalle.
“Che casinista.”
“Hu! Che
spavento, non ti avevo visto!” Vociò Touei
fermandosi appena in tempo prima di andarsi a scontrare con un anziano
signore.
Il vecchio incanutito
biascicò qualcosa d’incomprensibile e si strinse
meglio nella candida mantella.
“Che ci fai
già qui, scusa?” Gli chiese la giovane
squadrandolo incuriosita.
“Non mi hai
detto quando sarei potuto entrare, stupida.”
Sibilò soffiando sui corti baffi.
“Di certo non
adesso, l’orario delle visite è già
terminato da un pezzo, se entrassi ora attireresti dei sospetti.
Già il fatto che te ne vai in giro così per
l’ospedale… ma scusami, non potevi startene
tranquillo nascosto?” Sbuffò Touei seccata alzando
lievemente il tono di voce.
L’anziano
tacque trapassandola con lo sguardo.
“Sicuro che in
questo villaggio debbano essere tutti scemi, non
c’è altra spiegazione.”
Continuò per nulla intimorita dall’occhiata
minacciosa dell’altro. “Altrimenti non ti
comporteresti certo in modo così avventato.”
“Anche tu sei
piuttosto avventata per rivolgerti a me in questa maniera.”
Sentenziò assottigliando le iridi di ghiaccio.
“Ah simpatico!
Prima sgancia i soldi poi ti dirò quando potrai venire in
tutta sicurezza.” Allungò sulle labbra un sorriso
smaliziato porgendogli il palmo della mano aperto.
“Mi sembrava
di esser stato abbastanza chiaro quando ti ho detto che non ti avrei
pagata per il servizio.” Replicò inespressivo.
“Già,
già, ricordo.” Ritrasse la mano richiudendola con
lentezza. “Per lo meno non mi negherai di vedere il tuo vero
volto, giusto?”
Con suo immenso stupore
l’anziano acconsentì davvero alla sua richiesta,
che in fin dei conti era stata detta poco seriamente, molto
più per scherzo.
Calò il
morbido cappuccio sul capo e nello stesso istante sciolse il ninjutsu
che ne modificava le fattezze.
“Niente
male!” Commentò allegra Touei congiungendo le mani
al seno. Pochi attimi e di nuovo davanti a lei ricomparve il viso
segnato dagli anni dell’attempato signore.
“Questa sera
alle otto quando Hinata uscirà dalla stanza, fatti trovare
già qui, siamo intensi?” Raccomandò
sventolandogli l’indice alzato innanzi al volto.
L’anziano le
diede le spalle avviandosi con passo lento e zoppicante verso le scale.
Touei osservò
l’uomo discendere incerto gli scalini, poi portò
le mani ai fianchi nella sua solita posa e si lasciò andare
a un profondo sospiro.
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Hinata aprì
delicatamente la porta della stanza di Naruto. Si affacciò
appena dallo spiraglio osservando per alcuni attimi il viso voltato a
tre quarti del ragazzo.
“Naruto.”
Lo richiamò piano attirando la sua attenzione.
Il giovane
inclinò di poco il capo lasciando comparire sulle labbra un
timido sorriso.
“È
appena andata via Tsunade per poco non vi siete incrociate.”
“Invece sono
riuscita a incontrarla, mi ha detto che l’hai supplicata di
farti dimettere, ma purtroppo dovrai aspettare fino a domani.”
Sicuramente Naruto si sarebbe sentito meglio nel suo amato monolocale,
ma non si poteva ovviare alla prassi. Almeno quella notte avrebbe
dovuto trascorrerla in ospedale.
Rimasero in silenzio.
Naruto poggiato alla spalla di Hinata che intanto giocherellava con le
ciocche dorate persa in chissà quali pensieri.
“Dovete aver
parlato molto di Sakura, tu e Tsunade-sama.”
Mormorò la ragazza interrompendo il silenzio.
Alzò lo sguardo al bianco soffitto lasciando ricadere i
lisci capelli corvini dietro le spalle.
“Già.”
Biascicò Naruto distogliendo lo sguardo da Hinata, un
leggero rossore andò a pitturargli le gote.
“Sakura
è ovunque in questa stanza.” Sorrise candidamente
socchiudendo tra le ciglia gli occhi di perla.
Naruto la
osservò sorpreso, in seguito scosse piano la testa
sospirando. Già, Sakura era ovunque, il suo ricordo
aleggiava nell’aria come miriadi d’invisibili
bollicine.
Hinata si
alzò dal piccolo sgabello e sotto lo sguardo attento del
ragazzo si avvicinò alla finestra. Rimase a osservare il
panorama poggiando i gomiti sul davanzale e incorniciando il viso tra
le dita affusolate.
“Ti dispiace
se apro? Almeno entra un po’ di aria fresca.” Gli
chiese voltandosi verso di lui per guardarlo negli occhi.
“No,
anzi.”
Spalancò le
ante lasciando che l’aria frizzante della sera
s’intrufolasse in camera. Lo spettacolo del tramonto era
meraviglioso e ora più che mai i bagliori rossi e rosati del
sole coloravano con vivide tinte i volti e i capelli dei due giovani,
riscaldando con delicate sfumature l’impersonale stanza.
Un bussare abbastanza
concitato alla porta catturò immediatamente
l’attenzione di entrambi. In breve il bel viso di Touei fece
capolino.
“Sono
terribilmente mortificata di dovervi disturbare, ma l’orario
delle visite è terminato. Quindi la pregherei Madamigella
Hinata…”
La ragazza
recepì subito il messaggio e si affrettò a
riprendersi la borsa poggiata ai piedi del letto. Si
avvicinò a Naruto e sfiorandogli il volto con i lunghi
capelli gli posò un casto bacio sulle labbra. Il giovane
volle prolungare quella dolce unione immergendo le dita tra la chioma
corvina di Hinata spingendola verso di lui.
Si sussurrarono brevi
frasi in saluto, dopodiché la ragazza fu costretta a
lasciare la stanza accompagnata da una sorridente Touei.
Appena fuori dalla porta
Hinata dedicò una breve occhiata all’anziano
signore che giaceva appisolato su una sedia nel corridoio, poi si
affrettò lungo le scale salutando con un cenno
l’infermiera.
“Vedi di
muoverti.” Sibilò a denti stretti Touei al
vecchio.
Il signore si
alzò lentamente e con fatica mosse alcuni passi verso la
camera di Naruto.
Naruto rimase
incuriosito a osservare la porta aprirsi nuovamente. Touei aveva appena
detto che l’orario per le visite era terminato, quindi non
era possibile che qualche suo amico fosse venuto a trovarlo. Oltretutto
avrebbe preferito rimanere finalmente da solo con i propri pensieri.
Sgranò gli
occhi celesti quando la soglia fu varcata da una strana figura
slanciata avvolta in una candida mantella, il cui cappuccio ne
ricopriva quasi interamente il volto.
“Si
può sapere chi sei?” Domando aspramente.
Seguì con lo sguardo lo sconosciuto che senza degnarlo di
risposta continuò ad avanzare, mentre i raggi del sole in
tramonto tracciavano sulla sua veste singolari riflessi vermigli.
Si fermò ai
piedi del letto voltandosi verso Naruto. Lunghi capelli neri gli
incorniciavano il viso e un lieve ghigno, che forse avrebbe voluto
essere un sorriso, si delineò sulle labbra sottili.
Naruto schiuse la bocca
spalancando ancor più gli occhi cerulei. Incredulo di fronte
alla persona che ora si stagliava di fronte a lui.
Lo vide posare le
pallide mani sul cappuccio e con un’ elegante movenza
svelarsi il volto.
Inclinò
lievemente il capo posando dopo un’infinità di
attimi lo sguardo intenso sull’amico.
Quegli occhi, Naruto,
non avrebbe mai potuto dimenticarli. Semplicistico dire che sono neri.
Drammaticamente racchiudono la potenzialità inespressa di
ogni colore.
“Sas’ke.”
Angolino
Autrice:
Sì,
ecco, dichiaro solennemente che lo strazio,
ehm volevo dire la storia, è finita. u_ù
Il
finale è quello che è, per lo meno o per lo male
sono rimasta fedele alla mia idea iniziale. Probabilmente è
strano, come penso strana sia stata tutta la fan fiction, spero
originale e che non vi abbia deluso più di tanto. Non
è un lieto fine, ma non penso nemmeno tragico, anzi, secondo
me non poteva finir meglio se non con il ritorno di Sasuke, da
intendere come preferite in tutte le sue sfumature. Il finale aperto
è fatto proprio per questo, per interpretarlo a proprio
piacere.
Ho
corretto tutti i capitoli precedenti, ma senza stravolgerli.
Più che altro ho cercato di eliminare il più
grosso: errori ortografici e frasi eccessivamente distorte.
Vorrei
ringraziare con tutto il cuore i lettori, coloro che hanno inserito la
storia tra i preferiti, le seguite e ricordate, e i recensori: Vaius, Ainsel, Missredlights, wari e Lisely91.
Un
ringraziamento particolare va assolutamente a wari e a Vaius:
Vaius, perché hai seguito la mia storia fin
dall’inizio commentando ogni capitolo. Apprezzo lo sforzo xD,
ma soprattutto ti ringrazio per l’enorme e stupendo sostegno
che hai saputo darmi, invogliandomi a continuare! ^-^
wari, perché le tue recensioni mi sono state
utilissime, e in modo molto sincero e gentile hai saputo dirmi dove
sbagliavo e in che modo poter migliorarmi. Grazie a te ho cercato
davvero di rendere più bella e corretta questa storia.
Quindi, un enorme grazie per il tempo che hai speso tu stessa per
aiutarmi e per il tuo grandioso supporto.
Il titolo di questo capitolo è tratto dal nome dell'album
della band giapponese Envy.
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